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BETTELHEIM Bruno

 

BETTELHEIM Bruno

n. a Vienna nel 1903 - m. a Silver Spring, Maryland, nel 1990, psichiatra e psicoanalista austriaco.

Acquisita la sua formazione psicoanalitica a Vienna, dopo essere stato internato per motivi razziali per un anno nei campi di concentramento di Dachau e di Buchenwald, B. nel 1939 si trasferisce negli Stati Uniti. B. si rifà alla psicologia dell’Io integrato dai contributi di​​ ​​ Dewey e dalla psicologia cognitiva di​​ ​​ Piaget. Il suo nome è particolarmente legato alla famosa​​ Sonia Shankman Orthogenic School​​ dell’Università di Chicago per bambini autistici, da lui diretta per quasi trent’anni. Secondo B. la causa del ritiro autistico risiede nell’interpretazione corretta da parte del bambino dell’atteggiamento negativo con cui gli si accostano le figure significative del suo ambiente. Stante il suo radicale egocentrismo, il bambino finisce poi per attribuire a se stesso gli eventi distruttivi provocati dall’esterno. Ciò determina in lui una​​ situazione estrema,​​ caratterizzata dalla perdita della speranza e del senso della vita, dal momento che qualsiasi cosa egli faccia finisce sempre per essere da lui percepita come fonte di distruzione per sé e per gli altri. Secondo B., stante alla base un rapporto distorto con i genitori, è necessario togliere il bambino autistico dal suo ambiente familiare e collocarlo entro un’istituzione globale, in cui possa vivere un’esperienza emotiva in grado di attenuare gradualmente le sue fantasie distruttive. Attualmente tale modello terapeutico appare superato.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ opere di B. tradotte in it.:​​ Il prezzo della vita,​​ Milano, Adelphi, 1965;​​ L’amore non basta,​​ Milano, Ferro, 1967;​​ I figli del sogno,​​ Milano, Mondadori, 1969;​​ Le ferite simboliche,​​ Firenze, Sansoni, 1973;​​ La fortezza vuota,​​ Milano, Garzanti, 1976;​​ Il mondo incantato. Uso,​​ importanza e significati psicoanalitici delle fiabe,​​ Milano, Feltrinelli, 1977;​​ Sopravvivere,​​ Ibid., 1981;​​ Un genitore quasi perfetto,​​ Ibid., 1987;​​ Il cuore vigile. Autonomia individuale e società di massa, Milano, Adelphi, 1998. b)​​ Studi:​​ Fratini C.,​​ B.B. Tra psicoanalisi e pedagogia, Napoli, Liguori, 1993; Sutton M.,​​ B.B. Una vita, Firenze, Le Lettere, 1997.

V. L. Castellazzi




BIBBIA

 

BIBBIA

La B. è oggi largamente riconosciuta come il «grande codice» (N. Frye) della cultura occidentale ed ancora di più, per milioni di persone – da oltre venti secoli – vale come documento di fede, anche in ciò che concerne l’educazione. Ciò legittima una doverosa e critica attenzione ai valori che essa propone. L’argomento sarà pertanto affrontato da due punti di vista: quale educazione viene proposta dalla B.; come la B. in quanto libro sacro della religione ebraico-cristiana può essere valorizzata in funzione educativa, specificamente religiosa.

1.​​ La concezione di educazione nella B.​​ È doveroso dire subito che l’educazione in senso stretto non è un tema centrale della B. Essa fa delle affermazioni generali, dona delle indicazioni indirette, suscita conclusioni non di rado congetturabili. Danno una qualche luce documenti educativo-scolastici del medio oriente antico (Egitto e Mesopotamia) per i tempi prima di Cristo (AT), mentre per i primi cristiani (NT) continua a valere l’eredità ebraica, avendo sullo sfondo, ma non di più, la grande paideia greca e romana. Dalla B., è possibile raccogliere certe indicazioni fenomeniche ed insieme mettere in luce una propria concezione di fondo, la quale, data la natura della B., è eminentemente religiosa.

1.1.​​ Il fatto educativo.​​ Si possono distinguere due principali forme educative: familiare ed extrafamiliare. a) La​​ ​​ famiglia​​ è il referente costante e dominante, come in tutto il mondo antico. La testimonianza più qualificata è data dalla tradizione sapienziale dove numerosi sono gli insegnamenti per bene allevare i figli (es. Sir 30,1-13), con l’uso del termine tecnico dell’educazione ebraica:​​ musar​​ (rad.​​ jsr).​​ Quanto valore avesse tale educazione familiare appare dal fatto che nei libri sapienziali, e nel Deuteronomio, il saggio trasmette il suo insegnamento interpellando gli uditori con la formula «figlio mio» e propone se stesso come «padre» (Prv 1, 8; Dt 1,31; 32,8). Nei tempi cristiani continua la predominanza della famiglia (Ef 6,1-4). Un’eccellente affermazione sintetica riguarda lo sviluppo di Gesù ragazzo, del quale si dice che «era sottomesso» a Maria e a Giuseppe e «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52). L’educazione familiare è quella propria di una cultura patriarcale: la madre si cura dei figli in tenera età, poi subentra il padre che dà ai figli maschi una educazione che è essenzialmente formazione religioso-morale e professionale. b) La​​ scuola​​ e il contesto sociale. Più avanti nell’evoluzione sociale, al seguito della monarchia (sec. X-VI a.C.), si rende possibile una sorta di scolarizzazione in funzione dei bisogni della corte e dello Stato, ma come fatto elitario e assai circoscritto («scribi», 1 Cr 27,32). La scuola (la prima volta è nominata in Sir 51,23) prende estensione nel periodo del giudaismo (538 a.C.-70 d.C.), quando per la presenza del dominio straniero urge il bisogno assoluto di fare memoria delle tradizioni religiose e civili onde assicurare la stessa identità del popolo. c)​​ Contenuti e metodo.​​ I contenuti sono attinti dalle tradizioni e dalla sapienza degli antenati, come pure dall’esperienza del quotidiano (Ger 35; Sal 78,1-8; Gb 15,17-19; Prv 1-9), sono sempre finalizzati alla religione (Legge) che diventa così matrice culturale e veicolo di nazionalità. Insigne è la cura didattica, dove prevale lo stile orale, mnemonico, ricco di stimoli, come appare dalla qualità letteraria della B. È lecito pensare che alla scuola siano da collegare alcuni libri biblici o sue parti: la storia di Giuseppe (Gn 37-50), Tobia, Ester, Siracide, Sapienza. L’educazione, sia quella paterna, sia quella data dai saggi, è sempre concepita come una​​ severa disciplina​​ che implica abbondantemente la correzione e il castigo («chi risparmia il bastone, odia suo figlio», Prv 13,24; 3,11-12; Eb 12,4-11). Sarà l’evoluzione della rivelazione, con l’affermazione del primato della carità secondo Gesù Cristo, ad addolcire il metodo (Ef 6,1-4) e naturalmente a dare all’educazione (paideia​​ nel NT) una connotazione tipica dell’umanesimo cristiano.

