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AGAZZI Aldo

 

AGAZZI Aldo

n. a Bergamo nel 1906 - m. a Bergamo nel 2000,​​ pedagogista italiano.

1. Figlio di due operai tipografi, primogenito di 8 figli, divenne a 18 anni maestro elementare, a 28 direttore didattico. Diplomato nell’Università Cattolica, con​​ ​​ Casotti, e laureato in Pedagogia all’Università di Torino, divenne insegnante di filosofia all’istituto magistrale, poi libero docente in pedagogia e incaricato a Padova e infine straordinario nell’Università Cattolica (1960), dove fu anche preside di Facoltà e direttore dell’Istituto di Pedagogia.

2. Dotato di vasta e solida cultura umanistica, si aprì alle istanze della socialità e della democrazia, impegnandosi nell’UCIIM, Unione cattolica italiana insegnanti medi, al fianco di​​ ​​ Nosengo, che avrebbe sostituito alla presidenza nazionale, dal 1969 al 1974. Fu anche presidente del Movimento Circoli della Didattica. Partecipò alla Commissione Gonella, battendosi vittoriosamente per la secondarietà della scuola media, fu membro del Consiglio Superiore della P.I. (1951-54 e 1958-62), combattivo membro delle commissioni ministeriali per la stesura dei Programmi della scuola media e degli Orientamenti della scuola materna, fu direttore poi presidente del Centro didattico nazionale per la scuola materna (dal 1950 al 1974), presidente dell’ASPeI, associazione pedagogica italiana, segretario di Scholè, centro di studi fra pedagogisti cristiani, presso l’Editrice la Scuola, dal 1954 al 1968. Presso la stessa Editrice fu anche direttore dal 1948 al 1984 della rivista​​ Scuola Materna​​ e dal 1955 al 1991 della rivista «Scuola e Didattica».

3. I più impegnativi lavori scientifici di A. sono:​​ Saggio sulla natura del fatto educativo,​​ in ordine alla teoria della persona e dei valori​​ (1950),​​ Oltre la scuola attiva. Storia,​​ essenza e significato dell’attivismo​​ (1955);​​ Teoria e pedagogia della scuola nel mondo moderno​​ (1958) e​​ Il lavoro nella pedagogia e nella scuola​​ (1958). Negli anni successivi, oltre alle sue dispense universitarie videro la luce fra gli altri:​​ Gli esami,​​ aspetti pedagogici​​ (1967);​​ Pedagogia,​​ didattica,​​ preparazione dell’insegnante​​ (1968);​​ Le nuove problematiche dell’educazione​​ (1971). Collocatosi nella linea del personalismo educativo (Il discorso pedagogico. Prospettive attuali del personalismo educativo, pro manuscripto, 1963), A. affrontò nei seminari universitari, nelle sedi istituzionali, nei convegni e nei corsi di aggiornamento per docenti e per educatori problemi filosofici, pedagogici, di politica scolastica, didattici, con chiarezza, equilibrio, tenacia, da educatore oltre che da intellettuale impegnato, stimato dai colleghi di tutti gli orientamenti.

Bibliografia

a)​​ Fonti: la bibl. di A.A. (oltre 1600 titoli) è contenuta in:​​ Pedagogia fra tradizione e innovazione.​​ Studi in onore di A.A., Milano, Vita e Pensiero, 1979. b)​​ Studi: Galli N.,​​ A.A., in M. Laeng,​​ Enciclopedia pedagogica, vol. I, Brescia, La Scuola, 1989, 216-224; Id.,​​ La pedagogia di A.A., in «Pedagogia e Vita» (2002) 2, 39-91; Scurati C. (Ed.),​​ Educazione,​​ società,​​ scuola: la prospettiva pedagogica di A.A., Brescia, La Scuola, 2005; Corradini L.,​​ Nosengo e A.,​​ attualità di due centenari, in «La Scuola e l’Uomo» (2006) 8-9, 189-194; Pazzaglia L. et. al.,​​ La passione e l’intelligenza educativa. Il patrimonio pedagogico di A.A, in «Scuola e Didattica» 11 (2007) 2, 49-64.

