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ARCHIVIO

 

ARCHIVIO

Si intende in generale per a. «la raccolta ordinata degli atti di un ente o di un individuo, costituitasi durante lo svolgimento della sua attività e conservata per il conseguimento degli scopi giuridici, politici o culturali di quell’ente o di quell’individuo» (Vagnoni, 1982,15).

1. Pare che il termine abbia assunto il suo significato tecnico nell’età ellenistica. Infatti verso la metà del sec. IV a.C. esisteva ad Atene un vero a. di Stato in cui erano conservati e consultati i documenti riguardanti l’amministrazione pubblica della città; ma l’origine dell’a. andrebbe fatta risalire a tempi più remoti: nel corso della storia l’uomo ha sentito il bisogno di conservare i materiali che testimoniano i fatti e i diversi aspetti della vita e dell’attività propri e del proprio Paese. Oggi il «materiale di a.» comprende, ad es.: esposizioni o rapporti su attività di singole persone o di gruppi, inventari di beni, contratti, statistiche, cronache e diari, saggi inediti, lettere personali.

2. Esistono diversi tipi di a. Dal punto di vista dello studio e della ricerca, presentano speciale interesse: l’a.​​ corrente,​​ che raccoglie materiali che si riferiscono a pratiche ancora in corso (ad es. l’a. della segreteria generale di una università);​​ storico,​​ che raccoglie fonti e documenti del passato (ad es. i diari e le cronache degli inizi di un’istituzione educativa);​​ privato,​​ che appartiene a individui o enti privati;​​ pubblico,​​ che appartiene a un ente pubblico o allo Stato (ad es. l’a. del Ministero della P. I.);​​ ecclesiastico,​​ che custodisce documenti riguardanti la vita e l’attività della Chiesa (ad es. gli a. parrocchiali).

3. Per una migliore conservazione e per una più agevole consultazione, i materiali archivistici sono riuniti in​​ fascicoli​​ (raccolta dei documenti che riguardano uno stesso argomento);​​ buste o cartelle​​ (raccolta di fascicoli). La consultazione viene pure facilitata da alcuni strumenti e sussidi:​​ repertorio​​ (registro o elenco con la descrizione della natura e del contenuto dei singoli documenti);​​ inventario​​ (registro in cui sono trascritti i dati essenziali del materiale custodito). Attualmente si sta generalizzando l’automazione degli a.: i dati conservati in essi sono reperibili ed elaborabili da un computer. Tuttavia non tutti gli a. sono debitamente organizzati e catalogati, anzi spesso la loro consultazione è assai faticosa. D’altra parte, non tutti i documenti sono liberamente consultabili. Per accedere a un a. si esige ordinariamente, oltre alla solita documentazione personale, lettera-presentazione da parte di un noto ricercatore o di un professore universitario.

4. Dal punto di vista pedagogico, presentano speciale interesse le raccolte di documenti costituitesi durante l’attività di individui o di enti impegnati nel mondo dell’educazione e della scuola. Ma offrono pure notizie utili (e spesso necessarie) per conoscere la situazione di un’istituzione educativa i rapporti e le testimonianze di persone che, indirettamente e disinteressatamente, si riferiscono al tema. È nota, per es., l’importanza degli a. notarili e parrocchiali per lo studio dell’andamento dell’alfabetizzazione in un Paese (mediante l’esame delle firme presenti o assenti nei testamenti e / o negli atti di matrimonio).

Bibliografia

Vagnoni S.,​​ Archivistica. Ordinamenti,​​ normativa,​​ tecniche,​​ economia,​​ Latina, Bucalo, 1982; Colombo F.,​​ Gli a. imperfetti. Memoria sociale e cultura elettronica,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1986; Prellezo J. M. - J. M. García,​​ Invito alla ricerca. Metodologia e tecniche del lavoro scientifico,​​ 4ª ediz. riveduta e aggiornata, Roma, LAS, 2007 (trad. sp.:​​ Investigar.​​ Metodología y técnicas del trabajo científico, Madrid,​​ CCS, 2006).

