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ALCOLISMO

 

ALCOLISMO

L’a., detto anche etilismo, è descritto come una condizione di dipendenza dall’assunzione di bevande contenenti alcol. Può essere definito​​ cronico​​ o​​ acuto.​​ Il primo esprime lo stato patologico di chi da tempo ormai assume dosi eccessive di alcol, mentre il secondo fa riferimento alla semplice ubriachezza vissuta in modo episodico. Elementi da tenere in considerazione per una corretta definizione sono soprattutto due: il grado di dipendenza e la gravità dei danni organici e non prodotti dall’alcol. Per quanto riguarda i disturbi psichici o di comportamento in un alcolista cronico si possono evidenziare la bassa tolleranza delle frustrazioni e dell’​​ ​​ ansia, la mancanza di responsabilità, la labilità emotiva unite ad alterazione del tono e dell’umore con impulsività e irritabilità, disturbi della memoria, diminuzione dell’intelligenza.

1. Le teorie sull’a. sono numerose e tengono conto dei vari «ambienti» in cui si muove la persona umana mettendo in primo piano o l’ambiente biologico, o quello socioculturale o quello psicogenetico; a)​​ teorie biologiche​​ che fanno riferimento a un fattore ereditario descritto come responsabile non tanto dell’a., quanto dello strutturarsi di una personalità fragile e incapace a resistere alla sollecitazione di assumere alcol. Ultimamente si è più propensi a parlare non tanto di genesi ereditaria, quanto di predisposizione determinata da un condizionamento familiare; b)​​ fattori socio-ambientali​​ la cui importanza è dimostrabile dal fatto che l’assunzione di alcol viene incoraggiata da alcuni gruppi sociali o viene addirittura ritenuta indispensabile per determinate professioni o sollecitata come segno di «virilità». Interessanti anche gli studi sulle società dei nomadi, sul rapporto metropoli / immigrazione e quelli condotti nell’area della emarginazione. Diversi autori inseriscono soprattutto in questo contesto l’aumentata percentuale di giovani che consuma sostanze alcoliche; c)​​ teorie psicologiche e psicodinamiche:​​ la psicodinamica classica interpreta l’a. come una regressione allo stadio orale in cui si è fissata l’organizzazione istintuale.​​ ​​ Freud ha trattato questo problema in margine a quello della paranoia (caso Schreber). A livello più generale diversi autori hanno messo in relazione l’a. con alcuni tratti di personalità, anche se non si è mai chiaramente dimostrato se i tratti descritti (ad es. stati di tensione, sentimenti di insicurezza, incapacità di affermazione personale, bisogno di gratificazione...) siano antecedenti o successivi all’abuso alcolico.

2. L’eterogeneità del disturbo porta diversi autori contemporanei a parlare non di a. ma di «alcolismi». Ciò mette in evidenza il fatto che la dipendenza da alcol avviene in una persona. «Un individuo può sviluppare a. come punto d’arrivo di una complessa interazione di carenze strutturali, predisposizione genetica, influenze familiari, contributi culturali, e altre diverse variabili ambientali. Una completa valutazione psicodinamica del paziente considererà l’a. e tutti i fattori che vi contribuiscono nel contesto dell’intera persona» (Gabbard, 1995, 341). Da questo punto di vista anche il​​ ​​ recupero viene inteso come la messa a disposizione del soggetto di una molteplicità di tecniche e di interventi, a volte utilizzati su vari fronti, in modo da tener conto della personalità del singolo e della sua disponibilità a mettersi in gioco per migliorare.

Bibliografia

Furlan P. M. - R. L. Ricci,​​ Alcol,​​ alcolici,​​ a.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1990; Gabbard G. O.,​​ Psichiatria psicodinamica,​​ Milano, Raffaello Cortina, 1995; Sanfilippo B. - G. L. Galimberti - A. Lucchini (Edd.),​​ Alcol,​​ alcolismi: cosa cambia?, Milano, Angeli, 2004; Trevisani F. - F. Caputo (Edd.),​​ A., Bologna, CLUEB, 2005; Memmi A.,​​ Il bevitore e l’innamorato. Il prezzo della dipendenza,​​ Roma, Edizioni Lavoro, 2006.