L. Corradini




AGAZZI Rosa e Carolina

 

AGAZZI Rosa e Carolina

Rosa n. a Volongo-Cremona nel 1866 - m. ivi nel 1951 e Carolina n. a Volongo-Cremona nel 1870 - m. a Brescia nel 1945, educatrici italiane.

1. Alle sorelle A. (ma particolarmente a Rosa) si riconosce il merito di aver attuato la riforma del fröbelismo in Italia e di aver realizzato a Mompiano (Brescia) un sistema di educazione infantile che si rivelò capace di soddisfare con puntualità e con congruenza, le esigenze dei bambini e della società rurale in cui vivevano. In questo sistema interagiscono vari elementi (i bambini, le educatrici, le loro famiglie, i locali, gli spazi esterni, il materiale didattico, le esperienze educative, lo stile magistrale, le modalità comunicative). Al centro c’è il bambino, visto come «germe vitale che aspira al suo armonico sviluppo», che è protagonista attivo del suo apprendimento e partecipe della vita della scuola, grazie alla qualità dell’organizzazione dell’ambiente, delle relazioni, dell’animazione educativa della maestra che è la «regista» della «grande casa e dell’allegra famiglia».

2. R.A. dalla conoscenza del bambino fa scaturire due curricoli: uno (che oggi potremmo chiamare​​ implicito) legato alla qualità dell’ambiente che consente ai bambini di soddisfare la loro curiosità, «di chiedere, di domandare, di guardare e di osservare», il bisogno di conoscere le loro cose, quelle dei loro compagni, il mondo fisico, «la scuola, l’orto, gli oggetti, le piante, gli animali, le persone che vi si trovavano», di fare, di costruire, di interagire; e l’altro​​ esplicito​​ relativo alle attività comunemente considerate a carattere intellettuale quali «la lingua e le abilità in genere». Accanto a questo programma c’è tutta la vita della scuola, con i rapporti che si instaurano tra bambini, tra i bambini ed educatrici e con le occasioni che si presentano per le lezioni, per i dialoghi, per la conversazione, per il racconto e la discussione.

3. Il sistema di Mompiano «si impernia intorno ad un ambiente di vita fisica ed operativa», in cui il bambino prova la gioia di vivere, respira un’atmosfera educativa ed apprende ad essere autonomo e competente, capace di mangiare da sé, di apparecchiare e di sparecchiare, di vestirsi e di spogliarsi, di provvedere ai suoi bisogni, di muoversi nel suo spazio vitale, di organizzare il suo tempo, di fare, di trasformare la materia attraverso il gioco-lavoro, di ben pensare e di esprimere con chiarezza il suo pensiero. Tra i bisogni del bambino, oltre a quello di stare bene, di maturare la propria identità, di autonomia e di competenze, R.A. colloca anche quelli di armonia, di bellezza e del sacro, sostenendo che la sua «incontrastabile individualità impone all’educatrice di attingere da se stessa quanto occorre per promuoverla», per vivificare l’umanità che egli custodisce ed attende di attuare.

Bibliografia

Agazzi A. - S. S. Macchietti,​​ L’educazione dell’infanzia nella scuola materna e il metodo A., Brescia, La Scuola, 1991; Macchietti S. S. et al.,​​ Scuola materna gioia di vivere crescere apprendere, Brescia, Ist. Mompiano «Pasquali-Agazzi», 1996; Macchietti S. S. (Ed.),​​ Alle origini dell’esperienza agazziana: sottolineature e discorsi, Azzano San Paolo (BG), Junior, 2001.

S. S. Macchietti




AGGRESSIVITÀ

 

AGGRESSIVITÀ

Condotta che può essere vissuta in modo positivo (affermazione di sé) o negativo (auto e / o eterodistruttività).

1. L’a. si snoda dunque lungo un​​ continuum​​ che va dalla difesa di se stessi, ad un sano bisogno di affermazione, alla creatività, alla competitività, al dominio sugli altri, alla distruzione di sé (masochismo) o degli altri (sadismo). Secondo l’ottica psicoanalitica, l’a. non si esprime solamente attraverso una condotta manifesta ed intenzionale, ma anche in modo mascherato ed inconscio. Ad es., un genitore scarica la sua ostilità nei confronti del figlio attraverso l’iperprotezionismo; oppure un individuo si dedica maniacalmente ad opere di bene per soddisfare il suo bisogno di dominare sugli altri.

