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ANTINOMIE PEDAGOGICHE

 

ANTINOMIE PEDAGOGICHE

Contrapposizioni che di fatto o di diritto si giudicano presenti nel​​ ​​ rapporto educativo e nella realtà educativa in genere.

1. Il termine a. (dal gr.​​ anti​​ = contro, e​​ nómos​​ = legge) in senso letterale dice un contrasto tra leggi, tra affermazioni di principio. In logica sta ad indicare affermazioni reciprocamente incompatibili. L’esperienza educativa mostra chiaramente la presenza di tensioni e contrasti nel modo di attuare e di intendere l’educazione nei suoi fini, contenuti e riferimenti contestuali (e si parla per questo di a.p. «materiali») o nei metodi e stili educativi (e si parla per questo di a.p. «formali»).

2. Le a.p. si manifestano in particolare nel rapporto educativo. Da questo punto di vista esso è interpretabile ad es. secondo la dimensione del «controllo», nelle polarità di dominanza-sottomissione, autorità-libertà; o secondo la dimensione «emozionale», nelle polarità di rifiuto-accettazione, di disistima-stima, di distacco-vicinanza, di antipatia-simpatia; o ancora secondo la categoria «possibilità di educazione» nelle polarità di passività-attività, di autoeducazione-eteroeducazione, direttività-nondirettività, educazione negativa-educazione positiva, di permissivismo-costrizione. Ma molte a.p. si colgono a livello di​​ ​​ educazione in generale, ad es. tra trasmissione e creatività, conformazione e personalizzazione, tra fini e mezzi, tra​​ ​​ domanda educativa e risposta o​​ ​​ proposta educativa, tra specializzazione e formazione generale, tra cultura letterario-umanistica e cultura scientifico-tecnica, tra educazione contenutistica («materiale») e educazione critica abilitativa («formale»), tra educazione funzionale e educazione intenzionale, tra istruzione e educazione, tra scuola e lavoro, tra scuola privata e scuola pubblica, tra scuola statale e scuola non-statale.

3. Da sempre nell’educazione vengono a rifluire le grandi a. antropologiche e etiche tra individuo e società, tra persona e istituzione, tra privato e pubblico, tra moralità e legalità; tra genitori e figli, tra adulti e giovani, tra tradizione e innovazione; tra l’io e il proprio sé; tra essere e coscienza; tra essere e agire, tra essere e avere, tra gratuità e utilità, tra spontaneità e razionalità, tra oggettività e soggettività, tra essenza e esistenza, tra natura e cultura, tra libertà e necessità, tra autonomia e eteronomia, tra materia e spirito, tra corpo e anima, tra corpo e mente, tra immanenza e trascendenza, tra interiorità ed esteriorità, tra temporalità e eternità, tra maschio e femmina, tra uomo e mondo, tra uomo e Dio.

4. Nella quotidianità della formazione, oggi, si risente delle grandi tensioni e contrapposizioni presenti nel più vasto contesto culturale e nei mondi vitali attuali: quelle tra globale e locale, tra universale e particolare, tra identità e differenza, tra cultura e multicultura, tra conoscenza e emozione, tra tecnologia e spontaneità della vita, tra autonomia e progetto, tra lavoro e tempo libero, ecc. Ciò porta, a livello scolastico a contrapporre, ad es., scuola delle conoscenze (e dei saperi) a scuola della socializzazione, scuola delle competenze (cioè delle capacità ad operare in maniera «esperta») a scuola della formazione; scuola della qualità e del successo scolastico e scuola dell’equità e delle opportunità educative per tutti; scuola delle tecnologie e scuola delle relazioni; scuola-azienda / impresa e scuola-comunità. Peraltro, le a.p. mettono in luce il carattere processuale, dinamico e relazionale della formazione e dell’educazione, sempre attuate nel tempo, inserite nella vicenda e nella storia personale e comunitaria, nei rapporti sociali di produzione e nella rete delle relazioni interpersonali e della comunicazione sociale. Ed evidenziano chiaramente la responsabilità educativa e pedagogica, personale e sociale, chiamata a cercare sbocchi positivi ai problemi che le a.p. manifestano.

Bibliografia

Maresca M.,​​ Le a. dell’educazione,​​ Roma, Bocca, 1916; Bertin G. M.,​​ Educazione alla ragione,​​ Roma, Armando, 1975; Hannoun H.,​​ Les conflits de l’éducation,​​ Paris, ESF, 1975; Peretti M.,​​ Autorità e libertà nell’educazione contemporanea,​​ Brescia, La Scuola, 1975; Franta H.,​​ Interazione educativa,​​ Roma, LAS, 1977; Caroni V. - V. Iori,​​ Asimmetria nel rapporto educativo,​​ Roma, Armando, 1989; Gigli A.,​​ Conflitti e contesti educativi. Dai problemi alle possibilità, Bergamo, Junior, 2004.

C. Nanni




ANTONIANO Silvio

 

ANTONIANO Silvio

n. nel 1540 a Castelli (Pescara) - m. nel 1603 a Roma, umanista e pedagogista italiano.

