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AMBIENTE

 

AMBIENTE

Dal lat.​​ ambiens,​​ participio da​​ ambire​​ (andare intorno, stare intorno, circondare, essere circostante; ma anche desiderare). Da qui il significato di una proiezione dall’interno verso l’esterno.​​ Lato sensu​​ si parla di a. per indicare: a) il complesso delle condizioni esterne a un organismo dove si svolgono la vita vegetale e quella animale, b) l’insieme delle caratterizzazioni biologiche, sociali, culturali di un dato sistema, c) una specifica parte di spazio. Nelle​​ ​​ scienze dell’educazione, si affaccia,​​ stricto sensu,​​ un’idea di a. quale «mondo» (Welt)​​ culturale in cui avvengono i processi e i percorsi della formazione (Bildung)​​ del soggetto. Non privo di assonanze con l’idea di​​ medius locus​​ presente nella cultura latina, il concetto di a. si è tuttavia sviluppato soltanto di recente. Lo si trova, così, all’interno delle scienze umane, in particolare nella sociologia di​​ ​​ Comte, nella psicologia di​​ ​​ Watson, nella pedagogia di​​ ​​ Rousseau, nella psicanalisi di​​ ​​ Freud. Diviene poi riferimento comune per le scienze naturali e più specificamente nella biologia, nell’ecologia e, ormai, anche in genetica o nelle​​ ​​ neuroscienze. Importanza ragguardevole riveste pure nelle scienze politiche, nelle scienze sociali ed economiche, in urbanistica e architettura, nella semiotica dello spazio, nella​​ ​​ prossemica e nella teoria dei sistemi, infine all’interno delle stesse scienze dell’educazione Sicché, alla desueta «mesologia pedagogica» (dimenticato settore della pedagogia, che studia l’a. ponendolo al centro dell’itinerario di crescita) è venuta sostituendosi una più confacente​​ pedagogia degli a. educativi,​​ orientata a sondare le interazioni istituite tra la formazione, l’educazione e l’istruzione dell’uomo con: a) gli a. abitativi (la casa, gli arredi), b) gli a. scolastici (l’aula, l’edificio scolastico, i laboratori), c) gli a. sociali (la città, l’ecosistema, i mondi culturali dell’extrascolastico, il paesaggio accolto come​​ genius loci).​​ Nel dibattito pedagogico contemporaneo e all’interno della medesima attività educativa, la categoria a. sussume una propria centralità, specialmente in relazione alle tematiche della formazione umana, degli spazi educativi, delle variabili ecologiche e psico-sociali, dei beni ambientali e culturali, di ogni teoria pedagogica sugli a. educativi.

1.​​ A. e formazione umana.​​ La formazione dell’uomo, della sua parte più profonda e nascosta e del suo stesso «mondo» culturale può essere compresa e guidata solo se il processo educativo viene confacentemente saldato all’a. familiare scolastico e sociale. Il nesso tra a. e formazione umana accompagna la stessa genesi della crescita fisico-biologica, socio-relazionale, psicosessuale, emotivo-affettiva, cognitivo-intellettiva, etico-valoriale e spirituale del soggetto in ogni età della vita. Si tratta, allora, di operare una ricomposizione fra le teorie innatistiche (nella struttura genetica individuale vi è già scritto il cammino formativo) e le teorie ambientalistiche (dall’a. di appartenenza dipende il futuro del singolo), al fine di recuperare la positività del legame che unisce​​ natura​​ e​​ cultura,​​ evidenziando la reciprocità fra il soggetto e l’a. in cui vive.

2.​​ Antropologia pedagogica e spazio educativo.​​ Al problema della natura umana colta nella sua specificità ontologica, assiologica e teleologica, si affianca quello della cultura umana percepita nelle dimensioni storiche etologiche ed esistenziali. Il «mondo» del soggetto coincide sia con il suo universo personale più intimo sia con l’onnilateralità delle proiezioni verso cui il soggetto in evoluzione viene (o si sente) orientato. Per questo la scelta degli a. in cui avvengono i processi di formazione risulta decisiva. Ecco allora che un’antropologia pedagogicamente strutturata incontrerà nell’idea di «spazio educativo» il luogo e il fattore a cui ascrivere gli eventi formativi nel macro- e nel micro-cosmo sociale: la​​ ​​ ludicità e il​​ ​​ lavoro, l’educazione e l’istruzione permanente, l’autoeducazione e l’eteroeducazione, il corpo e la mente costituiscono ulteriori riferimenti tematici da non trascurare in una pedagogia degli a. educativi.

3.​​ Ecologia ambientale e sociale.​​ La grave e forse irreversibile crisi ecologica in cui versa il pianeta ha obbligato le scienze umane e, al loro interno, le scienze dell’educazione a ripensare i rapporti con quella branca della biologia che studia gli organismi viventi e il loro a. circostante: l’ecologia. Confermatasi ormai come disciplina dotata di uno statuto epistemologico autonomo, insieme alle scienze sociali ha prodotto importanti teorie sull’habitat​​ umano, sui pericoli che la «modernità» (con la scienza a servizio dell’industrializzazione, delle tecnologie nucleari, delle guerre) ha posto in essere, sui rischi per l’intero ecosistema. La sociologia, più in particolare quella urbana, si è invece misurata con i grandi processi demografici, economici e politici presenti nella gestione di quello smisurato «sociosistema» che è la metropoli contemporanea. L’ecologia sociale, poi, occupandosi dei fenomeni di migrazione, ha ricondotto l’analisi dei​​ sistemi naturali​​ e dei​​ sistemi artificiali​​ verso i confini dell’intercultura, dell’interrazzialità, dell’intersoggettività.

4.​​ Beni ambientali,​​ beni culturali,​​ beni mediali.​​ Nel pensare a un sistema formativo polimorfico, flessibile e integrato in una rete unitaria di saperi e di servizi stesa sul​​ territorio,​​ viene accreditandosi l’idea dell’a. pensato a partire dai «beni» che racchiude e, con l’impegno dell’uomo, custodisce. Fra questi spiccano i​​ beni ambientali,​​ ossia la natura incontaminata e il paesaggio che non è stato deturpato dall’azione umana; i​​ beni culturali​​ ovvero quegli a. ricchi di significato pedagogico (tra cui risaltano le biblioteche, i musei, i teatri, gli archivi, ecc.), che abbisognano di tutela e valorizzazione; i​​ beni mediali,​​ quindi tutti gli a. in cui prevalgono i linguaggi massmediatici (cineteche, fonoteche, mediateche).

5.​​ L’a. educativo e la sua pedagogia.​​ L’a. implica oggi la «responsabilità» dell’uomo che lo abita e quella dei sistemi sociali complessi che lo gestiscono. Se a livello individuale si è evoluta non poco la coscienza ecologica dei singoli, sul piano collettivo l’a. rimane ancora una sorta di immensa zona franca di grande contenitore da riempire, di terra di nessuno dove poter inquinare senza essere perseguiti da una legislazione, peraltro incompleta e permissiva. La pedagogia e le scienze dell’educazione hanno il compito di contribuire a chiarire l’importanza formativa dell’a. per un​​ uomo umano.​​ Inoltre, esse possono maturare una consona teoria degli a. educativi che, muovendo dalla nozione di​​ spazio pedagogico,​​ sappia riconsiderare la casa, la scuola e l’extrascuola come i luoghi in cui viene costruendosi la formazione personale e comunitaria. La​​ città​​ può essere allora considerata come la più significativa estrinsecazione del concetto di a., dal cui dimensionarsi pedagogico dipende il conformarsi della «città educante». L’​​ ​​ educazione ambientale si schiude, così, all’​​ ​​ educazione sociopolitica oltre che alle politiche dell’a. La questione ambientale pone, quindi, a tema​​ la vita della vita,​​ l’ecologia dello sviluppo umano,​​ il nesso tra​​ umanesimo e urbanesimo,​​ i progetti per l’educazione ambientale. È nel segno distintivo dell’umano che tali prospettazioni vanno affrontate, affinché l’a. sia una costante positiva della formazione.