2. L’a. non è riconducibile ad un’unica causa, ma ad una serie di fattori neurofisiologici, biochimici, psicologici e sociali tra loro interconnessi. Notevoli sono i contributi psicoanalitici al riguardo.​​ ​​ Freud giunge gradualmente alla conclusione che l’a. non è altro che un’espressione della​​ pulsione di morte​​ (Thanatos),​​ a cui, nel saggio​​ Al di là del principio del piacere​​ del 1920, egli riconosce un peso uguale a quello della libido, denominata​​ pulsione di vita​​ (Eros).​​ Entrambe le pulsioni sono innate e nella prima infanzia sono tra loro intimamente fuse. Successivamente si differenziano. Una mancata deLusione in età adulta comporta uno stato patologico. Per Freud la pulsione di morte tuttavia non riguarda semplicemente l’a., ma anche la tendenza alla riduzione assoluta delle tensioni, fino a portare l’essere vivente allo stato inorganico. Anche se il concetto di pulsione di morte è rimasto uno dei più controversi nell’ambito della teoria psicoanalitica,​​ ​​ Klein ha ripreso i contributi freudiani, sottolineando con ancora più forza il ruolo fondamentale che esso svolge nella strutturazione della personalità fin dai primi mesi di vita, soprattutto in assenza di una cura adeguata da parte della madre. Entro quest’ottica, l’esistenza dell’individuo è vista come uno snodarsi entro una costante conflittualità nella bipolarità: amore-odio, invidia-gratitudine, distruzione-riparazione, oggetto buono-oggetto cattivo. Ciò significa che la pulsione di morte normalmente si trova in uno stato di connessione con la pulsione di vita. Occorre però che, per il mantenimento della salute psichica, la pulsione di vita sia predominante.

Bibliografia

Laplance J.,​​ Vita e morte nella psicoanalisi,​​ Bari, Laterza, 1972; Storr A.,​​ La distruttività nell’uomo,​​ Roma, Astrolabio, 1975; Freud S., «Al di là del principio del piacere», in​​ Opere,​​ vol. 9, Torino, Boringhieri, 1977, 193-249; Klein M.,​​ Scritti 1921-1958,​​ Ibid, 1978; Rohm H.,​​ L’a. infantile. Teoria e prassi per un’educazione risolutrice dei conflitti,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1980;​​ La relazione aggressiva,​​ Roma, Borla, 1988;​​ Kernberg​​ O. F.,​​ A.,​​ disturbi della personalità e perversioni, Milano, Cortina, 1993; Norbert E. - E. Dunning,​​ Sport e a., Bologna, Il Mulino, 2001;​​ Fornaro M.,​​ A. I classici nella tradizione della psicologia sperimentale,​​ della psicologia clinica,​​ dell’etologia, Torino, Centro Scientifico, 2004;​​ Fagiani M. B. - G. Ramaglia,​​ L’a. in età evolutiva, Roma, Carocci , 2006; Kernberg O. F.,​​ Narcisismo,​​ a. e autodistruttività nella relazione terapeutica, Milano, Cortina, 2006.

V. L. Castellazzi




AGOSTINO Aurelio

 

AGOSTINO Aurelio

n. a Tagaste nel 354 - m. a Ippona nel 430, vescovo e scrittore, padre della Chiesa.