L. Ferraroli




ALFABETIZZAZIONE

 

ALFABETIZZAZIONE

In genere il termine si contrappone ad analfabetismo, versione negativa in quanto assenza di a.; può assumere valore​​ strumentale,​​ spirituale,​​ funzionale.​​ Nel primo caso ci si riferisce all’insegnamento della lettura e della scrittura in contesto scolastico ed extrascolastico; nel secondo ci si rapporta alla crescita matura del soggetto sotto il profilo politico e civile, nonché alla sua partecipazione sociale professionalmente qualificata; nel terzo ci si richiama alla funzionalità dell’​​ ​​ apprendimento rispetto a fini occupazionali e socioeconomici. Questi tre aspetti possono essere più o meno e con diversa intensità, compresenti. Ad es. può darsi una sorta di a. spirituale nei casi di trasmissione di culture fondate sulla tradizione orale.

1.​​ Ambiti di applicazione.​​ Va distinta l’a. spontanea e indotta, nel caso dell’apprendimento di lettura e scrittura come conquista prescolastica e scolastica dei bambini, dall’a. differenziata a seconda del​​ ​​ linguaggio, verbale-non verbale, preso in esame. Inoltre si distingue l’a. dell’infanzia, comunemente messa in atto dalla​​ ​​ scuola e dalla famiglia, dall’a. degli adulti. Quest’ultima nasce come idea di educatori che in vari Paesi hanno promosso progetti intesi a fornire a chi è fuori del circuito scolastico la strumentazione di base per una migliore partecipazione sociale. In questo senso vanno ricordate tutte quelle iniziative di istruzione popolare che da Grundtvig in Danimarca, a Condorcet in Francia, a Cena in Italia caratterizzano una parte della storia europea dell’educazione dalla fine dell’800 ai primi decenni del ’900. Dopo la seconda guerra mondiale l’a. viene letta da più parti in senso motivazionale: apprendere per scopi precisi e per mete concrete. Nei Paesi socialisti l’a. è strettamente connessa alla concezione politecnica e alla congiunzione del lavoro intellettuale con quello manuale: si alfabetizza trasmettendo un sapere operativo da spendere a vantaggio della collettività. Altro esempio originale è quello dell’India dalla spiritualità multiforme, che​​ ​​ Gandhi ha fatto conoscere al mondo intero non più solo sotto l’aspetto della povertà e dell’analfabetismo, ma della nazione intenta ad uscire dalle strettoie della istruzione occidentale elitaria per cercare mezzi di a. di massa all’interno della propria tradizione spirituale. A livello internazionale l’Unesco si occupa della questione in modo costante e registra annualmente le statistiche che evidenziano l’andamento del fenomeno. Il tasso di scolarizzazione è uno degli indicatori dell’a. con punte minime nei Paesi emergenti (​​ Asia,​​ ​​ America Latina,​​ ​​ Africa) e punte massime nei Paesi industrialmente più avanzati. Nel 1961 l’Unesco lancia la campagna mondiale di a. intesa a favorire l’autosviluppo e l’auto-emancipazione dei Paesi più poveri attraverso la cooperazione economica internazionale. L’ipotesi del «Programma sperimentale mondiale di a.» (PEMA) attivato dall’Unesco in 20 Paesi tra il 1967 e il 1973 è che solo entro un quadro socio-economico favorevole ed organizzato è possibile promuovere un percorso formativo basato su obiettivi di crescita e tale da procurare agli individui interessati i mezzi intellettuali e tecnici capaci di farne attori efficienti nell’intero processo di sviluppo.