1.2.​​ L’idea di educazione.​​ È necessario riconoscere che nella B., in quanto documento teologico, sta al primo posto, non l’educazione di una persona, ma la sua​​ salvezza religiosa,​​ grazie alla partecipazione all’alleanza e all’osservanza della legge di Dio. È lungo tale percorso che sono investite tutte le realtà naturali e dunque anche l’ambito educativo (educatore, educando, educazione) che ne viene intimamente trasformato. Il segno linguistico più espressivo appare dal fatto che Dio stesso si presenta come educatore. Ma qui conviene mettere in rilievo alcuni tratti di questa concezione credente di educazione. a) Nell’Antico Testamento,​​ notiamo come l’educazione sia intesa in funzione della celebrazione della fede nel rito della Pasqua, tramite le​​ catechesi eziologiche​​ o domestiche (Es 12,24-27; 13,8-9; Dt 6,20-25; Gs 4,6-7.21-22). Il ricordo dell’esodo, che tali insegnamenti richiamano, intende guidare il popolo facendogli prendere coscienza della portata sempre attuale di quello che Dio ha compiuto una volta per tutte al tempo di quella grande e decisiva liberazione ed alleanza. A questa funzione educativa che è propria della rivelazione storico-profetica (Os 11,1), se ne accompagna un’altra concezione, complementare eppur innovativa, propria della​​ riflessione sapienziale.​​ Dalle testimonianze della parte antica di Prv (10-29) si ricava che per i saggi scopo dell’educazione è il conseguimento della sapienza (Prv l,2s), cioè dell’abilità, affinata dall’esperienza, di risolvere concretamente i problemi posti dalle diverse situazioni di vita. Non dunque soltanto da una rivelazione dall’alto, ma piuttosto dall’interno delle realtà create da Dio, emerge un tracciato educativo da valorizzare. L’importante è essere guidati dal «timore di Dio, inizio della sapienza» (Prv 1,7), anzi «scuola della sapienza» (Prv 15,33). Da una parte la creazione con i suoi ordinamenti naturali, dunque anche la ragione, la ricerca, il sapere hanno valenza educativa e dall’altra parte queste acquisizioni non hanno valore assoluto, sottostanno al rispetto profondo del mistero trascendente di Dio (è il senso di «timore di Dio»). Si può parlare di un «umanesimo educativo in Israele» (G. von Rad), di «umanesimo devoto» (B. di Gerusalemme).​​ Tale e tanta è la fiducia in Dio, da accogliere con valore teologico le espressioni secolari proprie dell’umana ricerca anche in ambito educativo. Si accennava sopra al concetto di​​ pedagogia di Dio.​​ Vi è al proposito una concezione che – al seguito dei Padri della Chiesa (Ireneo,​​ ​​ Clemente Alessandrino, Origene...) – intende tutta l’opera di Dio nella storia come «pedagogia». Ma questa è una concezione talmente lata da diventare generica ed ambigua (così in G. E. Lessing). Stando ai testi dove a Dio sono associati i termini​​ musar​​ e​​ paideia​​ (40 volte nell’AT e 11 nel NT) si vede piuttosto che la «pedagogia di Dio» è una costruzione teologica al fine soprattutto di motivare, spiegandole, le sofferenze e i castighi del popolo di Dio. Non per nulla il motivo appare in testi storico-profetici, in Geremia in particolare, e chiaramente, nel NT in Eb 12,5-6. Pedagogia di Dio sono i «castighi» che purificano e correggono i costumi del popolo. b) Nel​​ Nuovo Testamento,​​ il credo religioso ha il suo centro assoluto nella persona ed opera di Gesù Cristo. Si affacciano così altri aspetti teologici che investono l’ambito educativo in misura di grande efficacia nella successiva tradizione cristiana. Ne nominiamo tre:

– La rivalutazione del bambino.​​ È noto come nel mondo antico, non solo ebraico, il minore avesse scarso rilievo. Si può dire che egli valesse per il suo futuro di adulto. Di conseguenza assieme alla naturale tenerezza si associa un rigore quasi crudele (2 Re 2,23s; Prv 13,24; 22,15). Nel farsi della Rivelazione un fattore importante di cambio si afferma quando il minore, il più giovane, diventa oggetto della elezione divina per una missione speciale nel popolo. Pensiamo a Samuele (1 Sam 1-3), a Davide (1 Sam 16). Ma soprattutto a Gesù, che accogliendo e difendendo i bambini e facendoli modello per l’entrata nel Regno di Dio (Mc 9,33-37; 10,13-16), è colui che esalta non la psicologia dei piccoli o qualche loro disposizione interiore particolare, ma la tenerezza di Dio a loro riguardo. Ne dovrà essere segnata qualsiasi azione nei loro confronti, in primis l’educazione.

– Gesù appare come didaskalos,​​ maestro.​​ Da Clemente Alessandrino fino ad oggi, Gesù «maestro» (41 volte nei vangeli) è stato compreso in senso educativo. Di fatto, come ha dimostrato R. Riesner, egli ha praticato ampiamente lo stile di rabbi del suo tempo, dove era notevole l’impianto pedagogico-didattico. Ma è anche vero che egli assai più che un maestro, è nativamente profeta carismatico, la cui autorità di docenza (Mc 1,22) è totalmente legata all’avvenimento del Regno, e dunque va compresa in chiave soteriologica, soprannaturale. Sicché è inutile, oltreché impossibile, ricavare una sorta di metodologia pedagogica rivelata, una didattica sacra. È stato infatti notato che in tale caso Cristo sarebbe stato un maestro piuttosto fallito, se badiamo alla conclusione della sua vita terrena.

–​​ La paideia del Signore.​​ Ma il testo più autorevole a riguardo dell’educazione appare in Ef 6,1-4. Rientra in una «tavola domestica», ossia in un codice etico che riguarda i rapporti familiari: tra sposi, tra padrone e schiavi e – nel caso nostro – tra genitori e figli. Vi si legge un rapporto di reciprocità: «Figli, obbedite ai vostri genitori», «e voi padri non inasprite i vostri figli». Cui si aggiungono le parole conclusive: «ma allevateli nell’educazione (paideia)​​ e nella disciplina del Signore (tou Kyriou)».​​ Colpiscono due aspetti: 1) l’estrema laconicità di direttive, quando anche per i primi cristiani si imponeva la rilettura del fatto educativo in chiave cristiana di fronte ad un attrezzatissimo e seducente mondo pagano; 2) la connessione tra due densissime parole,​​ paideia​​ che nel mondo greco del tempo, significa l’educazione compiuta come contenuto e come metodo, e​​ Kyrios,​​ Signore, che nel linguaggio paolino indica il Cristo risorto dai morti nel massimo della sua potenza ed attualità salvifica. Connettendo i due aspetti, si viene ad affermare che laddove (nelle famiglie cristiane) il​​ Kyrios​​ è accolto nella fede che si fa carità, allora la paideia si può realizzare, avvalendosi di quelle risorse che l’umana ricerca ed esperienza possono via via indicare. Questo pensiero, che è coerente con l’universo mentale paolino (Fil 4,8), indica germinalmente un fondamentale approdo della visione cristiana di educazione: il riferimento al​​ Kyrios​​ vale come ispirazione, animazione, verifica del compito educativo, ma non come concreta soluzione, che è da inventare volta per volta; né per sé esprime antitesi allo sforzo umano di educazione, ma anzi franca attenzione, pur trattandosi di ordinamenti naturali imperfetti e bisognosi di redenzione.

2.​​ La valorizzazione della B. nell’educazione.​​ È eminentemente di ordine religioso-cristiano, ma non manca un interesse culturale per la storia degli effetti che il libro ha prodotto lungo i secoli. a)​​ In relazione all’educazione della fede,​​ la B. si propone come documento della religione cristiana, necessaria memoria storica nel processo della fede, suo linguaggio normativo, esperienza della «Parola di Dio». A livello strettamente culturale, la B. aiuta a decifrare e riconoscere tanta parte del mondo di valori umani e dell’immaginario collettivo che sorreggono fino ad oggi la cultura occidentale. Studiosi di letteratura, di storia ed ermeneutica delle culture e di psicologia sociale e del profondo stanno esplorando progressivamente la vasta sedimentazione della tradizione biblica. b) Fra le tante​​ vie dell’incontro con la B.,​​ ricordiamo la catechesi biblica, segnatamente la pratica della storia sacra, l’insegnamento religioso nella scuola, le scuole della Parola con l’esercizio della​​ Lectio Divina​​ (​​ Gruppi di ascolto).​​ Oggi inizia ad affermarsi il grande cambio apportato dal Vaticano II: l’incontro personale con la B. in se stessa (Dei Verbum​​ 22) da parte, idealmente, di ogni cristiano e della comunità dei semplici fedeli. c) La​​ didattica della B.,​​ in quanto testo letterario fatto oggetto di studio, ha la sua legittimità e specificità. Importa incontrare un testo, lasciarsi interrogare da esso, lavorare sul testo, reagire ad esso. Di fronte al rischio del​​ ​​ fondamentalismo viene rivendicata la necessità del metodo storico critico, cui si possono accompagnare, in modo integrativo, non sostitutivo, metodi di tipo sincronico (come lo strutturalismo). Oggi si insiste sul bisogno di una assimilazione vitale del Libro Sacro. Ciò avviene mediante una corretta correlazione tra B. ed esperienza, o, come afferma C. Mesters, importa «saper leggere la B. con la vita e la vita con la B.».