J. M. Prellezo




ARDIGÒ Roberto

 

ARDIGÒ Roberto

n. Casteldidone (CR) nel 1828 - m. a Mantova nel 1920, filosofo e pedagogista italiano.

1. Il pensiero di A. rappresenta il punto più avanzato ed elaborato raggiunto dal​​ ​​ positivismo italiano, affermatosi attorno agli anni ’70 dell’Ottocento fino al primo decennio del Novecento. Nasce da famiglia benestante che, a causa di rovesci di fortuna, si trasferisce nel 1836 a Mantova. In questa città A. frequenta la scuola elementare e ginnasiale. Nel 1845 entra nel seminario vescovile ed è sacerdote nel 1851. L’anno seguente è l’inizio di una crisi spirituale che lo porta, nel 1871, a deporre la veste talare. Dal 1853 si dedica totalmente all’insegnamento. Nel 1881 è all’Università di Padova come professore straordinario di storia della filosofia e vi rimane come docente fino al 1909. Gli scritti di A. sono molti e per la maggior parte nascono dall’insegnamento; essi rivelano una preparazione culturale e filosofica notevole. Le opere che hanno maggior attinenza con la pedagogia sono:​​ Lo studio della storia della filosofia​​ (1881);​​ Sociologia​​ (1886);​​ Il​​ vero​​ (1891);​​ La scienza dell’educazione​​ (1893);​​ La ragione​​ (1894);​​ L’unità della coscienza​​ (1898). Gli ultimi tre scritti costituiscono l’esposizione sistematica del positivismo ardigoiano.

2. Per A. tutta la realtà si riduce alla natura, per cui l’unica conoscenza valida è quella scientifica, che parte dal fatto come dato certo e irrefutabile. La natura e l’uomo sono soggetti alla legge dell’evoluzione, per cui la volontà umana non è più libera di quanto lo sia qualsiasi evento naturale. A. definisce la pedagogia «scienza dell’educazione» attraverso la quale «l’uomo può acquistare le attitudini di persona civile, di buon cittadino e individuo fornito di speciali abilità utili, decorose, nobilitanti». Per A. l’educazione è formazione di abitudini acquisite attraverso fattori ambientali e attraverso un processo che si svolge in quattro momenti:​​ «I. attività,​​ II. Esercizio,​​ III. abitudine,​​ IV. educazione,​​ poiché non vi ha​​ educazione​​ se non formata l’abitudine, né l’abitudine senza l’esercizio,​​ e questo suppone l’attività».​​ L’educazione è dunque l’ultimo anello di una serie di stimolazioni che producono attività che a sua volta, ripetuta con l’esercizio, conduce all’abitudine. I fattori esterni all’educando e che agiscono su di lui per condurlo all’acquisizione delle abitudini sono la​​ ​​ società, la famiglia, gli educatori di professione, le maestranze professionali, le istituzioni speciali. Nell’insegnamento sono privilegiate le materie scientifiche e per quanto riguarda il metodo didattico A. privilegia il metodo intuitivo, perché è il più adatto ad eccitare l’attività cosciente del fanciullo, ma non esclude il metodo deduttivo. La teoria pedagogica di A. presenta il limite di ridurre l’educazione ad acquisizione di abitudini per cui essa diventa puro addestramento. Nonostante questo grosso limite rimane valida la sua lezione di aderenza all’esperienza spontanea del fanciullo e di organizzazione razionale del fatto educativo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Opere Filosofiche, Padova, Draghi, 1883-1918, 11 voll.;​​ La scienza dell’educazione, Padova / Verona, 1893. b)​​ Studi:​​ Flores d’arcais G.,​​ Scienza,​​ filosofia e pedagogia nel positivismo dell’Angiulli e dell’A.,​​ in «Rassegna di pedagogia»​​ 9 (1951) 125-142; Tisato R. (Ed.),​​ Positivismo pedagogico italiano. Angiulli,​​ Siciliani,​​ A.,​​ Fornelli,​​ De Dominicis, vol. II,​​ Torino, UTET, 1976; Pironi T.,​​ R. A.,​​ il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, Bologna, CLUEB, 2000;​​ R. A.,​​ una vita interamente dedicata alla scienza,​​ alla scuola. Convegno di studi,​​ Padova 21 ottobre 1999. Atti, Roma / Padova, Antenore, 2001.

