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AUTOEFFICACIA

 

AUTOEFFICACIA

L’a. è un​​ ​​ costrutto psicologico elaborato da A. Bandura (1987) nell’ambito della sua teoria sociale cognitiva. Essa si riferisce alla stima globale che il soggetto fa delle sue abilità in vista di un determinato compito e la convinzione di riuscirci. Da tale stima dipenderà se il soggetto sceglierà o meno una determinata attività e quanto sforzo svilupperà per superare gli eventuali ostacoli, quanto sarà perseverante nel raggiungimento del risultato.

1. Bandura distingue nel costrutto tre aspetti:​​ livello,​​ forza​​ e​​ ampiezza.​​ Il livello si riferisce alla difficoltà del compito da affrontare e alla previsione di conseguire in esso un esito positivo; la forza rappresenta il grado di fiducia che il soggetto possiede nelle proprie abilità per poter svolgere un determinato compito; l’ampiezza si riferisce all’estensione del settore di cui il compito fa parte. Oltre a questi tre aspetti, Bandura indica anche quattro «sorgenti» dell’a.: previa esperienza positiva nel compito (successo), esperienza vicaria (osservazione e imitazione di persone di successo), persuasione verbale (esortazione da parte di terzi), stati affettivi costruttivi (rilassamento e buon umore). La previsione del successo e la possibilità di poterlo raggiungere sono i fattori principali nel processo e nella formazione dell’a. Il successo non solo potenzia l’a., ma incoraggia il soggetto a prefiggersi degli obiettivi ancora più elevati rispetto a quelli già raggiunti. In questo processo è importante non solo la stima delle abilità ma anche la convinzione del soggetto che esse siano malleabili e non determinate geneticamente o socialmente. In questa prospettiva egli considera le sue abilità come delle potenzialità cognitive, sociali, motivazionali e comportamentali da organizzare per raggiungere specifiche finalità.

2. L’a. avviene in un contesto sociale e perciò implica da parte del soggetto il controllo sull’ambiente che può avvenire per ragioni personali e sociali. Il primo tipo di controllo si riferisce alla convinzione del soggetto di poter ottenere un determinato risultato con lo sforzo personale; il secondo riguarda la sua convinzione di poter intervenire invece sull’ambiente sociale e in questo caso si tratta di a. collettiva. Bandura (2000) sostiene che l’a. è presente, con le debite variazioni, in tutte le culture. Siu, Lu e Spector (2007) ne hanno offerto una conferma nel continente asiatico riscontrando l’effetto positivo dell’a. sul benessere psichico e fisico nella gestione dello stress lavorativo degli operatori del settore manageriale in Cina.

3. L’a. trova una vasta applicazione in vari settori della psicologia, della sociologia e dell’educazione: rendimento (scolastico, accademico, sportivo e professionale), dominio dello stress, delle fobie, gestione delle malattie croniche, potenziamento della salute, controllo delle abitudini nocive come abuso di alcolici e uso di droghe (Maddux, 1995). Numerose conferme sperimentali ed empiriche sull’utilità del costrutto in tali aree si trovano in Bandura (2000), Schwarzer (1992) e Poláček (1995). L’a. che può essere rilevata con alcuni brevi questionari, può risultare particolarmente utile in campo educativo. Choi, Fuqua e Griffin (2001) hanno confermato la validità di una scala di Bandura destinata agli studenti universitari. Nota e Soresi (2000) hanno applicato l’a. nell’orientamento, particolarmente al processo delle scelte offrendo una solida trattazione teorica e ricco materiale per potenziarle. L’a., situata in una teoria del comportamento basata sulla convinzione che l’agire umano è intenzionale e finalizzato, si trova in armonia con gli obiettivi educativi più elevati. Anche l’interattività del costrutto che consiste nell’intensa comunicazione tra il soggetto e il suo ambiente può contribuire al suo uso nel processo educativo. Le tre sorgenti dell’a. indicate da Bandura (esperienza positiva, esperienza vicaria e persuasione verbale) offrono dei validi procedimenti per potenziare l’a. dei soggetti in crescita.

Bibliografia

Bandura A.,​​ Social foundation of thought and action: a social cognitive theory,​​ Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1986; Schwarzer R. (Ed.),​​ Self-efficacy: thought control of action,​​ Washington, Hemisphere Publishing Corporation, 1992; Poláček K.,​​ A.: costrutto e utilizzazione,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 42 (1995) 927-957; Maddux J. E. (Ed),​​ Self-efficacy,​​ adaptation,​​ and adjustment: Theory,​​ research,​​ and application,​​ New York, Plenum Press, 1995; Bandura A.,​​ A.: Teoria e applicazioni,​​ Trento, Erickson, 2000; Nota L. - S. Soresi,​​ A. nelle scelte. La visione sociocognitiva dell’orientamento,​​ Firenze, Iter, 2000; Choi N. - D. R. Fuqua - B. W. Griffin,​​ Exploratory analysis of the structure of scores from the multidimensional scales of perceived self-efficacy,​​ in «Educational and Psychological Measurement» 61 (2001) 475-489; Siu O. - C. Lu - P. E. Spector,​​ Employees’ well-being in Greater China: The direct and moderating effects of general self-efficacy,​​ in «Applied Psychology: An International Review» 56 (2007) 288-301.

K. Poláček




AUTOILLUSIONE

 

AUTOILLUSIONE

L’a. consiste nella strategia efficace che il soggetto adotta per potenziare il suo​​ ​​ benessere fisico o psichico. In vista di tale finalità egli usa alcuni​​ ​​ meccanismi di difesa per sfuggire o almeno per mitigare gli effetti di una dura realtà.

1. La strategia dell’a. è stata ampiamente elaborata da Taylor e Brown (1988) e successivamente ancora da Taylor (1991). Nella prima pubblicazione, che ha avuto una straordinaria risonanza, le due autrici hanno sostenuto che la moderata sopravvalutazione di se stessi, l’illusoria convinzione di padroneggiare le cause del proprio comportamento e un non del tutto fondato ottimismo, aumentano il benessere psichico e spesso anche la​​ ​​ creatività. Le ipotesi delle due autrici sono state confermate in studi successivi: i soggetti psichicamente sani e socialmente adattati avevano un concetto di sé distorto in direzione positiva, mentre i soggetti con il concetto di sé realistico avevano una bassa stima di se stessi ed erano inclini alla​​ ​​ depressione. È stato quindi concluso che le illusioni potenziano la salute delle persone e infondono ottimismo sul loro futuro. Qualche autore ha invece rilevato che Taylor e Brown non hanno chiarito i confini tra la valutazione distorta e quella oggettiva, ed hanno sostenuto che l’a. può produrre solo un effetto transitorio e che su una realtà distorta non è possibile effettuare un valido adattamento. Taylor e Brown (1994) hanno replicato che non è facile nella​​ ​​ autovalutazione distinguere tra l’illusione e la realtà. Altri autori ancora hanno sottolineato i rischi dell’a.: i soggetti che lo adottano diventano insensibili alle giuste critiche e spesso negano l’esistenza dei loro limiti; si attribuiscono i meriti puramente casuali mentre attribuiscono ai fattori esterni i fallimenti, ed in tal modo si convincono di padroneggiare il proprio ambiente sociale.