1. Un bambino prodigio, «il Poetino», sedicenne è titolare a Ferrara di una cattedra di Lettere Umane. Dal 1559 a Roma, segretario di Carlo​​ ​​ Borromeo, discepolo spirituale di Filippo Neri, si evolve dall’interesse per i classici a una spiccata sensibilità religiosa, con lo studio della filosofia e della teologia. È ordinato sacerdote nel 1568, lavora nella Curia, in particolare come segretario del Collegio cardinalizio (1568-1592); latinista raffinato compone i più importanti documenti del pontificato di Clemente VIII, che lo eleva al cardinalato (1599); è protettore in particolare delle Scuole Pie del​​ ​​ Calasanzio. Dal 1580 l’A. si impegna nella composizione dell’opera principale​​ Tre libri dell’educatione christiana dei figliuoli,​​ Scritti da M. Silvio A. ad instanza Di Monsig. Illustriss. Cardinale di S. Prassede,​​ Arcivescovo di Milano​​ [C. Borromeo]. In Verona, MDLXXXIIII. Appresso Sebastiano delle Donne, et Girolamo Stringari, Compagni. L’arbitraria variazione del titolo introdotta in edizioni successive (Dell’educazione cristiana e politica dei figliuoli)​​ ha contribuito a falsare il significato del lavoro e la sua valutazione, quasi l’A. avesse inteso offrire un trattato completo di pedagogia. In realtà egli volle soprattutto sottolineare la dimensione religiosa cristiana dell’educazione, «ordinata, et diretta alla somma, et perfetta felicità celeste», sia pure tenendo presente il più ampio riferimento all’educando «come huomo, et animal sociabile», «come cittadino, et parte di republica terrena» (I 4 e 40). Egli tratta dell’educazione da impartire nell’ambito di una famiglia sorta dal sacramento del matrimonio (lib. I); di tale educazione l’istruzione catechistica e la formazione religiosa cattolica (condotta sulla linea del​​ Catechismus ad parochos)​​ sono l’anima e il nucleo essenziale (lib. II); in questo quadro si collocano le linee di una pedagogia singolarmente sensibile alle inclinazioni e ai problemi posti dallo sviluppo fisico, intellettuale, morale dell’infanzia e dell’adolescenza (lib. III). Le soluzioni rispecchiano un sostanziale ed equilibrato «umanesimo cristiano», vicino alle esigenze delle classi medie e popolari, urbane e rurali, più che al mondo dei nobili.

2. In realtà, sebbene «lo scopo principalissimo del libro» sia dichiaratamente di «trattare dell’educazione in quanto cristiana», l’Autore rende ben presente che per la sua compiutezza vi è necessariamente inclusa anche la dimensione «umana» e «civile». Lo stesso gestore di istituzioni educative ecclesiastiche – scrive – mentre «procura di far un buon christiano, con l’autorità e mezzi spirituali, secondo il fin suo, procura insieme in conseguenza necessaria di far un buon Cittadino, che è quello che si pretende dal politico» (I 43). Nella medesima ottica, dovere dei padri è di «bene allevare sia civilmente che cristianamente i figli» (II 124), avviandoli anche all’esercizio di una delle tante attività necessarie per mantenere in vita la Città: artigianali, agricole, meccaniche, commerciali, letterarie, artistiche, didattiche, mediche, militari, ecclesiastiche, auliche (III 62-86). Anche nel momento della metodologia pedagogica pratica, l’indiscutibile autorità del​​ paterfamilias​​ è prudentemente controbilanciata da sincera «umanità» e da carità evangelica. Ricorrono con frequenza i termini «ragionevole», «ragionevolmente», muovere «la ragione et l’intendimento»; è raccomandata la «mediocrità» o moderazione in modo che il fanciullo non diventi precocemente adulto, anzi conservi «del fanciullesco in qualche cosa»; e il padre «ritenga una dolce severità, si che sia amato et temuto, di timor però filiale, et non servile et di schiavo» (III 7; II 29).

3. Sembra, quindi, riduttivo considerare l’A. semplicemente come il «pedagogista della controriforma» (G. B. Gerini, L. Credaro, E. Troilo, E. Codignola, R. G. Tentori, A. Scacchi, S. Moravia). Insieme a elementi di austerità disciplinare, nella sua sintesi pedagogica tendono a fondersi almeno tre altre tradizioni: patristico-medievale (vicina ai libri «de educatione nobilium»), classico-umanistica (nutrita del pensiero etico-politico e retorico-poetico di​​ ​​ Aristotele) e rinascimentale-riformista, disponibile a Roma alle istanze della spiritualità filippina e alle lontane severe esigenze del Borromeo.

Bibliografia

Vidari G.,​​ L’educazione in Italia dall’Umanesimo al Risorgimento, Roma, Optima, 1930, 99-102; Prodi P., «A.S.», in​​ Dizionario biografico degli italiani, vol. III, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,1961, 511-515; Zanzarri R.,​​ S.A.​​ Note e osservazioni, in «Storia dell’educazione» 2 (1978) 43-60; Id., «A.S.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia Pedagogica, vol. I, Brescia, La Scuola, 1989, 716-723; Rosa S.,​​ Pedagogia della riforma cattolica. M.S.A. e l’educazione dei «figliuoli», S. Atto di Teramo, Edigrafital, 2004.

P. Braido




ANTROPOLOGIA E EDUCAZIONE

 

ANTROPOLOGIA E EDUCAZIONE

Il rapporto tra a. e​​ ​​ educazione può essere visto in una duplice articolazione: da una parte l’a. come contributo di una scienza all’analisi delle problematiche e dei temi dell’educazione, in una prospettiva multidisciplinare; dall’altra, al contrario, l’educazione come un particolare fenomeno della​​ ​​ cultura e specifico campo nell’ambito degli studi antropologici.