R. Lanfranchi




ARENAL Concepción

 

ARENAL Concepción

n. a Ferrol nel 1820 - m. a Vigo nel 1893, penalista, sociologa e educatrice spagnola.

1. L’infanzia di A. viene segnata da una esperienza dolorosa: il padre, imprigionato per le sue idee liberali, muore in esilio quando ella ha 9 anni. Dopo la morte della madre (1841), sembra che abbia seguito alcuni corsi all’università di Madrid. La prematura morte del marito (1857) costituisce un duro colpo. Dopo un periodo di riflessione e studio, A. inizia una tappa decisiva con nuovo interesse per i problemi benefico-sociali. Scritti più noti:​​ La beneficencia,​​ la filantropía y la caridad​​ (1860),​​ El visitador del pobre​​ (1865). Nominata ispettrice delle carceri femminili, prende coscienza della situazione negativa e si occupa sempre più dell’educazione dei settori più emarginati (donne, operai, carcerati, bambini, mendicanti):​​ La instrucción del pueblo​​ (1878),​​ La instrucción del obrero​​ (1892),​​ La educación de la mujer​​ (1892),​​ La instrucción del preso​​ (1893).

2. In queste opere, A. difende il diritto-dovere del popolo all’educazione. Contro chi teme i «pericoli del sapere», afferma che la «verità è buona e utile in assoluto» e che la stessa questione sociale è una questione di educazione. Con speciale forza rivendica l’educazione femminile: «tutte le ragioni che esistono per istruire i ragazzi e i giovani, esistono per estendere l’istruzione alle ragazze e alle giovani». Per i carcerati, in gran parte analfabeti, propone un programma «il più completo possibile»: istruzione morale e religiosa, lettura, aritmetica, scienze naturali, geometria, musica, disegno, pratica dei mestieri. Recentemente è stato giustamente rivalutato il contributo di A. in questi settori.

Bibliografia

A.C.,​​ Obras completas; estudio preliminar y edición de C. Díaz Castañón, Madrid, [s.e.], 1993-[1994], 2 voll.; Tarifa Guillén A.,​​ La promoción humana de la mujer en C.A., Salamanca, Universidad Pontificia,​​ 1983; Prellezo J. M., «A., C.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, Brescia, La Scuola, 1989, 831-833;​​ Centro de Educación Comparada de Madrid,​​ Educación​​ y​​ marginación social. Homenaje a C.A. en su centenario;​​ edición a cargo de J. Ruiz Berrio, Madrid, 1994.

J. M. Prellezo




ARISTOTELE

 

ARISTOTELE

n. a Stagira nel 384 / 383 a.C. - m. a Calcide nel 322 a.C. Filosofo, scienziato, figlio di Nicomaco, medico alla corte macedone, alla scuola di​​ ​​ Platone dal 367 / 6 al 347 (morte del Maestro), ben presto con un’attività letteraria e di ricerca autonoma. All’inizio del secondo soggiorno ad Atene (334ss.) vi fonda il Liceo, dove insegna, ricerca, rivede corsi tenuti ad Asso e a Mitilene e ne redige nuovi fondamentali; nel 323 abbandona Atene non più sicura dopo la morte di Alessandro Magno.