Bibliografia

Spranger E.,​​ A. e cultura,​​ Roma, Armando, 1959; Flores d’Arcais G.,​​ L’a.,​​ Brescia, La Scuola, 1962; Lewin K.,​​ Il​​ bambino nell’a. sociale,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1963; Clausse A.,​​ Teoria dello studio di a., Ibid., 1964; Debesse Arviset M. L.,​​ A. ecologico e didattica,​​ Brescia, La Scuola, 1977; Norberg Schulz Ch.,​​ Genius loci. Paesaggio,​​ a.,​​ architettura,​​ Milano, Electa, 1979; Giolitto P.,​​ Educazione ecologica,​​ Roma, Armando, 1983; Gennari M.,​​ Pedagogia degli a. educativi,​​ Ibid., 1988; Id.,​​ Semantica della città e educazione,​​ Venezia, Marsilio, 1995, Id.,​​ Filosofia della formazione dell’uomo, Milano, Bompiani, 2001.

M. Gennari

AMERICA DEL NORD:​​ sistemi educativi

Pur comprendendo l’A.d.N. sia gli Stati Uniti sia il Canada, l’attenzione sarà focalizzata principalmente sul primo Paese a motivo del loro ruolo di superpotenza, mentre il secondo verrà trattato dove aggiunge specificità importanti.

1.​​ L’evoluzione.​​ Negli Stati Uniti può essere suddivisa in tre periodi. Il primo, quello​​ coloniale​​ (1607-1787), è stato influenzato dalla cultura europea, in particolare inglese. Le scuole ebbero inizio nella colonia del Massachusetts, dove era preminente lo studio del latino. Il migliore esempio è la​​ Latin Grammar School​​ (liceo umanistico) di Boston (1635). Il periodo​​ nazionale​​ (1787-1890) vide inizialmente la nascita e lo sviluppo dell’American Academy​​ (accademia americana) che, operante a livello locale o regionale e nella maggior parte dei casi privata, ha garantito al Paese, ancora scarsamente colonizzato, una istruzione secondaria, offrendo un programma di studi ampio e persino troppo ambizioso. Con la fine della Guerra Civile le accademie sono entrate in crisi perché erano istituzioni rurali, mentre ormai negli Stati Uniti si stava avviando un notevole sviluppo industriale, accompagnato dalla crescita dei centri urbani. La​​ High School​​ (scuola secondaria superiore), che ha sostituito l’accademia, era invece un’istituzione cittadina. Fondata per la prima volta a Boston (1821), in origine aveva come scopo quello di soddisfare i bisogni dei ragazzi che non avrebbero frequentato l’università. Durante il periodo nazionale, l’istruzione superiore (colleges​​ ed università) ha registrato una forte crescita. Tuttavia, per la maggior parte del XIX sec., i​​ colleges​​ si sono limitati a offrire il 1° ciclo di studi. Anche la Costituzione federale ha esercitato un influsso rilevante sull’istruzione. Per es., sancendo la separazione tra Chiesa e Stato, ha contribuito a creare un sistema di istruzione totalmente privato che non riceve finanziamenti pubblici. Nel XX sec. si è assistito in tutti gli Stati Uniti ad una espansione incredibile della scolarizzazione, dovuta tra l’altro alla ricaduta sull’istruzione delle trasformazioni del sistema socio-economico. Inoltre, nel 1954 con una importante sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (Brown v. Kansas)​​ è stata vietata la segregazione razziale nelle scuole pubbliche. Ciò ha messo fine alla prassi, durata un secolo, di educare i giovani afro-americani in «strutture separate, ma uguali». La prima metà del XX sec. ha visto l’emergere di educatori che hanno lasciato un’impronta indelebile nell’istruzione. Lo sviluppo più controverso e di vasta portata è stato il movimento delle «scuole progressive» di cui​​ ​​ Dewey fu il principale teorico. Diversamente dagli Stati Uniti che hanno puntato sull’assimilazione culturale, il​​ Canada​​ si è caratterizzato per il multiculturalismo, per una struttura a mosaico e la coesistenza non solo delle culture dominanti inglese e francese, ma anche di diversi gruppi etnici. Dal sec. XVII l’obiettivo fondamentale è stato l’adattamento e la collaborazione tra le varie comunità che ha portato al bilinguismo e alla eliminazione delle discriminazioni anche degli altri gruppi. Inoltre, si è registrato il passaggio da colonia dipendente dell’impero britannico (come gli Stati Uniti) a Paese indipendente però entro il Commonwealth (diversamente dagli Stati Uniti).

2.​​ I sistemi attuali.​​ Durante le ultime due decadi si è realizzata anche negli Stati Uniti e nel Canada la transizione verso la società della conoscenza. Negli Stati Uniti all’inizio degli anni ‘80 una serie di rapporti ha sottoposto ad un esame accurato il sistema di istruzione, denunciando un abbassamento preoccupante della qualità. Nonostante il cammino percorso in positivo, la situazione nella decade 90 presentava diversi aspetti problematici; di conseguenza nel 1994 il governo Clinton ha varato un suo programma nel campo dell’istruzione Non si può negare che gli interventi adottati abbiano esercitato un impatto positivo; tuttavia, essi sono lontani dal pieno conseguimento delle mete proposte. Il programma del presidente Bush mira anch’esso ad elevare l’efficienza e l’efficacia del sistema, puntando in particolare a rafforzare la libertà di scelta tra le scuole mediante l’attribuzione alle famiglie di un buono da spendere per l’educazione dei figli anche in istituti privati. Quanto al Canada va sottolineato il balzo in avanti nella percentuale del gruppo di età 25-34 anni che possiede un titolo post-secondario dal 49% del 1991 al 61% del 2001, anche se nel 2001 ben il 29% della popolazione con 25 anni o più non aveva completato al secondaria superiore (Education in Canada: raising the standard, 2003). Negli Stati Uniti e nel Canada esiste il più ampio decentramento, anche se recentemente nei due Paesi si è assistito a una crescita del ruolo del governo federale. I singoli Stati (o province autonome) sono responsabili dell’istruzione e, a loro volta, delegano questa responsabilità alle comunità locali. Occorre notare che a causa della decentralizzazione delle scuole non c’è uniformità nell’organizzazione scolastica o nel curricolo. Anche le scuole private godono dell’autonomia operativa. Negli Stati Uniti la percentuale dei loro iscritti varia dal 35% della pre-primaria, al 12% della primaria, al 10% della secondaria e nel Canada le cifre sono rispettivamente il 5%, il 4% e il 6% (Rapporto mondiale sull’educazione 2000). Per quanto riguarda la struttura del sistema degli Stati Uniti, la sequenza elementare-media-superiore (elementary-middle school-high school)​​ è di dodici anni. In Canada l’organizzazione tradizionale prevedeva 8 anni per la primaria e 4 per la secondaria. In quasi tutte le province è stata però introdotta la scuola intermedia che comprende le classi 7-9. Flessibilità dei piani di studio mediante discipline opzionali, promozione per materia, valutazione continua sono elementi comuni. In entrambi i Paesi sono diffusi i​​ junior​​ o​​ community colleges​​ (istituti post-secondari o di istruzione superiore) di due anni che offrono una formazione professionale con un’apertura alle materie umanistiche. Dopo i due anni molti studenti si trasferiscono all’università. L’ammissione all’università varia: alcune istituzioni richiedono solo un diploma di secondaria superiore; altre esigono anche un punteggio soddisfacente in un test di profitto amministrato su base nazionale. Complessivamente la percentuale delle iscrizioni all’istruzione terziaria raggiunge l’80.9% negli Stati Uniti e l’87,3% nel Canada (Ibid.).