2. I pregi e i rischi dell’a. sono stati documentati sugli ammalati terminali. Alcuni autori, pur riconoscendo l’effetto positivo dell’a. sul benessere di tali soggetti, hanno notato che essi tendevano a trascurare le cure efficaci aggravando in tal modo la propria salute. L’a. viene adottata dalle persone per proteggere o per potenziare la​​ ​​ stima di sé. A tale scopo vengono usati i noti meccanismi di difesa (Poláček, 2001) come la repressione (evitare i pensieri disturbanti), la negazione (non riconoscere problemi evidenti), la rimozione (allontanare desideri, sentimenti, pensieri ed esperienze disturbanti), la razionalizzazione (fare ragionamenti infondati), l’intellettualizzazione (discutere sui problemi senza risolverli). Da quando la psicologia dinamica ha ammesso che lo scopo della terapia non è più quello di far accettare al paziente la realtà, anche l’a. è considerata una strategia utile per la promozione della salute mentale delle persone. Nell’educazione l’a. trova la sua utilizzazione nella considerazione positiva delle risorse dei giovani, nel coltivare l’ottimismo sul loro futuro e nel proporre obiettivi superiori alle loro «reali» possibilità.

Bibliografia

Taylor S. E. - J. D. Brown,​​ Illusion and well-being: a social psychological perspective on mental health,​​ in «Psychological Bulletin» 103 (1988) 193-210; Taylor S. E.,​​ Illusioni: Quando e perché l’autoinganno diventa la strategia più giusta,​​ Firenze, Giunti, 1991; Taylor S. E. - J. D. Brown,​​ Positive illusions and well-being revisited: Separating fact from fiction,​​ in «Psychological Bulletin» 116 (1994) 21-27; Poláček K.,​​ I meccanismi di difesa nell’ambito educativo: un aggiornamento,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 48 (2001) 997-1008.

K. Poláček




AUTOMONITORAGGIO

 

AUTOMONITORAGGIO

L’a. è un​​ ​​ costrutto psicosociale che indica il grado di sensibilità del soggetto alla situazione sociale e la sua capacità di adattarsi ad essa per una efficace comunicazione interpersonale. Il costrutto è stato elaborato e ampiamente descritto da Snyder (1974, 1979).

1. L’autore considera l’a. un costrutto bipolare, ai due poli del quale corrispondono i soggetti alti e bassi nell’a. Un soggetto alto è sensibile alla situazione sociale, coglie i segnali che da essa provengono e cerca di adeguare il suo comportamento verbale e non verbale a tali segnali. Al contrario, il soggetto basso non presta attenzione ai segnali sociali e non possiede un repertorio di comportamento vario per adeguarsi alle esigenze della situazione sociale. Il suo comportamento è guidato dagli stati d’animo interni ed è uguale o almeno simile in situazioni sociali differenti. La bipolarità del costrutto è stata riscontrata anche da anche Livi, Pierro e Mannetti (2000) in discussioni di piccoli gruppi.

2. Per rilevare l’a., Snyder (1974) ha elaborato un breve questionario e lo ha convalidato con alcuni criteri sociali. Il questionario è costituito sostanzialmente da quattro scale che rappresentano anche le componenti o le dimensioni dell’a. stesso: adeguatezza di autopresentazione in pubblico, sensibilità al comportamento di terzi e alle variazioni situazionali, sensibilità nel conformarsi al gruppo. I criteri per verificare la validità del questionario sono stati i seguenti: l’accordo con la valutazione dei compagni, differenze tra gruppi in cui il costrutto dovrebbe manifestarsi in grado differente (attori, politici, pazienti psichiatrici, obesi), la comprensione del comportamento sociale espressivo (gioia, tristezza, paura, sorpresa), l’attenzione al comportamento di terzi. I dati, in genere, hanno confermato il rapporto ipotizzato tra le singole variabili.

3. Successivamente vari autori (Lennox e Wolfe, 1984) hanno eseguito l’analisi fattoriale del questionario ed hanno ottenuto strutture fattoriali differenti da quella di Snyder e quindi anche delle componenti del costrutto stesso. Allo stato attuale sembra che tanto il questionario quanto il costrutto siano costituiti da due dimensioni fondamentali: dall’abilità del soggetto di adattare l’autopresentazione alla situazione sociale e dalla stabilità dell’autopresentazione nelle situazioni differenti con le esplicitazioni delle medesime in scale specifiche. Gana e Brechenmacher (2001) dalla scala di Snyder («Échelle de monitorage de soi») hanno ottenuto tre fattori: Attore teatrale, Estroversione e Presentazione di se stesso. Essi inoltre hanno confermato la consistenza e la stabilità della scala e la sua validità esaminata con qualche criterio esterno (androginia, ansia sociale e soluzione di problemi in collaborazione). Anche dall’analisi fattoriale della scala di Snyder, notevolmente rielaborata per soggetti di lingua tedesca sono emerse le due dimensioni fondamentali articolate però in due fattori per dimensione, denominati in modo differente nella ricerca di Laux e Renner (2002). L’intero costrutto dell’a. è stato riesaminato in base ad oltre 200 contributi pubblicati da Gangestadt e Snyder (2000) particolarmente nella sua componente teorica.

4. Il costrutto assume una notevole utilità nel rapporto sociale (individuale e collettivo) in quanto può aiutare gli operatori sociali a cogliere stati d’animo di terzi, ad adeguarsi alle loro esigenze e quindi a comunicare con loro più efficacemente. Il soggetto che si adatta facilmente alla situazione sociale può essere pericoloso in quanto può diventare, come sostengono Gana e Brechenmacher (2001), il «camaleonte sociale».

Bibliografia

Snyder M.,​​ Self-monitoring of expressive behavior,​​ in «Journal of Personality and Social Psychology» 30 (1974) 526-537; Id.,​​ Self-monitoring processes,​​ in L. Berkowitz (Ed.),​​ Advances in experimental social psychology,​​ vol. 12, New York, Academic Press, 1979; Lennox R. D. - R. N. Wolfe,​​ Revision of the self-monitoring scale,​​ in «Journal of Personality and Social Psychology» 46 (1984) 1349-1364; Livi S. - A. Pierro - L. Mannetti,​​ Self-monitoring,​​ controllo dello spazio conversazionale e distanza percepita in discussioni di piccoli gruppi, in «Rassegna di Psicologia» 17 (2000) 127-139; Gangestadt S. W. - M. Snyder,​​ Self-monitoring: Appraisal and reappraisal,​​ in «Psychological Bulletin» 126 (2000) 530-555;​​ Gana K. - N. Brechenmacher,​​ Structure latente et validité de la version française du Self-Monitoring Scale: Échelle de monitorage de soi, in «L’Année Psychologique» 101 (2001) 393-420.

