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ADULTISMO

 

ADULTISMO

Errore pedagogico di relazionarsi educativamente con i fanciulli e gli adolescenti come se fossero adulti. Termine polemico opposto a puerocentrismo.

1. In senso più propriamente pedagogico, l’a. può essere definito come quell’orientamento «che afferma essere il processo educativo una imitazione del “modello” di​​ ​​ uomo espresso dalla tradizione e fondato su determinate esigenze sociali; per esso viene svalutata la situazione attuale dell’​​ ​​ educando mentre viene esclusivamente valutata la sua capacità a identificarsi con il modello» (​​ Bertolini). Tale indirizzo, soprattutto sul piano didattico, degenera nel​​ magistrocentrismo, nella pretesa cioè di insegnare ai fanciulli i contenuti del sapere con un linguaggio maturo e concettualmente definito in modo rigoroso, inducendo così l’allievo ad un meccanico esercizio mnemonico inadeguato alla sua capacità di​​ ​​ apprendimento.

2. In termini di prassi educativa, quindi, due sono le tendenze da evitare, quella del​​ rigorismo autoritario​​ e quella del​​ lassismo permissivo.​​ Entrambe le tendenze attengono al campo affettivo e morale dell’allievo: da un lato si esagera nell’attribuire al fanciullo in modo sproporzionato una responsabilità di diritti e di doveri, eccedendo, di conseguenza, anche sul piano di una rigida disciplina; dall’altro si attribuisce, in un clima di incontrollato spontaneismo, una capacità di comprensione e di autodeterminazione, che è soltanto il frutto di un lento e graduale​​ ​​ processo educativo verso la maturità. Si potrebbe concludere che non pochi insegnanti per il semplice fatto di «sapere» ciò che devono insegnare, credono anche di «saperlo» insegnare. Ora, un insegnante deve essere senz’altro competente della «materia» che insegna, ma la sua alta qualità si esplicita pienamente quando egli è il competente della comunicazione di questi contenuti ed altrettanto competente nell’acquisire le esigenze, le possibilità, le attese dei suoi allievi, per sapersi relazionare con loro. Questa è la strada maestra, per intervenire al momento giusto e nel modo adeguato, evitando così ogni forma di a.

Bibliografia

Claparède E.,​​ L’educazione funzionale, Firenze, Giunti, 1962; Id.,​​ La scuola su misura,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1982. Per un approfondimento bibliografico mirato cfr. voci «A.» e «Puerocentrismo», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ voll. I e V, Brescia, La Scuola, 1989, 121-122; 1992, 9704-9709.

C. Bucciarelli




ADULTO

 

ADULTO

Etimologicamente il termine a. proviene, dal lat.​​ adolescere​​ (crescere, svilupparsi, rinvigorirsi); letteralmente, quindi, si può definire a. il soggetto che, avendo compiuto l’età evolutiva, ha raggiunto la maturità morfologica (a livello fisico e psichico) e funzionale. Il termine​​ adultità​​ è stato coniato di recente per indicare le caratteristiche e le condizioni che definiscono l’a.