Bibliografia

Jentsch W.,​​ Urchristliches Erziehungsdenken. Die Paideia Kyriou im Rahmen der hellenistisch-jüdischen Umwelt,​​ Gütersloh, C. Bertelsmann Verlag, 1951; Marrou I. H.,​​ Storia dell’educazione nell’antichità,​​ Roma, Studium, 1966; Bissoli C.,​​ B. e educazione.​​ Contributo storico-critico ad una teologia​​ dell’educazione,​​ Roma, LAS, 1981; Lemaire A.,​​ Le scuole e la formazione della B. nell’Israele antico,​​ Brescia, Paideia, 1981; Frye N.,​​ Il grande codice. La B. come letteratura,​​ Torino, Einaudi, 1986; Pontificia Commissione Biblica,​​ L’interpretazione della B. nella Chiesa,​​ Roma, LEV, 1993; Prellezo J. M., «Educazione e scuola nell’antico Oriente», in J. M. Prellezo - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia,​​ vol. I,​​ Dall’educazione antica alle soglie dell’Umanesimo,​​ Torino, SEI, 2004, 7-35; Theissen G.,​​ Motivare alla B. Per una didattica aperta della B., Brescia, Paideia, 2005; Bissoli C., «Va e annuncia» (Mc 5,19). Manuale di catechesi biblica, Leumann (TO), Elle Di Ci , 2006.

C. Bissoli




BIBLIOGRAFIA PEDAGOGICA

 

BIBLIOGRAFIA PEDAGOGICA

Informa sui problemi educativi avvalendosi dei fondamentali scritti pedagogici. Si tratta di un concetto in fase di revisione, dato che il supporto materiale su cui è basato il pensiero educativo non si limita più esclusivamente alla carta stampata (libro, documento, fogli sciolti), ma può riferirsi anche ad ogni tipo di supporto magnetico o elettronico (microfilm, libri elettronici, videogrammi o registrazioni sonore).

1. Senza la conoscenza e l’aggiornamento della b., l’educazione potrebbe diventare un lavoro puramente empirico e abitudinario e la scienza pedagogica potrebbe risentire di notevoli ristagni. Essa richiede: rapidità di accesso, aggiornamento e riuscita, in modo che si possa organizzare in maniera economica. È sempre più complicato operare una cernita precisa dato l’alto numero di pubblicazioni sia teoriche che pratiche. È certo tuttavia che oggi la tecnologia è venuta in aiuto dello studioso mediante i mezzi elettronici che facilitano la ricerca e la selezione bibliografica. Lo scopo ultimo della b.p. è triplice: individuare il procedimento e le soluzioni offerte, individuare e applicare o meno il tipo di possibile utilizzazione delle soluzioni date in modo che esse aiutino a definire e a chiarire il problema attuale, a progettare il futuro ed infine approfondire lo studio e la ricerca dei problemi educativi passati e presenti. La b.p. si può suddividere in tanti settori corrispondenti ai contenuti della pedagogia generale oltre a quelli che costituiscono il campo definito​​ ​​ «Scienze dell’educazione» e che non sono propriamente pedagogici (storia, sociologia, biologia, ecc. dell’educazione).

2. I principali Paesi pubblicano annualmente o ogni pochi anni tutta la propria produzione letteraria: la fonte di queste pubblicazioni è l’ISBN (International Standard Book Number).​​ Le più importanti basi di dati sono attualmente EURYDICE, EUDISED, ERIC e FRANCIS-S. L’Unesco e l’Unione Europea ne hanno editato molte. Ogni nazione è solita avere alcune banche-dati di libri, riviste, leggi, biblioteche, ecc. di educazione. Tutte le reti nazionali possono accedere alla rete mondiale INTERNET (rete di reti o «autopiste di informazione») per l’accesso alla b.p.

Bibliografia

Juif​​ P. - F. Davero,​​ Manuel bibliographique des sciences de l’éducation,​​ Paris, PUF, 1968; BIE,​​ Bibliographie pédagogique annuelle,​​ Genève, Bureau International d’Éducation, 1955-1969;​​ Bibliographie Pädagogik / Educational bibliography,​​ Berlin, Verlag für Wissenschaft und Bildung, 1966-1992;​​ Proyecto B.I.B.E. - Project International Bulletin on Bibliography on Education,​​ Madrid, Coculsa, 1981-1996.

V. Faubell




BIBLIOTECA

 

BIBLIOTECA

Il nome che si usa in it. e in alcune altre lingue per indicare la b. si rifà etimologicamente al gr. ed è composto da due elementi:​​ biblíon​​ (libro) e​​ théke​​ (custodia). In ingl. invece il nome proviene dai vocaboli latini​​ liber​​ e​​ librarius: la b. si chiama​​ Library​​ e il bibliotecario​​ Librarian. Le b. sono oggi in una fase emergente, sia come reazione alla scossa dello sviluppo informatico, sia soprattutto per l’impegno dei bibliotecari e, particolarmente in Italia, per l’incentivo dell’Associazione Italiana B.

1.​​ Dall’origine delle b. all’era digitale. Nell’immaginario comune la b. è associata ai libri. Per b. s’intende di solito​​ lo spazio​​ o​​ l’edificio​​ dove i libri sono raccolti e ordinati sistematicamente. Tuttavia, propriamente parlando, più che con lo spazio fisico la b. s’identifica con la raccolta dei libri o con​​ diverse raccolte di libri unite insieme​​ (bibliografia: dalla stessa parola greca​​ biblíon​​ +​​ graphé, scrittura).

1.1. All’origine della b. – circa 4.000 anni fa – le informazioni importanti erano scolpite su​​ pietra,​​ legno​​ o​​ metallo​​ specialmente nei palazzi dei sovrani o in luoghi pubblici. Una abbondante documentazione scritta su​​ tavolette di creta​​ è stata trovata negli scavi di varie città antiche della regione mesopotamica e della Siria. In Egitto i testi si scrivevano su fogli di​​ papiro​​ e altrove su membrane di pelle o​​ pergamene​​ (dalla città di Pergamo, situata nell’attuale Turchia). Le pergamene cucite insieme costituirono i​​ rotoli​​ che contenevano di seguito testi anche lunghi, mentre ritagli di papiro o pezzi di pergamena, piegati in due e cuciti a mano tra di loro, costituirono i​​ volumi​​ a forma di libro, come si usa ancora ai nostri giorni con la​​ carta, stampata e rilegata meccanicamente. Si deve inoltre notare che nelle b. ci sono sempre stati i​​ supporti non cartacei​​ (iscrizioni e pitture murarie, bassorilievi e statue, monete e medaglie, mappe e strumenti vari) dai quali gli studiosi ricavano informazioni utili per le loro ricerche. È quanto avviene nelle b. storiche, per es. nella B. Apostolica Vaticana e in altre del genere, dove sono tutelate molte testimonianze raccolte lungo i secoli.

1.2. La distinzione tra b. e​​ ​​ archivio è stata introdotta in tempi recenti, separando alcuni documenti per garantirne meglio la loro custodia e la conservazione, soprattutto quando si tratta di originali autografi, copie uniche e pregiate. Analogamente altri documenti e soprattutto oggetti sono stati radunati nei​​ ​​ musei, che già nell’antichità affiancavano le b. più famose e solo da due o tre secoli hanno acquistato appunto una destinazione storica, scientifica, didattica o di​​ ​​ educazione artistica. Infine, da una sessantina di anni esistono i centri di documentazione, specializzati in particolari settori di studio e di ricerca, distinti dalle b. e continuamente aggiornati.

1.3. Nel XX sec. si sono sviluppate varie tecniche di riproduzione e di produzione di documenti. Oltre ai classici documenti scritti le b. hanno cominciato ad ospitare fotografie, microfilm, cassette, LP, nastri magnetofonici, CD, CDRom, DVD, ecc. Tuttavia da poco più di una decina di anni​​ Internet​​ consente di consultare e scaricare i testi dalla rete informatica. In tal modo il progresso tecnologico ha aperto prospettive talmente nuove da rendere possibile le cosiddette​​ b.​​ «senza pareti» o b. «virtuali». Fino agli ultimi anni del XX sec. ci si doveva recare nelle b. per consultare i libri oppure i volumi dovevano essere presi in prestito, quando il regolamento delle b. lo permetteva, mentre oggi si può comunque accedere direttamente ai documenti, quando essi sono​​ digitalizzati​​ e disponibili​​ on line.

2.​​ La b. e l’educazione tra isolamento e «villaggio globale». Superato lo stadio più antico della tradizionale trasmissione orale, è stata la b. il luogo dove si è andato raccogliendo, conservando e tramandando il patrimonio culturale dell’umanità. La diligente produzione dei copisti – dall’antichità greco-romana al periodo medievale – e l’inarrestabile espansione della stampa – da Gutenberg ai nostri giorni – confluirono nelle b. degli studiosi e dei mecenati, dei monasteri e delle università. Solo più tardi le b. hanno assunto la funzione di promozione sociale.