K. Poláček




AUTONOMIA

 

AUTONOMIA

In termini filosofici ed etici l’a. è una caratteristica secondo cui, specie dopo​​ ​​ Kant, è pensata modernamente la​​ ​​ libertà. Nella riflessione pedagogica, questo tema si presenta come un interrogativo dai precisi contorni: se l’apprendimento delle qualità sociali debba essere «diretto» ovvero «indiretto» ovvero ancora se debba o meno esistere una differenza fra i tratti richiesti alla personalità soggettiva per essere tale e quelli dell’apparato sociofunzionale in cui essa nasce, si svolge ed infine si inserisce.

1.​​ Motivi.​​ Il punto cruciale di svolta si è verificato con la riconduzione del processo educativo al principio del «continuum dell’esperienza» (​​ Dewey), per cui non è possibile separare la meta dal cammino, il traguardo dal percorso ed il prodotto dal processo, in quanto un criterio costitutivo di connessione-congruità (continuum)​​ ne lega tutti i punti, momenti e passaggi. Il primo tema essenziale della prospettiva dell’a. come categoria pedagogica va quindi ricercato e ritrovato nel rispetto della legge di personalizzazione, in virtù della quale soltanto l’esercizio diretto, coerente e concreto del cammino (proceduralità) permette il conseguimento delle qualità volute come esito (terminalità). Non ci può allora essere una società delle a. se non attraverso un’educazione che avvenga nell’a. (dove, cioè, lo svolgersi «per l’a.» non è separabile dall’essere «nell’a.»). Anche la​​ ​​ scuola rientra in questo orizzonte in quanto costituisce essa stessa un momento «generativo» (efficace, adeguato, aperto al futuro) della realizzazione del progetto educativo. Ora, il massimo di speranza progettuale perché la scuola (ogni singola scuola) raggiunga il suo coefficiente più elevato di valenza educativa (qualità pedagogica) coincide con il minimo di assimilazione alla burocratizzazione funzionale, relazionale e culturale. L’a. si presenta, pertanto, come il più elevato punto di sutura concettuale per la pensabilità della scuola, come luogo di promozione dell’intelligenza e come qualità complessiva del soggetto e del sistema.

2.​​ Linee.​​ Alcune linee operative rivestono una particolare e specifica importanza per trasferire queste indicazioni dal terreno semplicemente teorico a quello dell’attuazione concreta: a) sviluppare un rapporto più dinamico fra la programmazione nazionale-centralizzata e la​​ ​​ progettazione di scuola (istituto) e di classe; b) incrementare le occasioni di autogoverno e di responsabilizzazione diretta degli studenti; c) aiutare le scuole ad affrontare e superare con la loro iniziativa problemi e difficoltà; d) rilevare e valorizzare i risultati e le innovazioni conseguite dalle scuole. In questo senso l’a. rappresenta la​​ modalità di essere​​ di una scuola pienamente educativa, la​​ modalità di operare​​ di una scuola pienamente efficace e la​​ modalità di funzionare​​ di una scuola pienamente professionalizzata, protesa a promuovere persone libere e responsabili.

Bibliografia

Crema F. E. - G. Pollini (Edd.),​​ Scuola,​​ a.,​​ mutamento sociale,​​ Roma, Armando, 1989; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ A. della scuola e sviluppo formativo,​​ Trento, Unoedizioni, 1994; Paino A.- G. Chiosso - G. Bertagna,​​ L’a. delle scuole, Brescia, La Scuola, 1997; Falanga M.,​​ Il Regolamento dell’a. scolastica. Lettura e commento, Ibid., 2001.

C. Scurati




AUTONOMIA SCOLASTICA

 

AUTONOMIA SCOLASTICA

Consiste nell’assicurare ad ogni scuola potere d’iniziativa e risorse sufficienti per elaborare e realizzare un suo​​ progetto​​ (o suoi progetti) e costruirsi una propria identità.

1.​​ Le ragioni e i contenuti dell’a.​​ Anzitutto, essa permette alla comunità educativa di costruirsi sulle​​ esigenze formative​​ dei suoi membri: in sostanza è possibile predisporre una programmazione corrispondente alle varie situazioni e la responsabilità individuale e collettiva viene riconosciuta in tutta la sua potenzialità attraverso l’attribuzione di ambiti rilevanti di azione. In secondo luogo, l’a. favorisce la realizzazione della domanda espressa dal sistema sociale nel suo complesso e nelle sue componenti, trasferendo il momento decisionale vicino al livello esecutivo, consentendo il coinvolgimento di tutte le componenti interessate e conferendo maggiore elasticità all’organizzazione interna: in questo senso consente di realizzare una maggiore eguaglianza rispetto al tradizionale intervento centralistico di natura uniforme. Essa costituisce anche un contributo notevole al rafforzamento della qualità e dell’efficienza delle strutture formative in quanto facilita l’emergere di tutte le potenzialità valide, presenti in ciascuna unità scolastica. La scelta dell’a. corrisponde pure a un orientamento comune ai Paesi dell’Unione Europea: infatti, in un contesto di continuo mutamento la possibilità di soddisfare le esigenze che insorgono incessantemente dipende in primo luogo dalla rapidità degli interventi; inoltre, le probabilità di successo di un’innovazione sono maggiori quando l’insegnante ne è partecipe, la sente propria, ha contribuito personalmente ad elaborarla, approvarla, attuarla. Certamente l’a. non va confusa con una privatizzazione selvaggia; nemmeno si può pensare ad una pura abolizione del centro, né basta un semplice deconcentramento della struttura centralizzata dello Stato. L’a. deve invece assicurare l’esercizio della​​ responsabilità educativa​​ da parte del singolo istituto in un quadro unitario garantito dal centro. A questo spetterebbero compiti prevalenti di indirizzo, programmazione, sviluppo, coordinamento e valutazione; a sua volta l’unità scolastica dovrà diventare centro di attribuzione di tutti i poteri che le garantiscano il controllo sul complesso delle condizioni del suo funzionamento, in modo da poter fornire risposte efficaci alle domande di formazione che provengono dalla società. Il cuore dell’a. è costituito dal riconoscimento della​​ competenza progettuale:​​ ogni scuola dovrà essere messa in grado di elaborare un proprio progetto educativo in cui si rispecchi la sua identità e la sua fisionomia. A questo proposito devono essere attribuiti ad ogni unità scolastica poteri adeguati di a. didattica, formativa, organizzativa e finanziaria.