1.​​ Vita ed opere.​​ Africano di nascita e romano di lingua, cultura e sentimenti, A. fu educato cristianamente dalla madre Monica, ma da giovane si abbandonò all’orgoglio intellettuale, a deviazioni morali, all’eresia manichea. Insegnò retorica a Cartagine, a Roma e a Milano: ivi, dopo una lunga e tormentata vicenda interiore e profonda riflessione, si riavvicinò al Cristianesimo e nel 387 fu battezzato dal vescovo Ambrogio. Ritornò in Africa e a Tagaste si dedicò a vita ascetica con alcuni amici. Ordinato sacerdote nel 391 e vescovo di Ippona nel 396, fino alla morte esplicò una prodigiosa attività pastorale, dottrinale e letteraria. Scrisse moltissime opere: libri autobiografici (le​​ Confessiones),​​ filosofici (i​​ Dialogi),​​ apologetici (il più significativo è​​ De civitate Dei,​​ proposta di una visione cristiana della storia umana), dogmatici (il​​ De Trinitate),​​ pastorali e pedagogici, monastici, esegetici, polemici (contro manichei, pelagiani, donatisti); inoltre più di 300 lettere, vari trattati (come le​​ Enarrationes in Psalmos)​​ e circa 570​​ Sermones.​​ In riferimento alla pedagogia sono particolarmente importanti:​​ De magistro,​​ De catechizandis rudibus,​​ De doctrina christiana,​​ Epistulae​​ 118 e 266.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ a) L’esperienza personale di A. influì sul suo pensiero pedagogico. Dapprima ebbe modo di apprezzare l’educazione cristiana ricevuta dalla madre, poi da giovane, frequentando scuole pagane e leggendo autori classici, deplorò le pagine scandalose, l’obiettivo della vanagloria, la vacuità della semplice formazione letteraria, i metodi mnemonici, i frequenti castighi (pur accettati in linea di principio). Soprattutto A. ricercò la verità per tutta la vita, passando attraverso una crisi religioso-filosofica e una crisi morale. Da esse riemerse con la riflessione personale, con la lettura di testi platonici, con l’esempio di cristiani ferventi e specialmente con la preghiera, la meditazione sulla Sacra Scrittura, l’aiuto della grazia divina. b) Il pensiero pedagogico di A. è strettamente connesso con la sua filosofia e teologia, che sono fondate essenzialmente su tre principi: l’interiorità (l’uomo deve rientrare in se stesso per constatare la presenza della verità), la partecipazione (ogni bene è tale o per se stesso o perché deriva dal bene), l’immutabilità (l’essere vero è solo l’essere che non muta, che esclude limitazioni, composizioni e variazioni). c) L’amore, come espressione di pura benevolenza sull’esempio di Dio, è per A. l’anima dell’educazione (Cat. rud.​​ 4). L’educatore dona con gioia e disinteresse, si adatta alle condizioni psicologiche della persona, ispira confidenza (ivi,​​ 10.12); sa rendere efficaci anche la disciplina e il castigo, perché li fa sgorgare dall’amore (Serm.​​ 13,8,9). Egli desidera portare l’educando al pieno sviluppo delle sue possibilità, come una madre che nutrendo il proprio figlio, non vuole che rimanga piccolo, ma che cresca (Serm.​​ 23,3). A sua volta il bambino corrisponde alle cure dell’educatore, facendosi guidare dall’amore per il bene, scopo primario dell’educazione Certamente non si può amare ciò che non si conosce e non si è ancora sperimentato, ma si ama ciò che già si conosce e che si vuole conoscere meglio e perciò si vuole sapere ciò che si ignora (Trin.​​ 10,1,3). d) Finalità dell’educazione è il passaggio dalla vita istintiva a quella razionale (Civ. Dei​​ 22,24). L’educatore la ottiene servendosi di una equilibrata disciplina, proponendo elevati modelli morali e facendo rispettare la gerarchia dei valori. Tale compito spetta principalmente ai genitori nella famiglia e ai vescovi nella comunità cristiana. e) A. presenta acute pagine sulla didattica: insegnare è mostrare e dire. L’insegnante pone in essere segni, azioni, pensieri; richiama alla mente qualcosa conosciuto in precedenza; porta alla consapevolezza dell’allievo elementi a cui questi non prestava attenzione, pur essendo presenti sullo sfondo.​​ Intelligere​​ [comprendere] sarà non solo​​ intus legere​​ [leggere dentro], ma anche​​ inter legere​​ [leggere tra le cose, considerandole insieme] (Conf.​​ 10,11,18). L’abilità pedagogica del maestro opera una giusta connessione tra parole e significato. Il linguaggio esteriorizza ed incarna la parola interiore: così la comunicazione intersoggettiva è possibile se l’ascoltatore «vede le cose con il puro occhio interiore, conosce ciò che io dico con il proprio pensiero e non mediante le mie parole» (Mag.​​ 12,40). f) Non vi è educazione senza l’atto personale di intendere e di giudicare, senza una valorizzazione di se stessi e la conoscenza dell’universo che ci circonda, senza assunzione di responsabilità totale nei confronti di se stessi. g) Infine attraverso i segni delle cose l’uomo si abitua a passare dalle «realtà materiali a quelle spirituali» (Musica​​ 6,2,2). Lo splendore della verità divina è tale che un occhio impreparato non può sopportarne tutta la luce: l’uomo vi si deve disporre contemplando la luce riflessa sulle cose visibili. Dunque «dobbiamo considerare il mondo come mezzo, non come fine per poter contemplare le perfezioni invisibili di Dio comprendendole attraverso le cose create» (Doct. chr.​​ 1,4,4). La comprensione delle cose intelligibili avviene non per mezzo delle parole che risuonano dal di fuori, ma per mezzo della ragione che è sostenuta dalla luce della verità risplendente nell’intimo (cfr.​​ Mag.​​ 12,39). Ciascuno è ammaestrato «dalle cose stesse che gli si manifestano, perché Dio gliele svela nell’interiorità» (Mag.​​ 11,38). Il ruolo del maestro umano è quello di insegnare un metodo per scoprire la verità presente, ma latente all’interno del discepolo: chi insegna veramente è Cristo, l’unico vero maestro interiore, che interpella tutti e ciascuno, che dona la sapienza, intesa come verità da possedere e realtà da amare. L’uomo supera così la propria mutabilità e si apre al trascendente.