2.​​ Esperienze significative.​​ Famose sono le iniziative di coscientizzazione degli «oppressi» promosse negli stessi anni da​​ ​​ Freire in America Latina (​​ educazione liberatrice): vere e proprie testimonianze di servizio e di elevazione culturale di persone per generazioni tenute lontane dall’istruzione. Negli anni ’40 sorgono in Italia diversi movimenti di ispirazione democratica che operano, soprattutto nel Sud, per l’a. della popolazione rurale. La legge istitutiva della «scuola popolare» è del 1947 e per circa trent’anni si moltiplicano, differenziatamente su tutto il territorio, centri di lettura e corsi di richiamo scolastico, iniziative di bibliobus e di telescuola, attività di formazione professionale gestite da enti vari. In seguito al decentramento amministrativo (L. n. 382 / 75) viene data la possibilità alle Regioni (DPR n. 616 / 77) di dare inizio ai corsi della durata di «150 ore» frequentati con eventuale congedo pagato, al fine di favorire il conseguimento, nelle sedi appropriate, del titolo di scuola media a chi lavora, alle casalinghe, alle collaboratrici domestiche, a tutti coloro i quali sono sprovvisti di tale certificato che permette di fatto un migliore inserimento occupazionale ed eventualmente la mobilità sociale. In diversi Stati del mondo non sembra più sufficiente far coincidere l’a. minima dell’infanzia e dell’adolescenza con la generalizzazione dell’istruzione primaria e secondaria di primo ciclo, in quanto crescono le aspettative delle famiglie, dei figli, della società internazionale rispetto a livelli di formazione che spostano più avanti negli anni il termine dell’​​ ​​ obbligo scolastico. Per l’Italia l’elevamento appena introdotto è fino ai 16 anni. In termini scolastici istituzionali l’a. comincia con l’educazione preprimaria e termina con la fine o l’interruzione della frequenza scolastica; in termini sostanziali essa inizia con la gestazione, considerando l’influenza feto-madre, e termina forse con la morte. Alla scuola e alle diverse sedi formative anche extrascolastiche spetta indubbiamente il compito di costruirsi come ambienti nei quali il soggetto sperimenta metodi didattici funzionali alla maturazione al pensiero critico.

3.​​ Estensione contenutistica.​​ Concettualmente l’a. significa molto di più della acquisizione delle capacità di leggere e scrivere poiché riguarda la padronanza di più modelli di comprensione, l’elaborazione di conoscenze diverse, la flessibilità e la coerenza dei collegamenti tra molteplici contenuti e forme culturali. La storia dell’a. dimostra che progressivamente ci si muove in modo da comprendere temi via via più vasti e variegati non esauribili nell’apprendimento di automatismi tradizionali e di tecnicità, sempre più sofisticate, si pensi ad es. agli sviluppi dell’informatica, bensì necessariamente comprendenti questioni correlate come quelle dell’arricchimento culturale, dell’uguaglianza delle opportunità educative, della dispersione scolastica, dell’educazione delle minoranze etniche, della formazione permanente, del diritto allo studio, dell’acquisizione di nuove professionalità e dell’​​ ​​ istruzione a distanza. La locuzione «competenze alfabetiche» delle indagini internazionali stabilisce categorie e livelli del sapere e del saper fare. La Dichiarazione di Lisbona dell’UE (2000) annovera nella strategia politico-sociale per il 2010 l’intensificazione della lotta contro l’analfabetismo.

Bibliografia

Mencarelli M.,​​ Scuola in prospettiva. Insegnare ad apprendere,​​ Brescia, La Scuola, 1973; Potts J.,​​ Insegnare a leggere,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1981; Fiorini F. - L. Pagnoncelli,​​ Quale alfabetismo?,​​ Torino, Loescher, 1988; Cives G. (Ed.),​​ La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1990; Gallina V. (Ed.),​​ La competenza alfabetica in Italia: una ricerca sulla cultura della popolazione, Milano, Angeli, 2000; Nardi E.,​​ Come leggono i quindicenni. Riflessioni sulla ricerca OCSE-PISA, Ibid., 2002; Chistolini S., «Competenze alfabetiche», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ Appendice A-Z, Brescia, La Scuola, 2003, 343-359.

