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APPARTENENZA SOCIALE / RELIGIOSA

 

APPARTENENZA SOCIALE / RELIGIOSA

L’a.s. viene studiata in rapporto alla coesione sociale. Essa potrebbe essere assimilata a un sentimento, una preferenza, un interesse; nelle scienze sociali è praticamente sinonimo di​​ ​​ atteggiamento, che è un concetto al tempo stesso comprensivo e operazionalmente ben determinato e che significa una disposizione o una strutturazione del dinamismo personale che orienta positivamente o negativamente il​​ ​​ comportamento riguardo a un oggetto psico-sociologico. Pertanto l’a.s. può essere definita come una disposizione psico-sociologica e costituisce una strutturazione stabile dei processi percettivi, motivazionali ed emozionali attraverso cui uno si collega al proprio gruppo di inserimento.

1. L’a.s. consente al membro di percepirsi come facente parte di un gruppo, di identificarvisi, di parteciparvi e di trarne le motivazioni. Ancora di più: essa sta a indicare l’atteggiamento fondamentale verso il proprio gruppo; è strettamente connessa con il concetto di «rete sociale», che è come l’insieme dei legami di un individuo con altri referenti significativi (​​ famiglia, amici, vicini e altre realtà informali). Le funzioni di questi ultimi sono molteplici, tanto di natura culturale che strutturale e funzionale. Dal punto di vista culturale, essa conferisce il senso di​​ ​​ identità sociale attraverso l’appartenenza.

2. Per l’a.r. occorre un minimo di interazione dell’individuo con il gruppo religioso. Non si tratta solo di un minimo giuridico e teologico (per i cattolici battesimo e professione di fede), ma di un minimo psico-sociologico, difficilmente quantificabile ma necessario e non certo riducibile a contatti sporadici e occasionali. Si richiede, in altri termini, l’accettazione del sistema dei valori, delle​​ ​​ credenze e dei modelli del gruppo. Le ricerche sociologiche ci hanno mostrato che l’adesione ai valori religiosi è necessariamente differente nei diversi «tipi» di fedeli. In ciò influisce ovviamente la storia religiosa dei singoli, che condiziona la diversa disponibilità per un’adesione motivata e motivante. È necessaria anche un’assimilazione al gruppo religioso che giunge, nel caso ottimale, alla piena​​ ​​ identificazione, in quanto all’interno del gruppo l’individuo trova i valori che costituiranno la base del suo personale progetto di vita.

3. In rapporto al sentimento di a.r. l’esistenza di diversi gruppi di riferimento può interferire sia negativamente sia positivamente. Un caso tipico è legato alla genesi dell’a.r. Si pensi alle situazioni di ripetuto conflitto di a. cui è sottoposto il bambino, il fanciullo, l’adolescente, il giovane, quando si trovino inseriti nei vari gruppi familiari, scolastici, amicali che spesso presentano notevoli diversità nel grado di conformità ai sistemi normativi di credenze religiose. L’evoluzione del sentimento di a.r. sarà condizionata così dal gioco delle lealtà di gruppo e avrà successo quella che sembra soddisfare maggiormente il livello di aspirazioni dell’individuo. In definitiva si può affermare che il sentimento di a.r. è condizionato dal maggior o minor grado di integrazione e / o impegno del gruppo nella struttura sociale e dalla valutazione più o meno positiva che gli appartenenti danno di tale integrazione.

Bibliografia

Schachter S.,​​ The psychology of affiliation: experimental studies of the sources of gregariousness,​​ Stanford, Stanford University Press, 1959; Pollini G.,​​ A. e identità.​​ Analisi sociologica dei modelli di a.s.,​​ Milano, Angeli, 1987; Baragli C.,​​ Comunicazione di gruppo,​​ Ibid., 1988; Carrier H.,​​ Psico-sociologia dell’a.r.,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1988; Canobbio G. et al., L’a. alla Chiesa,​​ Brescia, Morcelliana, 1991; Donati P. P.,​​ Teoria relazionale della società,​​ Milano, Angeli, 1991;​​ Serpieri R.,​​ Identità e a. nella società della globalizzazione, Ibid., 2004.

