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AFFETTIVITÀ

 

AFFETTIVITÀ

Per a. intendiamo riferirci al complesso dinamico di sentimenti e di​​ ​​ emozioni che costituiscono la totalità del processo emozionale. Le emozioni si possono definire come uno stato interno complesso ed organizzato nel quale è individuabile una spinta all’azione, una reazione somatica ed una valutazione cognitiva; ed i sentimenti come fenomeni stabili, duraturi, generalmente meno intensi delle emozioni e che contraddistinguono la​​ ​​ personalità dal punto di vista affettivo.

1. Anche se si ritiene che l’a., nel suo insieme di sentimenti e di emozioni, sia presente fin dalla nascita, è pur vero che essa si apprende in larga misura durante tutta la vita. Così nel​​ ​​ bambino appena nato l’a. svolge una funzione fondamentale e si presenta come un elemento importante nel suo sviluppo psicofisico. Al pianto che si verifica alla nascita potrebbe essere riconosciuta anche la funzione di richiamare la madre alle pratiche inerenti alla cura del neonato. Infatti egli per sopravvivere deve soddisfare dei bisogni fisici specifici quali il mangiare, il dormire, l’evacuare, che sono avvertiti mediante sensazioni dolorose e che, soddisfatti dalla madre o dalla persona che lo cura, producono in lui una sensazione di piacere e di benessere diffuso. Il succhiare il seno materno, il piangere per avere la madre, il sorridere alla sua presenza, il rivolgerle i primi balbettii, sono tutti comportamenti in cui si esprime il rapporto affettivo madre-bambino. Solo se il bambino è stato adeguatamente curato dalla madre non vive sotto l’incubo continuo di perderla e con questa sicurezza sopporta le frustrazioni e le inevitabili difficoltà che si verificano durante la sua espansione verso il mondo esterno. Crescendo, infatti, il bambino allarga la sua sfera affettiva ed investe di particolare amore sia alcuni oggetti, come l’orsacchiotto od il succhiotto, che le altre persone della sua famiglia. Più tardi diventeranno anche importanti i coetanei e gli adulti appartenenti all’ambiente a lui vicino.

2. La mancanza di un’a. nell’ambito familiare può indurre nel bambino uno stato di paura e di ansia che apparirà alla prima frustrazione specialmente quando non vi è tra coloro che lo circondano una persona cara alla quale poter comunicare liberamente i sentimenti provati nelle vicende giornaliere. Ciò lo porta a respingere pian piano la consapevolezza del proprio vissuto affettivo interno e a non volerlo sperimentare perché sente che non vi è una persona che possa accettare e comprendere il suo mondo di sentimenti. Alcune volte questa presenza dispensatrice di a. è mancata o manca per motivi contingenti quali il lavoro od impegni tali da lasciare pochi momenti liberi per avvicinarsi con tranquillità e serenità al mondo dell’altro. Oppure vi può essere stata una difficoltà costituzionale a comprendere la necessità di avere dimostrazioni di a. da parte del bambino. L’a. viene così ritenuta qualcosa di superfluo, che può essere sostituito vantaggiosamente da una razionalizzazione. In questi casi il bambino purtroppo finisce con l’apprendere che il bisogno di a. è una cosa solo sua, che agli altri non interessa e che pertanto è bene viverla in segreto o addirittura non viverla affatto. Da ciò può nascere un comportamento difensivo nei riguardi di tutto ciò che è affettivo e che provoca quella sensazione di vuoto, caratteristica della persona che ha soffocato questa importante parte di se stessa. Pertanto vi dovrà essere, per superare la sofferenza, la riappropriazione dei propri sentimenti ed emozioni con l’aiuto di una persona che sappia corrispondere con un caldo clima affettivo.

Bibliografia

D’Urso V. - R. Trentin,​​ Psicologia delle emozioni,​​ Bologna, Il Mulino, 1988; Ammaniti M. - N. Dazzi (Edd.),​​ Affetti,​​ Bari, Laterza, 1990; Sonet D.,​​ Il primo bacio & dintorni: educatori e ragazzi di fronte a sessualità e a., Leumann (TO), Elle Di Ci, 2003; Olivo S. - V. Iurman - M. Colombo,​​ A. e sessualità. Saper ascoltare per saper educare, Trieste, Mgs Press, 2007.

W. Visconti




AFFIDAMENTO

 

AFFIDAMENTO

Istituto giuridico volto ad offrire ad un minore, temporaneamente privo della possibilità di vivere nella sua famiglia di origine, un ambiente familiare idoneo a soddisfare le sue necessità affettive ed educative.

1. L’a. ha le sue basi storiche nel generico concetto di accoglienza privata e di ospitalità dei minori abbandonati; in Italia non esistono sue formulazioni legislative fino al​​ Codice civile​​ del 1942, con cui assume per la prima volta un significato giuridico sia pur ancora piuttosto limitato. Solo negli anni ’70, sulla scia di un significativo ed interessante dibattito culturale e politico promosso da operatori sociali e da associazioni di​​ ​​ volontariato, si è cominciato a considerarlo come possibile forma organica di intervento per i minori in semi-abbandono, non adottabili e con difficili storie di vita. Si è giunti quindi nel 1983 all’emanazione della L. n. 184 «Disciplina dell’adozione e dell’a. dei minori» con cui tale istituto ha trovato una precisa codificazione delle sue finalità e modalità di applicazione. La L. 184 è stata poi in parte modificata ed integrata dalla L. 149 del 2001 che ha dato maggior risalto all’importanza per il minore di vivere nella propria famiglia o in un ambiente familiare ed alla necessità di sostenere il più possibile le famiglie di origine, introducendo inoltre un’importante innovazione con la decisione di chiudere i grandi istituti di accoglienza entro la fine del 2006 e consentendo il permanere delle sole comunità di tipo familiare.

2. La normativa prevede per i minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo, che possano essere affidati ad altre famiglie, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurare loro il mantenimento, l’educazione e l’istruzione L’a. viene promosso dai servizi sociali territoriali. Quando vi è il consenso dei genitori naturali, esso è reso esecutivo con decreto del Giudice Tutelare; nel caso manchi tale consenso viene deciso dal Tribunale per i Minorenni. Il provvedimento deve chiarire i motivi dell’a. ed indicare la sua probabile durata, che non deve superare i due anni, ma può essere prorogato qualora se ne ravveda la necessità. I servizi sociali hanno il compito di vigilare sul suo andamento, offrendo a tutte le persone coinvolte sostegno, consulenza, aiuto. È previsto che gli affidatari favoriscano i contatti del minore con la famiglia di origine ed il suo reinserimento nella stessa.

3. L’a. è un istituto complesso, di problematica attuazione e gestione pratica. Nonostante la sua definizione giuridica e le molte campagne condotte da amministrazioni pubbliche e da associazioni private per farlo conoscere a livello sociale e culturale, incontra tuttora difficoltà a trovare la necessaria disponibilità da parte delle famiglie difficilmente in grado di aprirsi ad una ospitalità temporanea ed al rapporto con i genitori naturali dei figli accolti.

Bibliografia

Cambiaso G.,​​ L’affido come base sicura: la famiglia affidataria,​​ il minore e la teoria dell’attaccamento, Milano, Angeli, 1998; Greco O. - R. Iafrate,​​ Figli al confine: una ricerca multimetodologica sull’a. familiare, Ibid., 2001; Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza,​​ I bambini e gli adolescenti in a. familiare, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2002.

A. M. Libri