S. Chistolini




ALGORITMO

 

ALGORITMO

Successione ordinata e finita di operazioni e decisioni che conduce a un risultato preciso.

Il termine deriva dalla latinizzazione del nome del grande matematico arabo Muhammed Ibn Muza Al Kuvaritzmi (Algorismus). Leonardo Fibonacci nel suo​​ Liber abaci​​ (1202) inizia spesso le sue affermazioni con l’espressione​​ «Dixit Algorismus».​​ Tale termine è stato ben presto applicato a molti procedimenti matematici universalmente noti e significativi come l’a. euclideo delle divisioni successive, procedimento usato per trovare il massimo comun divisore tra due numeri. Per estensione, con lo sviluppo dell’​​ ​​ informatica e dei computer, esso è stato utilizzato per indicare ogni tipo di procedimento che può essere progettato, tradotto in un linguaggio formale conveniente e fatto eseguire da un sistema di elaborazione automatica. È stato anche usato nell’ambito pedagogico e didattico per designare procedure e strategie formative. L. Landa (1974) ha sviluppato una sua teoria dell’insegnamento definita «algo-euristica», che integra metodi di insegnamento di tipo procedurale-esecutivo e di tipo esplorativo-creativo.

Bibliografia

Landa L.,​​ Algorithmization in learning and instruction,​​ Englewood Cliffs, Educational Technology Publications, 1974; Luccio F.,​​ La struttura degli a., Torino, Boringhieri, 1982; Pellerey M.,​​ Informatica,​​ fondamenti scientifici e culturali,​​ Torino, SEI, 1986; Wirth N.,​​ A. + Strutture Dati​​ =​​ Programmi,​​ Milano, Tecniche Nuove, 1987; Goldsch-Lager L. - A. Lister,​​ Introduzione all’informatica. A.,​​ strutture,​​ sistemi,​​ Torino, SEI, 1988;​​ Fondamenti di informatica. Vol. 2: Reti,​​ basi di dati,​​ multimedia,​​ linguaggi,​​ a., Bologna, Zanichelli, 2006; Guida G. - M. Giacomin,​​ Fondamenti di informatica, Milano, Angeli, 2006.

M. Pellerey




ALLEGRIA

 

ALLEGRIA

L’a. è un sentimento dell’animo lieto, che si rivela vivido nelle molteplici espressioni umane: volto e aspetto, movimenti e gesti... Scaturisce dall’emozione primaria della gioia e si manifesta con vivacità nella​​ ​​ festa. Ciò che rallegra nutre la mente, tonifica il cuore e facilita la comunicazione.

1. Nella prospettica pedagogica l’a. trova la sua collocazione formale nel discorso sull’ambiente educativo. Più che configurare solo il «pädagogischer Bezug», il rapporto educativo (Nohl), trova il suo luogo proprio nel «pädagogisches Feld», il campo pedagogico (Winnefeld), provocando i mondi vitali alla scoperta di significati e alla loro stessa produzione. Di certo il sentimento d’a. incontra solchi fertili nell’animo umano, specie giovanile. Il terreno più fecondo per il​​ ​​ dialogo educativo e la comunicazione dei​​ ​​ valori è senza dubbio un ambiente di a. A tale scopo occorre offrire, nell’età della crescita, ampio spazio alla libera espressione (​​ musica e canto,​​ ​​ sport e gioco, danza e​​ ​​ teatro, gite e pellegrinaggi) e alla manifestazione spontanea (emblema di un esuberante spazio estroverso è il «cortile», la «piazza»). L’hanno intuito educatori capaci, come don​​ ​​ Bosco, che nella giovinezza fondò la «Società dell’a.» e nella sua proposta educativa forgiò il trinomio: a., studio, pietà, in cui lo spazio-cortile e l’espressività giovanile assumono dignità pedagogica. Da qui la rilevanza educativa di creare un clima di a. e la convinzione di garantire un sereno tessuto dei rapporti amichevoli.