2.​​ Evoluzione in Italia.​​ Il modello di​​ ​​ amministrazione scolastica per lungo tempo soggiacente alla conduzione delle nostre strutture formative si ispirava a una scelta​​ centralistica​​ compiuta al momento della creazione del sistema nazionale di istruzione. Una nota distintiva di tale formula era costituita dall’accentramento del potere di direzione nel Ministero, mentre agli Enti Locali e ai singoli istituti veniva assegnata una funzione semplicemente esecutiva. L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana ha segnato un vero rovesciamento di fronte: da una parte si è affermata la validità del principio delle autonomie e dall’altra il sistema scolastico veniva impostato sulle grandi opzioni della libertà, del pluralismo e della convergenza delle iniziative. Si è dovuto però attendere la L. n. 477 / 73 sugli organi collegiali per compiere un primo passo reale verso l’a. di gestione che, però, è rimasta molto limitata perché è mancato contemporaneamente un reale decentramento dell’amministrazione scolastica, né si è riusciti a stabilire relazioni efficaci con gli Enti Locali. Negli anni successivi è emerso con sempre maggiore chiarezza che il sistema di governo della scuola esigeva un rinnovamento profondo. Il Ministero della Pubblica Istruzione era divenuto una mega-organizzazione ingovernabile; inoltre, il singolo istituto non era in grado di gestire in prima persona e con un progetto unitario le relazioni con il contesto sociale. Dopo molti tentativi per arrivare a una riforma soddisfacente, un​​ passo significativo​​ verso la realizzazione dell’a. degli istituti nel nostro sistema scolastico viene segnato dall’art. 21 della L. n. 59 / 1997. Con l’attribuzione della personalità giuridica esso contribuisce al potenziamento dell’autogoverno delle singole strutture formative; a sua volta, la normativa sull’a. didattica, organizzativa e finanziaria può facilitare alla singola scuola la realizzazione del compito di gestire la sua vita sulla base della libertà dei soggetti educativi. Venendo agli aspetti discutibili del provvedimento, va osservato che la normativa in questione costituisce una legge di decentramento che potenzia i poteri delle a. locali e territoriali in quanto articolazioni dello Stato, ma non sancisce una vera a., cioè l’autogoverno della comunità e della società civile. Bisogna ammettere che nei regolamenti successivi si riscontrano indicazioni significative nella direzione giusta; tuttavia, rimane pur sempre vero che le istituzioni scolastiche sono espressioni di a.​​ funzionale​​ nel quadro delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e delle funzioni trasferite agli Enti locali. In seguito alla riforma del Titolo V per la prima volta, e in maniera formale, le istituzioni scolastiche e formative sono​​ riconosciute autonome dalla nostra Costituzione​​ (L. costituzionale n. 3 / 01). In altre parole tale riconoscimento dell’a. della scuola non è primariamente il frutto di una logica di bilanciamento dei poteri pubblici quanto piuttosto l’accoglimento del principio dell’autogoverno​​ della comunità e della società civile, della sussidiarietà orizzontale. Essa è mirata in primo luogo a valorizzare le forze interne della scuola in un’ottica di responsabilizzazione e di autopromozione della comunità scolastica. Non si caratterizza per una impostazione autoreferenziale o aziendalistica, ma ritiene la scuola una istituzione aperta al contesto e integrata in esso, al servizio della società, agente di sviluppo socio-culturale e luogo di mediazione tra le istanze locali e le esigenze nazionali. Bisogna, però, dire che la sua attuazione sta procedendo a rilento. Al contrario andrebbe difesa contro le numerose tentazioni di neo-centralismo a livello nazionale o regionale.

Bibliografia

Pazzaglia L. (Ed.),​​ Uguaglianza,​​ a.,​​ riforme nella scuola,​​ Brescia, La Scuola, 1988; Romei P.,​​ A. e progettualità nella scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1995; Dalle Fratte G.,​​ A. o decentramento?, in «Orientamenti Pedagogici» 46 (1999) 528-533; Fiorin I. - D. Cristanini (Edd.),​​ Le parole dell’a., Torino, Petrini, 1999; Ribolzi L.,​​ Il sistema ingessato, Brescia, La Scuola, 2000; Bertagna G. - G. Govi - M. Pavone,​​ Pof,​​ a. delle scuole e offerta formativa, Ibid., 2001; Benadusi L. - F. Consoli,​​ La governance della scuola, Bologna, Il Mulino, 2004.

G. Malizia




AUTOREALIZZAZIONE

 

AUTOREALIZZAZIONE

Tendenza della persona umana a espandere, sviluppare e realizzare in modo autonomo le proprie potenzialità fisiche, psichiche e sociali.

1. Secondo la teoria di​​ ​​ Jung il senso dell’esistenza sta nel processo di individuazione, ossia nella ricerca e nella scoperta di sempre nuove forme di adattamento attivo, grazie alle quali le caratteristiche specifiche della propria personalità vengono rispettate e i modelli culturali vengono integrati nel processo di crescita globale. Un tale concetto ha trovato una successiva rielaborazione in​​ ​​ Maslow, esponente di spicco della psicologia umanistica, secondo il quale la personalità non è da concepire come un aggregato di funzioni o di stati, ma come una totalità strutturata, un’unità inscindibile. Di conseguenza, la costruzione della personalità risulta essere un processo finalistico, l’a. appunto, rivolto alla soddisfazione di tutti i​​ ​​ bisogni genuini dell’uomo, di tutte le sue aspirazioni, di tutte le tendenze che gli appartengono.

2. Per chiarire la sua concezione di a., Maslow propone una precisa teoria della​​ ​​ motivazione secondo cui l’uomo quanto più gratifica i propri bisogni istintivi, e attua e sviluppa le proprie potenzialità, tanto più ha la possibilità di essere felice. In tale dinamica della soddisfazione dei bisogni esiste, a suo parere, un’organizzazione gerarchica che viene imposta dall’organismo stesso. Al primo livello si collocano i bisogni fisiologici, che sono quelli più fondamentali, evidenti ed elementari (cibo, vestito, casa), dalla cui soddisfazione dipende la vita dell’individuo e l’emergere di altri fini, a carattere maggiormente sociale. Ad essi, se gratificati, si sostituiscono a un secondo livello i bisogni di sicurezza (protezione, stabilità, ordine), e a un terzo livello i bisogni di affetto, di amore e di appartenenza (amici, coniuge, figli, gruppo). Al quarto livello si trovano il bisogno e il desiderio di autostima e di stima da parte degli altri, il cui effetto consiste nell’impegno a conseguire una posizione sociale, un prestigio, una buona reputazione. Successivo e ultimo passo è l’a., ossia il diventare ciò che si è capace di diventare, facendo appello a tutta la personale ricchezza di potenzialità, così da raggiungere una personalità totale e integrata.

3. Duplice è l’effetto dell’a.: da un lato la​​ ​​ persona si orienta verso valori quali la bellezza, la verità, la perfezione, la giustizia, l’onestà, la lealtà; dall’altro essa consegue uno stato di salute psichica, grazie a cui è possibile operare continue scelte tra il mentire o l’essere onesto, il rubare o il non rubare, il pensare solo a se stesso o il prendersi cura di qualcuno. Vista in tale prospettiva, l’a. risulta essere un processo lento, fatto di piccoli passi, uno dopo l’altro, e non questione di un momento.

4. Dal punto di vista educativo, l’a. rappresenta una potente forza motivazionale, perché sfida continuamente la persona a superare lo stadio in cui attualmente si trova a vivere attraverso l’individuazione e l’attivazione di tutte le sue molteplici energie. Tuttavia, essa può anche rinchiudere la persona nel proprio mondo psichico e nella ricerca di sempre ulteriori soddisfazioni, a meno che non venga collocata in una più ampia prospettiva che accentui la dimensione della vita come responsabilità di fronte a compiti oggettivi e autotrascendenti.