1. A. non ha scritto trattati sull’educazione, ma si è occupato esplicitamente di essa all’interno del discorso morale e politico, intrinsecamente «pedagogico», in particolare nell’Etica a Nicomaco​​ e nella​​ Politica.​​ Tra i più impegnati e sistematici interpreti della pedagogia di A. si segnalano: O. Willmann (A.​​ als Pädagog und Didaktiker,​​ Berlin,​​ 1909);​​ M. Defournoy (Aristote et l’éducation,​​ in «Annales de l’Institut Supérieur de Philosophie de Louvain», 4,1920,1-176 e​​ Aristote. Études sur la «Politique»,​​ Paris,​​ 1932);​​ E. Fink (Metaphysik der Erziehung im Weltverstandnis von Plato und A.s,​​ Frankfurt​​ a.M., 1970).​​ Il primo sottolinea l’aspetto etico del pensiero pedagogico di A., mentre Defournoy accentua quello politico. Nella sua ricostruzione storico-critica E. Fink mette in luce il carattere razionale della concezione educativa aristotelica, dimostrandola solidale con l’ontologia, l’antropologia, l’etica e la politica. Una visione della «paideia» aristotelica – intesa come pedagogia e come prassi educativa – inserita all’interno dell’intero sistema è presentata e documentata in un volume antologico di fonti da E. Braun (A.s und die Paideia,​​ Paderborn, 1974). Una compendiosa esposizione del programma educativo di A. si trova nel lavoro di I.​​ Düring (A.s. Darstellung und Interpretation seines Denkens,​​ Heidelberg,​​ 1966; ediz. it. aggiornata, Milano, 1976), che ne evidenzia i fondamenti e i significati etico-politici e l’attenzione alle condizioni storiche.

2. Tutte le espressioni del pensiero filosofico e scientifico di A. fanno capo ai concetti fondamentali di forma e di sostanza, del movimento come transizione dalla potenza all’atto e di causa finale. La sua visione dell’universo, esistente​​ ab aeterno,​​ si presenta, quindi, fortemente unitaria. Dio e i corpi celesti, gli uomini, gli animali e gli esseri inanimati hanno un posto ben preciso, con la perfezione propria, in una scala gerarchica onnicomprensiva, nella quale gli esseri superiori attraggono finalisticamente quelli inferiori. Ciò vale anzitutto per il primo motore immobile (pensiero del pensiero), che muove in quanto oggetto di desiderio e di amore i corpi celesti, a loro volta causa efficiente del moto nel mondo sublunare. Per la sua particolare natura l’uomo occupa un posto singolare nell’universo: dotato di ragione è prossimo al divino, mentre è insieme partecipe sostanzialmente del mondo dell’animalità. La sua anima è la forma di un tutto composito la cui materia è il corpo. Essa è principio di tutte le funzioni vitali legate alla corporeità, che accomunano l’uomo agli altri animali: nutrizione e riproduzione, sensazione, desiderio, locomozione, fantasia; ma è soprattutto sede di quella funzione che caratterizza e specifica l’uomo, il pensiero, la cui attività, indipendente dal corpo, le consente di accogliere in sé l’immateriale «forma intelligibile» delle cose.

3. Il pensiero mette l’uomo in rapporto connaturale con l’intelligibile, il divino, e trova nella​​ ricerca​​ (la filosofia) e nel​​ possesso intellettuale​​ di esso (la​​ sapienza,​​ la​​ contemplazione)​​ la più alta espressione di vita. Inoltre, esso ne fa un essere capace di​​ scelte​​ autonome, libere, responsabili, valutabili secondo criteri di bontà o di malvagità morale. Infatti se per tutte le cose «il bene è quello a cui tendono» (EN I 1,1094 a 2), cioè la compiutezza e la perfezione conseguente alla propria «forma» (EN I 6, 1097 b 22), anche per l’uomo esiste un fine e un bene. Egli è dunque chiamato a non rimanere​​ inerte​​ (argós),​​ ma a compiere​​ l’opera propria​​ secondo la sua natura​​ intellettuale​​ (EN I 6,1097 b 22-34). In questo consiste la riuscita della sua vita, la​​ felicità​​ (l’eudaimonía):​​ «Tutti sono d’accordo nel pensare che “vivere bene” e “riuscire bene” equivalga all’“essere felici”» (EN I 2,1095 a 14-20). In questo contesto speculativo si radica l’etica​​ umanistica​​ aristotelica, che non identifica la bontà dell’agire morale nell’obbedienza a una legge, umana o trascendente, ma nella realizzazione di ciò che è il fine dell’uomo, il suo bene, in quanto singolo, portatore della forma «umanità». L’etica aristotelica non è morale della «norma», della «legge», del «dovere», ma della «felicità» e della «virtù».