2.1. Le trasformazioni delle b. nel tempo e nei diversi luoghi – in contesti geografici, etnici, sociali e linguistici differenti – rispecchiano la storia della​​ ​​ cultura.​​ Non deve sorprendere perciò che da sempre la b. sia stata​​ un punto di riferimento fondamentale​​ per l’​​ ​​ educazione e per la​​ ​​ formazione​​ delle persone​​ e per le scienze, alla radice delle applicazioni professionali e tecniche. La cultura può essere intesa in senso ampio come l’insieme dei tratti che caratterizzano i diversi popoli, il loro modo di vivere e di essere e non solo come conoscenza acquisita. Nella percezione più diffusa e – bisogna riconoscerlo – nella storia stessa delle b., esse sono state «tabernacolo della cultura ‘colta’» piuttosto che dimostrarsi «crogiolo di cultura ‘allargata’», cioè sensibili alla «cultura della vita quotidiana» e aperte alla «cultura ‘popolare’».

2.2. Il panorama delle b. è molto variegato e propone un ventaglio di tipologie​​ secondo l’organizzazione e la struttura delle b., le risorse documentarie possedute dalle b. e la diversità degli utenti che frequentano le b.: dalle grandi b. alle più piccole, dalle b. pubbliche alle b. private, dalle b. nazionali o centrali alle b. regionali, provinciali, comunali e di quartiere, dalle b. specializzate alle b. di semplice lettura, dalle b. universitarie alle b. scolastiche, dalle b. popolari alle b. ambulanti, ecc. Di fronte ad una tale varietà è evidente che tra le b. debba esistere​​ complementarità piuttosto che concorrenza. Ognuno deve scegliere con cura quella b. che può rispondere meglio alle proprie esigenze. In India un famoso bibliotecario e studioso, Shiyali Ramamrita Ranganathan, aveva formulato già nel 1931 con parole molto semplici le seguenti regole: «1) I libri esistono per essere usati; 2) a ogni libro il suo lettore; 3) a ogni lettore il suo libro; 4) risparmia il tempo del lettore; 5) la b. è un organismo che cresce». Anticipava, in tal modo, un orientamento che è attualmente un dato acquisito.

2.3. Se nel passato il bibliotecario doveva occuparsi soprattutto della conservazione del patrimonio documentario della b., oggi egli è chiamato a portare l’attenzione sul​​ servizio agli utenti. Non si tratta di trascurare le risorse che la b. possiede, bensì di valorizzarle al massimo rendendole fruibili nel migliore dei modi. L’espansione dell’​​ informazione e la produzione editoriale hanno raggiunto ingenti dimensioni e un ritmo travolgente mentre la​​ rete informatica​​ ha aperto orizzonti inimmaginabili. Internet è divenuta una risorsa straordinaria, ma anche una galassia. La​​ potenza​​ di Internet è di mettere a disposizione tutto ciò che viene caricato e, allo stesso tempo, il​​ rischio​​ di Internet è di essere travolti da un fiume in piena di informazioni non organizzate.

2.4. È fondamentale non perdere di vista​​ in prospettiva educativa​​ che il compito delle b., come la missione delle scuole e dei maestri, non è solamente quello di trasmettere nozioni. La ricerca degli utenti nelle b., lo studio degli studenti che frequentano l’università e l’apprendimento degli allievi nelle scuole di ogni grado non si possono ridurre ad un processo di accumulo di informazioni.​​ L’educazione e la formazione​​ sono un esercizio di crescita,​​ di integrazione e di maturazione​​ che coinvolgono il soggetto stesso in un continuo «ricevere e dare» e in un’attività di​​ autentica e profonda​​ ​​ comunicazione.

3.​​ In sintesi. Le considerazioni fatte si possono riassumere nei seguenti enunciati, apparentemente paradossali: a) La b. è una realtà aperta che organizza e gerarchizza il sapere. Non ci si «rifugia» in b. per «chiudersi dentro», ma per «aprire una finestra sul mondo», per «aprirsi agli altri». b) Senza rinunciare alla funzione bibliotecaria originale molte b. stanno attualmente cercando modalità e strategie nuove per diventare esse stesse «spazi socioculturali» che offrono occasioni di condivisione e promuovono iniziative di aiuto scolastico e di dialogo su problemi concreti. c) Più che nel passato, le b. possono costituire «luoghi di socializzazione» e «spazi di confronto». Da soli, in camera di fronte al monitor, si ha l’impressione di «dialogare con il mondo», rischiando invece di «isolarsi narcisisticamente». d) Oggi le b., come le scuole e le università, si trovano di fronte ad una difficile scommessa: aiutare i propri utenti a passare dal «taglia e incolla» al pensiero critico, dalla «smania dell’informazione facile» all’apprendimento e alla conoscenza creativa.

Bibliografia

Associazione Italiana B.: http: / / www.aib.it; Solimine G.,​​ La b. Scenari,​​ culture,​​ pratiche di servizio, Roma / Bari, Laterza, 2004; Gamba A. M. - M. L. Trapletti (Edd.),​​ La b. su misura. Verso la personalizzazione del servizio, Milano, Bibliografica, 2007; Tamaro A. M. - A. Saltarelli,​​ La b. digitale, Milano, Bibliografica, 2007; Guerrini M. el al.,​​ Biblioteconomia. Guida classificata, Ibid., 2007.

J. Picca




BILINGUISMO

 

BILINGUISMO

Le definizioni del b. tendono ad accentuare o gli aspetti soggettivi (psicologici) o gli aspetti oggettivi (linguistici) di tale fenomeno. Parlando di aspetti evolutivi propri del bambino, l’accento sarà qui posto sulle caratteristiche psicologiche (struttura di personalità, cognitività e comportamento) del b. infantile.

1.​​ Concetto generale di b.​​ «Il b. consiste nella capacità da parte di un individuo di esprimersi in una seconda lingua aderendo fedelmente ai concetti e alle strutture che a tale lingua sono propri, anziché parafrasando la lingua nativa. La persona bilingue possiede la capacità di esprimersi in qualsiasi di due lingue senza vera difficoltà, quando gliene si presenti l’occasione. Il vero b., pertanto, nel senso stretto di “equilinguismo” o “ambilinguismo”, abbastanza comune fra i bambini allevati nell’uso simultaneo di due lingue, implica la presenza nel medesimo sistema neuropsichico di due paralleli ma del tutto distinti schemi di comportamento verbale» (Titone, 1972, 13). Tuttavia, il concetto di b. non è rigidamente univoco e assoluto. Esso può variare notevolmente secondo il numero delle lingue usate, il tipo di lingue, l’influsso di una lingua sull’altra, il grado di perfezione nel dominio delle due lingue, le oscillazioni nell’uso nel corso dell’esistenza del medesimo individuo tra una lingua e l’altra, la funzione sociale di ciascuna lingua. Il b., in altre parole, è una funzione del comportamento individuale, e pertanto è destinato a variare da individuo a individuo e da situazione a situazione.

2.​​ Forme di b. infantile.​​ La letteratura sul b. infantile è crescente in quantità e qualità scientifica per quanto riguarda soprattutto il periodo prescolare, ma ancora ridotta riguardo al periodo della prima infanzia, legata alla situazione familiare. In gran parte si tratta ancora di studi aneddotici, costituiti da osservazioni più o meno precise, spesso sostenute da interpretazioni teoricamente deboli, e condotte su pochi bambini per periodi di tempo generalmente brevi, in aree culturali e su classi sociali piuttosto limitate. I casi certamente più numerosi che nel passato di bambini bilingui, dovuti ai più frequenti e larghi contatti di intere famiglie con gruppi di lingua diversa dalla propria, la sentita necessità e l’accresciuto prestigio dello studio delle lingue moderne, la diffusa convinzione che una seconda lingua possa essere meglio appresa, almeno nei suoi fondamenti, durante l’infanzia, ed altre ragioni variabili da luogo a luogo secondo le condizioni sociali dei soggetti interessati, hanno dato un nuovo e potente impulso, specie dopo l’ultima guerra, agli studi sul b. infantile. Studi, che hanno in parte una motivazione scientifico-psicologica, in parte una motivazione pedagogica. Dicendo «b. precoce» si intendono varie forme di​​ competenza​​ linguistica: anzitutto, l’apprendimento bilingue o plurilingue può aver luogo fin dalla nascita, per cui le due lingue vengono assimilate simultaneamente («b. simultaneo») nella struttura della personalità e del comportamento; esse funzionano come canali alternativi nella comunicazione, ma soprattutto si inseriscono su una distinta struttura cognitiva e affettiva, specifica, almeno in parte, per ciascuna lingua; in secondo luogo, si può avere un b. precoce, rappresentato dall’assimilazione della seconda lingua, non simultaneamente alla prima, ma tuttavia in un periodo assai precoce (non dopo i 4 o 5 anni) («b. precoce consecutivo»); in terzo luogo, l’incorporazione della seconda lingua può avvenire tra i 6 e i 10 anni in virtù di una immersione efficace in un ambiente eteroglotta o in virtù di una intensa educazione scolastica fortemente bilingue («b. precoce educativo»).