1.​​ Definizione.​​ Entrambe le prospettive sono proficue, soprattutto se si parte da una loro definizione ampia e cioè: l’a. come studio della distanza culturale, con particolare riferimento alle società extra-europee; l’educazione come attività sociale deliberata e sistematica del trasmettere ed acquisire valori e conoscenze, ideologie e tecniche, competenze ed abilità, che fanno parte del patrimonio della cultura in cui gli individui si trovano a vivere. In particolare l’educazione così definita non si esaurisce nelle teorie e pratiche messe in atto con i sistemi formali scolastici ma, volendo comprendere sia il contesto culturale occidentale che quello delle culture etnografiche, va verso il concetto di «inculturazione», comprendendo aspetti formali e non formali di una serie di processi che si esprimono nella relazione individuo-cultura più in generale. Questi processi sono numerosi e riguardano: l’apprendimento dello standard richiesto per divenire​​ ​​ adulto in una società data, la trasmissione della cultura tra le successive generazioni, la dinamica sociale della cultura, la formazione di società multietniche. Così, ancora, luogo di svolgimento dell’educazione non è solo quello dell’istituzione​​ ​​ scuola, ma è coperto anche da una serie di agenzie che concorrono al​​ ​​ processo educativo dell’individuo, a partire dalla sua​​ ​​ famiglia di origine: il​​ ​​ gruppo dei coetanei, la strada e il vicinato, la​​ ​​ chiesa, il partito, il sindacato, le associazioni del​​ ​​ tempo libero, e soprattutto i mezzi di​​ ​​ comunicazione di massa, con particolare riferimento alle società occidentali. In altre parole, secondo questa accezione ampia del rapporto a. e educazione, i termini della relazione costituiscono ciascuno un «processo» e non un «fatto», per quanto complesso, in cui il processo culturale ed il processo educativo interagiscono costantemente. È in questa prospettiva che alcuni studiosi parlano di a. educativa o a. dell’educazione.

2.​​ Prospettive antropologiche.​​ Nella storia del pensiero scientifico degli studi etno-antropologici il rapporto a. e educazione si trova sviluppato in entrambe le direzioni sopra delineate. La prima prospettiva trova affermazione negli USA a partire dagli inizi di questo sec. con F. Boas, E. Sapir, R. Benedict,​​ ​​ Mead ed altri, ed acquisisce negli anni successivi un rinnovato impulso sotto la spinta delle teorie psicoanalitiche freudiane, in particolare con R. Linton e A. Kardiner. La seconda prospettiva vede la figura di B. Malinowski che, impegnato negli anni ’30 del secolo scorso nella fondazione di una teoria scientifica della cultura, in opposizione alle teorie evoluzioniste e diffusioniste in a., pone le istituzioni, in quanto appunto istituzioni sociali, come tratto differenziante la società umana dalla vita animale. Queste istituzioni – economia, politica, famiglia, educazione, magia / religione / scienza (con termine oggi più adeguato parleremmo di sistema simbolico o di sistema di credenze) – formano la cultura e sono la risposta sul piano organizzativo dell’uomo ai​​ ​​ bisogni naturali primari e comuni a più specie (sopravvivenza dell’individuo, del gruppo, della specie). Ancora, queste istituzioni sono identificabili come tratti universali dell’uomo e si configurano come «sistemi», cioè complesso di elementi interdipendenti tali, cioè, che al variare di uno di essi variano anche gli altri, in una logica organicistica. In particolare, poi, l’educazione svolge la funzione di rinnovare, formare, addestrare, istruire con i contenuti culturali l’elemento umano delle diverse generazioni, realizzando così il processo di continuità della cultura stessa quale apparato per la soddisfazione dei bisogni.