4. Essa è perciò etica eminentemente​​ pedagogica.​​ In concreto, per l’uomo, che è biologia, sensibilità e intelletto, tendenza (appetito) e conoscenza, capacità di azione e di contemplazione, la vita ideale dovrebbe riunire in sintesi gerarchica le tre fondamentali esigenze della sua natura: il piacere, l’operosità etico-politica, la contemplazione (EN I 15,1095 b 16-18; I 9,1099 a 24-25; VII 14, 1153 b 17-18 e 1154 a 16-18). Non, però, in forma puramente puntuale e frammentaria. Perché la compiutezza, la felicità, sia la qualità della vita, la​​ bontà dell’uomo​​ non risiede nella sola​​ bontà dei singoli atti:​​ le attività specifiche devono procedere da​​ capacità consolidate,​​ le​​ virtù,​​ abiti operativi delle varie differenziate facoltà dell’anima, appetitiva, volitiva, conoscitiva: «una sola rondine non fa primavera né un sol giorno; così neppure un solo giorno né un breve tratto di tempo fa l’uomo felice e beato» (EN I 6,1098 a 19-20). «La virtù dell’uomo sarà un abito che fa buono l’uomo e capace di portare a compimento la sua opera propria» (EN II 5,1106 a 22-24). Di esse la più alta in assoluto è la virtù dell’intelletto teoretico-contemplativo,​​ la sapienza​​ (sophía).​​ La più elevata nell’ordine intellettivo-pratico, invece, è​​ la prudenza​​ (phrónesis),​​ l’abito delle decisioni razionali commisurate al «giusto momento», il​​ «kairós»,​​ virtù guida del retto agire etico-politico (EN II 3, 1104 b 24-26; 6, 1106 b 36-1107 a 2). Essa è la misura intellettuale pratica (l’orthós lógos)​​ dell’esercizio delle virtù etiche, che garantiscono la rettitudine degli appetiti, razionale il convivere mediante la giustizia, razionale il concupiscibile la temperanza, razionale mediante la fortezza l’irascibile: «non è possibile essere propriamente buono senza la prudenza né prudente senza virtù morale [...] non ci sarebbe decisione retta né senza la prudenza né senza la virtù, poiché questa ci fa attingere il fine e quella i mezzi al fine» (EN VI 13,1144 30 e 1145 a 5). Distinte tra loro le virtù, è anche distinto il rispettivo processo pedagogico di acquisizione e di crescita: «Essendo la virtù di due specie, l’una dianoetica, e l’altra etica, la virtù dianoetica per massima parte si genera e accresce mediante l’insegnamento (didaskalía)​​ e, perciò, ha bisogno di esperienza e di tempo; invece la virtù etica (ethos)​​ è frutto dell’abitudine (ethos),​​ per cui da questa ha preso il nome, leggermente modificato» (EN II 1,1103 a 14-17).