J. Bajzek




APPRENDIMENTO

 

APPRENDIMENTO

All’interno dei processi vitali personali, la specificità del processo di a. consiste nell’acquisizione di nuove​​ ​​ abilità o conoscenze mediante l’esperienza. Tuttavia la preponderanza del fattore esperienza non permette di dimenticare le condizioni della dotazione ereditaria, né gli apporti creativi della intelligenza: l’esperienza dà i suoi frutti nell’a. se il soggetto è sufficientemente maturo e si avvantaggia molto dal contributo della comprensione e dall’intuizione. Spesso può essere difficile decidere se una nuova capacità di condotta sia dovuta principalmente all’esperienza o a processi di comprensione intelligente. L’a. riguarda molti settori di abilità e di contenuti, ed è per sua natura intimamente legato ai vari processi educativi. Di fatto si imparano abilità motorie di differente complessità e precisione, si impara a percepire oggetti, persone, situazioni, si impara a leggere ed a comprendere, si imparano parole, concetti, sistemi di pensiero, si imparano linguaggi espressivi, si imparano reazioni emotive e stati affettivi duraturi, si imparano ansie e nevrosi, come si imparano gusti, preferenze, idiosincrasie, sistemi di valori, stili di vita, credenze, speranze e tecniche di difesa e di decisione. L’a. stesso, poi, può riferirsi a soggetti differenti: persone o animali, bambini, adolescenti o adulti, normali o con vari gradi e tipi di disabilità.

1.​​ I​​ tipi di a.​​ Tra i vari criteri possibili per tentare una tipologia dell’a., pare che il più adeguato sia quello che parte dai prodotti dell’a. stesso.

1.1.​​ A. di operazioni adattative.​​ Con questo processo il soggetto, uomo od animale, acquisisce, in seguito all’esperienza, nuove capacità di incontro efficiente con l’ambiente, con nuove modalità di operazione. È questo il campo tipico degli inizi della ricerca psicologica sull’a.: già nel 1905 I. P. Pavlov metteva in luce i «riflessi condizionati», cioè quei processi per cui uno stimolo, di per sé indifferente, può avviare la reazione dell’arco riflesso originale, a condizione di precedere regolarmente lo stimolo originale del riflesso. Questa scoperta fu ben accolta dai «comportamentisti», che però rilevarono che spesso non bastava apprendere un nuovo stimolo per una condotta riflessa già prefabbricata, ma occorreva imparare, in seguito all’esperienza, un nuovo modo di operare, per giungere alla soddisfazione di motivi attualmente urgenti. Nacque così in Thorndike prima e in molti altri ricercatori poi (tra di essi il più famoso è​​ ​​ Skinner) il progetto di ricercare come si apprendono nuove operazioni. Il termine appropriato sembrò essere quello di «condizionamento operante», perché veniva condizionata una operazione, oppure quello di «a. strumentale» perché si apprendeva un mezzo per soddisfare un bisogno. Questo tipo di a., legato alla motivazione, perdeva parte della sua caratteristica di automatismo, propria del riflesso condizionato, per entrare sotto l’influsso dell’intenzionalità. Sia il condizionamento classico, pavloviano, che quello operante hanno continui e notevoli effetti anche sull’uomo: mediante essi impariamo, in modo più o meno consapevole, gusti e avversioni, tecniche di accostamento e di prevenzione; come si dirà in seguito, anche l’uomo può apprendere opportune condotte per raggiungere premi ed evitare castighi.

1.2.​​ A. di informazioni.​​ Questo tipo di a. è oggetto di trattazioni specifiche (​​ informazione e​​ ​​ comunicazione), ed è pure studiato nell’ambito della​​ ​​ memoria; si rimanda perciò alle rispettive voci per indicazioni più estese. In particolare si può richiamare qui come l’a. riguardi i vari momenti del processo di informazione: si impara a percepire, cioè a riconoscere oggetti, persone, situazioni; si imparano informazioni singole, come pure sistemi semplici o complessi, a livello di esperienza concreta o di strutture cognitive astratte. Allo stesso modo si impara a conservare le informazioni, ad elaborarle, a ricuperarle e ad applicarle alle varie situazioni.