Bibliografia

Cremin L. A.,​​ American education,​​ New York, Harper & Row, 1980; Cupparoni A., «Canada», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. I, Brescia, La Scuola, 1989, 423-428;​​ Rapporto mondiale sull’educazione 2000, Roma, Unesco / Armando, 2000;​​ Education in Canada: Raising the standard, Ottawa, Ministry of Industry, 2003; Malizia G., «Stati Uniti», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica.​​ Appendice A-Z, Brescia, La Scuola, 2003, 28-31; Abernathy S.,​​ No child left behind and the public school, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2007; Sherman J. D. - J. M. Poirier,​​ Education equity and public policy, Montreal, UIS, 2007.

M. Ribotta - G. Malizia

AMERICA LATINA:​​ sistemi formativi

La diffusione universale del​​ ​​ sistema formativo è stata ritenuta un assioma e la scolarizzazione della gioventù una meta indeclinabile, cosa che porta ad assumere il sistema formativo come una​​ variabile indipendente.​​ La sua genesi ed il suo consolidamento riconducono alla Rivoluzione industriale, convergenza di cambiamenti radicali nella dimensione​​ produttiva​​ (macchina a vapore), in quella​​ politica​​ (Rivoluzione francese) e​​ scientifica​​ (scienza empirica) che portano ad un modello di​​ società urbano-industriale,​​ la cui complessità fa nascere l’esigenza di un sistema formativo. L’educazione scolastica da​​ privilegio​​ diventa​​ diritto universale​​ che deve preparare e condurre gli individui alla partecipazione sociale (democrazia). L’iter del cambio sociale in Occidente e le sue tappe di modernità e post-modernità non sono universali.

1. La​​ storia​​ dell’A.L. ha comportato un cammino di 500 anni non solo di sviluppo della​​ ​​ cultura, ma anche di acculturazione imposta dall’alto e dall’esterno, a cui la​​ ​​ Chiesa ha contribuito in positivo e in negativo creando un’immensa rete di scuole per la popolazione indigena, università e seminari per le classi dirigenti della colonia. L’indipendenza dell’A.L. nelle due prime decadi del sec. XIX (quella dei Caraibi inglesi è del 1960 ca.) fa sì che i nuovi poteri politici contestino alla Chiesa il monopolio educativo; questo di fatto perdurerà fino all’arrivo con ritardo della Rivoluzione industriale in A.L. a metà del sec. XX, quando comincia veramente la trasformazione rurale-urbana che impone l’espansione del capitalismo industriale dell’immediato dopoguerra. Come risposta positiva all’effervescenza sociale in A.L. ma anche per scongiurare il pericolo di rivoluzioni come quella di Cuba, nel 1961 è stata stretta l’Alleanza per il Progresso tra USA e A.L., che entrò nel​​ modello di sviluppo​​ occidentale con propri fini di trasformazione socio-economica.

2.​​ L’educazione per lo​​ ​​ sviluppo​​ si tradusse nell’espansione, nel consolidamento e nella modernizzazione del fino allora incipiente sistema formativo, processo che si può collocare negli ultimi cinquanta anni. Esistono dei parametri che bisogna assumere come riferimento per analizzare i sistemi scolastici in A.L. Nel 1950 il 60% della popolazione era rurale; questo dato e il tasso di analfabetismo globale del 50% (quello rurale era del 64% ) denota antecedenti di scolarizzazione molto scarsa e forte discriminazione territoriale. In seguito avvengono grossi cambiamenti: nel 1950 / 75 la popolazione ha registrato la maggiore crescita del mondo, raddoppiandosi, e la percentuale urbana è passata al 60% ed è arrivata intorno ai tre quarti nel 2000. Gli indici decrescenti di analfabetismo rivelano grandi sforzi per sviluppare la scolarità di base soprattutto nelle zone rurali: nel 1970 il tasso di analfabetismo è del 28%; nel 1980 del 20%; nel 1990 del 15% e nel 2000 del 12% (Rapporto mondiale sull’educazione 2000, 2000). L’espansione scolastica in questo periodo si accompagna ad una percentuale molto elevata di abbandoni nei primi anni di scolarizzazione, sistemi e curricoli inadeguati per la popolazione alla quale sono destinati, organizzazione e amministrazione carenti, condizione sfavorevole nelle zone rurali e suburbane. Per questo l’intera regione assunse allora il​​ Proyecto Principal de Educación​​ (PPE), che aveva tra i suoi obiettivi quello di offrire una educazione generale minima dagli otto ai dieci anni e proporsi come scopo quello di incorporare nel sistema formativo tutti i ragazzi in età scolastica prima del 1999 e di adottare una politica utile ad eliminare l’analfabetismo prima della fine del secolo oltre che dedicare investimenti gradualmente maggiori alla educazione. Il PPE diviene il principale catalizzatore dell’educazione a partire dal 1980. Gli investimenti reali, tuttavia, sono molto lontani dalle mete e troppo inferiori a quanto si investe in educazione nel mondo sviluppato.

3. Dal 1960 in poi i dati della scolarizzazione in tutti i livelli del sistema formativo mostrano la grande trasformazione educativa della regione nelle ultime decadi. I dati evidenziano un livello prescolastico ancora insoddisfacente con un tasso di scolarizzazione che va dal 33% della Colombia al 98% del Cile con la maggioranza dei Paesi che si collocano intorno al 50% (Ibid.). Nella scuola primaria è chiara la tendenza alla copertura totale della domanda potenziale; l’educazione secondaria cresce più di sette volte rivelando dinamiche di scolarizzazione di massa. L’istruzione superiore presenta la maggior crescita relativa del sistema formativo, quindici volte, cosicché il tasso raggiunge la quinta parte della domanda potenziale; rimane tuttavia il carattere elitario della educazione superiore.

4. Le disparità evidenziate dai dati globali diventano enormi per effetto di fattori strutturali, come le notevoli discontinuità rurali-urbane nella maggior parte dei Paesi; le molteplici etnie indigene con lingue proprie e maggioritarie in varie nazioni; i ritmi diversi di modernizzazione in senso urbano-industriale; il fatto che, fino al PPE, l’espansione del sistema formativo raramente è stato il risultato di previsioni e azioni politiche; inoltre, il controllo esercitato dai sottosistemi privati sulla crescita dei livelli secondario e superiore, ha prodotto la segmentazione dei sistemi educativi in favore delle classi medio-alte a discapito della promozione dei gruppi popolari maggioritari, cosa che spiega la maggiore crescita nei livelli citati del controllo per l’accesso. Così il sistema formativo presenta tratti di «macrocefalia» ed è assoggettato agli interessi privati con tutti i loro poteri. I gruppi rurali e suburbani non sono rimasti emarginati, ma piuttosto confinati, e le culture indigene sono state soppiantate dall’imposizione di lingue che esprimono la cultura occidentale (urbano-industriale) dominante. In questo quadro rientrano indici elevati di mortalità scolastica, ripetenze, impossibilità di promozione universitaria, emarginazione culturale.