5. Indissolubile è per A. il legame tra vita morale e vita politica. L’uomo, per natura animale sociale, può realizzare il suo fine soltanto in una comunità «amicale»: nella famiglia, nel villaggio e, pienamente, nella città-stato, la​​ pólis.​​ Tale legame caratterizza anche il programma pedagogico, che sintetizza ascendenze platoniche, storia greca (il «prudente» Pericle è il suo modello di uomo politico e «educatore») e marcate personali elaborazioni realistiche. Uomo buono equivale a buon cittadino, le virtù dell’uomo buono sono anche le virtù del buon cittadino. La costituzione è diretta a far buoni i cittadini anche se non tutti necessariamente lo diventano; la città, comunque, sussiste in forza di uomini buoni. Per questo è compito della città di legiferare sull’educazione, per una formazione uniforme dei cittadini alla ricerca del bene comune, che è la «scholé» (l’otium)​​ e la «pace» (Pol.​​ VII 14,1334 a). Ciò non significa che la città abbia il monopolio dell’educazione, che nella prima infanzia in particolare deve essere ufficio della famiglia. L’educazione è fondata su tre elementi: le disposizioni naturali, l’abitudine acquisita con l’esercizio, la ragione mediante l’insegnamento. «Per essere buoni si deve essere educati convenientemente e prendere buone abitudini, continuando poi a trascorrere la vita in occupazioni oneste» (EN X 9, 1180 a 14-16); «gli abiti derivano dalle attività che sono simili ad essi. Perciò bisogna che le attività che noi esercitiamo siano dotate di una certa qualità, poiché gli abiti morali corrispondono alle differenti qualità di queste attività. Non è, dunque, di poca importanza che fin da giovani si sia abituati in un modo oppure in un altro; è, al contrario, supremamente importante o, piuttosto, è tutto lì» (EN I 2,1103 b 23-25). Secondo la gerarchia delle parti dell’anima l’educazione si svolge per gradi successivi: precede la cura del corpo, segue quella degli appetiti per culminare nella formazione della ragione e del pensiero che sono il fine della natura (Pol.​​ VII 15,1333 b 6-28).

6. Sia l’Etica a Nicomaco​​ che la​​ Politica​​ offrono copiose indicazioni sulla crescita nei vari settori. Vi sono comprese le condizioni per il benessere fisico: igiene, ginnastica e sport; e la cultura necessaria a un’autentica «scholé» od​​ otium:​​ la grammatica o le lettere, la ginnastica con le attività sportive, la musica inclusiva del canto e della poesia, il disegno (Pol.​​ VIII 3, 1337 b). Attente analisi sono dedicate alle virtù etiche: il coraggio, la temperanza, la liberalità, la magnificenza, la magnanimità, l’onorabilità, la pacatezza, l’amabilità, la veracità, la gaiezza, il pudore, la giustizia, l’equità (EN III 5-V 10, 1115 a 4-1138 b 17), la continenza (EN VII 1-10, 1145 a 15-1154 b 34). Di approfondita considerazione sono oggetto, infine, le più alte virtù intellettuali: la prudenza individuale e politica (EN VI 1-13, 1138 b 18-13-1145 a 14) e la sapienza (EN X 6-10, 1176 a 30-1181 b 23). È un ideale aristocratico di formazione di uomini «liberi», in grado di «operare rettamente e fruire nobilmente della​​ scholé»​​ (Pol.​​ VIII 3,1337 b 32); ne sono esclusi quelli che non godono dei diritti del «cittadino» (anzitutto gli schiavi) e i nullatenenti; tra i cittadini, poi, di fatto non ne può avvantaggiarsi con pienezza la maggioranza («i molti») addetta a onerosi lavori manuali e deputata ad assicurare la sussistenza a sé e ai veramente «liberi»; tra questi, poi, un’esigua minoranza potrà dedicarsi alla massima espressione della «scholé», le attività del pensiero, la «filosofia», la vita contemplativa.