3.​​ Cultura e personalità.​​ Nella cultura statunitense degli inizi del sec. il dibattito sull’educazione vede incontrarsi, al di là delle loro differenze interne, i due filoni di pensiero del pragmatismo e del neo-idealismo nella convinzione che il mondo possa migliorare ad opera della ragione umana e che l’educazione – intesa solo come istruzione scolastica – costituisca la forza propulsiva di questa ragione. L’educazione viene così considerata dal punto di vista dell’​​ ​​ educatore, piuttosto che dal punto di vista del bambino che sta imparando, e definita essenzialmente come processo attraverso cui il bambino deve diventare ciò che l’adulto vuole che lui diventi. Di contro l’a. statunitense degli anni ‘30, nel più generale spirito di contributo alla crescita civile della società contemporanea, intende partire proprio dall’analisi dei processi d’apprendimento del bambino, individuando nell’analisi di contesti etnografici gli strumenti teorici e metodologici per stabilire i meccanismi che sovrintendono al processo di apprendimento. La ricerca antropologica è in grado di determinare le variazioni di questi meccanismi conseguenti alle differenze di cultura. Inoltre, per questa strada comparativa, l’educazione viene individuata come processo molto più ampio e comprendente tutto l’apprendimento formalizzato e non formalizzato, che porta l’individuo ad acquisire la cultura, a formarsi una​​ ​​ personalità, a socializzarsi, ad imparare ad adattare se stesso a vivere come membro di una data società. Lo sviluppo di questo filone di studi antropologici va suddiviso in due periodi successivi: dopo un primo periodo caratterizzato dalle ricerche comparative della Mead, nuovo impulso alla riflessione teorica avviene sotto la spinta delle teorie psicoanalitiche freudiane, in particolare con R. Linton e A. Kardiner. Interesse prevalente nel primo periodo è la dimostrazione della plasticità bio-psicologica della specie umana, sufficiente a consentire il condizionamento culturale degli schemi di comportamento degli adolescenti secondo modalità in contrasto con lo stereotipo dell’​​ ​​ adolescenza nella cultura del ceto medio europeo e statunitense. Così la Mead, al termine di numerosi studi sul campo presso diverse società dell’area del Pacifico, conclude che la responsabilità della formazione di quello che solitamente chiamiamo «temperamento» è da attribuire non a determinanti biologiche ma a contenuti educativi che, in armonia con le istanze più generali della cultura, privilegiano un comportamento particolare tra i tanti possibili. Inoltre, questa formazione non riguarda solo la fase dell’adolescenza del soggetto in formazione, ma molti altri momenti dello sviluppo e della formazione della personalità dell’individuo, anche nella sua età adulta. Infine la Mead riprende e sviluppa un tema caro ai suoi maestri, Sapir e Benedict, sulla «coerenza delle culture genuine» e la «incoerenza delle culture spurie»: le prime sono quelle prive di contraddizioni che, invece, sono caratteristica prevalente delle seconde, nel loro complesso. Queste contraddizioni, come la loro assenza, sono da riportare al modello educativo presente in una data cultura; compito dell’a. è, allora, quello di ricostruire la rete di questi caratteri educativi a partire da come il modello culturale complessivo si realizza storicamente in una cultura specifica. Ma a ben vedere, dato che la cultura delle popolazioni a livello etnografico non può essere individuata in istituzioni formali, il modello culturale viene colto dall’antropologo solo attraverso l’informatore di cui egli si avvale nella ricerca e che assume quale portatore dei valori espressi dal modello in questione. Alcuni interrogativi a catena, rimasti insoluti per questa posizione teorica, e che avranno soluzione successivamente solo con gli antropologi neo-freudiani, sono: a) quale relazione intercorre tra la cultura di un gruppo e la personalità dei suoi membri; b) perché alcune caratteristiche psicologiche sono condivise dai membri di un gruppo e sono coerenti, congruenti, appropriate alla cultura del gruppo stesso; c) come si spiega il cambiamento della società; d) se ogni individuo ripete quanto ci si aspetta dalle norme previste culturalmente, come, perché e quando l’individuo crea norme nuove che non corrispondono a quelle che ha introiettate nell’infanzia e nell’adolescenza; oppure, da dove prende norme esterne difformi, da introiettare una seconda volta, dopo aver introiettato nella fase infantile le prime norme. Alcune ipotesi di lavoro elaborate dagli antropologi statunitensi di questo periodo, come risposte a tali interrogativi, sono: a) gli esseri umani raggiungono la condizione umana attraverso l’apprendimento ma, poiché questo apprendimento è posto all’interno di un ambiente sociale diverso per i differenti gruppi umani, ogni individuo che nasce in un gruppo è strutturato in un modo caratteristico, corrispondente alle norme che orientano il comportamento dei membri della sua società. Egli è un essere umano in quanto ha appreso, ma di una comunità particolare in quanto l’apprendimento varia da società a società; b) nella fase dell’inculturazione la cultura viene ricostruita dentro ogni individuo in modo da costituire la struttura della personalità: egli è psicologicamente pronto a fare ciò che deve fare secondo le norme coercitive del suo gruppo; c) queste norme esterne, che portano al cambiamento, possono derivare dal contatto del gruppo con altri gruppi esterni, organizzati secondo norme diverse, da rapporti di «acculturazione». Da qui una visione dei processi educativi alquanto difforme dalla sua iniziale visione idealizzata: l’apprendimento non avviene in modo naturale, senza problemi, per chi deve apprendere, ma in una situazione conflittuale che crea, all’interno dell’individuo, una continua tensione, un continuo dinamismo che si verifica durante la fase dell’inculturazione adattiva tra un​​ quid​​ che c’è già dentro l’individuo e ciò che la cultura vuole che lui introietti dall’esterno. Questa tensione si svolge durante tutta la vita ed emerge quando circostanze particolari l’agevolano, producendo cambiamento, cioè nuova cultura. Ma per la definizione di questo​​ quid​​ bisogna aspettare l’elaborazione freudiana della teoria psicologica dell’inconscio. Infatti, anni dopo è A. Kardiner, psicoanalista neo-freudiano, a proporre uno schema operativo di spiegazione dei rapporti tra cultura e personalità, con la collaborazione di R. Linton, antropologo della scuola boasiana. È l’inizio del secondo periodo di questo filone di studi antropologici sull’educazione, cui si è accennato sopra. La cultura preesiste all’individuo già al momento della sua nascita. Nei primi anni di vita il piccolo della specie umana ha bisogno di cure finché non raggiunge l’autosufficienza e, grazie a queste cure, riceve soddisfazione ad una serie di suoi impulsi e di suoi bisogni psicofisiologici. La​​ ​​ frustrazione per Kardiner – a differenza di Freud – non viene prodotta dalla repressione del principio del piacere, ma dal mancato soddisfacimento dei bisogni fondamentali, cioè dal principio della realtà. I risultati della repressione sono rinvenibili nelle relazioni sociali imperfette, carenti, malsicure: il bambino che subisce repressioni dovute a scarse cure proietta successivamente sul sociale questo senso di carenza o di rivalità generando, attraverso questa proiezione, il significato ideologico delle norme sociali. Un certo tipo di repressione produce un certo tipo di assetto sociale che è coerente per tutti i momenti della vita sociale, perché unificato da una comune ideologia. Questo ordine sociale viene trasmesso da una generazione all’altra attraverso un sistema di allevamento infantile congruente con il modello di ordine sociale. Il bambino, per vedere soddisfatti i suoi bisogni, deve adattarsi a questo modello facendolo proprio e formandosi così un fondamento, una «personalità di base». Tutto ciò che si è prodotto nello scontro tra la struttura della personalità del bambino ed il primo rapporto con la cultura per la soddisfazione dei suoi bisogni, verrà ricercato dall’individuo, diventato adulto, in alcune istituzioni della società, istituzioni essenzialmente di tipo ideologico. Kardiner chiama queste istituzioni «secondarie» e chiama «primarie» quelle che presiedono al soddisfacimento dei bisogni fondamentali del bambino. L’insieme dei sistemi adattivi (nei confronti delle istituzioni primarie) e proiettivi (nei confronti delle istituzioni secondarie) costituisce ciò che Kardiner chiama la «struttura della personalità di base», che si pone a metà strada tra le istituzioni che sovraintendono al sostentamento e le istituzioni che costituiscono il sistema ideologico di un gruppo. La coerenza tra cultura e personalità viene postulata tanto all’interno delle istituzioni culturali quanto all’interno degli individui membri del gruppo. Infine, da esplicitare, come sottolinea Tentori, la serie di postulati che sono alla base del passaggio teorico tra risultati dell’educazione e presupposti culturali della formazione, riguardo alla personalità di base: a) le prime esperienze dell’individuo esercitano un influsso duraturo sulla personalità, specie sullo sviluppo dei sistemi proiettivi; b) esperienze analoghe tendono a produrre configurazioni della personalità simili in individui che sono soggetti ad esse; c) le tecniche che i membri di ogni società impiegano nella cura e nell’allevamento dei fanciulli sono culturalmente modellate e tendono ad essere simili, benché mai identiche; d) le tecniche culturalmente modellate per la cura e l’allevamento dei soggetti differiscono da una società all’altra.