3.​​ Problemi e ricerche sullo sviluppo bilingue precoce.​​ I settori problematici oggi sottoposti a intense ricerche sono numerosi e tutti di somma importanza e rilevanza nei riguardi delle deduzioni psicopedagogiche. Si possono tuttavia considerare come degni di maggior considerazione i seguenti quattro settori: a) i presupposti neurologici e b) i presupposti psicologici dello sviluppo bilingue, c) la questione dell’età ottimale, legata a tali presupposti, infine d) le caratteristiche dello sviluppo cognitivo e affettivo del bambino bilingue.

3.1.​​ Aspetti neurologici.​​ Essi, in questo contesto, sembrano ridursi ai seguenti: a)​​ la plasticità neurofisiologica:​​ ossia, esiste un particolare stato di plasticità neurofisiologica, circoscritta entro un dato arco dello sviluppo biologico individuale, che favorisce l’apprendimento e lo sviluppo linguistico e oltre il quale tale processo diviene particolarmente difficile?; b)​​ la​​ predisposizione ereditaria:​​ esiste una particolare predisposizione ereditaria all’acquisizione di una lingua (quella della razza a cui l’individuo appartiene), per cui non ci sia posto per l’apprendimento di un’altra lingua, almeno in grado soddisfacente? I biologi (o biolinguisti), che si sono interessati del problema dell’ontogenesi linguistica, hanno accentrato la loro discussione e i loro studi su questi due problemi: quello della plasticità cerebrale e quello del determinismo ereditario. Tuttavia, il secondo problema è oggi praticamente superato, e si è ridotto a una «questione elegante», senza serie incidenze sulle applicazioni pratiche. La onnipotenzialità linguistica del neonato è corroborata dalle osservazioni di molti studiosi.

3.2. Aspetti psicologici.​​ Molto spesso la richiesta di un inizio precoce dell’insegnamento bilingue viene basata su considerazioni di ordine psicologico. Per quanto le ragioni psicologiche non abbiano debellato ogni dubbio al riguardo, resta tuttavia vero che esse sono dotate di sufficiente persuasività e presentano un valore non trascurabile. L’assunzione iniziale di tutta l’argomentazione risiede nella concezione organismico-olistica che vede l’apprendimento come un processo di tutto l’organismo infantile in sviluppo, immerso nella totalità della situazione come contesto interazionale. Codesta visione integralistica deve impedirci di concepire l’acquisizione di una lingua, prima e / o seconda, nel fanciullo in funzione di alcuni fattori psicologici, invece che in funzione della sua personalità totale interagente con l’ambiente totale. I fattori principali, che sottostanno all’apprendimento linguistico, vanno visti quindi integrati nella struttura totale della personalità. Tali fattori fondamentali appaiono essere la​​ ​​ motivazione, la​​ ​​ percezione e l’esercizio.

3.3.​​ La «vexata quaestio» dell’età ottimale di inizio.​​ Esiste un «periodo critico» o una «età ottimale» durante cui l’apprendimento di una seconda lingua è massimamente facilitato, con la conseguente preclusione di altre età? E questa età coincide con il periodo della prima infanzia e della fanciullezza (fino ai 10 anni)? Gli studi empirici di Ekstrand dimostrerebbero che sia la comprensione che la pronuncia di una lingua straniera – elementi di solito connessi con l’età precoce quanto a efficacia di assimilazione – aumentano di perfezione con l’età. Il campione da lui esaminato nel 1985, costituito da circa 1000 alunni di 40 classi dalla I alla IV elementare in Svezia, sottoposto a prove diverse e a prove alternative per ciascuna capacità, ha dato risultati costantemente nella direzione della ipotesi evolutivistica. Più precisamente, tale ipotesi si basa sul fatto che vi sembrano essere periodi di più efficace apprendimento intermezzati da​​ plateau,​​ ad es. attorno all’età di 6-7 anni e forse attorno all’epoca della pubertà, cioè attorno ai periodi di transizione da uno stadio evolutivo all’altro. In conclusione, quindi, un​​ inizio precoce è sempre raccomandabile,​​ anche se la ragione fondante non è quella della precoce plasticità neurologica. A questo motivo si aggiungono altri argomenti, che concernono lo sviluppo cognitivo, sociale e affettivo dei bambini bilingui.

3.4.​​ Sviluppo cognitivo e affettivo del bambino bilingue.​​ Al contrario delle ricerche anteriori agli anni ’50, che tendevano a mettere in risalto eventuali anormalità e​​ deficit​​ nello sviluppo del bambino bilingue (riferendosi spesso e indiscriminatamente a bambini appartenenti a classi sociali inferiori di immigrati, falsamente bilingui, e sulla base di prove o​​ test​​ di intelligenza verbale calibrati su bambini di classi medie o superiori), le ricerche più recenti, condotte soprattutto in ambienti bilingui, come i territori del Canada o dell’Europa Orientale, insistono sempre più fondatamente sui vantaggi evolutivi del bambino bilingue a confronto con quello monolingue. Vale la pena di riassumere alcuni dati pertinenti almeno a due categorie dello sviluppo infantile: la​​ ​​ personalità e 1’​​ ​​ intelligenza: a)​​ effetti del b. sullo sviluppo della personalità.​​ Una ricerca di R. Titone e collaboratori (1976, 1978, 1984) condotta per sei anni su bambini bilingui dalla nascita, cresciuti in famiglie in cui due lingue (it.​​ vs​​ ingl. / fr. / ted.) venivano usate regolarmente, ha indicato che il bambino veramente bilingue, inserito in un ambiente familiare ben armonizzato, non presenta alcun disturbo della personalità. I fatti tendono piuttosto a mettere in evidenza le possibilità che il bilingue possiede di apertura mentale e affettiva, sul piano sociale culturale letterario politico, ecc., che tendono a sviluppare in lui una personalità più ricca, più equilibrata e integrata, a patto che vengano promossi atteggiamenti positivi verso qualsiasi lingua e cultura, b)​​ b. e sviluppo dell’intelligenza.​​ Il problema degli effetti del b. precoce sulla maturazione intellettiva cominciò a porsi seriamente verso il 1920. Oltre un centinaio di ricerche furono condotte tra il 1920 e il 1930. Ma l’uso indiscriminato dei test verbali, i pregiudizi latenti nello stesso impianto delle indagini, la non considerazione dei fattori sociali, l’implicazione di contenuti culturali estranei ai bambini meno privilegiati, ecc. finirono con l’indicare a torto l’esistenza di un​​ handicap​​ linguistico e cognitivo nei bambini considerati bilingui, ma di fatto appartenenti a una diversa cultura monolingue e socialmente svantaggiata. Le prime indagini, condotte con severo metodo scientifico, che hanno messo in evidenza una situazione opposta e favorevole ai bambini bilingui, si ricollegano al gruppo di Lambert, della McGill University di Montreal (1962, 1970). Una ricerca del 1961 condotta a Montreal rilevò risultati altamente significativi nei​​ test​​ verbali e non-verbali di intelligenza, e nelle scale di atteggiamento sociale. L’intelligenza dei bilingui, a pari condizioni con i monolingui, appariva più flessibile, meglio articolata, più capace di analisi. Tali risultati sono stati ripetutamente confermati in successive indagini.

4.​​ L’ideale del b. infantile.​​ Da quanto detto, va ritenuto che il b., lungi dall’essere riducibile a un puro fatto comportamentale, cioè al possesso eguale e immediato di due strumenti o codici linguistici, si presenta invece, in profondità, come uno​​ stato acquisito della personalità individuale.​​ E siccome la personalità non è una astrazione metafisica, ma una realtà esistenziale, un essere individuato, concreto, esistenzialmente situato in un​​ hic et nunc,​​ un essere insomma che affonda le sue radici in un preciso contesto spazio-temporale, il b., come qualsiasi altro sistema di comportamento, è il risultato di una intima interazione fra parlanti in precise situazioni di comunicazione. Il b., dunque, rappresenta una​​ peculiare strutturazione della personalità singola sotto l’aspetto funzionale della comunicazione.