7. Quanto all’educazione fisica e culturale A. traccia un programma – rimasto incompiuto – che dovrebbe essere seguito da tutti, in famiglia nei primi sette anni (Pol.​​ VII 17, 1336 a 3-1137 a 7) e in comune nei due settenni successivi (Pol.​​ VIII 1-7, 1137 a 11-1342 b 34). Data l’importanza di buone disposizioni naturali sono decisive per A. le attenzioni prestate alla sanità dei matrimoni (Pol.​​ VII 16, 1334 b 29-1336 a 2). Per la prima infanzia il filosofo attira l’attenzione sull’alimentazione, l’abitudine al freddo, il movimento e il gioco, gli effetti benefici del pianto e delle grida (Pol.​​ VII 17, 1336 a 3-29), la preservazione da tutto ciò che è indecente e cattivo (Pol.​​ VII 17, 1336 a 30-b 35). Per i due settenni successivi lo stagirita ripropone il programma della tradizione greca, arricchito dal disegno entrato recentemente nella cultura ellenistica: grammatica, ginnastica, musica, disegno (Pol.​​ VIII 2, 1337 b 24-28). Nel libro VIII della​​ Politica,​​ incompiuto, trovano posto soltanto la ginnastica e la musica, trattate però con marcata sottolineatura etico-pedagogica. A. non traccia un programma di educazione femminile, ma l’elevata visione che ha del matrimonio e della famiglia e del ruolo che la donna svolge nelle dinamiche dell’amicizia coniugale e parentale suppone in essa qualità umane ed etiche di alto profilo non puramente casuali (cfr. EN VIII, 10-12, 1160 b 22 - 1162 a 33).

8. Dalle opere di A., si possono ricavare molteplici notazioni che confermano l’immagine di una concezione educativa esigente sia riguardo alla fanciullezza, vista soprattutto nelle sue carenze, sia a proposito dell’adolescenza sottoposta a una disciplina volta a contenerne le esuberanze e ad avviarla a una maturità adulta, eticamente e politicamente responsabile. La​​ Retorica​​ e la​​ Generazione degli animali​​ aggiungono osservazioni sulle caratteristiche psicologiche dei giovani (Ret.​​ II 12, 1389 a 1-b 12) e sullo sviluppo biologico nella fase della pubertà di ragazzi e ragazze (De gen. an.​​ VII 1, 581 a 12-b 21), che avranno ampia risonanza nei millenni successivi.

Bibl.:​​ Aubenque P.,​​ La prudence chez Aristote,​​ Paris, PUF, 1963; Braido P.,​​ Paideia aristotelica,​​ Roma, LAS, 1967; Braun E. (Ed.),​​ A.s und die Paideia,​​ Paderborn, Schöningh, 1974; Lloyd G. E. R.,​​ A.: Sviluppo e struttura del suo pensiero,​​ Bologna, Il Mulino, 1985; Berti E.,​​ Le ragioni di A.,​​ Roma / Bari, Laterza, 1989; Verbeke G.,​​ Moral education in Aristotle, Washington, D. C., The Catholic University of America Press, 1990; Naval Durán M. C.,​​ Educación,​​ retórica y poética.​​ Tratado de la educación en Aristóteles, Pamplona, EUNSA, 1992; Lombard J.,​​ Aristote.​​ Politique et éducation, Paris, L’Harmattan, 1994; Curren R. R.,​​ Aristotle on the necessity of public education, Lanham, MD, Rowman & Littlefield, 2000.

P. Braido




ARTI LIBERALI

 

ARTI LIBERALI

Le discipline letterarie e scientifiche, che durante il​​ ​​ Medioevo costituivano l’insegnamento propedeutico alla filosofia ed alla teologia erano chiamate a.l. (artes liberales).​​ Questa sintesi enciclopedica di scienze si era affermata già nell’età ellenistica (come​​ enkyklios paidéia).​​ Alla fine del II sec. a.C. passa a Roma e si sviluppa nel periodo imperiale.