5. L’espansione del sistema formativo e la meta del PPE di generalizzare nove anni di educazione di base si è raggiunta in buona parte per il 1999, ma non è stato lo stesso per gli obiettivi di promozione sociale: l’immagine dell’educazione come canale di mobilità sociale sta piuttosto producendo frustrazioni. Inoltre l’aumento costante della distanza tra ricchi e poveri, oltre al permanere della condizione di sottosviluppo in A.L., dimostrano che il sistema formativo è la variabile meno indipendente, una delle più condizionate dal sottosviluppo. Tra l’altro, gli obiettivi del sistema formativo in A.L. appaiono sempre più superati dalla produzione di conoscenze nel mondo, tanto che esse appaiono irraggiungibili. Questo insieme di successi e frustrazioni esige delle analisi reali e profonde in vista del dilemma che bisogna porsi:​​ Occidentalizzazione del mondo,​​ o educazione per A.L. e Caraibi?

Bibliografia

Unesco,​​ Reflexiones y sugerencias relativas al Proyecto principal de educación en A.L. y el Caribe,​​ 1981 / Promedlac / 3; Unesco-Cepal,​​ Evolución cuantitativa de los sistemas educativos de A.L. y el Caribe-Análisis estadístico,​​ 1987 / Minedlac / 2; Unesco-Oreal,​​ Situación educativa en A.L.​​ y​​ el Caribe 1980-1990,​​ Santiago, 1992;​​ Rapporto mondiale sull’educazione 2000, Roma, Unesco / Armando, 2000;​​ Oferta e procura de professores na A.L. e no Caribe: garantindo uma educação de qualidade para todos; UIS perfil regional, Brasilia,​​ Unesco, 2006;​​ Panorama regional: A.L. y Caribe, Paris, Unesco, 2006;​​ Blanco R. et al.,​​ Educação de qualidade para todos: um assunto de direitos humanos, Brasilia, Unesco, 2007.

J. Rodríguez - G.Malizia




AMICIZIA

 

AMICIZIA

Relazione interpersonale affettiva, nata da una scelta generalmente basata sulla gratuità leale, sulla reciprocità costante, sulla comunicazione umana, sulla simpatia istintiva, sulla comunanza di interessi, di ansie e di ideali.

1.​​ Il profilo genetico dell’a.​​ Con alcuni studiosi di antropologia filosofica e di psicologia sociale (​​ Buber, Lévinas, Gevaert,​​ ​​ Nuttin) si può giustamente affermare che «in principio è la relazione», perché la verità dell’uomo non è nel suo essere soggetto, in sé considerato, ma nel suo essere in correlazione strutturale con altri soggetti. L’identità non è nel soggetto – afferma Heidegger – ma nella relazione. Un individuo è ciò che viene fuori dal suo sistema di relazioni umane. Entrare in armonia con «l’altro», allora, sembra soprattutto il compito dell’a., che si presenta come completamento di esperienze relazionali. L’a. è una forma di​​ ​​ amore con caratteristiche del tutto particolari, perché è svincolata da obblighi normativi e dipende solo dalla lealtà reciproca, dalla gratuità dell’incontro, dal rispetto della individualità di ciascuno, dalla consuetudine del rapporto, dalla generosità nelle difficoltà, dalla condivisione delle gioie, dagli interessi comuni, dal lavoro armonizzato per uno scopo comune. L’a. è caratterizzata dal sentimento della​​ parità:​​ gli amici, infatti, non si inquadrano in una gerarchia, si sentono tutti uguali e se talvolta nascono conflitti o competizioni, questi sono superati dalla profonda lealtà e dalla disinteressata gratuità che dà vita al rapporto. Nella relazione amicale entra in gioco un’altra importante caratteristica: la​​ similarità,​​ il processo cioè che trasferisce il bisogno di identità verso l’identificazione, grazie alla quale ogni amico tende ad assumere valori e comportamenti simili o identici a quelli dell’altro. In questo contesto l’a. ci libera dalla solitudine, consolida vincoli affettivi di gruppo, è un conforto, un sentimento di sicurezza, un calore umano che non ha bisogno di parole per esprimersi, perché comunica anche solo con la semplice presenza.

2.​​ Aspetti evolutivi dell’a.​​ Ogni periodo della vita si esprime nell’a. secondo modalità diverse. Sotto l’aspetto evolutivo si possono individuare tre tappe di questo processo: a)​​ l’a. sensibile-affettiva,​​ che si sviluppa nel periodo prepuberale e puberale ed è prevalentemente motivata da aspetti di carattere emozionale e sensibile. È un tipo di a. che nasce per lo più tra soggetti dello stesso sesso e presenta a volte alcuni tratti dell’amore eterosessuale. Questo tipo di a. deve considerarsi come una tappa biologicamente obbligatoria e rappresenta la prima incerta trasformazione dell’affettività della fanciullezza, di natura egocentrica, nell’affettività matura, di natura allocentrica; b)​​ l’a. captativo-egocentrica,​​ che è tipica dell’​​ ​​ adolescenza ed è contraddistinta da aspetti narcisistici, simbiotici e consumativi. Essa è dominata dal bisogno e dal sentimento di essere «l’uno​​ con​​ l’altro», per cui gli amici si vogliono bene perché ognuno vede nell’altro un mezzo per la propria affermazione. Nell’adolescenza l’a. rappresenta una forma elevata di comunicazione emotiva e di condivisione di esperienze. Si tratta di una naturale inclinazione a convivere con l’amico e a vedere in questo fatto uno strumento di personale compiacenza, più che un mezzo di reciproco perfezionamento, essendo l’adolescente prevalentemente centrato più su di sé che nell’altro; c)​​ l’a. operativo-oblativa,​​ che rappresenta la pienezza matura di questa relazione interpersonale. Essa è contraddistinta dal bisogno di essere «l’uno​​ per​​ l’altro», ossia dalla coscienza del fatto che la vita degli altri impone alla propria una certa responsabilità; presuppone un amore fondato sulla gratuità, che è un atteggiamento non motivato da altra ragione che non sia la «libertà del donare e del ricevere», per cui si vuole bene all’altro per quello che​​ è​​ e non tanto per quello che​​ serve.​​ Un’a. siffatta stimola gli amici ad un fattivo interscambio di esperienze personali, ad una concreta manifestazione di stima e simpatia, ad un’effettiva condivisione delle difficoltà e delle gioie, ad una comunicazione personale che si fa progressiva donazione nella sincerità e nella lealtà, proiettandoli nel domani in una comunione di intenti, di impegni, di aspirazioni e di speranze.