Bibliografia

Lambert W. E. - E. Peal,​​ The relation of bilingualism to intelligence. Psychological monographs,​​ 1962; Macnamara J.,​​ Bilingualism and primary education: a study of Irish experience,​​ Edinburgh, University Press, 1966; Titone R.,​​ B. precoce e educazione bilingue,​​ Roma, Armando, 1972 / 1993; Albert M. L. - L. K. Obler,​​ The bilingual brain,​​ New York, Academic Press, 1978; Ekstrand L. H.,​​ English without a book: towards an integration of the optional age and the developmental hypotheses?, in «Rassegna Italiana di Linguistica Applicata» (1980); Titone R., «L’insegnamento delle lingue straniere ai bambini: orientamenti e ricerche», in​​ Le lingue straniere nella scuola elementare,​​ Brescia, La Scuola, 1980, 79-112; Baker C.,​​ Foundations of bilingual education and bilingualism, Clevedon (UK), Multilingual Matters Ltd.,​​ 42006.

R. Titone




BINET Alfred

 

BINET Alfred

n. a Nice nel 1857 - m. a Samois (Fontainebleau) nel 1911, psicologo francese.

Direttore del laboratorio di psicologia fisiologica alla Sorbona (1894). Fondatore e direttore della rivista​​ Année psychologique​​ (1894). Ideatore, con Th. Simon, della scala metrica dell’intelligenza (1905). Nel 1899 diede vita alla​​ Société libre pour l’étude psychologique de l’enfant.

1. B. portò validi contributi in psicologia clinica ed in quella comparativa; effettuò numerose ricerche in psicologia sperimentale occupandosi, in contrasto con​​ ​​ Wundt, dei processi psichici superiori e anticipando metodologie e risultati della​​ Scuola di Wiirzburg.​​ Il passaggio verso questa prospettiva è documentato dal superamento della visione associazionistica (La psychologie du raisonnement)​​ per approdare all’Étude expérimentale de l’intelligence.​​ Nella psicologia differenziale, di cui fu l’ideatore, sottolineò come le differenze individuali siano più spiccate nei processi superiori che in quelli elementari. Rivoluzionando il concetto di sperimentazione, B. modificò la funzione sia del soggetto che dello sperimentatore e ruppe, pertanto, l’abitudine acquisita di effettuare degli esperimenti psicologici nel chiuso del​​ ​​ laboratorio, sostenendo la necessità di avvalersi anche di soggetti presi da diversi ambienti fra cui la scuola.

2. Nella​​ ​​ pedagogia sperimentale B. si fonda sulla psicologia sperimentale, sulla misura del profitto degli allievi, su una raccolta sistematica dei documenti, sulla valutazione dei metodi d’insegnamento e sul valore degli insegnanti, sulla necessità d’introdurre in pedagogia un controllo, sulla partecipazione di esperti scolastici. Pur mancando in B. un impianto organico di sperimentalismo educativo (Les idées modernes sur les enfants),​​ tuttavia le sue ricerche psicopedagogiche e psicodidattiche costituiscono dei punti fermi per la messa a punto di preziosi strumenti per la sperimentazione educativa.

3. La peculiarità di B. è la singolarità dei suoi percorsi scientifici e, contemporaneamente, il suo non allinearsi ai modelli preesistenti per rintracciare la specificità della psicologia stretta da un lato dalla filosofia e dall’altro dalla fisiologia senza rimanere prigioniero della psicometria e dalla nascente psicologia dell’educazione, allora in piena effervescenza, ma ancora priva di una sua identità.

Bibliografia

Bertrand F. L.,​​ A. B. et son oeuvre,​​ Paris, Alcan, 1930; Zuza F.,​​ A. B. et la pédagogie expérimentale,​​ Louvain, Nauwelaerts,​​ 1948; Wolf Th. H.,​​ A. B.,​​ Chicago / London, The University of Chicago Press, 1973; Zazzo R.,​​ A.B. (1857-1911), in «Perspectives: revue trimestrielle d’éducation comparée» 23 (1993) 101-112.​​ Tra le più importanti ediz. delle opere di B.: quelle fatte sotto la direzione di Bernard Andrieu (Éditions Euridit).

C. Trombetta




BIOETICA

 

BIOETICA

Nell’ambito dell’​​ ​​ educazione morale, un rilievo particolare dovrà assumere oggi, nel contesto di una società ispirata per tanti aspetti a una «cultura di morte», l’educazione al senso della vita, alla sua valorizzazione e promozione.

1. L’educazione fa vedere nella vita un dono infinitamente prezioso ma responsabilizzante, da promuovere, coltivare, riempire di valori e portare a compimento, più che un settore particolare dell’educazione morale è un trascendentale di tutta l’azione educativa. L’educazione morale è in tutta la sua estensione educazione al valore e alle responsabilità della vita. Essa potrà trovare in questo suo compito una guida competente in quella forma di sapere che va oggi sotto il nome di b. Per b. si intende anzitutto quella parte dell’​​ ​​ etica che si occupa dei problemi suscitati dalla ingegneria genetica, ma senza escludere tutti gli altri problemi morali che riguardano la vita fisica dell’uomo.

2. Si tratta di un settore dell’etica in cui appare con più chiarezza la differenza irriducibile che distingue la correttezza tecnica da quella morale. La lunga abitudine ai «miracoli della tecnica» e la fiducia quasi magica nei suoi confronti porta spesso a guardare alla correttezza tecnica, come all’unico criterio di bene e di male. Questa visione unilaterale ed esclusiva appare tanto più allettante in un campo, come quello della biogenetica, in cui la correttezza tecnica partecipa della serietà che caratterizza la ricerca scientifica, cui la nostra cultura non pone altri limiti, che non siano quelli della correttezza metodologica. Ma la correttezza tecnica riguarda solo l’attitudine dei mezzi​​ a raggiungere certi fini. Ora l’uomo non può evitare seriamente di porsi la domanda sull’attitudine dei fini​​ a servire l’uomo e la sua dignità, pena la rinuncia alla sua stessa umanità. E con la domanda sulla validità dei fini, si esce dal campo della tecnica e si entra in quello della morale, e in quello della​​ ​​ religione.

3. Nel caso della b. in particolare, ciò che è in gioco non è soltanto la vita fisica dell’uomo, ma l’uomo in quanto tale. Chi è l’uomo per attribuire alla sua vita una qualche intoccabilità? Chi fonda e garantisce questa intoccabilità? Qual è lo statuto ontologico dell’uomo? Sono domande che hanno sempre certa valenza religiosa, perché possono essere rivolte sensatamente solo a una visione ultima della realtà, che abbia un qualche carattere religioso, sia pure di una religiosità immanente. Una risposta (magari implicita e inconsapevole) a queste domande è sempre nascosta dietro alle varie posizioni che si scontrano nei dibattiti sulla b. Se restassero nascoste, il dibattito morale resterebbe sterile e inconcludente; occorre quindi farle emergere, smascherandole e mettendole a nudo, sul tavolo della discussione. Questo significa che a livello educativo, i ragazzi devono essere messi esplicitamente di fronte a ciò di cui ultimamente si parla (magari senza saperlo) quando si discute di biogenetica, di aborto o di altri problemi simili.

Bibliografia

Encyclopedia of bioethics,​​ New York, The Free Press, 1978; Sgreccia E.,​​ Manuale di b.,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1992: Leone S. - S. Privitera (Edd.),​​ Dizionario di b.,​​ Acireale (CT), Istituto Siciliano di B., 1994; Russo G.,​​ B. e sessuologia, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2004.

G. Gatti




BIOLOGIA E EDUCAZIONE

 

BIOLOGIA E EDUCAZIONE

Intendiamo con il termine b. lo studio dei fenomeni vitali, così come si svolgono nell’organismo umano, al fine di porgere all’​​ ​​ educatore le conoscenze più sicure e più utili per un intervento educativo efficace.