1.3.​​ A. di atteggiamenti.​​ L’atteggiamento è un tratto della personalità caratterizzato da una valutazione favorevole o contraria ad un certo oggetto (tipo di esperienza, persona, gruppo, idea, valore, ecc.). Anche questo tipo di a. è termine di considerazioni specifiche, da parte della​​ ​​ psicologia educativa, della psicologia sociale (a. sociale, di usi, valori, pregiudizi), e della psicologia clinica (a. di disposizioni emotive, sane o nevrotiche). Vi sono modi piuttosto passivi di apprendere un atteggiamento, come avviene nell’imitazione o per pressione sociale di un gruppo. L’a. di atteggiamenti per via di identificazione richiede una maggiore partecipazione del soggetto: questi percepisce il proprio bisogno di affermazione e di sviluppo, e si unisce emotivamente alla persona che vede vicina e riuscita, partecipando in tal modo all’esperienza del modello. Finalmente un atteggiamento può essere appreso in conseguenza di un mutamento interiore di quadri conoscitivi di valore, come influsso di nuovi motivi centrali, o in seguito ad esperienze particolarmente illuminanti. Al tema dell’a. di atteggiamenti appartiene anche la loro modifica, quando sono disadattanti; oltre che con i modi sopra accennati, questo risultato si raggiunge anche con gli interventi di trattamento dell’inconscio indicati dalle varie scuole di psicoterapia.

2.​​ Fattori dell’a.​​ L’a. ha varie condizioni che lo facilitano o lo inibiscono. Poiché vi sono tipi di a. molto diversi, occorre rifarsi ad ognuno di essi per rilevarne i fattori specifici. Se ne ricordano qui solo alcuni che riguardano il processo di a. in generale. Si vedrà in primo luogo un gruppo di fattori predisponenti, che vanno sotto il titolo di «disponibilità», quindi due altri fattori generali, quelli della motivazione e dell’esercizio o pratica.

2.1.​​ La disponibilità ad apprendere.​​ Già nel suo volume del 1913 Thorndike, applicando le nozioni di psicologia all’a. scolastico, parlava di​​ readiness​​ o disponibilità ad apprendere. Essa si può definire come la capacità e la volontà di apprendere. La capacità di apprendere a sua volta è determinata dalla maturazione e dal bagaglio di abilità e informazioni precedentemente acquisite, mentre la volontà di apprendere designa soprattutto le componenti emotive della situazione di a. a) La maturazione, o sviluppo determinato prevalentemente da fattori endogeni ereditari, ha una grande parte nel determinare la disponibilità ad apprendere. Certo, gli effetti della maturazione su una condotta non si possono misurare indipendentemente dagli apporti dell’ambiente e dell’esperienza. Tuttavia vi sono mutamenti di grande rilievo dovuti in gran parte a fattori endogeni. In particolare è rilevante lo sviluppo anatomico e funzionale del sistema nervoso, del sistema endocrino e dell’apparato muscolare. In psicologia evolutiva sono noti i vari stadi dello sviluppo cognitivo, ad es. secondo lo schema di Piaget, che suppongono fasi naturali di maturazione. b) Le abilità ed informazioni già possedute sono un altro prerequisito all’a. attuale. Sebbene questo sembri ovvio, e se ne tenga abitualmente conto nello svolgere passo passo un programma di insegnamento, tuttavia spesso non si è coscienti di ciò che di fatto si presuppone perché il soggetto possa comprendere informazioni, apprezzare beni educativi o apprendere tecniche di prestazioni professionali. Varie ricerche sono inoltre d’accordo nel segnalare che esistono momenti dello sviluppo particolarmente favorevoli all’a. di determinate abilità; se si lasciano passare a vuoto questi momenti critici, tale abilità non potrà più essere acquisita in seguito con quella perfezione, né essere alla base di ulteriori a. L’influsso dell’a. precedente è in particolare oggetto delle ricerche sul «transfer» o diffusività dell’a.; in specie si è rilevato che in un a. successivo vengono utilizzati sia materiali che tecniche precedentemente apprese. Si sono anche verificate le condizioni perché tale trasferimento avvenga: da simili verifiche può, ad es., emergere l’utilità di particolari curricoli o materie nel formare la mente. c) La disponibilità emotiva ad imparare si esprime sia nella motivazione che nelle disposizioni emotive che accompagnano l’a. Poiché la motivazione, come fattore di a., è stata ampiamente considerata dalle ricerche, ci limitiamo qui alla componente emotiva, essa pure, del resto, dipendente dalla motivazione.