4.​​ Interculturalità e multiculturalità.​​ Un contributo significativo può oggi dare l’a. allo studio dei problemi d’acculturazione derivanti, nelle stesse società occidentali, dalla presenza di individui e gruppi provenienti da culture diverse rispetto al contesto d’ospitalità. I due termini interculturalità e multiculturalità, secondo prospettive diverse, stanno proprio ad indicare il complesso delle relazioni tra culture «altre» e distanti, venute in contatto diretto sul terreno delle società occidentali. La presenza di tali fenomeni culturali, in parte nuovi per alcuni Paesi europei, mette in luce dinamiche spesso di conflitto tra le parti e pone, comunque, problemi di prospettiva politico-educativa e di reciproca conoscenza delle parti in gioco. Fenomeni di etnocentrismo, razzismo, intolleranza si contrappongono qui, sulla base del rapporto di alterità e differenza culturale, ad altrettanti valori quali il relativismo, l’integrazione, la tolleranza. Alla pratica e diffusione di questi valori può oggi contribuire l’a., proprio come studio della distanza culturale, per le sue specifiche finalità conoscitive, mentre all’educazione spetta il compito di avviare riflessioni, strumenti d’intervento, quadri teorici ed esperienze di interculturalità e multiculturalità. In particolare, luogo privilegiato di analisi e formazione consapevole di queste prospettive socio-culturali è il contesto scolastico. In questo contesto, infatti, si esprimono i meccanismi anche inconsci del controllo sociale e di esclusione della parola, quale garanzia del potere e dell’organizzazione dei ruoli sociali e culturali. Ancora, tra le pareti scolastiche si giocano i diversi ruoli nel rapporto docente / discente che esprimono massimamente i codici della comunicazione tra persone di diverse culture. Infatti, il processo della conoscenza, che si articola attraverso i diversi livelli di comunicazione, comprensione e spiegazione, in questo contesto può diventare strumento dell’incontro tra libere espressioni di portatori di diversa cultura, se il docente controlla il suo stesso codice pedagogico messo in atto. Da un punto di vista, poi, dei linguaggi la classe diventa luogo di acculturazione reciproca nella prospettiva di un confronto e di un’interazione in cui entra in gioco tutta la gamma delle potenzialità espressive linguistiche, grafiche, gestuali, cinesiche, prossemiche dei discenti. Non si tratta soltanto di penetrare l’esperienza altrui con gli strumenti propri della «riduzione antropologica», sia pure mettendo in luce ed esplicitando le nostre pregiudiziali per cogliere i modi d’esperire dell’altro. Piuttosto, l’indagine «antropologica» si apre a partire dalla intersoggettività che fonda la relazione con l’altro, cioè dalla relazione tra soggetti. In questo senso, come nota G. Bateson, «ogni significato dell’informazione e della comunicazione dipende dalla differenza che dà senso all’unità», come dire, ancora, che «è nell’ascolto che si genera la comunicazione».

Bibliografia

Mead M.,​​ Antiche tradizioni e tecniche nuove,​​ Torino, Ilte, 1959; Malinowski B.,​​ Teoria scientifica della cultura ed altri saggi,​​ Milano, Feltrinelli, 1962; Id.,​​ Lo studio dell’uomo,​​ Milano, Bompiani, 1964; Kardiner A.,​​ L’individuo e la società,​​ Ibid., 1968; Beals R. - H. Houer, «L’educazione e la formazione della personalità», in​​ Introduzione all’a. culturale,​​ Bologna, Il Mulino, 1970, 555-595; Mead M.,​​ A. una scienza umana,​​ Roma, Astrolabio / Ubaldini, 1970; Kardiner A.,​​ Le frontiere psicologiche della società,​​ Ibid., 1973; Linton R.,​​ Lo studio dell’uomo,​​ Ibid., 1973; Callari Galli M.,​​ A.​​ e educazione. L’a. culturale e i processi educativi,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1975; 1979; Tentori T.,​​ A. culturale. Percorsi della conoscenza della cultura,​​ Roma, Studium, 1990; Camilletti E. - A. Castelnuovo,​​ L’identità multicolore. I codici di comunicazione interculturale nella scuola dell’infanzia,​​ prefazione di M. Squillacciotti, Milano, Angeli, 1994; Liverta Sempio O. - A. Marchetti (Edd.),​​ Il pensiero dell’altro. Contesto,​​ conoscenza e teorie della mente, Ibid., 1995; Nanni C.,​​ A. pedagogica e scritture per l’oggi, Roma, LAS, 2002.