1. Pur non trascurando niente dell’anatomia e fisiologia umana, i componenti più profondamente studiati saranno: il sistema nervoso, il sistema endocrino e il sistema immunitario, non solo nella loro struttura e funzione, ma anche nelle loro correlazioni, e come servono da substrato anatomo-fisiologico a tante espressioni della psiche. Tale studio viene preceduto e completato da nozioni di b. generale, di genetica, di igiene sia generale che specifica, di auxologia e di scienze dell’alimentazione. L’educatore, provvisto di queste conoscenze, potrà aiutare adeguatamente l’educando a formarsi una buona immagine corporea e una realistica immagine di sé. Potrà orientare i tentativi di affermazione, di espansione e di adattamento dell’educando inducendolo a saper confrontare le proprie possibilità con le difficoltà dell’​​ ​​ ambiente, a utilizzare e potenziare le proprie risorse, a sapersi gratificare con i successi ottenuti, ad elaborare in modo produttivo le frustrazioni subite. Per queste ultime abilità sarà utilissimo conoscere la b. delle emozioni e le modalità per vivere bene questi fenomeni traendone tutti i vantaggi possibili. Si potrà favorire così il consolidamento di una​​ ​​ personalità ottimista e affermativa capace di un valido inserimento nella società con vantaggio reciproco. L’aforisma di Giovenale​​ mens sana in corpore sano,​​ senza rappresentare un assoluto, dal momento che molti handicappati hanno delle forti personalità, costituisce però un’indicazione molto utile; quanto più valido è il fisico tanto più facilmente si potrà costruire una personalità consistente. Un fisico robusto e ben funzionante facilita l’acquisizione del senso di sicurezza e offre una migliore possibilità di affermazione nell’esistenza; per cui mantenere l’organismo efficiente è un compito importante nel processo educativo. Così pure il senso del gusto e del godimento della natura, che molto contribuisce a far sviluppare le sensazioni di benessere e di ottimismo, si avvale del buon funzionamento organico.

2. Non potendo trattare singolarmente tutti i dettagli di questo studio ci soffermeremo solo su alcuni più significativi. Conoscere bene la struttura e le funzioni della corteccia cerebrale, il suo potere di controllo sulle formazioni subcorticali, il sistema reticolare attivante che la stimola e le consente i periodi di attentività da alternare con quelli di riposo, il ciclo sonno-veglia; sono dati di notevole interesse per trattare adeguatamente l’educando nel suo impegno cognitivo di​​ ​​ apprendimento.​​ Armonizzare la cognitività con l’emotività​​ è compito educativo che si impone. Lo sviluppo personale ha aspetti naturali e spontanei, ma riesce più facile e più sicuro se aiutato da appropriati interventi educativi. Tante distorsioni psichiche si possono evitare con l’effusione intelligente di affetto, con l’educazione artistica, musicale ecc. e con l’aiutare i bambini a sviluppare bene la fantasia e la creatività. Impareranno a sapersi gratificare con quanto di ordinario c’è a disposizione tutti i giorni senza bisogno di ricorrere a chi sa quali artifici o sofisticazioni e senza diventare pretenziosi o insaziabili.

Bibliografia

Eccles J.,​​ Il​​ mistero Uomo,​​ Milano, Il Saggiatore, 1981; Craig G.,​​ Lo sviluppo umano,​​ Bologna, Il Mulino, 1982; Eccles J. - D. Robinson,​​ La meraviglia di essere uomo,​​ Roma, Armando,1985; Polizzi V.,​​ L’identità dell’homo sapiens,​​ Roma, LAS, 1986; De Martini N.,​​ Maturità problema decisivo,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1988; Guyton A.,​​ Neurofisiologia umana,​​ Roma, Il Pensiero Scientifico, 1988; Marrama P. - A. Angeli,​​ Manuale di endocrinologia,​​ Milano, Masson, 1992; Romano C. - G. Grassani,​​ Bioetica,​​ Torino, UTET, 1995; Frigo G. F. (Ed.),​​ Bios e anthropos. Filosofia,​​ b. e antropologia,​​ Milano, Guerini, 2007.

V. Polizzi




BISOGNI

 

BISOGNI

Il concetto di b. denota una tensione, cioè uno scarto provato da un individuo o da un gruppo, tra le sfide che insorgono dalla vita e le risorse atte a colmarle e ripristinare l’equilibrio compromesso. Se le sfide riguardano l’ambito materiale della vita e quindi la sopravvivenza, si parla di b. primari (di cibo, aria, calore, salute ecc.) mentre quando si riferiscono a oggetti culturali diventano sociali (di educazione, sicurezza, abitazione, salute, ecc.); le sfide che si originano dal desiderio di realizzare la natura e l’esistenza umana possono essere descritte come b. post-materiali (relazionali, di amicizia, trascendenza, auto-realizzazione, significato della vita ecc.).

1.​​ Approcci di studio dei b.​​ Gli approcci in base ai quali vengono studiati i b. possono essere divisi tra oggettivisti, soggettivisti e realisti. L’approccio oggettivista o naturalistico riconosce una forte connessione tra natura umana e b. ed è rappresentato principalmente dalle correnti positiviste e funzionaliste. L’approccio soggettivista o socializzante concepisce i b. come un prodotto dei rapporti umani che vengono elaborati nell’interazione. Viene rappresentato soprattutto dalle correnti interazioniste e dall’etnometodologia. L’approccio realista tenta di unire i due poli, riconoscendo che la realtà sociale esiste da sé, può essere oggettivamente studiata, ma viene prodotta dai soggetti sociali: a questi ultimi viene riconosciuta una autonomia nella elaborazione della cultura e nel cambiamento della struttura sociale. Possono essere considerate in questa prospettiva le concezioni umanistiche dei b. (​​ Maslow;​​ ​​ Frankl) che vedono l’uomo in continua ricerca per realizzare le proprie potenzialità, in quanto crea e dà sia come individuo che come persona, creando e ridando senso alla realtà sociale.

2.​​ Elementi del concetto di b.​​ All’interno delle diverse prospettive in base alle quali sono studiati i b., troviamo degli elementi comuni: a) la soggettività: il soggetto li riconosce e li prova, anche se non tutti i b. sono da lui identificati o avvertiti; b) la necessità: un’esigenza, un appello che deve essere appagato; c) la reattività: o la tendenza a reagire nei confronti del disagio fisico dettato dalla mancanza degli elementi di base per la sopravvivenza o delle spinte ad agire o pensare che hanno origini inconsce e che non sono dipendenti dalle proprie intenzioni; d) la proattività: cioè la tendenza allo sviluppo della propria natura umana, la quale è provvista di un’intenzionalità finalizzata al perseguimento degli obiettivi, fini e valori che la portano alla realizzazione di sé; e) la plasticità: o il continuo, anche se graduale, cambiamento dei b. e delle modalità della loro soddisfazione; f) la storicità: i b. possono essere soddisfatti da una larga gamma di risposte e il soggetto può appagare un determinato b. a prescindere dall’oggetto ritenuto ottimale alla sua realizzazione; g) l’organizzazione: in base ad una gerarchia che deriva dall’interiorizzazione e dalla condivisione dei valori culturali.

3.​​ Diverse prospettive.​​ I b. possono essere studiati secondo prospettive diverse. Alcuni sono riscontrabili nell’ambito della costituzione psichica dell’individuo e vengono denominati b. psicologici. Altri possono emergere con più intensità in determinate circostanze della vita, e quindi collegati allo sviluppo della persona e in questo senso si parla di b. formativi, sociali e educativi. I primi riguardano quella fase della formazione dell’individuo particolarmente collegata al percorso della preparazione ai compiti del mondo adulto (b. formativi); i secondi emergono più intensamente nel periodo adolescenziale (b. sociali); gli ultimi fanno riferimento al quadro dei valori e dei fini ai quali si deve rivolgere il progetto educativo (b. educativi).

4.​​ B. psicologici.​​ Nell’ambito psicologico i b. vengono spesso collegati all’idea di pulsione e intesi come una spinta di origine inconscia ad agire e a pensare, indipendentemente dalle intenzioni del soggetto, determinati da uno stato di carenza e tendenti alla ricerca di uno equilibrio perduto (Ronco, 1980, 30-44). I b. così intesi motivano l’individuo verso la ricerca di: a) un quadro di riferimento (b. di informazione), che si manifesta sia a livello elementare come necessità di stimolazione sensoriale, sia a livello più ampio come ricerca di un orizzonte di significato; b) sicurezza e sono dettati dalla necessità sia di differenziazione dall’ambiente conservando le proprie caratteristiche, sia di garanzia della propria adeguatezza e competenza riguardo al futuro prossimo o lontano; c) sviluppo di sé, prefigurato dalla spinta dell’uomo ad auto-realizzarsi come individuo e come persona, in quanto egli si sente orientato verso progetti, valori e aspirazioni ai quali rivolge le proprie decisioni e azioni; d) socialità, che consiste nell’integrazione della vita psichica dell’individuo con quella degli altri che lo circondano e che si manifesta nella coltivazione dell’amicizia, nella ricerca della stima e del dominio sugli altri; e) realizzazione dell’esistenza (b. esistenziali), che si traduce nella tendenza ad unificare valori, obiettivi e progetti attorno ad un fine unico che dà senso all’esistenza e motivazione alle azioni: si esprimono nei b. di significato e di trascendenza.