2.2.​​ L’esito​​ dell’a. può dipendere da uno stato emotivo generale: soggetti ansiosi apprendono più facilmente, a pari condizioni, di soggetti non ansiosi quando percepiscono che il compito è alla loro portata, ma restano molto al di sotto delle loro capacità se vedono nel compito un rischio di fallimento. Atteggiamenti generali possono portare ad affrontare subito un impegno o a dilazionarlo, a rischiare esperienze nuove o ad essere conservatori, ad essere costanti oppure a lasciarsi abbattere da parziali insuccessi. Inoltre vi possono essere settori specifici di a. davanti ai quali il soggetto si sente emotivamente bloccato da atteggiamenti verso un dato ambiente educativo, verso persone significative, verso particolari materie o abilità da apprendere. Vi sono infine le disposizioni emotive del momento, dovute a particolari circostanze favorevoli od avverse, a benessere o disturbi fisiologici, a condizioni ambientali di clima, aerazione, pressione atmosferica, ecc. Anche la fatica, che cresce con il tempo di applicazione, diventa un fattore negativo di a. Le ricerche hanno messo in luce che esiste una grande variabilità nella disponibilità ad apprendere, e che perciò è più importante rilevare l’età nervosa, endocrina, mentale che non quella cronologica. Inoltre ogni soggetto ha la sua storia che ha creato in lui particolari disposizioni. Si impone perciò la necessità di rilevare, nei momenti opportuni, la disponibilità ad apprendere, sia con procedimenti intuitivi, sia con tecniche psicometriche appropriate.

2.3.​​ La motivazione.​​ È ovvio che la​​ ​​ motivazione influisca sul processo e sull’esito dell’a., se si tengono presenti i quattro effetti della motivazione stessa, che sono quelli di iniziare, dirigere, sostenere l’attività e sensibilizzare selettivamente il soggetto. Per i vari tipi di a. la motivazione ha ruolo e contenuti differenti: ininfluente nel condizionamento classico, è la molla principale dell’a. strumentale, e si configura in modo specifico nell’a. di informazioni e di atteggiamenti. L’intensità ottimale della motivazione deve essere tale da sollecitare efficacemente il soggetto, senza tuttavia disturbare emotivamente il processo con una eccessiva urgenza. Dal punto di vista educativo pare particolarmente significativa la distinzione fra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca: la prima tende ad un risultato che è prodotto naturale dell’a., mentre la seconda tende ad una soddisfazione aggiunta dall’esterno, ad es. al riconoscimento sociale, a vantaggi economici, e simili. Quando il soggetto non è ancora maturo per apprezzare certi beni culturali, è prassi comune avviarlo verso di essi con incentivi estrinseci. Varie ricerche condotte in ambito scolastico dimostrano l’effetto della lode e del biasimo sull’a., e dimostrano pure che questi incentivi hanno differente risonanza in differenti personalità. In particolare si è verificato che il comunicare con chiarezza e tempestivamente i risultati dell’a. ne facilita il progresso, sia perché serve come lode o biasimo (motivazione estrinseca), sia perché informa su ciò che, nell’a., funziona o non funziona. Si è anche notato che, nell’a. scolastico, una motivazione estrinseca comporta principalmente una strategia riproduttiva: lo studente si limita a fissare il puro necessario per poter riprodurre il materiale, e la tecnica prevalente è quella della memorizzazione meccanica. Una motivazione intrinseca, al contrario, porta il soggetto ad approfondire la materia, a comprenderla e collegarla con altre informazioni, in una parola a fare un a. significativo. Infine è da rilevare che una educazione riuscita comporta che i valori siano ricercati per se stessi, e che perciò l’educando passi dalla motivazione estrinseca a quella intrinseca. Talora un educatore può illudersi di aver raggiunto certi scopi basandosi su condotte esteriori dell’educando che possono essere governate da motivazioni del tutto estranee ai beni educativi che sembrano incarnare.