2. L’a. rivela così valenze interiori (sua fonte è la gioia) e insieme espressioni manifeste. Ne diventa metafora la festa, scandita dalle varie ricorrenze della vita, ma spesso vissuta nei momenti più quotidiani (esistenza come festa). Nell’età evolutiva il soggetto tende spontaneamente all’a. e alla festa: sa che queste nutrono i suoi sentimenti, creano fiducia e sostengono la crescita. L’a. è contagiosa: attraverso la dinamica empatica, come vissuto affettivo, l’a. coinvolge e trascina, creando una feconda piattaforma di relazioni positive e un ambiente costruttivo. Di certo festa e a. sono soggette all’ambivalenza, o addirittura alla deriva; e tuttavia rimangono sempre seducenti nella loro valenza educativa. Nella società contemporanea prevale una visione esistenziale di festa, vissuta nella realtà quotidiana: si cerca perciò una compresenza di evasione e di ricarica, di divertimento e di condivisione, di rapporti consueti e di relazioni inedite, di gratuità e di distacco. In tal senso l’a. e la festa giocano un ruolo non marginale, oggi. Si tratta però di assumerne le sfide educative come la socialità che si fa partecipazione, il coinvolgimento che rende protagonisti, i gesti simbolici che evocano e celebrano valori. All’educatore spetta creare le condizioni interiori perché si verifichino eventi valoriali: 1’​​ ​​ ottimismo di base che è fiducia in sé e negli altri; il gusto per i valori altruistici che fa scoprire il sapore della gratuità e solidarietà; il senso dell’​​ ​​ amicizia che fa superare la​​ ​​ solitudine e rafforza i legami sociali. La manifestazione dell’a. nella festa si fa così messaggio della gioia di vivere, non solo nei suoi aspetti più antropologici e culturali, ma non meno nelle sue evidenze etiche e religiose.

Bibliografia

Baggio D. A.,​​ Paz,​​ optimismo,​​ alegría,​​ Petrópolis, Vozes, 1988; De Monticelli R.,​​ L’a. della mente, Milano, B. Mondadori, 2004; Sagramola O.,​​ Educazione e pedagogia in Giovanni Bosco, Viterbo, Sette Città, 2005.

G. B. Bosco




ALLPORT Gordon Willard

 

ALLPORT Gordon Willard

n. a Montezuma (Indiana) nel 1897 - m. ad Harvard nel 1967, psicologo statunitense.

1. Frequentando la Harvard University viene in contatto con il pensiero di​​ ​​ James e di​​ ​​ Dewey. Conseguito il dottorato nel 1922 con W. McDougall e H. Langfeld, vuole perfezionarsi in Europa, con​​ ​​ Spranger a Berlino, W. Stern ad Amburgo e F. C. Bartlett a Londra, nella ricerca di un complemento fra la tradizione nordamericana e quella europea. Dal 1924 alla morte, eccetto una parentesi di 4 anni, dal 1926 al 1930 trascorsi al Dortmund College, svolge la sua intensa attività accademica alla Harvard University. Nel 1937 diventa direttore del Department of Psychology e inizia contemporaneamente la pubblicazione del «Journal of Abnormal and Social Psychology», che dirigerà fino al 1949. Nel 1946 fonda il nuovo Department of Social Relations, che coordina e promuove le ricerche nell’ambito dei dinamismi personali e sociali. Nel 1939 è eletto presidente dell’American Psychological Association, e nel 1944 della Society for the Psychological Study of Social Issues. Insignito con due lauree​​ honoris causa,​​ è stato membro delle principali società nazionali di psicologia scientifica.