5.​​ B. formativi.​​ I b. formativi riguardano il processo secondo il quale la persona acquisisce gradualmente le competenze della vita adulta; tali processi sono una condizione essenziale perché il soggetto arrivi ad una personalità matura e sia in grado di decidere liberamente. I b. formativi e quelli educativi sono complementari in quanto la soddisfazione dei primi porta gradualmente alla realizzazione dei secondi. Tra i b. formativi relativi alla prospettiva evolutiva adolescenziale si distinguono: quelli di partecipazione e di accettazione che riguardano la socialità e la​​ ​​ stima di sé; di sicurezza, cioè della ricerca di un riferimento nelle persone significative; di comprensione, cioè dello sforzo di comprendere se stesso e gli altri; di indipendenza, o di ricerca sia di autonomia nei confronti dei genitori, sia di nuovi rapporti sociali al di fuori del gruppo familiare; di conoscenza, che si situa tra curiosità esplorativa, ricerca di comprensione intellettuale del mondo e spirito di avventura; di significatività o di ricercare un senso alla propria esistenza attraverso la messa a disposizione di un quadro di riferimento valoriale, di principi e di obiettivi; di amore o di investimento nell’ambito relazionale, affettivo e sessuale (Poletti, 1988, 84-85).

6.​​ B. sociali.​​ Vengono spesso intesi sia come b. necessari alla sopravvivenza del gruppo sociale (di abitazione, di salute, di alimentazione, di educazione), sia come b. che riguardano l’ambito relazionale. Alla soddisfazione dei primi provvedono apposite istituzioni sociali come la famiglia, il lavoro, la scuola. Quanto alla seconda accezione, nell’ambito relazionale, riguardano la ricerca di confronto tra la propria soggettività e quella degli altri, di rapporti gratificanti e durevoli di amicizia, di imporsi sugli altri attraverso l’appartenenza a gruppi e l’accettazione da parte degli altri (b. di stima).

7. B. educativi.​​ Sono quelli che, una volta soddisfatti, portano la persona ad un grado ottimale di​​ ​​ maturità, proporzionalmente al periodo evolutivo che essa attraversa, e mirano a mettere la persona in grado di prendere delle decisioni libere. Come tali, essi fanno riferimento ad un quadro di​​ ​​ valori rappresentativo dei fini dell’educazione e che ha una funzione motivazionale, in quanto fa scattare la tensione verso decisioni e azioni orientate alla realizzazione delle mete condivise dal soggetto. In questo senso le risposte ai b. educativi vengono, da una parte, assunte da un progetto, implicito o esplicito, avanzato dalle agenzie educative e, dall’altra sono espresse in motivazioni, atteggiamenti, decisioni e azioni da parte dei soggetti in formazione. Quanto più il soggetto sviluppa un quadro valoriale sintonizzato con quello del progetto educativo personale e istituzionale, tanto più egli riesce a integrarsi nel percorso formativo. I b. educativi sono quindi strettamente collegati ai valori che li orientano e ne possono esistere tanti quanti sono i riferimenti valoriali condivisi dal soggetto. Spetta all’azione educativa l’offerta dei riferimenti di alto profilo valoriale che siano in grado di far emergere nei soggetti le motivazioni funzionali all’acquisizione dei fini educativi.

8.​​ Una tipologia dei b. Possiamo distinguere i diversi tipi di b. tra b. materiali e post-materiali, ognuno secondo una prospettiva personale e sociale. I b. materiali in prospettiva personale riguardano i b. primari che provengono dalla natura umana, biologica (ad es. il b. di mangiare, di bere, di dormire, ecc.). In prospettiva sociale fanno riferimento ai b. di alimentazione, di abitazione, di salute, di trasporto, di educazione, di lavoro, di credenza e di appartenenza. I b. post-materiali, in prospettiva personale fanno riferimento alla natura umana aperta alla realizzazione del sé: il b. di affetto, di stima, di rapporti sociali, di realizzazione delle potenzialità umane, di senso della vita, di trascendenza; in prospettiva sociale riguardano l’ambito della qualità della vita, favoriscono la realizzazione della persona in quanto membro di una società attraverso l’inserimento nei movimenti per l’ecologia, l’ambiente, la pace, la solidarietà verso i popoli, il benessere delle minoranze, i diritti degli svantaggiati, contro l’apartheid razziale e sociale, ecc.

Bibliografia

Freund J.,​​ Théorie du besoin,​​ in «L’Année Sociologique»​​ (1971) 13-64; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia.​​ 1.​​ Psicologia dinamica,​​ Roma, LAS,​​ 31980; Springborg P.,​​ The problem of human needs and the critique of civilisation,​​ London, George Allen & Unwin Publishers, 1981; Poletti F.,​​ Le rappresentazioni sociali della delinquenza giovanile,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1988; Donati P.,​​ Famiglia come relazione sociale,​​ Milano, Angeli, 1989; Fischer L.,​​ Prospettive sociologiche,​​ Roma, NIS, 1992;​​ Gustin M. B.,​​ Das necessidades humanas aos direitos, Belo Horizonte, Del Rey, 1999; Caliman G.,​​ Desvio social e delinquencia juvenil, Brasilia, Universa, 2006.

G. Caliman




BLONSKIJ Pavel Petrovič

 

BLONSKIJ Pavel Petrovič

n. a Kiev nel 1884 - m. a Mosca nel 1941, professore di pedagogia e psicologia, con impegno filosofico.

1. Consolidò i suo interessi con la libera docenza (1913) e l’insegnamento nell’università. Partecipò al movimento dell’Educazione libera;​​ dopo la rivoluzione, aderì al bolscevismo e intraprese una corposa attività pubblicistica, che lo inserì negli organismi dello stato per la scuola, muovendosi nella linea della​​ ​​ pedologia.​​ Con l’affermarsi dello stalinismo iniziò la sua emarginazione, da cui si difese, lavorando solo nell’Istituto statale di psicologia, specie dopo la condanna della pedologia (1936). Tra le sue opere:​​ Kurs pedagogiki,​​ Mosca, Zadruga, 1916;​​ Psichologija,​​ Ibid., 1919;​​ Trudovaja skola​​ (Scuola del lavoro), Mosca, NKP-Giz, 1919;​​ Pedologia,​​ Ibid., 1925.

2. Oltre all’interesse psicologico, si è caratterizzato per la​​ fondazione di una scienza marxista dell’educazione​​ e una conseguente ristrutturazione della scuola, supportate dalla centralità dei processi produttivi e del lavoro, da cui la​​ politecnicità,​​ dibattuto concetto marxiano. B. polemizza con l’educazione delle​​ ​​ «Scuole Nuove», per la loro concezione del bambino, il cui sviluppo naturale però egli stesso non trascura, secondo gli orientamenti pedologici. Propone una «scuola politecnica del lavoro», sintesi dialettica tra «l’educazione dell’uomo in generale» e «l’educazione dello specialista». Essa, ispirata al bisogno industriale, si articola su tre livelli: dai 3 ai 7 anni, di imitazione e riproduzione della vita degli adulti, con un rilancio del gioco e un relativo inserimento del lavoro; dagli 8 ai 13 anni (= obbligo di 1° grado), con la conoscenza della vita umana nel suo sviluppo e con un’attività produttiva agricolo-artigianale, in una «comune», con flessibilità di orari e di discipline; dai 14 ai 18 anni, in fabbrica, con una «sintesi di sapere e di fare», integrata da una riflessione scientifico-teorica, da sport e attività artistiche. B. vi ha introdotto, didatticamente, il «metodo dei complessi», di cui fu sostenitore. Oggi se ne riconosce, oltre alla matrice marxista, il legame con classici e Scuole Nuove. Ebbe importanza ed influsso fino al 1925-1926.

Bibliografia

Tra i saggi più accessibili e comprensivi:​​ Dietrich Th.,​​ Sozialistische Pädagogik,​​ Bad Heilbrunn, Klinkhardt, 1966, 127-161.

B. A. Bellerate