2.4.​​ L’esercizio.​​ Poiché nell’a. l’acquisizione di nuove abilità è dovuta principalmente all’esperienza, il fattore esercizio risulta essenziale. Questo fattore si misura nelle ripetizioni di un’operazione, o nel tempo dedicato alla pratica. Nel processo dell’a. si manifesta un continuo e progressivo miglioramento delle prestazioni, frutto dell’accumularsi dell’esperienza; questo lento e continuo progresso differenzia l’a. dalla condotta intelligente, in cui si passa direttamente dall’incapacità, dovuta alla mancanza di comprensione, alla piena abilità, come frutto dell’intuizione. La funzione della ripetizione è quella di fissare e consolidare le connessioni nervose e simboliche richieste e di eliminare i passi non necessari, in modo da rendere fluida e rapida la condotta appresa. Quando le attività da apprendere sono complesse, e cioè risultano dalla somma di varie abilità elementari, si può notare il fenomeno del​​ plateau:​​ dopo un iniziale miglioramento, per un certo periodo non si rilevano progressi pur continuando l’esercizio, fino a quando il perfetto a. delle componenti elementari non permette la loro organizzazione nell’attività globale. Come per la memorizzazione, anche in questo caso si pone il problema se sia più efficiente un esercizio ammassato (in sessioni prolungate) o distribuito (in più sessioni relativamente brevi); in genere valgono le stesse indicazioni che si danno per la memorizzazione: non fare sessioni troppo brevi per utilizzare bene il tempo di «riscaldamento» o di preparazione, e per poter affrontare in una sola sessione unità coerenti del compito e, allo stesso tempo, evitare sessioni troppo lunghe, nelle quali non vi sia modo di rielaborare interiormente ciò che si apprende e la fatica, accumulandosi, renda inefficiente l’esercizio. Infine ci si chiede se sia meglio affrontare il compito da apprendere in modo globale o per singole parti; la risposta deve tener conto della natura del compito (in alcuni casi non ha senso suddividere il compito da apprendere, in altri la complessità impone la suddivisione), e delle disposizioni del soggetto (una persona più intelligente può approfittare maggiormente del contesto globale).

3.​​ Implicanze educative.​​ Il vasto campo degli oggetti, dei processi e dei fattori dell’a. apre una estesa problematica educativa, che in buona parte viene trattata nelle voci apposite. Tutto il campo dell’a. scolastico rimanda alla psicologia educativa / scolastica e della comunicazione; allo stesso modo l’a. di atteggiamenti suppone lo studio dell’apporto emotivo e valoriale del contatto con l’ambiente sociale. Raccogliendo alcune indicazioni da quanto si è esposto, notiamo come lo studio dell’a. rivela che si può essere condizionati senza accorgersene e che in noi si possono creare connessioni inconsce e incontrollate, che ci aiutano o ci disturbano. A questo riguardo è anche da rilevare che, accanto all’a. intenzionale, o appositamente ricercato, vi è un a. «incidentale», cui possiamo essere sottoposti senza volerlo. In secondo luogo si ricorda l’urgenza di verificare la disponibilità ad apprendere, e a curarla dove fosse carente; qualora ciò fosse trascurato, l’offerta educativa potrebbe essere del tutto o in parte inutile. Ancora si ricorda l’importanza di favorire il passaggio dalla motivazione estrinseca a quella intrinseca, così che l’educando non si senta governato dall’esterno, ma operi per adesione personale a valori da lui percepiti come tali. Infine, richiamando il vecchio detto che si impara non per la scuola, ma per la vita, si farà particolare attenzione che quanto si offre come oggetto di a. possa servire come base per quell’a. che, durante tutta la vita, permette di affrontare con successo i vari compiti che essa presenta.

Bibliografia

Hilgard E. R. - G. H. Bower,​​ Le teorie dell’a.,​​ Milano, Angeli, 1970; Bloom B. S.,​​ Caratteristiche umane e a. scolastico,​​ Roma, Armando, 1979; Roncato S.,​​ A. e memoria,​​ Bologna. Il Mulino, 1982; Bertondini A.,​​ Biologia e a.,​​ Bologna, Esculapio, 1984; Boscolo P.,​​ Psicologia dell’a. scolastico. Gli aspetti cognitivi,​​ Torino, UTET, 1986; Cornoldi C.,​​ A. e memoria nell’uomo,​​ Ibid., 1986; Gagnè E. D.,​​ Psicologia cognitiva e a. scolastico,​​ Torino, SEI, 1989; Montuschi F.,​​ Competenza affettiva e a. Dalla alfabetizzazione affettiva alla pedagogia speciale,​​ Brescia, La Scuola, 1993; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia,​​ vol. 2:​​ Conoscenza e a.,​​ Roma, LAS, 1994; Fiorin I.,​​ La relazione didattica:​​ insegnamento e a. nella scuola che cambia, Brescia, La Scuola, 2004.