1. L’espressione​​ artes liberales​​ compare già in​​ ​​ Seneca (Ep. ad Lucilium)​​ e come tali sono descritte accuratamente da Marziano Capella (De nuptiis Mercurii et philologiae).​​ Per​​ ​​ Agostino ed Alcuino esse dovevano preparare l’uomo alla scienza della religione (De doctrina christiana,​​ IV;​​ De ordine​​ II, 430;​​ De musica).​​ Il nome latino deriva dal greco (eleuthéroi téchnai)​​ e designa le arti degne di un uomo libero in contrapposizione a quelle utilitarie e meccaniche (bánausoi).​​ Questa distinzione che troviamo già in​​ ​​ Platone (De re publica​​ 405a; 522a) e in​​ ​​ Aristotele (Politica​​ VIII, 2) viene ripresa da​​ ​​ Cicerone (De officiis​​ I, 42;​​ De oratore​​ III, 32,126) che per le due classi di discipline usa i termini di​​ liberales,​​ ingenuae,​​ honestae,​​ o​​ sordidae,​​ inhonestae.​​ Anche​​ ​​ Quintiliano le elenca (1,10).

2. Le discipline delle a.l. erano divise in due gruppi: trivio e quadrivio: grammatica, retorica, dialettica; aritmetica, geometria, astronomia e musica. Come si rileva facilmente, le discipline del​​ Trivio​​ raggruppano l’orientamento letterario-filosofìco-umanistico; quelle del​​ Quadrivio​​ l’indirizzo scientifico degli studi. Fu​​ ​​ Cassiodoro (De institutione divinarum litterarum​​ e​​ De artibus et disciplinis liberalium litterarum)​​ a fissare maggiormente, dopo Boezio, il programma pedagogico contenuto nelle sette a.l., e così questa «enciclopedia» divenne la corsia preferenziale della​​ ratio studiorum​​ medievale propedeutica alla cultura filosofica, teologica, scientifica (​​ Isidoro di Siviglia, Beda, Egberto, Alcuino). L’insegnamento del​​ Trivio​​ e​​ Quadrivio​​ durante tutto il Medioevo svolse una funzione, anche se modesta, di indubbia importanza per conservare e diffondere il patrimonio del pensiero e della cultura classica. Dopo il sec. XIII il trionfo dell’aristotelismo sviluppò una classificazione più ampia ed esatta delle scienze: questo portò alla graduale svalutazione ed obliterazione del​​ Trivio​​ e del​​ Quadrivio.

3. Presso i Romani e nel Medioevo nell’insegnamento del​​ Trivio​​ la grammatica aveva per compito principale lo studio delle parti del discorso, basato sulla autorità degli antichi scrittori (classici):​​ si articolava nella​​ lectio​​ (lettura del testo), nell’emendatio​​ (commento letterale e letterario), nell’enarratio​​ (critica del testo), nel​​ iudicium​​ (sintesi). Durante il Medioevo la grammatica abbracciava anche lo studio dei grammatici antichi e recenti (Elio Donato, Prisciano). La retorica presso i Romani ebbe primaria importanza: il suo fine supremo era formare il​​ vir eloquentissimus.​​ Comprendeva una parte teorica (generi di eloquenza: deliberativa, giudiziale, epidittica e le sue parti:​​ inventio,​​ dispositio,​​ elocutio)​​ ed una parte pratica: frequenti e svariati erano gli esercizi. Nel Medioevo la retorica non ha primaria importanza. La dialettica ebbe invece un predominio nella cultura medievale, perché tendeva ad identificarsi con la stessa filosofia di cui era la necessaria propedeutica. Le discipline del​​ Quadrivio​​ registrarono un minore sviluppo, perché riguardavano una preparazione scientifica ed una tecnica più specializzata: maggiormente studiate furono la geometria e l’astronomia piuttosto che l’aritmetica e la musica (da non intendersi però solo come studio dell’arte musicale).

Bibliografia

Marrou H. I.,​​ St. Angustin et la fin de la culture antique,​​ Paris, Boccard, 1958; Wagner D. L. (Ed.),​​ The seven liberal arts in the middle ages,​​ Bloomington, Indiana University Press, 1983;​​ Hadot I.,​​ Arts libéraux et philosophie dans la pensée antique,​​ Paris, Études Augustiniennes,​​ 1984; Dotto G., «Artes liberales», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol.​​ I, Brescia, La Scuola, 1989, 896-901.

S. Felici