3.​​ Educare all’a.​​ Da queste rapide annotazioni sull’a. emerge una logica conseguenza: chi ha responsabilità educative deve avviare all’a., favorendola, orientandola, proteggendola. Sembrano perciò opportune due annotazioni a questo proposito: siccome i legami affettivi di natura amicale non possono ovviamente essere imposti, l’educatore deve innanzitutto vivere e testimoniare in prima persona l’esperienza dell’a. con quel calore umano e quella lealtà che sono già di per sé un fatto educativo; in secondo luogo deve saper creare luoghi di incontro e di aggregazione, in cui soprattutto i ragazzi e le ragazze possono «conoscersi», «capirsi», «stimarsi», «impegnarsi», «esprimersi», «giocarsi» in definitiva in un tipo di a. che sia feconda e costruttiva per la crescita della loro persona.

Bibliografia

Bucciarelli C.,​​ I​​ ragazzi,​​ le ragazze,​​ la coeducazione,​​ Roma, AVE, 1973; Padiglione V.,​​ L’a.: storia antologica di un bisogno estraniato,​​ Roma, Savelli, 1978; Riva A.,​​ A.,​​ Milano, Ancora, 1985; Bucciarelli C.,​​ Adulti-adolescenti: comunicazione cercasi,​​ Roma, AVE, 1993; Pizzolato L.,​​ L’idea di a.,​​ Torino, Einaudi Paperbacks, 1993; Galli N.,​​ L’a. dono per tutte le età, Milano, Vita e Pensiero, 2004.

C. Bucciarelli




AMMINISTRAZIONE SCOLASTICA

 

AMMINISTRAZIONE SCOLASTICA

La definizione non è facile anzitutto perché negli Stati Uniti e nel Canada a.s. indica la gestione del​​ ​​ sistema formativo sia a livello di Stato o di distretto sia a quello di singola scuola, mentre in Europa ci si limita al primo senso: qui si seguirà l’uso del nostro continente. Inoltre, vi è incertezza sul piano teorico se l’a.s. sia una disciplina separata o abbia natura pluridisciplinare: in questa voce si adotta la prima ipotesi, perché non sembra che si possa negare che l’a.s. abbia metodo e oggetto propri. Pertanto, l’a.s. si può definire come quella disciplina delle​​ ​​ scienze dell’educazione che studia la gestione dei sistemi formativi a livello​​ macro​​ (Federazione, Stato, Regione, Provincia, Distretto) allo scopo di conoscerla meglio e di renderla più efficace. Per il livello micro (singola scuola)​​ ​​ organizzazione scolastica: data la difficoltà di tracciare un confine netto tra le due voci, si consiglia di leggerle insieme. L’a.s. è anche quel settore dell’a. pubblica, comprensivo di organi, persone e strutture, che si occupa del funzionamento delle scuole come servizio pubblico.

1.​​ Approcci allo studio dell’a.s.​​ Per quello​​ giuridico​​ ​​ legislazione scolastica. L’approccio delle​​ ​​ scienze sociali ha esercitato un forte influsso sull’evoluzione dell’a.s. per tutto il sec. XX, soprattutto tra la metà degli anni ’50 e ’70. Lo scopo era di potenziare l’insegnamento universitario e la ricerca, facendoli uscire da uno stile prevalentemente esortatorio e impressionistico; d’altra parte, gli amministratori operavano in organizzazioni, comunità, gruppi, in situazioni cioè studiate proprio dalle scienze sociali. In particolare sono le teorie organizzative a influire sull’a.s. Così le posizioni tayloristiche risultano visibili nell’enfasi sull’efficienza, i risultati, la competenza, la responsabilità soprattutto nei Paesi anglosassoni; la concezione weberiana della burocrazia nella costruzione dei sistemi formativi centralizzati delle nazioni in via di sviluppo; la teoria delle relazioni umane nella domanda diffusa di democrazia e di una​​ leadership​​ partecipativa; le impostazioni sistemiche nell’affermarsi dell’autonomia e della pedagogia del progetto. Agli inizi degli anni ’70 il panorama delle scienze sociali è percorso da forti dinamiche orientate al cambiamento. Anzitutto è la società ad essere scossa da un intenso attivismo politico che trova la sua espressione paradigmatica nella​​ ​​ contestazione giovanile. Inoltre, viene denunciato da più parti il positivismo delle scienze sociali, cioè la pretesa che gli unici criteri di verità siano la verifica empirica e la logica analitica, che la metodologia delle scienze naturali debba essere trasferita senza adattamenti alle scienze sociali, che l’obiettivo di queste ultime consista nella elaborazione di leggi, che la ricerca debba essere neutrale sul piano dei valori. Emergono nuove prospettive tra cui va ricordato il​​ soggettivismo​​ che rifiuta ogni scientismo per affermare la necessità di tener conto nell’a.s. anche dei valori e dei sentimenti. Pertanto, il campo degli studi va esteso dagli aspetti descrittivi a quelli normativi e la ricerca empirica non può limitarsi al quantitativo, ma deve affrontare temi come la volontà, le intenzioni, il linguaggio, ciò che è giusto o sbagliato nell’a.s.: di conseguenza la metodologia si orienta verso gli studi etnografici e qualitativi. Le carenze maggiori di tale prospettiva riguardano la concezione superata di scienze sociali che prende in considerazione, ed il relativismo in cui rischia di cadere per la mancanza di criteri oggettivi di valutazione. Le​​ teorie critiche,​​ che si ispirano alla​​ ​​ scuola di Francoforte, focalizzano l’analisi sulla falsa coscienza che viene creata nella massa della gente da sottili meccanismi sociali, istituzionalizzati nel mondo del lavoro, nell’educazione, nei mass media, nel tempo libero, in funzione degli interessi della classe dominante. Sul piano dell’a.s. si parte dalla constatazione della funzione riproduttiva della scuola e del diverso trattamento prestato agli studenti secondo la classe sociale, per affermare che gli amministratori scolastici sarebbero al servizio dei ceti dirigenti e, pertanto, non si impegnerebbero per realizzare una maggiore eguaglianza delle opportunità nell’istruzione. Le teorie critiche riflettono tutti i limiti delle posizioni marxiste (​​ marxismo pedagogico): nell’ambito dell’a.s. hanno espresso più critiche che proposte, appaiono estranee alla realtà scolastica e le loro ipotesi sulla funzione riproduttiva della scuola sono messe in discussione dai risultati della ricerca empirica. Altri approcci da ricordare sono: il «postmodernismo» o «poststrutturalismo» che, a motivo del suo orientamento antintellettuale e antistituzionale, si rivela particolarmente critico nei confronti della scienza e della maggior parte delle forme di organizzazione e di a.; l’area degli studiosi impegnati nella promozione dei gruppi svantaggiati a causa del sesso, della razza o della nazionalità, che evidenziano la situazione di sottorappresentazione e di diseguaglianza di tali gruppi nell’a.s.; le interpretazioni che rifiutano lo scientismo e il positivismo, ma accettano la scienza e una molteplicità di metodi e che si ispirano al pragmatismo, alla fenomenologia ed al realismo. Gli anni ’90 e 2000 offrono un quadro di riferimento sociale molto diverso: il crollo del socialismo reale, l’avvento di regimi moderati o conservatori, la sostituzione delle antiche controversie ideologiche con nuove problematiche, come l’inquinamento ambientale, il rapporto nord / sud, il nazionalismo, l’intolleranza, il terrorismo, la globalizzazione. Anche nelle scienze sociali, mentre perdono quota le impostazioni radicali, prevalgono tendenze sia alla conciliazione tra analisi strutturale e culturale e fra prospettive macro e micro, sia a un empirismo pratico che fa comunque uso del metodo scientifico qualunque sia l’approccio teorico seguito. Anche nell’a.s. si affermano prospettive meno polemiche, più flessibili e anche più sofisticate; una coscienza più acuta della complessità dell’oggetto porta sia all’accettazione di una​​ pluralità di approcci e di metodologie,​​ sia ad un aumento della diversificazione, della frammentazione e della specializzazione. Si placa lo scontro tra sostenitori della ricerca quantitativa e qualitativa, benché sia quest’ultima a ricevere un forte impulso. I valori assurgono al centro della scena soprattutto nel contesto dei processi decisionali e della definizione di soluzioni alternative. L’a.s. è riconosciuta come uno strumento indispensabile per il raggiungimento di obiettivi organizzativi e sociali.