Bibliografia

Grof S. - Ch. Grof (Edd.),​​ Spirituelle Krisen: Chancen der Selbstfindung,​​ München, Kösel, 1990; Ringel E.,​​ Selbstschädigung durch Neurose: psychotherapeutische Wege zur Selbstverwirklichung,​​ Wien, Herder,​​ 121991; Maslow A.,​​ Motivazione e personalità,​​ Roma, Armando,​​ 41992; Valles C. G.,​​ L’arte di essere se stessi,​​ Roma, Città Nuova, 1995; Jung C. G., «Tipi psicologici», in​​ Opere,​​ vol. VI, Torino, Bollati Boringhieri,​​ 21996; Anderson W.,​​ Corso di fiducia in se stessi. Sette stadi per raggiungere l’a., Milano, Corbaccio, 1998; Arena L. V.,​​ Iniziazione all’a. Un percorso verso la consapevolezza, Roma, Mediterranee, 1998; Garofalo D.,​​ Crescita umana e psicoanalisi. L’a. del Sé tra mente e società, Milano, Guerini e Ass., 2004; Frankl V. E.,​​ Alla ricerca di un significato della vita,​​ Milano, Mursia,​​ 42005; Shinyashiki E.,​​ Vivi come vuoi. Cinque passi per l’a., Milano, Italianova, 2005.

E. Fizzotti




AUTORITÀ EDUCATIVA

 

AUTORITÀ EDUCATIVA

Ad altre voci, soprattutto a​​ ​​ rapporto educativo, è demandato il tema dell’a.e. dal punto di vista del diritto, della morale, della politica (​​ educazione, diritti e doveri degli​​ ​​ educatori,​​ ​​ legislazione educativa e scolastica). Infatti, la possibilità teorica e metodologica dell’a.e. è data dalla previa soluzione positiva di problemi quali la «significatività» dell’​​ ​​ azione educativa, la legittimità di persone che influiscono sulla crescita di altre, la proponibilità di fini, valori e programmi che tale crescita determinano o condizionano.

1. Dal punto di vista strettamente pedagogico a. è correlativa a​​ ​​ libertà, condizione e traguardo della collaborazione, nell’esercizio del rispettivo compito, di educatore e di educando, singoli e comunità. Quanto al concetto di libertà /​​ ​​ liberazione si possono distinguere due fondamentali orientamenti teorici e storici:​​ volontaristico,​​ che concepisce la libertà come​​ indifferenza,​​ facoltà di fare o non fare, fare questo o quello, il bene o il male; e​​ dinamico-operativo, secondo il quale​​ la libertà è una​​ qualità​​ degli atti umani prodotti interattivamente dalla ragione e dall’affettività spirituale (volontà): orientato naturalmente al vero (teorico e pratico), volontà rivolta naturalmente al bene, intelligenza impegnata a illuminare sui mezzi più idonei a raggiungerlo. Secondo la prima concezione la libertà​​ precede il​​ conoscere e lo muove: essa è slegata dalle inclinazioni proprie della natura umana al bene, alla verità, alla felicità; è un postulato, un fatto primo dell’esperienza umana. La qualità morale degli atti, quindi, non può essere data da loro proprietà intrinseche, ma da obbligazioni e da norme provenienti da un’istanza superiore: Dio, stato, chiesa, società, imperativo categorico, idea, spirito oggettivo, super-io, classe, partito. Per la seconda concezione la libertà​​ procede dalla​​ ragione: è la qualità degli atti umani compiuti congiuntamente dall’intelletto e dalla volontà, in forza della decisione, che è «intelletto desiderante o desiderio riflesso» (Et. Nic.​​ VI 2,1139 b 5).

2. Nella prima ipotesi l’a. dell’educatore sta alla libertà dell’educando nel tempo della crescita esattamente come la legge morale sta alla libertà dell’uomo nell’età adulta: nell’uno e nell’altro caso l’a. è regola, limite, freno ad una libertà intesa come sorgente di tutte le possibilità. L’a.e. è la rappresentazione vicaria della «legge» che sollecita l’obbedienza attuale dell’educando immaturo in funzione dell’obbedienza matura dell’età adulta. Educazione compiuta è accesso consolidato alla libertà, garantita dall’assunzione responsabile delle regole vissute dall’educatore stesso. Questi opera nei confronti dell’educando in più modi, alternando formazione della personalità, della volontà, del carattere, e illuminazione dell’intelligenza, regolazione e affinamento della sensibilità. Egli​​ informa l’intelligenza sui fini dell’esistenza,​​ presentando e illustrando all’educando le indeclinabili esigenze della legge morale, come permanente «forma di vita» (cultura morale); ne sottolinea la​​ forza obbligante,​​ la sacralità e insieme le virtualità umanizzanti quale autentica garanzia di «vera» libertà:​​ servi simus legi ut liberi esse possimus​​ (pedagogia dell’obbedienza, pedagogia della libertà);​​ forma la coscienza​​ dell’educando, rettificandone la capacità di giudizio morale, correggendone l’irriflessività e la volubilità e abilitandolo ad agire con equilibrio e saggezza;​​ rafforza la volontà e il carattere,​​ avviando l’allievo, oggi e per il futuro, coll’«esatto adempimento dei propri doveri», alla pratica costante, agile e gratificante dei molteplici impegni della vita (pedagogia del «dovere» e delle «virtù» ad esso funzionali). Potrebbe leggersi in quest’ottica quanto scrivevano​​ ​​ Lambruschini e già​​ ​​ Kant, precritico. «L’antica lite tra la Libertà e l’A. è una guerra tra due orgogli [...]. Umiliate l’uno e l’altro: e la pace è fatta. Allora la Libertà è la coscenza che rispetta la legge; e l’A. è la legge che rispetta la coscenza» (Dell’a. e della libertà. Pensieri d’un solitario,​​ XXXIII). «L’uomo per natura è così inclinato alla libertà che, se per un certo tempo vi è abituato, le sacrifica poi tutto. Conviene adunque di buon’ora ricorrere alla disciplina [...]. Quindi si deve abituarlo per tempo a sottomettersi ai precetti della ragione» (La pedagogia,​​ introduzione).