3.​​ Influsso.​​ A. trasmise (soprattutto al​​ ​​ Medioevo) i valori della cultura, il gusto per la ricerca, l’ideale di una sapienza cristiana sotto il primato della Scrittura. Pedagogicamente egli pose l’allievo al centro del processo educativo, ne valorizzò la capacità creativa, elaborò una proposta globale di educazione alla fede, configurò l’apprendimento come lo sforzo di ritrovare in se stessi la verità. All’educatore richiamò il dovere di unire ricerca e testimonianza, scienza e vita. Nella visione cristiana dell’uomo, A. ricuperò e rifuse i valori universalmente umani del mondo classico greco-romano.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ le opere di A. sono edite in lat. e tradotte in it. nella collana​​ Opera omnia di s. A.​​ (Nuova Biblioteca Agostiniana), Roma, Città Nuova, 1965ss; Miano V. (Ed.),​​ S. A. Antologia pedagogica,​​ Torino, SEI, 1958. b)​​ Studi:​​ Bellotti G.,​​ L’educazione in Sant’A.,​​ Bergamo, 1963; Kevane E.,​​ Augustine the educator. A study in the fundamentals of Christian formation,​​ Westminster, Newman Press, 1964; Patané L. R.,​​ Il pensiero pedagogico di S. A.,​​ Bologna, Patron,​​ 21969;​​ Sant’A. educatore​​ (Atti della settimana agostiniana pavese, 2), Pavia, Ponzio, 1971; Perrini M.,​​ La paideia cristiana di A.,​​ in «Humanitas» 42 (1987) 3, 355-388;​​ Valenzuela A.,​​ San Agustín de Hipona,​​ teoría y arte pedagógicas,​​ Valparaiso, Ed. Universitarias,​​ 1984; Fabris M. (Ed.),​​ L’umanesimo di Sant’A.,​​ Bari, Levante, 1988; Crosson F. J. et al.,​​ «De Magistro» di A. d’Ippona,​​ Palermo, Augustinus / Città Nuova, 1993; Paffenroth K. - K. L. Hughes (Edd.),​​ Augustine and liberal education, Aldershot, Ashgate, 2000;​​ Galindo Rodrigo J. A.,​​ Pedagogía de San Agustín, Madrid, Augustinus,​​ 2002;​​ Jerphagnon L.,​​ Saint Augustin: le pédagogue de Dieu, Paris, Gallimard, 2002.

M. Maritano