2.​​ Problemi e prospettive sul piano dei contenuti.​​ L’azione degli amministratori si scontra spesso con​​ ostacoli e limiti​​ esterni particolarmente forti che ne condizionano l’efficacia. Tra essi vanno ricordati i fattori geografici, che possono pesare negativamente sulla costruzione delle scuole o sul calendario, quelli demografici, che incidono sulla lingua di insegnamento o sulla moltiplicazione dei turni, quelli storici quali il freno rappresentato dall’eredità coloniale o quelli economici come la povertà, che può bloccare lo sviluppo del sistema formativo. Alcuni di questi ostacoli si sono trasformati in problemi gravi in molti Paesi: in vari casi si tratta delle ristrettezze delle risorse, dell’inflazione, del pagamento dei debiti, della esplosione della popolazione, della modesta preparazione dei docenti; altri riguardano la domanda di maggiore efficienza o la ricerca di fonti alternative di finanziamento. Di fronte a queste difficoltà le capacità di risposta dell’a.s. risultano inadeguate. Di qui l’impegno di molti Paesi a migliorare la preparazione degli amministratori, a potenziare l’efficienza dell’a.s., ad accrescere la responsabilità del personale, a rafforzare la democrazia locale, ad ampliare il ruolo della​​ ​​ scuola libera, ad introdurre elementi di mercato. Un argomento tradizionale di dibattito è quello dei meriti reciproci della​​ centralizzazione​​ e del​​ decentramento​​ dell’a.s. La prima significa che obiettivi, contenuti e strategie sono fissati da una struttura centrale, normalmente un ministero, che dirige le strutture periferiche attraverso norme ed orientamenti circa le modalità più efficaci per l’implementazione. Il decentramento implica lo spostamento del potere a livello locale, che può assumere forme diverse: dal semplice riconoscimento di un certo spazio per la pianificazione, le decisioni e il controllo, alla delega di determinate responsabilità, fino all’attribuzione di poteri legali anche di imporre tasse. A sostegno del centralismo si citano ragioni quali la realizzazione di una maggiore eguaglianza a favore delle zone e dei gruppi svantaggiati, il contributo all’unità nazionale e alla coesione sociale, la riduzione di duplicazioni o sovrapposizioni, la rapidità nell’introduzione di una​​ ​​ innovazione; al tempo stesso, però, esso può trascurare i bisogni della periferia, manca di flessibilità e, pertanto, non tenendo conto delle diversità locali, non assicura di per sé una maggiore efficienza. L’altra ipotesi viene affermata perché favorisce la partecipazione dal basso, la rispondenza alla domanda sociale, la costruzione di una scuola della comunità, l’​​ ​​ autonomia scolastica, l’innovazione, l’efficacia. Va, però, detto che questi effetti non sono automatici, ma richiedono a monte una cultura organizzativa corrispondente ed un corretto rapporto con il centro; inoltre, non vanno dimenticati i rischi connessi con il particolarismo dei gruppi di interesse e con la corruzione locale. Pertanto, la maggior parte dei Paesi cerca di trovare un equilibrio tra un forte potere locale d’iniziativa e la propulsione, il coordinamento ed il controllo centrale. Da una parte bisogna procedere a un ampio decentramento dei sistemi formativi che si fondi sul trasferimento di responsabilità alle istanze regionali e locali, sull’autonomia degli istituti e sulla partecipazione effettiva degli attori locali; il principio fondamentale è che la decisione è locale, mentre l’impulso, il coordinamento, il controllo e la determinazione degli standard nazionali sono centralizzati. D’altra parte, è anche necessario che l’autorità politica si assuma tutta la responsabilità che le compete.

3.​​ L’a.s. italiana.​​ Risale alla L. Casati n. 3725 / 1859 ed è caratterizzata dal​​ centralismo​​ delle origini. Fino alla prima guerra mondiale l’organizzazione dell’a. centrale tende a oscillare tra burocrazia e collegialità. Un altro passaggio importante dell’evoluzione è rappresentato dalla riforma​​ ​​ Gentile del 1923 che globalmente porta ad una espansione del ministero. L’entrata in vigore della​​ Costituzione repubblicana​​ (1948) ha segnato un vero rovesciamento di fronte: da una parte si è affermata la validità del principio delle autonomie e dall’altra il sistema scolastico viene impostato sulle grandi opzioni della libertà, del pluralismo e della convergenza delle iniziative. Nonostante ciò, nei primi anni ’60 il Ministero si è ulteriormente dilatato in una macrostruttura anche se nelle decadi ’70 e ’80 si sono avute alcune riduzioni per effetto della istituzione del Ministero dei Beni Culturali (1975) e dell’Università (1989); inoltre, la L. n. 477 / 73 sugli organi collegiali ha compiuto un primo passo verso l’autonomia di gestione che, però, è rimasta molto limitata. Negli anni successivi è emerso con sempre maggiore chiarezza che il sistema di governo della scuola esigeva un​​ rinnovamento profondo.​​ Questo è avvenuto soprattutto con la riforma del Titolo V della nostra Costituzione (L. n. 3 / 01): in base alla nuova normativa, lo Stato ha competenza esclusiva per quanto riguarda le norme generali sull’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni; lo Stato e le Regioni hanno competenza concorrente sull’istruzione, fatta salva l’autonomia delle scuole; a loro volta le Regioni hanno competenza esclusiva sull’istruzione e sulla formazione professionale. In altre parole la volontà del Costituente è che Stato e Regioni, da una parte, e Regioni ed Enti territoriali con le istituzioni scolastiche, dall’altra, cooperino insieme e, che, pur nel rispetto dei poteri propri di ciascuno, predispongano una politica formativa al servizio dei giovani e delle famiglie, rispondente alle esigenze del territorio, senza perdere in unitarietà e coordinamento. Il passaggio da un modello centralistico e gerarchico a uno​​ poliarchico, che valorizza le autonomie territoriali e scolastiche, comporta un diverso ruolo dello Stato che viene investito di tre compiti: governare in modo unitario il sistema educativo di istruzione e di formazione; verificarne la qualità globale in modo che si raggiungano in tutto il Paese i livelli essenziali di prestazione; ovviare alle disparità esistenti tra le scuole prendendo le opportune misure perequative. Contribuiscono nella medesima direzione anche i compiti programmatori e di coordinamento che sono affidati agli enti territoriali. Rientra in questo quadro anche la ristrutturazione del Ministero della Pubblica I. che in grande sintesi si ispira ai seguenti principi: la pubblica istruzione è chiamata a trasformarsi da a. di gestione autoritativa in a. di governo e di servizio e, pertanto, dovrà rafforzare le proprie competenze tecniche rispetto a quelle gestionali che sono destinate a perdere la rilevanza centrale ad esse assegnata nel passato; inoltre, la tradizionale struttura verticale per ordini e gradi di scuola viene sostituita da una orizzontale per grandi tematiche e che comporta l’abolizione delle articolazioni duplicate e la normalizzazione delle funzioni.