3. Diverso è il modo di interpretare e attuare la cosiddetta a.e. nell’ambito della seconda concezione della libertà prospettata. L’a. è l’offerta al soggetto in età evolutiva di una disciplina per un apprendistato dell’arte della vita secondo le regole che esso richiede. L’a. è essenzialmente a. di qualità, autorevolezza. Essa deriva, fondamentalmente, dal prestigio morale, dalla superiorità etica di un adulto esemplare, impegnato a sollecitare il giovane a matura riuscita umana. Con la sua opera di guida e di persuasione egli rende accette quelle norme e quei precetti che nello «spazio transizionale» della stagione educativa sono «provvisoriamente» indispensabili all’educando per produrre gli atti qualitativamente idonei a costruire capacità interiori consolidate di comportamenti e stili di vita («virtù»), che ne faranno un protagonista della propria vita, nel governo di sé e degli altri (​​ prudenza) secondo giustizia, fortezza, temperanza. La disciplina implica una comunicazione di sapere e l’esercizio intelligente e libero di atti buoni, generati congiuntamente dall’intelligenza e dalla volontà. «La vera disciplina fa appello alle disposizioni naturali, al senso spontaneo del vero e del bene, alla coscienza del discepolo, e si pone al servizio della sua crescita mediante regole che gli corrispondono in profondità. L’educazione è un servizio e una collaborazione» (Pinckaers, 1985). In un primo momento l’azione dell’educatore può essere sentita come limite; ma progressivamente tra l’educando e l’educatore si determina quella specie di dibattito dialettico, che costituisce l’essenza della relazione educativa intesa propriamente come rapporto tra la «libertà virtuosa» dell’adulto e la «libertà di atti» dell’educando in cammino verso la propria «libertà virtuosa». L’educatore, con il suo intervento esemplare e autorevole di «facilitatore» (​​ Rogers) non annulla o soffoca in alcun modo la libertà dell’educando, ma contribuisce a farla emergere, a dilatarla, prevenendo errori e deviazioni dell’intelligenza e degli appetiti che sono a scapito del dinamismo proprio di crescita della libertà interiore. L’educazione che comincia con l’esteriore approda a una crescita interiore che sola può annodare come conviene i legami tra la legge morale, che è provvisorio mezzo «pedagogico», e la libertà per assicurare ciò che si potrebbe chiamare il decollo o il rodaggio di questa. Per questo l’a.-autorevolezza educativa è intrisa, indissolubilmente, di amore e di ragione: amore che «guadagna il cuore dell’allievo» (don Bosco) (​​ amore educativo,​​ ​​ amorevolezza), ragione che tende a «far ragionare» («praticamente») l’alunno (​​ ragione, ragionevolezza), aprendogli la via all’autonomia e responsabilità del pensare, del decidere e dell’agire.

Bibliografia

Laberthonnière L.,​​ Théorie de l’éducation,​​ Paris, Bloud, 1901; Lambruschini R.,​​ Dell’a. e libertà. Pensieri di un solitario.​​ Ediz. critica a cura di A. Gambaro, Firenze, La Nuova Italia, 1932; Braido P.,​​ Filosofia dell’educazione,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1967;​​ Pinckaers S. Th.,​​ Les sources de la morale chrétienne. Sa méthode,​​ son contenu,​​ son histoire,​​ Paris, Cerf,​​ 1985; Nanni C.,​​ L’educazione tra crisi e ricerca di senso. Un approccio filosofico,​​ Roma, LAS, 1990; Bertagna G.,​​ Generazione giovanile ed educazione alla scelta, in «Orientamenti Pedagogici» 45 (1998) 585-602; Bruzzone D.,​​ Psicoterapia e pedagogia in Carl R. Rogers. Una ricerca sui contributi dell’approccio centrato sulla persona all’educazione, in «Orientamenti Pedagogici» 45 (1998) 447-465; Crepet P.,​​ Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza, Torino, Einaudi, 2001; Crea G. - O. Fabbri,​​ Verso una leadership autorevole e strategica, in «Orientamenti Pedagogici» 52 (2005) 975-983.

P. Braido




AUTOVALUTAZIONE

 

AUTOVALUTAZIONE

L’a. consiste nel controllo che i soggetti operano sui processi attivati e sulle prestazioni attuate, al fine di apprezzarne la qualità.

1. In ambito educativo, può essere svolta da studenti, da docenti o dall’intero istituto scolastico. Tale pratica si sta diffondendo nei sistemi scolastici e nell’istruzione universitaria a livello internazionale, perché è utile per centrare l’attenzione dei soggetti sui criteri di qualità dei prodotti attesi, su carenze e punti di forza, per individuare strategie di miglioramento. A livello personale si tratta di una competenza essenziale per raggiungere la maturità umana, che comporta una sostanziale autonomia di giudizio anche rispetto alle condotte attuate e costituisce la premessa per apprendere a dirigere consapevolmente le proprie scelte.

2. La scuola deve formare all’a., cioè a rappresentarsi gli​​ ​​ obiettivi da raggiungere, ad assumere i criteri necessari per valutarsi, ad applicarli con obiettività. Lo studente deve imparare ad apprendere da solo, a gestire i suoi sforzi, a scegliere le vie più opportune, ovvero va formato non solo nell’ambito cognitivo, ma anche in quello metacognitivo, circa i processi che regolano il conoscere e quindi la valutazione dello stesso. Le forme di a. sono numerose e possono essere categorizzate sulla base dei processi che richiedono agli studenti. a) Alcune sono incentrate sulla prestazione e domandano agli allievi di​​ identificare standard e / o altri criteri​​ da applicare al loro lavoro e di formulare giudizi sul grado con cui essi hanno soddisfatto queste attese. b) Altre sollecitano la​​ riflessione​​ sulle proprie attitudini, abilità... Impiegano, di norma,​​ ​​ scale​​ e questionari per tracciare il profilo individuale, analizzando alcuni tratti di personalità, gli stili di apprendimento, le preferenze personali.

3. Studi recenti attribuiscono numerosi​​ effetti formativi​​ alle pratiche di a., in riferimento agli aspetti cognitivi e metacognitivi, all’acquisizione delle competenze prefissate, al miglioramento delle prestazioni globali, allo sviluppo personale, alla competenza sociale, alle disposizioni affettive (atteggiamenti, motivazione, volizione, autostima). Vantaggi ulteriori riguardano il miglioramento delle strategie valutative e della professionalità del docente che le mette in atto.

Bibliografia

Blanchard J.,​​ Teaching and targets: self evaluation and school improvement, London, Routledge Falmer, 2002; MacBeath J. - A. Mc Glynn,​​ Self-evaluation: whats in it for schools?, Ibid., 2002; MacBeath J. - H. Sugimine,​​ Self-evaluation in the global classroom, Ibid., 2003;​​ Cano E.,​​ Cómo mejorar las competencias de los docentes: guía para la autoevaluación y el desarrollo de las competencias del profesorado, Barcelona, Graò, 2005; Falchikov N.,​​ Improving assessment through student involvement,​​ London, Routledge Falmer, 2005.

L. Calonghi - C. Coggi




AZIONE DIDATTICA

 

AZIONE DIDATTICA

L’a. di insegnamento; più specificatamente l’a. di insegnamento che viene svolta in una istituzione scolastica o formativa da persona qualificata, alla quale è stato assegnato tale ruolo. Per essa viene anche usato il termine​​ didassi.​​ La scienza che la studia è la​​ ​​ didattica: una scienza spesso definita come pratico-prescrittiva in quanto tende a dare fondamento e orientamento operativo all’a. di insegnamento.