M. Squillacciotti




ANTROPOLOGIA PEDAGOGICA

 

ANTROPOLOGIA PEDAGOGICA

Ambito della riflessione pedagogica riguardante i tratti umani e la concezione dell’uomo, che soggiace o fa da quadro di riferimento alla ricerca e alla riflessione pedagogica e che, in vario modo e misura, illumina e motiva l’​​ ​​ azione educativa (v. anche​​ ​​ uomo).

1.​​ L’a. come forma caratteristica del pensiero contemporaneo.​​ Al di là delle sue tradizionali forme disciplinari (filosofica, fisica, culturale, sociale, medica, pedagogica...), l’a. è venuta ad avere un posto centrale nella cultura occidentale del nostro secolo, al punto da far parlare di una «svolta antropologica». Ma è innegabile che essa è risultato di un processo e di una ricerca culturale, plurisecolare ed epocale, che ha caratterizzato fin dall’inizio l’epoca moderna. Sul terreno dell’a., la riflessione e la ricerca degli ultimi decenni sembra aver superato la frattura tra teologia, filosofia e scienze umane, arrivata al suo punto più alto alla fine del secolo scorso e nella prima metà del nostro secolo. Tra tali ambiti di studio sembra ultimamente esserci un tacito patto di alleanza, allargata alle scienze naturali ed ecologiche, alle scienze logiche e matematiche, alla ricerca tecnologica ed informatica (soprattutto quella riguardante lo studio e la ricerca sull’​​ ​​ intelligenza artificiale). La necessità di una «nuova sintesi», ben oltre quella tra biologia e sociologia auspicata e tentata da E. O. Wilson e collaboratori, si coniuga con una forte e sentita «preoccupazione per l’uomo» (Guardini). Le grandi religioni (ma a loro modo anche molte nuove forme di religiosità), la politica internazionale, il sistema della comunicazione sociale sembrano vincere la loro tradizionale separatezza e il reciproco sospetto proprio attorno alla difesa, alla tutela e alla promozione dei diritti umani. Questi impegni pratici e percorsi teorici hanno evidenziato: «il posto dell’uomo nel cosmo», unico tra gli esseri viventi «che sa dire di no» perché capace di trascendenza (Scheler); l’«analitica esistenziale» della condizione umana e del suo «essere nel tempo con gli altri» (Heidegger); il suo operare che lo rende capace di «liberarsi dallo svantaggio» e dalle «manchevolezze della sua esistenza» (Gehlen) perché incamminato lungo «la via della cultura e della civiltà» (Cassirer) o perché capace di azione economica trasformatrice e di «lotta politica» (Marx); la sua «eccentricità» (Plessner) e il suo «essere diverso», perché persona (​​ personalismo); e tuttavia la sua vicinanza alla condotta animale (che fa pensare a​​ ​​ Lorenz, all’«altra faccia dello specchio» e a Morris, alla «scimmia nuda»); la sua ingegnosità tecnologica, che porta quasi ad annullare i limiti tra «naturale» e «artificiale», tra «reale» e «virtuale». Ma hanno pure portato alla luce: la vastità del «mondo della vita» (Husserl); la profonda e contraddittoria forza impulsiva e aggressiva, inconscia e conscia (psicoanalisi e etologia); l’assurdità e il non senso dell’esistenza (esistenzialismo); l’alienazione e la dominazione propria di molti rapporti interpersonali e sociali (marxismo e neo-marxismo); le tante forme di necessità e casualità con cui ha a che fare (Monod); la rigidità e la pesantezza delle strutture in cui si trova avviluppato (strutturalismo); la vena di nichilismo che pervade l’attuale condizione storica (Nietzsche e il neo-nichilismo); il rischio di perdita dell’identità e del senso della vita e dell’agire nell’accrescersi della complessità vitale del mondo globalizzato, delle dinamiche multiculturali, dell’espandersi del «virtuale», e delle profonde possibilità di intervento sull’uomo che le innovazioni tecnologiche permettono (intelligenze artificiali, robot, cyborg, clonazione, ecc.), tali da far parlare di «post-umano» (Fukuyama).

2.​​ Aspetti disciplinari della a.p.​​ Suggestioni sulla vita umana e sull’essere uomo in sé e per sé, o in quanto società politicamente organizzata o ancora in quanto essere relazionato con Dio e con una comunità religiosa, sono alla base della pratica educativa e della riflessione pedagogica tradizionale antica e moderna. In tal senso rimane fondamentale l’apporto della ricerca filosofica e teologica. Tuttavia, è tra le due guerre e nell’immediato secondo dopoguerra, soprattutto in ambienti di cultura tedesca, che l’a.p. si è andata delineando nella sua specificità. Più che di un ambito disciplinare univoco, si tratta per lo più di contributi di vario tipo e di diverso approccio: a prevalenza filosofica, psicologica, sociologica, antropologico-culturale, biologico-neurologica; come risultato di ricerca storica o di ricerca positivo-sperimentale. Pure notevoli sono le differenze di scuola o d’indirizzo, anche nel solo ambito psico-sociologico (comportamentistico, funzionalistico, strutturalistico, cognitivistico, fenomenologico, ermeneutico, emancipativo). E tuttavia, negli ultimi tempi sembra rilevabile una larga convergenza che va ben oltre la comunanza dell’oggetto d’indagine: il farsi umano, nelle sue molteplici dimensioni e modalità processuali, nel suo sviluppo evolutivo o nel suo quadro terminale di personalità adulta, matura, anziana. La via più comune di ricerca è ancora quella che tende a mettere in luce anzitutto le particolarità d’ingresso nella vita dell’essere umano, soprattutto in rapporto con gli altri esseri viventi, grazie agli apporti della genetica, della biologia, dell’etologia, dell’​​ ​​ a. culturale e sociale. In tal senso si mettono in luce la «precocità», l’«inettitudine», l’«immaturità» e per altro verso le radicali capacità di apertura relazionale, di apprendimento, di intelligenza, di simbolizzazione, di linguaggio, di plasticità e di adattamento all’ambiente. Ma, in rapporto alla coscienza pedagogica contemporanea, che ha dilatato i tempi ed i modi dell’educazione con i concetti di​​ ​​ educazione permanente, di società educante e di educazione integrale, particolare attenzione viene oggi riservata anche alla tarda giovinezza, agli adulti, agli anziani (e, pertanto, andando ben oltre la cosiddetta​​ ​​ pedologia). Il senso del limite e dell’impegno umano, la migliore conoscenza del potenziale umano e delle risorse umane, hanno stimolato a comprendere meglio l’umanità di coloro che in vario modo sono diversamente abili o variamente svantaggiati; ed hanno fatto allargare lo sguardo pedagogico a categorie di persone o aree umane poco considerate in passato (giovani, donne, malati, sottoproletariato urbano e rurale, emarginati, immigrati, minoranze etniche, linguistiche, religiose...). A loro volta, le modalità epocali, complesse, differenziate e in profondo mutamento, hanno spinto a ripensare le categorie antropologiche di base del rapporto e dell’intervento educativo: la libertà, l’alterità, la reciprocità; la soggettività, la razionalità, la prassi e la progettualità umane (​​ senso).