Bibliografia

Perna V., «A.s.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. I, Brescia, La Scuola, 1989, 530-538; Evers C. W. - G. Lakomski,​​ Knowing educational administration: contemporary methodological controversies in educational administration research,​​ Oxford, Pergamon Press, 1991; Willower D. J., «Administration of education as a field of study», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press, 1994, 53-60;​​ Rapporto di base sulla politica scolastica italiana, in «Educazione Comparata» 9 (1998) 30-31, 65-119; Versari S. (Ed.),​​ La scuola della società civile tra stato e mercato, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002; Bertagna G.,​​ Istruzione e formazione dopo la modifica del Titolo V della Costituzione, in «Nuova Secondaria» 20 (2003) 9, 102-112; Zajda J. (Ed.),​​ Special issue: The role of the state, in «International Review of Education» 50 (2004) 3-4, 199-418; English F. W. (Ed.),​​ Encyclopedia of educational leadership and administration, Thousand Oaks, Sage, 2006.

G. Malizia




AMORE EDUCATIVO

 

AMORE EDUCATIVO

Non esiste educazione senza a. Non c’è approdo alla compiutezza dell’umano se non promana da ricchezza di a. offerto, rassicurante e orientante a matura libertà, al servizio della vita e dell’a. Nel quadro delle​​ Lebensformen​​ e dei​​ Lebenstypen, immaginati da​​ ​​ Spranger, l’educatore appare come il tipo sociale, altruistico, mosso dalla passione, dall’eros elevato ad a. spirituale per l’uomo e per il suo perfezionamento. Se ne delineano alcune «figure» più rilevanti.

1.​​ L’a. naturale​​ dei genitori per i figli, in particolare delle madri, è spesso esaltato nella poesia e nell’arte ed è fenomeno diffuso in tutte le culture. Ne prende atto anche​​ ​​ Aristotele, attento osservatore dei fatti: «Si ammetterà anche che l’amicizia consiste più nell’amare che nell’essere amati. Se ne trova un esempio nelle madri che ripongono tutta la loro gioia nell’amare» (Et. Nic.​​ VIII 8, 1159 a 13); «i genitori amano i loro figli perché questi sono come qualcosa di loro» (Et. Nic.​​ VIII 12, 1161 b 18); per la maggior prossimità iniziale «le madri amano i loro figli più di quanto facciano i padri» (Et. Nic.​​ VIII 12, 1161 b 26). Nel mondo ebraico ci si domanda a proposito dell’a. fedele di Dio: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno?» (Is 49,15). Esprime analoga persuasione s. Angela Merici alle «Matrone» della sua Compagnia di vergini: «Perché si vede nelle madri carnali, le quali, se havesseno mille figli et figlie, tutti li haveriano nell’animo suo totalmente fissi de uno in uno [...]. Anzi, pare che, quanto più se n’ha, tanto più l’a. et cura cresca a un per uno» (Legati​​ 2°). Tuttavia l’istinto non protegge da fenomeni opposti, attestati dalla storia di tutti i tempi: crudeltà, sevizie, abbandono, esposizione, ius vitae et necis del​​ paterfamilias,​​ infanticidio, abuso sessuale (​​ violenza).

2.​​ L’a. dei genitori,​​ in particolare quello materno, viene considerato primario nell’evento educativo dai classici della pedagogia romantica: «Tutta l’antichità esalta l’a. materno più di quello paterno; e dev’essere ben grande, quest’a. materno, poiché un padre amorevole non può immaginare affetto superiore al suo» (​​ Richter,​​ Levana​​ fr. IV);​​ «il nostro scopo principale è lo sviluppo dell’anima infantile [...] e quale forza più attiva e stimolante dell’a. materno?» (​​ Pestalozzi, II lett. a Greaves); «la madre è la naturale maestra che la Provvidenza ha posto al fianco del bambino. Il sangue non dice molto: è solo la bontà che parla al cuore della tenera creatura» (​​ Girard,​​ Dell’insegnamento regolare della lingua materna,​​ lib. IV, cap. VI, 1);​​ ​​ Fröbel,​​ L’educazione dell’uomo​​ I 6-22; II 24-33: «quanto è stato finora esposto possa destare nei genitori un sincero e sereno, profondo e intelligente a.».

3. L’a. viene esaltato, per una ristrettissima​​ élite​​ sociale e culturale, nella raffinata riflessione platonica sull’eros-pedagogico.​​ Esso vi è teorizzato come sublimazione dell’a. maschile: «volo di due anime intimamente unite al regno della bellezza eterna», «la fusione di passione vera col puro librarsi della speculazione e con la forza di una liberazione morale». È a. che porta gli amanti alla contemplazione del Bello e del Bene, due aspetti dell’identica realtà, «l’esser bello e buono»; e rende capaci di autentica «politica», recuperando alla ragione anche i «custodi», resi permeabili ad essa mediante un sistema educativo congruo (Jaeger, 1959, 299-337).

4. In una vasta prospettiva che attraversa i secoli, l’a.-carità​​ (agápe)​​ costituisce il​​ proprium​​ della pedagogia cristiana (familiare e istituzionale), quando si ispira all’infanzia vissuta in Gesù o da lui amorevolmente accolta ed esaltata (Mt 18,1-6; Mc 9,33-37; 10,13-16; Lc 9,46-48) e non viene, invece, soverchiato, nella realtà effettiva, dall’austera tradizione romana o dei popoli barbarici. Dell’a.e. evangelico sono testimonianza classici testi di​​ ​​ Agostino (De catechizandis rudibus,​​ cap. IV e XII), di s. Anselmo d’Aosta (Vita Eadmeri,​​ I 4, nn. 30-31), di educatori e pedagogisti dall’umanesimo all’età moderna, di fondatori e fondatrici di istituti religiosi consacrati all’educazione della gioventù,​​ ​​ Petites écoles de Port-Royal,​​ ​​ Rollin,​​ ​​ Aporti. S. Agostino mutua dalla letteratura classica come norma del governo della comunità monastica la formula «plus amari quam timeri» (Regula,​​ cap. XI), ripresa da s. Benedetto (Regula,​​ cap. LXIII) e trasferita nello spazio pedagogico da Ratherius, vescovo di Verona (Praeloquiorum,​​ lib. I, tit. XV, n. 30), da Silvio​​ ​​ Antoniano e infine da don Bosco (​​ sistema preventivo).

5. Accanto all’a. paterno e materno, proprio della famiglia nei confronti soprattutto dell’infanzia e delle istituzioni di stile «familiare», esiste​​ una contenuta forma di a.e.​​ deputato piuttosto a stabilire un ordine di​​ razionalità​​ e di​​ disciplina.​​ Ne tratta anche​​ ​​ Kant: «È necessario che l’uomo sia abituato per tempo a sottomettersi ai precetti della ragione [...]. Né la esagerata tenerezza materna che lo circonda durante la fanciullezza gli giova» (La pedagogia,​​ introduzione). È il sistema tipico usato nei monasteri, nelle famiglie patriarcali e, soprattutto, nei collegi, in particolare quelli militari dei secoli XVIII e XIX. Esso si pratica nei confronti di un’adolescenza ritenuta età irrequieta e ribelle, da preparare attraverso rude disciplina all’inserimento adulto nella società. In quest’ottica si determina in Francia, soprattutto nei primi decenni dell’’800, il dibattito polemico tra l’educazione pubblica, esigente e virile, e l’educazione privata, amorevole e condiscendente.