2. La prima sintesi del suo approccio alla psicologia si trova nel volume del 1937​​ Personality: a psychological interpretation.​​ Si tratta di uno dei primissimi manuali che riguardano la personalità normale, che, fin d’allora, esprime i principali tratti della sua psicologia: la preoccupazione per ciò che è tipicamente umano, sano, e caratterizza il singolo individuo, reagendo ad una psicologia attenta principalmente agli aspetti istintivi o patologici, o comuni agli animali, o protesa più a definire leggi universali che a comprendere la persona. In conformità con queste scelte, A. ha dovuto affrontare problemi epistemologici (come sia possibile una scienza dell’individuo) e metodologici: in un clima dove la scienza era equiparata alla quantificazione. A. ha scelto un metodo eclettico, che gli permette di raggiungere con sufficiente oggettività componenti umanamente importanti eppure sfuggenti al controllo quantitativo, come le intenzioni, i sentimenti, i valori e le decisioni a lunga portata, il senso di identità e di responsabilità.

3. Nel quadro di questa opzione «umanistica» si comprendono le sue pubblicazioni: dodici volumi di trattazioni varie, due monografie, due test, circa 150 articoli e numerose recensioni. I principali temi trattati riguardano la religione, il pregiudizio e la personalità. Nella sua opera maggiore sulla personalità (trad. it. 1977), che riprende e rielabora completamente la pubblicazione del 1937, A. ha raccolto il frutto maturo della sua riflessione e della sua ricerca: si ritrovano riconciliate le antinomie dell’unicità della persona e della sua socialità, del peso dell’inconscio e della ricerca di valori, della molteplicità di tratti ed abiti e dell’integrazione in un’intenzione centrale, della religiosità strumentalizzata nel pregiudizio o ricercata e vissuta come valore intrinseco. L’opera stessa si raccomanda come un accostamento sereno e imparziale ai problemi più urgenti per la comprensione della personalità. A. ha esercitato un notevole influsso sugli studiosi suoi contemporanei (Murphy, Maslow, Bertocci, Nuttin, Frankl), e continua ed esercitarlo attraverso gli sviluppi della corrente umanista.

Bibliografia

principali opere di A. tradotte in it.:​​ Divenire. Fondamenti di una psicologia della personalità,​​ Firenze, Editrice Universitaria, 1963;​​ L’individuo e la sua religione. Interpretazione psicologica.​​ Introduzione e traduzione a cura di N. Galli, Brescia, La Scuola, 1972;​​ La natura del pregiudizio,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1973;​​ Psicologia della personalità.​​ Introduzione e bibliografia delle opere di A. a cura di A. Ronco, Roma, LAS, 1977.

A. Ronco




ALTERITÀ

 

ALTERITÀ

Il tema dell’altro è diventato centrale nel dibattito culturale contemporaneo. In passato la​​ ​​ differenza è stata vista per lo più come una minaccia per la propria​​ ​​ identità. In generale si è concordi nel vedere il pensiero europeo come un pensiero dell’identità dove l’altro, il diverso, rimane estraneo, viene rimosso e occultato.

1.​​ La tradizione occidentale.​​ L’Occidente non avrebbe elaborato una vera cultura della differenza, come oggi denunciano le stesse donne occidentali in nome di quella cultura al femminile che trova nella «differenza di genere» il suo principio epistemologico ed ermeneutico. Tra i pensatori che criticano la tradizione occidentale per l’oblio dell’a. si segnalano​​ ​​ Buber, Dussel, De Certeau, Irigaray, Vattimo, Derrida, Foucault, Todorov, ecc. Ma fra tutti spicca il nome di Lévinas, il filosofo dell’a. Ripartire dal volto dell’altro, in campo filosofico così come in campo educativo, significa essenzialmente impegnarsi a creare le condizioni per il passaggio dall’umanesimo del soggetto (cioè dell’io) all’umanesimo dell’altro uomo (cioè del tu e dell’egli); dalla logica dell’identità alla cultura della differenza; dall’etica dell’individuo all’etica del volto e della responsabilità. Proprio con quest’ultima espressione, «etica del volto», si è soliti indicare uno dei punti centrali del pensiero di E. Lévinas (1905-1995), filosofo ebreo che ha elaborato una concezione​​ dell’uomo a partire dall’altro,​​ dal tu, dal volto. Per il suo venire «da fuori» il volto dell’altro si presenta sempre anche come una minaccia che provoca in noi la perdita di controllo, di signoria, di dominio su noi stessi. L’altro, per quanto sia nostro «prossimo» conserverà sempre la sua radicale eterogeneità, la sua assoluta differenza, la sua irriducibile a. L’altro sarà sempre, contemporaneamente, il «prossimo» (di qui il carattere di appello) e lo «straniero» (di qui il carattere di mistero).