3.​​ L’educabilità.​​ Comune è anche l’obiettivo e l’interesse che guida questi modi di ricerca pedagogica: attraverso la raccolta d’indizi presenti nel fenomeno umano si cerca di delineare i «compiti» dello sviluppo e i tratti qualificanti l’esistenza umana nelle diverse età, situazioni e modalità di vita. Il risultato a cui si tende è l’accrescimento delle conoscenze riferibili in vario grado alle caratteristiche evolutive, esistenziali ed essenziali degli esseri umani, che permettano di considerarli​​ ​​ soggetti (termine più preciso di «destinatari») di attività educative. Per tal motivo si dice che l’a.p. ha come suo fine ultimo aiutare a comprendere più e meglio l’«educabilità» umana. Con questa categoria, s’intende globalmente riferirsi a quegli ambiti e a quegli aspetti dell’esistenza soggettiva, relazionale e sociale, che richiedono o perlomeno appellano ad un’azione individuale e / o comunitaria di sostegno o d’aiuto, affinché arrivino ad un loro sviluppo, per quanto è possibile «formato», vale a dire ottimale, o quanto meno adeguato alle esigenze dell’ambiente e dei tempi. In questi termini «educabilità» significa ciò che in vario grado, nei soggetti, nei gruppi, nelle comunità può essere aperto all’azione educativa. Per altro verso, e conseguentemente, con la categoria dell’«educabilità» si viene ad indicare, per così dire, il campo d’azione dell’educazione. In tal modo si viene a evidenziare, come – secondo la formula cara all’esistenzialismo, ma ormai comune alla coscienza culturale contemporanea – l’essere umano, nel corso della sua esistenza storica, costruisce e definisce se stesso. E ciò, sulla base delle potenzialità soggettive ed oggettive che gli si presentano, nell’interazione con l’ambiente, grazie all’aiuto degli altri, per cui è messo (e man mano si mette) a parte del patrimonio sociale della cultura; e sempre più, crescendo, compartecipa con l’apporto delle sue decisioni ed azioni alla trasformazione e qualificazione umana di se stesso e del mondo. In tale volume di processi, al medesimo tempo naturali ed umani, individuali e collettivi, è pure iscritta la possibilità di involuzioni, di cadute in forme regressive, di fissazioni funzionali, di dominazioni esterne, di alienazioni di se stessi. Peraltro la pedagogia contemporanea tende sempre più a dar risalto alla fondamentale storicità e individualità sia del bagaglio di potenzialità formative, individuali e contestuali, sia della formazione di esse: ad evitare qualsiasi forma di omologazione e standardizzazione massificante e, all’opposto, a dare spazio alla varietà e alla ricchezza delle differenze e particolarità individuali o di gruppo.