1.​​ Dimensioni dell’a.d.​​ Utilizzando le categorie proprie delle scienze pratiche individuate da​​ ​​ Aristotele, si può distinguere nella struttura dell’a.d. una dimensione tecnico-pratica e una dimensione etico-sociale. La prima dimensione dell’a.d. si riferisce alla progettazione, realizzazione e valutazione di uno spazio di​​ ​​ apprendimento valido ed efficace, cioè di un insieme di condizioni nelle quali l’allievo, o gli allievi, possa e voglia apprendere in maniera significativa, stabile e fruibile quanto inteso da parte del docente. La seconda dimensione dell’a.d. è data dalla qualità delle scelte, dei comportamenti, dei giudizi, delle relazioni che caratterizzano tale a. È qualcosa di intrinseco all’a. stessa e costituisce per l’allievo un riferimento continuo sia in quanto modello di atteggiamenti e di condotte, sia in quanto contesto interpretativo e valutativo di quanto viene attuato.

2. A. di insegnamento,​​ a. di apprendimento e loro interazione.​​ Lo spazio formativo costituisce il campo nel quale l’a. di insegnamento si esplica, e dal quale dipende la sua validità e fecondità. Esso è però anche il campo d’a. del discente e, più in generale, lo spazio dell’interazione tra​​ ​​ insegnante e allievi e degli allievi tra di loro. Lo slittamento di attenzione dai comportamenti esterni e relative tecniche di controllo e di modifica di matrice comportamentista ai processi interni di natura cognitiva e affettiva ha portato progressivamente a considerare sempre più da vicino il ruolo di tali processi nell’acquisizione e uso della conoscenza. È stato così riconosciuto che lo scenario entro cui si esplicano le a. dell’insegnante, quelle degli allievi, e le relative interazioni, non può essere descritto, compreso e spiegato se non si tiene conto dei pensieri e dei sentimenti che precedono, accompagnano e seguono tali a. In particolare viene segnalato il ruolo dei significati, delle motivazioni e delle intenzioni che le sollecitano, guidano e sostengono. Gli studi sui pensieri dei docenti hanno spesso utilizzato tre categorie di analisi, concernenti i pensieri che precedono l’a. di insegnamento o che la seguono (pensieri preattivi e postattivi) e quelli che l’accompagnano (pensieri interattivi). A queste è stata aggiunta la categoria che include le concezioni e convinzioni che essi hanno del proprio ruolo di insegnanti e di educatori. Alla prima categoria appartengono la progettazione e organizzazione concreta delle attività di apprendimento; alla seconda le riflessioni interne e i giudizi che le seguono; alla terza, i pensieri e le decisioni che hanno luogo nel corso dell’a.d. La quarta categoria costituisce come il quadro di riferimento che guida le attribuzioni di significato e di valore nel corso dei pensieri preattivi e postattivi e di quelli interattivi. Questo mondo interiore si rende visibile e osservabile tramite i comportamenti che insegnanti e alunni manifestano in classe e tramite i risultati da questi ultimi conseguiti. La tradizione comportamentista si limitava allo studio di questi elementi esterni, evidenziando correlazioni od eventuali rapporti causali; oggi, con tecniche anche assai raffinate, si cerca di risalire all’origine cognitiva e in particolare alle intenzioni che hanno dato origine ai comportamenti esterni. Oltre a questo, occorre evidenziare un altro insieme di fattori che certamente entra in gioco in modo sostanziale nell’attività didattica. Si tratta dei sentimenti e delle emozioni che precedono, accompagnano o seguono l’a. degli insegnanti. Anche questi si esprimono nei loro comportamenti e hanno un influsso non indifferente nella creazione dello spazio o ambiente di apprendimento. Gli studi sulle attese che i docenti hanno in genere nei riguardi della scuola e specificatamente nei riguardi dei singoli alunni, le ricerche sulle attribuzioni causali relative alle iniziative riuscite o fallimentari, sull’attrazione e repulsione provate per determinati argomenti di studio, determinate attività didattiche e specifici alunni, ecc., hanno mostrato la complessità e profondità di tale gioco, spesso inconsapevolmente esplicato. L’a. di insegnamento, d’altra parte, anche se è un’a. intenzionale che mira a promuovere in modo sistematico l’acquisizione di conoscenze, capacità e atteggiamenti validi e produttivi, non può, però, produrre direttamente effetti di apprendimento, in quanto, come già ricordato, deve limitarsi a creare le condizioni che ottimizzano l’a. di apprendimento degli allievi nella direzione intesa dall’insegnante. E questo è inevitabilmente oggetto di opportune negoziazioni, esplicite o implicite, tra insegnanti e allievi, favorite da un contesto dialogico valido e fecondo.

3.​​ Complessità dell’a. di insegnamento.​​ Lo studio diretto dell’agire concreto dell’insegnante nella classe, cioè della sua capacità di gestire nella sua totalità lo spazio di apprendimento da lui stesso prefigurato, ne ha evidenziato la complessità. In tale capacità d’altra parte è stato individuato il cuore della sua professionalità e della sua competenza. Un insegnante esperto si differenzia da un principiante secondo un numero rilevante di elementi distintivi, tra cui si possono qui ricordare (Berliner, 1986): a)​​ capacità di gestire e controllare​​ la molteplicità e multidimensionalità degli elementi che concorrono a caratterizzare lo spazio di apprendimento contemporaneamente e immediatamente, cioè capacità di selezionare e interpretare ciò che è rilevante nella situazione concreta, da ciò che si può trascurare, e rapidità nel prendere decisioni che si rivelano congruenti ed efficaci. Il principiante si presenta incerto, insicuro, attento a troppe cose in modo globale e poco funzionale, ecc.; b)​​ flessibilità​​ nell’adattare i contenuti di insegnamento, i modi di insegnare, le forme di interazione, il sostegno alla​​ ​​ motivazione all’apprendimento secondo le esigenze dei diversi soggetti e in base alle situazioni che concretamente si presentano di volta in volta, tenendo conto della loro preparazione, del loro stato d’animo, delle loro reazioni, ecc.; il principiante si presenta rigido e poco capace di adattamento alla varietà dei casi particolari e delle situazioni concrete; c)​​ conoscenza dei contenuti​​ di insegnamento e dei modi attraverso i quali questi possono essere trasformati per poter essere appresi in modo significativo e stabile dai vari alunni, utilizzando forme di rappresentazione (iconiche, verbali, analogiche, ecc.) e collegamenti con quanto da essi già conosciuto e interiormente rappresentato sia nell’attività scolastica che nell’esperienza extrascolastica. Il principiante è assai legato alla maniera nella quale ha studiato l’argomento o nella quale questo viene esposto nel libro di testo.

4.​​ L’analisi dell’a.d.​​ L’a. di insegnamento, soprattutto negli anni settanta, è stata oggetto di analisi prevalentemente per quanto concerne il suo aspetto osservabile e categorizzabile. A questo fine sono state costruite griglie di osservazione sistematica secondo categorie determinate sulla base di varie teorie di riferimento. G. De Landsheere, ad es., ha esaminato i comportamenti sia verbali che non verbali del docente nel corso del suo insegnamento. Il passo successivo è stato quello di valorizzare i metodi osservativi così sviluppati nel contesto della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, utilizzando in particolare tecniche di microinsegnamento (De Landsheere, 1979 e 1981).