2.​​ Il rapporto con l’altro nella società multiculturale. Da molti anni la riflessione sull’a. comprende non solo il riferimento alle donne, ai portatori di handicap, agli omosessuali, ma soprattutto la presenza crescente dello «straniero». Strettamente collegato al tema dell’a. è quindi quello del pregiudizio e dello stereotipo fino al razzismo e alla mixofobia (o paura della mescolanza). Educare all’altro significa allora ridefinire il proprio «io», perché prima ancora di essere solidale e oblativo, democratico e partecipativo, sia un «io ospitale» e capace di accoglienza, di ascolto, di reciprocità. Nell’odierna società plurale e interetnica si tratta di scoprire che l’altro è la risorsa più preziosa per accrescere la nostra identità. Chi ci educa, in senso proprio, è la relazione con l’altro. È lui che ci «tira fuori» dall’ego e ci sollecita all’avventura dell’esodo. Se l’altro non ci visitasse con il suo volto, noi non potremmo mai dire «eccomi». E resteremmo nella nostra immanente soggettività. Pieni di noi, indubbiamente, ma senza la trascendenza dell’altro.

3.​​ Verso l’ethos della reciprocità.​​ La riflessione sui temi dell’a., della differenza, della relazione intersoggettiva e interculturale sta portando verso la centralità della categoria della reciprocità, della convivenza e della coesione sociale. P. Ricoeur giunge a parlare di un «ethos della reciprocità», come paradigma della relazione fondata sul valore della differenza. La reciprocità, sia sul piano antropologico, sia su quello psicologico e pedagogico è ancora tutta da esplorare e da comprendere. La reciprocità è contemporaneamente un essere «con» l’altro, un essere «per» l’altro, un essere «grazie» all’altro. Paul Ricoeur riassume così l’ethos della reciprocità: «Aspirazione ad una vita felice, con e per gli altri, in istituzioni giuste». Come si vede, si tratta di tre poli ben articolati e uniti tra loro: la stima di sé, la cura dell’altro, l’aspirazione a vivere in istituzioni giuste. Il problema dell’identità non è separabile dal problema della differenza. È nella cornice di una antropologia della reciprocità che troviamo, forse, il luogo più autentico per la fondazione (né ego-centrica né allo-centrica) della relazione educativa.

Bibliografia

Kristeva J.,​​ Stranieri a se stessi,​​ Milano, Feltrinelli, 1990; De Certeau M.,​​ Mai senza l’altro,​​ Comunità di Bose, Qiqajon, 1993; Ricoeur P.,​​ Sé come un altro,​​ Milano, Jaca Book, 1993; Habermas J.,​​ L’inclusione dell’altro, Milano, Feltrinelli, 1998; Cicchese G.,​​ I percorsi dell’altro. Antropologia e storia, Roma, Città Nuova, 1999; Vigna C. - S. Zamagni (Edd.),​​ Multiculturalismo e identità, Milano, Vita e Pensiero, 2001; Lévinas E.,​​ Dall’altro all’io, Roma, Meltemi, 2002; Currò S.,​​ Il dono e l’altro. In dialogo con Derrida,​​ Lévinas e Marion, Roma, LAS, 2005.

A. Nanni