4.​​ Necessità dell’educazione?​​ La categoria dell’educabilità mette in risalto un modo specifico e globale di vedere l’uomo. L’a.p. si rivela come una modalità di essere della a.​​ tout court,​​ in quanto fa pensare all’uomo in termini di​​ animal educandum:​​ indicando – come la classica definizione aristotelica dell’uomo​​ animal rationale –​​ ciò che caratterizza specificamente l’uomo rispetto agli altri esseri viventi. Tale definizione sarebbe perlomeno da porre accanto alle caratterizzazioni che via via nell’età moderna sono state date dell’uomo:​​ homo educandus​​ accanto a​​ homo faber,​​ loquens,​​ symbolicus,​​ historicus,​​ religiosus,​​ ludens,​​ ecc. Secondo alcuni pedagogisti dell’area tedesca (M. Langeveld in particolare), l’uomo, quale «essere da educare» costituirebbe l’oggetto proprio dell’a.p. ed offrirebbe ad essa il fondamento per la sua autonomia di disciplina scientifica. Per gli stessi autori, la definizione dell’uomo​​ animal educandum​​ sarebbe da prendere non solo nel senso più ovvio di «soggetto d’educazione», ma nel senso forte di essere che è «di necessità» da educare. L’educazione sarebbe assolutamente necessaria e non semplicemente un fattore utilissimo di formazione e qualificazione umana (in termini tecnici: di «necessità metafisica» e non semplicemente di «necessità morale»). Indubbiamente ciò che risulta necessario assolutamente è la partecipazione ad una comunità umana. Senza l’aiuto degli altri e la convivenza nell’«utero sociale» non si diventa e non si è umani, come a loro modo mettono in evidenza le vicende di bambini inselvatichiti o isolati socialmente. Rispetto alla «possibilità», che la categoria dell’«educabilità» esprime, la terminologia​​ educandum,​​ aggiunge nella sua forma grammaticale, l’istanza di impegno etico, la dimensione morale e di responsabilità che l’educazione comporta. L’«educabilità» trova il suo corrispettivo nel diritto soggettivo alla formazione, all’istruzione e all’educazione e nel dovere e compito, sociale e soggettivo, di dare adeguata attuazione a tale diritto. Ma è evidente che se si facesse riferimento all’educazione intenzionale e alla scolarizzazione sistematica, questa necessità non sarebbe più assoluta, perché molto si potrebbe apprendere per partecipazione diretta, per immersione nella vita e nelle pratiche sociali (quella familiare o del clan in particolare), per imitazione degli altri in genere e del gruppo o dei gruppi di appartenenza in particolare. In questo senso stretto di educazione, essa sarebbe necessaria tutt’al più per determinate persone chiamate a compiti, ruoli o «mestieri» specifici. Il problema tuttavia si pone oggi in modo nuovo: al livello di complessità sociale e vitale in cui storicamente ci troviamo a vivere, forse diventa necessario (e non semplicemente utile o aggiuntivo) per tutti un intervento sociale, specifico e sistematico, atto a favorire una crescita umana adeguata al livello di vita attuale e tale da essere umanamente degna di essere vissuta. I termini della questione risulterebbero pure più articolati se l’educazione venisse riferita non solo alla formazione dei singoli, ma all’insieme della vita sociale con le sue istanze storiche di liberazione e promozione integrale, per tutti e per ciascuno, per i popoli e per l’umanità intera presente e futura.

5.​​ Il limite dell’educazione.​​ Quest’attenzione alla situazione contemporanea ha il suo radicamento «ontologico» nell’essenziale storicità e culturalità della vicenda umana, sempre ed intrinsecamente connotata dall’essere nel mondo con gli altri nella storia (al cui interno si pone, come prassi specifica, l’azione sociale di formazione). D’altra parte la tendenza a relativizzare la necessità dell’educazione ha pure il suo significato. In primo luogo essa sta a difendere la personalità del soggetto contro eccessive intromissioni esterne. In secondo luogo tende a dar risalto alle priorità del soggetto nei processi formativi, soprattutto quando, con il crescere dell’età si consolida sempre più l’attitudine dell’auto-direzione, quando cioè si diventa in qualche modo ed in diversa misura capaci d’intervenire su se stessi e sul proprio destino. In terzo luogo può essere considerata come un’istanza critica nei confronti di ogni tendenza a credere nell’onnipotenza dell’educazione. Non si vuole in alcun modo sminuire l’importanza, anzi l’urgenza e la responsabilità individuale e sociale di contribuire alla promozione umana attraverso l’educazione; ma certo occorre vigilanza critica rispetto ai facili, ingenui ed acritici affidamenti all’educazione, fin quasi a dimenticarne la fondamentale limitatezza, ambivalenza, facilità ad essere strumentalizzata (​​ educazione). L’esperienza educativa del passato e quella attuale possono essere abbastanza chiarificatrici al riguardo. La persona non è chiusa entro le strutture dei sistemi educativi ed entro il raggio d’azione dei suoi molteplici educatori. Anche se senza il contributo di altre persone non si arriva ad essere pienamente umani, è pur vero che l’educazione, nonostante le sue pretese, non sempre risulta in concreto positiva per l’avanzamento umano. Inoltre non tutto nell’essere è educabile. A sua volta l’enfasi sul bisogno di educazione, quando non è espressione di un eccessivo utopismo pedagogico o supporto ideologico di certi messianismi politici, è certamente un indice di quella vena d’illuminismo antropocentrico che pervade l’età moderna e che si affida – non sempre criticamente – alle capacità razionali di trasformazione umana ed ambientale. Dei limiti e delle possibili deviazioni di tale capacità la cultura contemporanea è stata fatta accorta soprattutto dagli esiti profondamente ambigui della tecnologia contemporanea e dal rischio, fattosi sempre più concreto, del tracollo ecologico o di una conflagrazione bellica nucleare, ben più rovinosa delle già gravi guerre mondiali (e le infinite guerre dei poveri) del sec. scorso.

6.​​ A.p. e pedagogia.​​ In alcuni ambienti pedagogici si usa distinguere l’a.p. dalla «teleologia pedagogica» (che studia i fini) e dalla «metodologia pedagogica» (che studia le strategie educative). Ad esse si potrebbe aggiungere la «tecnologia pedagogica» (per lo studio e la ricerca dei mezzi e degli strumenti operativi). Ma si è visto come spesso l’a.p. si allarga o perlomeno allude all’ordine dei fini e degli obiettivi educativi. Senza negare la legittimità di tali ambiti di studio, c’è certamente da evidenziare almeno la necessità di una corretta e valida​​ ​​ interdisciplinarità tra essi. All’interno poi dell’a.p. c’è da notare che il discorso dell’educabilità acquista tutta la sua pregnanza se si porta la ricerca non solo sui «fondamenti» strettamente antropologici, ma anche sulla concezione della realtà in generale e sui possibili orizzonti di valore che si discoprono all’azione umana. L’a.p. «necessita» di rapportarsi all’ontologia, alla ricerca metafisica, all’assiologia e, secondo i credenti, anche alla riflessione teologica e sapienziale.

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C. Nanni