5.​​ La componente etica dell’a.d.​​ W. Brezinka ha sottolineato la centralità di quello che egli chiama l’ethos​​ professionale degli insegnanti, cioè il loro senso morale o insieme delle proprie convinzioni morali nei riguardi della loro attività specifica. In altre parole si tratta dell’insieme degli atteggiamenti morali che una persona ha verso la propria attività professionale di insegnante e i particolari compiti e doveri che questa comporta (Brezinka, 1989). Questo senso morale è d’altra parte legato al mandato educativo a essi affidato dalla comunità nazionale e locale. Mandato educativo che è reso esplicito nelle norme costituzionali e di legge relative alla scuola in genere e ai vari livelli scolastici in specie, e interpretato sul piano operativo dai diversi programmi didattici. Tra le componenti dell’ethos professionale dei docenti, Brezinka considera fondamentali le seguenti: a) l’atteggiamento positivo verso gli alunni e il loro bene; b) l’atteggiamento positivo verso la propria comunità e verso il mandato educativo da questa affidato all’insegnante; c) l’atteggiamento positivo nei confronti della materia che deve insegnare; d) l’atteggiamento positivo verso le attività necessarie per l’esercizio della professione.

Bibliografia

Dussault G. et al.,​​ L’analisi dell’insegnamento,​​ Roma, Armando, 1976; Ballanti G.,​​ Analisi e modificazione del comportamento insegnante,​​ Teramo, Lisciani, 1979; De Landsheere G.,​​ Come si insegna: analisi delle interazioni verbali in classe,​​ Ibid., 1979; De Landsheere G. - A. Delchambre,​​ I comportamenti non verbali dell’insegnante,​​ Ibid.,​​ 1981; Berliner D. C.,​​ In pursuit of the expert pedagogue,​​ in «Educational Researcher» 15 (1986) 7, 5-13; Damiano E.,​​ L’insegnamento come a.,​​ in «Il Quadrante Scolastico» 11 (1988) 38, 23-48; Brezinka W.,​​ L’educazione in una società disorientata,​​ Roma, Armando, 1989; Pellerey M.,​​ A. educativa e didattica,​​ in «Il Quadrante Scolastico» 12 (1989) 42, 23-33;​​ De Corte E. et al.,​​ Les fondements de l’action didactique,​​ Bruxelles, De Boeck,​​ 21990; Mastromarino R.,​​ L’a.d.,​​ Roma, Armando, 1991; Damiano E.,​​ L’a.d. Per una teoria dell’insegnamento,​​ Ibid., 1993; Pellerey M.,​​ L’agire educativo, Roma, LAS, 1998; Id.,​​ Educare, Ibid., 1999; Damiano E.,​​ La Nuova Alleanza, Brescia, La Scuola, 2006.

M. Pellerey




AZIONE EDUCATIVA

 

AZIONE EDUCATIVA

Intervento intenzionale, individuale o di gruppo o sociale, volto a promuovere il divenire integrale della​​ ​​ personalità, individuale e / o comunitaria, nella sua globalità o in qualche suo aspetto (v. anche​​ ​​ a. didattica).

1. L’a. è al crocevia di soggettività ed oggettività, di passato, presente, futuro. In essa la novità e l’alterità delle persone, delle cose e degli eventi si incontrano nel vivo del divenire storico, sia nelle modalità quotidiane sia in quelle che hanno valore di evento per la vita propria o per quella comunitaria. Nell’a. essere, conoscere, valutare, decidere ed impegnarsi si danno in una dinamica dagli esiti non scontati. L’a. è infatti intimamente percorsa ed attraversata dal mondo delle intenzioni, dei progetti, delle volontà, delle speranze, delle attese, e prima ancora dal mondo dei bisogni, degli impulsi, dei desideri, delle aspirazioni individuali, di gruppo, collettive.

2. La riflessione sull’a. aiuta a comprendere l’intenzionalità educativa e a precisare meglio l’​​ ​​ intervento educativo. In proposito può essere interessante la distinzione, ripresa da​​ ​​ Aristotele, tra prassi (praxis)​​ e produzione (poiesis)​​ (Et. Nic.,​​ VI,3-4, 1149 ss.), parallela alla distinzione di​​ ​​ Tommaso d’Aquino tra «actio immanens» (che rimane nell’agente, come il sentire, l’intendere, il volere) e «actio transiens» (che passa da chi opera in qualcosa di esterno, visto come prodotto) (Sum. Theol.,​​ I-II, q. 3, a. 2; e q. 111, a. 2), ed equivalente alla distinzione tra «agire» e «fare», presente un po’ in tutte le lingue. Essa permette di cogliere come l’educazione sia un​​ agire​​ che nasce nell’interiorità personale ed insieme un​​ produrre​​ parole, gesti, strumenti, condizioni, strategie, modelli che mediano il​​ ​​ rapporto educativo. In tal modo si evidenzia la responsabilità individuale e la corresponsabilità di gruppo o collettiva e la necessità di collegare in educazione tecnologia, teoria, etica e abilità.

3. La prospettiva tradizionale dell’educazione si incentrava quasi esclusivamente sull’attività intenzionale degli educatori.​​ Un’analisi più approfondita mostra invece che in concreto l’educazione appare​​ come un intersecarsi di azioni​​ (sia nel senso largo di attività e di operazione in genere, sia nel senso specifico di agire cosciente e libero e di produzione di oggetti): oltre quelle degli educatori (in qualità di genitori, parenti, docenti, dirigenti, animatori, ecc.; individualmente o come​​ team​​ educante), quelle degli educandi (come figli, allievi, membri di gruppi o di associazioni, ecc.; come singoli e come gruppi variamente strutturati), e quelle di coloro che a vario titolo, direttamente o indirettamente, personalmente o istituzionalmente, si interpongono od intervengono come variabili concomitanti dell’a.e. Ciascuno interviene con proprie intenzioni, opera secondo modi personali, coopera o si pone come «frontiera interna» rispetto all’a. altrui. Si comprende come si richieda una​​ ​​ progettazione educativa e una concordata​​ ​​ programmazione educativa, nella prospettiva di una speciale processualità (​​ processo educativo).

4. La filosofia dell’a. di indirizzo ermeneutico, aiuta a comprendere pure la​​ situazionalità,​​ la storicità e la singolarità propria dell’a.e., fino al suo carattere di​​ evento​​ in certa misura irrepetibile. Da ciò si evince la necessità di strategie conoscitive che individuino situazioni e​​ ​​ bisogni educativi nella loro contestualità; e trova rinnovata rilevanza la richiesta di una educazione contestualizzata e personalizzata (​​ personalizzazione).

Bibliografia

Bubner R.,​​ A.,​​ linguaggio e ragione,​​ Bologna, Il Mulino, 1985; Dalle Fratte G.,​​ La decisione in pedagogia,​​ Roma, Armando, 1988; Blondel M.,​​ L’a.,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1993; Damiano E.,​​ L’a. didattica,​​ Roma, Armando, 1993; Vayer P.,​​ La dinamica dell’a.e., Roma, Il Minotauro, 1999; Gramiglia A..,​​ Manuale di pedagogia sociale: scenari del presente e a.e., Roma, Armando, 2003.

C. Nanni