1.​​ L’identità adulta.​​ Da un punto di vista funzionale, poi, per «età adulta» si può intendere quella fase d’età cronologica che sta tra l’adolescenza e l’età senile. Gli studi della scienza psicologica sono indispensabili per dedurre le costanti di questa fase della vita ed in questo contesto due sono gli approcci a cui si fa solitamente riferimento: l’approccio psicodinamico e quello fenomenologico. Nell’approccio psicodinamico​​ vanno segnalati gli studi di​​ ​​ Freud per cui l’a. veniva inteso come soggetto padrone di una​​ genitalità​​ capace di «amare» e di «lavorare»; gli studi di​​ ​​ Jung (1875-1961) interpretano invece l’adultità come età del dubbio in cui appare una fase dualista, quella cioè che vedrebbe emergere un secondo Io che tende a togliere la direzione della vita psichica al primo Io: quello dell’infanzia, di qui la contrapposizione tra due identità che si fa lotta tra i due archetipi del​​ puer​​ e del​​ senex.​​ Tra gli studi psicodinamici però i più noti e funzionali alla dimensione pedagogica sono quelli di​​ ​​ Erikson che con il suo fondamentale lavoro​​ Infanzia e società​​ (1967) e con​​ I​​ cicli della vita​​ (1984), in linea con le teorie freudiane dello sviluppo psico-sessuale, riteneva a. quell’individuo che agisce non in diretta conseguenza della soddisfazione degli impulsi primari, ma che sa conquistarsi​​ un’autonomia funzionale,​​ che sa cioè prefiggersi la realizzazione di scopi che prescindono, in parte, da dati bisogni pulsionali. Nell’approccio fenomenologico​​ l’identità adulta trova soprattutto in alcuni studiosi i suoi interpreti più accreditati. Innanzitutto​​ ​​ Maslow (1971) che vede nella «motivazione» il tratto costitutivo dell’identità altrimenti denominabile «bisogno» della persona.​​ ​​ Rogers nel suo studio su​​ Lo sviluppo della personalità​​ (1961), evocando un modello di sviluppo ontogenetico, vede l’adultità matura nel transito di alcuni passaggi esistenziali qualitativi: dalla incongruenza alla congruenza; dalla non accettazione di sé alla accettazione; dalla non comunicazione alla comunicazione; dalla rigidità mentale alla flessibilità; dal rifiuto delle responsabilità alla accettazione di queste; dall’isolamento alla socievolezza; dalla rigidità alla creatività; dalla sfiducia alla fiducia nella natura umana; da una vita spenta ad una vita piena sul piano dell’esperienza e della ricerca; dall’eterodipendenza all’autodeterminazione. Infine​​ ​​ Lewin che, nella sua opera​​ Principi di psicologia topologica​​ (1936) detta anche «del campo», rivela l’individuazione dell’identità adulta con particolari modalità operative; infatti l’a. per Lewin è quel soggetto che riesce adeguatamente a operare una differenziazione tra la totalità-persona e le figure che di volta in volta gli occorrono per agire e sopravvivere.

2.​​ Apprendere in età adulta.​​ Chi ha responsabilità formative anche nel campo degli a. prevede senz’altro di incontrare delle difficoltà nel realizzare i propri obiettivi. Se da una parte però la ricerca scientifica fa il suo doveroso cammino, dall’altra mai come oggi, con una società in rapida trasformazione, il termine​​ formazione​​ deve essere applicato anche agli a., non solo per compensare lacune di una loro preparazione anteriore (= analfabetismo di ritorno), ma soprattutto per completare e sviluppare la loro cultura. L’educazione degli a. pertanto, in prosecuzione di quella rivolta dall’infanzia alla giovinezza, nel contesto di un’​​ ​​ educazione permanente varia nei contenuti e nelle forme, per tutte le età. È prassi consolidata ormai che tra le specifiche funzioni di tale intervento a favore dell’a. si possono considerare l’educazione civica e politica, l’aggiornamento professionale, la divulgazione tecnica e scientifica, l’informazione artistica e sanitaria, le attività del tempo libero, l’igiene mentale. La formazione dell’a. vede così assicurati periodi ciclici per forme di completamento, di qualificazione, riqualificazione, specializzazione e aggiornamento. Ad una simile alternanza di periodi di formazione e di periodi di lavoro si dà il nome di​​ ​​ educazione continua, o ricorrente o intermittente.

Bibliografia

Lazzaretto A.,​​ La scoperta dell’a.,​​ Roma, Armando, 1966; Erikson E. H.,​​ L’a.,​​ Ibid., 1981; Id.,​​ I​​ cicli della vita,​​ Ibid., 984; Morin E., «Le vie della complessità», in G. Bocchi - M. Ceruti (Edd.),​​ La sfida della complessità,​​ Milano, Feltrinelli, 1985; Bucciarelli C.,​​ L’educazione permanente: un modello di politica educativa,​​ Rimini, Maggioli, 1987; Demetrio D.,​​ L’età adulta, Roma, NIS, 1990; Resnick R. T.,​​ Impulsività,​​ disattenzione e iperattività dell’a., Milano, McGraw, 2002.

C. Bucciarelli