A. Ronco




APPRENDIMENTO AUTODIRETTO

 

APPRENDIMENTO AUTODIRETTO

In ing.​​ Self-directed learning, in fr.​​ autoformation.​​ Dirigere se stessi nel proprio a. culturale e / o professionale può essere riletto secondo due prospettive complementari, integrando tra loro i concetti di autodeterminazione e di autoregolazione. Con il termine «autodeterminazione» si segnala la dimensione della scelta, del controllo di senso e di valore, della intenzionalità dell’azione: è il registro della motivazione, della decisione, del progetto, anche esistenziale. Con il termine «autoregolazione», che evoca monitoraggio, valutazione, pilotaggio di un sistema d’azione si insiste di più sul registro del controllo strumentale dell’azione. Al primo livello, nel dare senso, finalità, scopo all’azione ci si colloca sul piano del controllo di tipo «strategico», che mette in evidenza la componente motivazionale, di senso, di valore. Al secondo livello si richiede, invece, di sorvegliare la coerenza, la tenuta, l’orientamento dell’azione e regolarne il funzionamento o pilotarla; si tratta di un livello «tattico».

1. Nel caso dell’a. scolastico, le indagini finora svolte (Pellerey, 2006) hanno messo in luce le caratteristiche che distinguono gli studenti che sono in grado di autodirigere il proprio a. da quelli che non lo sono. 1) Essi hanno famigliarità e sanno utilizzare un insieme di strategie cognitive (memorizzazione, elaborazione, organizzazione), che li aiutano a considerare, trasformare, elaborare, organizzare e recuperare le informazioni. 2) Sono in grado di pianificare, controllare e dirigere i propri processi mentali al fine di conseguire obiettivi personalmente scelti. 3) Mostrano un insieme di convinzioni motivazionali ed emozioni favorevoli, come senso di autoefficacia scolastica, orientamento ad apprendere e non solo a conseguire buoni voti, sviluppo di emozioni positive nei riguardi dei compiti da affrontare (gioia, soddisfazione, entusiasmo, ecc.) e la capacità di controllarle e modificarle secondo le esigenze dei compiti e delle situazioni. 4) Sanno pianificare e controllare il tempo e lo sforzo coerentemente con gli impegni assunti, riuscendo a strutturare ambienti favorevoli all’a. e cercando nelle difficoltà l’aiuto degli insegnanti e / o dei propri compagni. 5) In base alle possibilità esistenti, mostrano grande impegno nel partecipare alla gestione degli impegni scolastici, del clima della classe e della sua organizzazione. 6) Sono capaci di mettere in atto una serie di strategie volitive, dirette ad evitare distrazioni interne ed esterne, a mantenere la concentrazione, lo sforzo e la motivazione, mentre portano a termine i loro compiti.

2. Come si può facilmente notare, le prime due indicazioni si riferiscono ad aspetti comportamentali di tipo metacognitivo, in quanto tengono conto di conoscenze, sensibilità, monitoraggio e governo di processi di natura cognitiva. La terza indicazione tocca aspetti di gestione della dimensione emozionale e motivazionale. La quarta e la sesta coprono competenze di natura volitiva, mentre la quinta evoca senso di partecipazione e responsabilità alla vita della comunità di a.

Bibliografia

Zimmerman B. J.,​​ A social cognitive view of self-regulated academic learning, in «Journal of Educational Psychology» 81 (1989) 329-339; Boekaerts M. - P. R. Pintrich - M. Zeidner (Edd.),​​ Handbook of self-regulation, San Diego, CA, Academic Press, 2000; Carré P. - A. Moisan,​​ La formation autodirigée.​​ Aspects psychologiques et pédagogiques, Paris, L’Harmattan, 2002;​​ Pellerey M.,​​ Dirigere il proprio a., Brescia, La Scuola, 2006.