6. L’attuale complessità del compito educativo, nella famiglia e fuori, e lo sviluppo delle scienze dell’educazione sottolineano l’esigenza che l’educatore sappia coniugare l’a. con l’intuizione, la competenza, la familiarità con le scienze dell’educazione «Non basta amare per essere buoni educatori» (Pio XII); o meglio, se si ama, si mette tutta l’intelligenza al servizio dell’a., rendendo l’azione educativa più persuasiva ed efficace. Si insiste, in particolare, sulla necessità che l’a. non freni o blocchi, ma promuova la crescita dell’educando alla libertà matura: l’autenticità dell’a.e. sta in definitiva nel saper operare in modo che i giovani protagonisti siano indotti ad amare ciò che l’educatore ama non semplicemente​​ perché l’educatore è amabile,​​ ma è​​ valido e amabile in sé​​ ciò che l’educatore propone; anzi siano abilitati ad andar oltre con un cammino autonomo, originale e responsabile. Ciò può verificarsi in più alta misura quando l’educatore è l’apriori della coppia che li ha generati donandosi e donando a. permanente, aprendoli nell’uterus spiritualis​​ della famiglia alla pienezza della libertà.

Bibliografia

Jaeger W.,​​ Paideia. La formazione dell’uomo greco,​​ vol. III​​ Alla ricerca del divino,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1959, cap. VIII​​ Il​​ Simposio. Eros,​​ 299-337;​​ Spranger E.,​​ Der geborene Erzieher,​​ Heidelberg, Quelle und Meyer, 1960, 80-106​​ (Die pädagogische Liebe);​​ März Fr.,​​ Erzieherische Existenz. Zwei Essays über das Sein und die Liebe des Erziehers,​​ München, Kösel, 1963;​​ Histoire des pères et de la paternité,​​ sous la dir. de J. Delumeau et de D. Roche, Paris, Larousse, 1990; Delumeau J. (Ed.),​​ La religion de ma mère. Le rôle des femmes dans la transmission de la foi,​​ Paris, Cerf, 1992;​​ Venturelli F.,​​ Il ‘noi’ dei genitori e la relazione con il figlio nella riflessione di Ferdinando Ulrich, in «Rivista di Scienze dell’Educazione» 43 (2005) 301-313; Galli N.,​​ Competenza ed a. per lo sviluppo del bambino, in «Pedagogia e Vita» 63 (2005) 162-164; Macario L.,​​ A. fonte di vita, Roma, LAS, 2007.

P. Braido




AMOREVOLEZZA

 

AMOREVOLEZZA

Il termine a. è quasi caduto in disuso nella lingua it.; ma nei secoli XVI-XIX ricorre con frequenza anche come categoria «pedagogica» (nell’educazione, nella catechesi e nella​​ ​​ pastorale).

1. Esso indica una particolare modalità di rapporti tra padri / madri e figli, tra maestri / educatori-maestre / educatrici e allievi / allieve, tra catechisti e catechizzandi, tra sacerdote / confessore e fedele / penitente. «A.​​ – scrive il Tommaseo – è il segno dell’amore, della benevolenza, dell’affetto; segno che può essere più o meno evidente e sincero.​​ Amorevole​​ indica gli atti esterni di un sincero amore [...] L’a. innoltre è, più d’ordinario, da superiore a inferiore. Può però anco l’a. essere tra pari, così come l’affetto [...]. La vera a. cristiana vien sempre dal cuore» (Nuovo diz. de’ sinonimi,​​ Napoli, 1905, 102-103).

2. Già nelle​​ Constitutioni et Regole della Compagnia et Scuole della Dottrina Christiana​​ (1585) è stabilito per il maestro: «con charità, a. et mansuetudine gli [gli scolari] riceva», seguendo l’esempio «di Christo, che con tanta charità et a. accettò quello fanciullo, che gli andò avanti». Anche​​ ​​ Aporti parla della necessità di «guadagnarsi prima di tutto l’affezione e la confidenza dei fanciulli», tenendo conto che «si ama chi ci tratta con a.» e che «il mezzo che più concorre a conciliare la benevolenza è la benevolenza»​​ (Scritti pedagogici​​ II, Torino, Chiantore, 1945, p. 85, 440-441). Fratel Théoger delle Scuole cristiane, conosciuto da don​​ ​​ Bosco a Torino (Virtù e doveri di un buon maestro,​​ Torino, Paravia, 1863), sviluppa il tema del maestro che «procura colle sue amabili qualità di conciliarsi l’a. degli scolari» (p. 5). Il barnabita A. Teppa,​​ Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù​​ (Roma / Torino, Marietti, 1868), una delle fonti delle pagine di don Bosco sul​​ ​​ sistema preventivo del 1877, parla di «amorevoli parole», di «amorevoli correzioni», «modi amorevoli», di castighi dati «con dignità e insieme con a.» (pp. 40, 49).

3. Don Bosco fa dell’a. uno dei tre pilastri (gli altri sono la​​ ​​ ragione e la​​ ​​ religione) su cui poggia il «sistema preventivo», la cui «pratica è tutta appoggiata sopra le parole di S. Paolo che dice: La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo». L’a. è precisamente «amore dimostrato» con immediatezza, sincerità e riserbo, e può considerarsi sinonimo di dolcezza, mansuetudine, benevolenza, amore-carità paziente e comprensiva. Don Bosco raccomanda l’a. anche ai confessori: «Accogliete con a. ogni sorta di penitenti, ma specialmente i giovani» (Opere edite​​ XIII 181); ma più universalmente a tutti coloro che si occupano dell’età in crescita: genitori, educatori, insegnanti, assistenti, animatori. Egli, però, non si nasconde alcune possibili ambiguità pedagogiche nel praticarla; perciò la vuole vissuta in sintesi con la ragione / ragionevolezza e la virtù teologale della carità. In relazione alle cautele e alle avvertenze di don Bosco, una innovativa pista di ricerca di grande forza suggestiva, con preciso riferimento alla sensibilità odierna nei confronti della sessualità e dell’amore, è percorsa e indicata dal salesiano francese Xavier Thévenot.

Bibliografia

Perquin N.,​​ Don Bosco als opvoeder en psycholoog,​​ in «Dux» 29 (1962) 433-439;​​ Rougier S.,​​ L’avenir est de la tendresse. Ces jeunes qui nous provoquent à l’espérance, Paris, Salvator, 1979; Thévenot X.,​​ Don Bosco educatore e il sistema preventivo. Un esame condotto a partire dall’antropologia psicoanalitica, in «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 701-730;​​ Id., «L’affectivité en éducation», in​​ Éducation et pédagogie chez don Bosco,​​ Paris, Fleurus, 1989, 233-254; Braido P.,​​ Breve storia del «sistema preventivo»,​​ Roma, LAS, 1993; Id.,​​ I molti volti dell’a., in «Rivista di Scienze dell’Educazione» 37 (1999) 17-46.

P. Braido