M. Pellerey




APPRENDIMENTO COOPERATIVO

 

APPRENDIMENTO COOPERATIVO

L’a.c. (Cooperative learning)​​ è un metodo d’​​ ​​ insegnamento che si contrappone a metodi di tipo individualistico e competitivo. In senso generale può essere definito come un insieme di tecniche per la classe secondo le quali gli studenti lavorano in piccoli gruppi per attività di a. e ricevono valutazioni in base ai risultati conseguiti dal gruppo. In questo modo esso si propone di coinvolgere maggiormente le risorse e la responsabilità degli studenti nel loro a.

1. Dell’a.c. si conoscono varie modalità di applicazione: a) per D. W. Johnson e R. T. Johnson (1994), gli elementi fondamentali del​​ Learning together​​ sono: l’interdipendenza positiva, l’interazione promozionale faccia a faccia e l’uso di competenze interpersonali, la valutazione individuale e di gruppo, la revisione dell’attività di gruppo; b) per Slavin (1990) lo​​ Student team learning​​ ha i suoi punti forza nell’interazione del piccolo gruppo ma, soprattutto, nella responsabilità individuale e nell’elargizione di incentivi e ricompense il cui conseguimento stimola il gruppo all’impegno; c) secondo Kagan (1994), lo​​ Structural approach​​ propone come principi chiave: l’interazione simultanea, la partecipazione, l’interdipendenza positiva e la responsabilità individuale nei risultati di a. conseguiti; d) il​​ Group investigation​​ (Sharan-Sharan, 1992; Sharan, 1994) è un approccio particolarmente seguito e sviluppato in Israele. Esso sottolinea come elementi efficaci dell’a.: la ricerca, l’interazione, l’interpretazione e la motivazione intrinseca; e) la​​ Complex instruction​​ (Cohen, 1994) organizza l’a.c. a partire dalla constatazione che la formazione del piccolo gruppo favorisce i migliori e indica strategie da seguire affinché sia data a tutti i membri di un gruppo la stessa opportunità di esprimersi e di apprendere. In questo orientamento gli elementi essenziali sono: correggere i pregiudizi sulle abilità, educare gli studenti all’interazione e alle specifiche competenze secondo il compito richiesto, organizzare compiti complessi, attribuire a ogni studente un ruolo da svolgere, valutare il lavoro di gruppo per poterlo migliorare; f) il​​ Collaborative approach​​ (Cowie, 1995) raccoglie un vasto movimento che unisce al tema della mediazione del gruppo interessi e punti di vista diversi: l’a., prospettive curricolari, temi specifici (politici, sociali, psicologici).

2. Gli elementi essenziali per la scuola suggeriti dalla Cowie sono: organizzazione dei gruppi non basati sull’amicizia, insegnamento esplicito delle competenze sociali, gestione positiva del conflitto. Affinché i gruppi di studenti compiano un a.c., è necessaria la messa in atto di quattro elementi fondamentali: l’interdipendenza positiva, l’interazione faccia a faccia e l’uso di competenze sociali, la valutazione individuale e, infine, la revisione e il miglioramento continuo del lavoro di gruppo.

Bibliografia

Slavin R. E.,​​ Cooperative learning: theory,​​ research,​​ and practice,​​ Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1990; Sharan Y. - S. Sharan,​​ Expanding cooperative learning through group investigation,​​ New York, Teachers College Press, 1992; Cohen E. G.,​​ Restructuring the classroom: conditions for productive small groups,​​ in «Review of Educational Research» 64 (1994) 1-35; Johnson D. W. - R. T. Johnson - E. J. Holubec,​​ Cooperative learning in the classroom,​​ Alexandria, ASCD, 1994; Kagan S.,​​ Cooperative learning,​​ San Juan Capistrano, Kagan Cooperative Learning, 1994; Kagan S. - M. Kagan, «The structural approach: six keys to cooperative», in S. Sharan (Ed.),​​ Handbook of cooperative learning methods,​​ Westport, Greenwood Press, 1994, 115-133; Cowie H.,​​ International perspectives on cooperative and collaborative learning: an overview,​​ in «International Journal of Educational Research» 23 (1995) 197-200; Marín S.,​​ Aprender cooperando: el aprendizaje cooperativo en el aula, Madrid, Dir. General de Ordenación, 2003.

M. Comoglio