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ASSISTENZA

 

ASSISTENZA

Prestazione di aiuto a individui, gruppi o classi che si trovano in una situazione meno agiata, debole o bisognosa a livello fisico, psichico, economico, sociale, educativo. L’a. o la beneficenza nelle diverse forme di necessità può essere di tipo privato o pubblico, individuale o collettivo. Nell’ambito pedagogico, il termine ha preso tre significati importanti: a) a. sociale; b) a. educativa; c) a. nel​​ ​​ sistema preventivo di don​​ ​​ Bosco.

1. Nel mondo antico l’a. sociale era lasciata generalmente alla generosità degli individui. Con la diffusione della religione cristiana nascono in Occidente diverse iniziative, di tipo privato o ecclesiastico, con lo scopo di prestare aiuto alle molteplici forme del disagio personale e sociale. Oltre le modalità di aiuto a carattere spontaneo e facoltativo, sorgono istituzioni (lazzaretti, ospedali, ospizi, asili) che, sotto il profilo della beneficenza, concretizzano sostegno e a. alle varie categorie di persone nel bisogno: malati, mendicanti, vagabondi, poveri, invalidi, vedove, orfani, bambini e fanciulli abbandonati, madri bisognose, giovani e adulti fisicamente o psichicamente handicappati. Con la nascita dello​​ ​​ Stato sociale, quasi ovunque i governi cercheranno di creare a poco a poco mediante una legislazione adeguata un sistema organico di a., riducendo a unità le innumerevoli istituzioni fiorite nel campo. Al posto della funzione privata della beneficenza religiosa o filantropica subentra generalmente la funzione sociale dell’apparato pubblico e le leggi statali restituiscono all’autorità civile quel potere che soprattutto le Chiese esercitavano sulla pubblica a. in modo diretto o indiretto. L’intervento dello Stato moderno si inserirà generalmente nelle questioni delle politiche rivolte a realizzare una maggiore uguaglianza e si annoderà poco a poco ai grandi piani e programmi di sviluppo della solidarietà internazionale.

2. Nella storia occidentale l’a. educativa, in quanto cura premurosa per bambini, fanciulli e giovani dell’uno e dell’altro sesso, è stata messa in rilievo come una forma particolare di aiuto sociale. Concretamente il prestare a. alla giovane età significava sempre il procurare educazione e istruzione, l’avviare a qualche professione, arte o mestiere, o contribuire in qualsiasi altro modo al miglioramento non soltanto economico ma anche etico e religioso. Ancora oggi, senza la protezione delle nuove generazioni mediante l’a. alla maternità e all’infanzia, mediante appositi processi di educazione e di istruzioni e, dove occorre, anche mediante misure di rieducazione, il benessere economico e morale di una società non sembra mai sufficientemente garantito. In senso più specifico l’a. educativa mira soprattutto all’intervento da parte dell’educazione pubblica per assicurare un valido aiuto allo sviluppo personale là dove, per qualsiasi motivo, i primi responsabili non siano in grado di adempiere a questo compito, o lasciano gli educandi in uno stato di abbandono fisico, etico o spirituale. L’educazione pubblica dei minorenni bisognosi o abbandonati, regolata da leggi sempre più integrate nel quadro della legislazione civile, mira ormai alla eliminazione totale di ogni tipo di discriminazione e, attraverso progetti educativi individualizzati, al coinvolgimento dei soggetti nei processi di emancipazione, di collaborazione e di responsabilizzazione personale. Nella realizzazione delle diverse modalità di educazione assistenziale, l’autorità pubblica generalmente collabora con le istituzioni educative (internati, ospizi, centri di accoglienza, famiglie adottive, forme di affidamento o la stessa famiglia del giovane) allo scopo di superare i disturbi dello sviluppo che risultano da un’educazione deficitaria. L’esecuzione ragionata del progetto educativo o rieducativo suppone la presa in considerazione dei dati forniti da una diagnosi pluridimensionale (medica, psicologica, sociale, pedagogica...), nonché la realizzazione di forme di aiuto specializzato di diverso tipo, inquadrate in un clima pedagogico positivo presente nell’istituzione e nei rapporti personalizzati con operatori capaci di conquistare la confidenza di fanciulli o giovani. L’a. educativa suppone ormai una apposita qualificazione del personale educativo e un accompagnamento specializzato e regolato.

3. Nel sistema educativo di don Bosco la parola a. assume un senso ancora più specifico. Come in altri tipi di educazione preventiva, anche in quella di don Bosco l’attività assistenziale in senso sociale è un tratto significativo e permanente del suo agire. A contatto con i problemi della città di Torino, soprattutto i suoi primi interventi si proiettano all’esterno verso il ricupero di ragazzi o giovani carcerati, di ex corrigendi, di «immigrati» sradicati dalla terra di origine, di giovani «poveri e abbandonati». Egli mira a cercare persone e mezzi commisurati alle loro principali urgenze: lavoro, alfabetizzazione, istruzione, formazione religiosa, cura pastorale, ricreazione, sano uso del tempo libero. Le iniziative aumentano dopo la «rivoluzione» risorgimentale del 1848, quando le «nuove libertà» richiedono nuove attività di a.: difendere, preservare, confermare, premunire, correggere, rafforzare. Oltre a ciò, l’a. in don Bosco diventa anche una modalità di educazione. In essa, pur aperta a potenziali forme di collaborazione e di limitata partecipazione da parte dei giovani, occupa il primo posto la presenza cordiale e amorevole dell’educatore. Con l’a., egli sorregge, conforta, aiuta e accompagna il giovane nelle interne vicende della sua esistenza. Per don Bosco lo stile del​​ ​​ rapporto educativo è vissuto secondo il principio di «farsi amare piuttosto che farsi temere». Anche se i giovani vengono assistiti con la vigilanza, l’ordine, la disciplina e la moralità, il nucleo dell’a. educativa si trova nella sua dimensione promotrice della collaborazione libera e consapevole dell’educando alla propria autocostruzione.

Bibliografia

Assistance et assistés de 1612 à nos jours,​​ Paris, Bibliothèque Nationale, 1977; Braido P. (Ed.),​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia,​​ 2​​ voll., Roma, LAS, 1981; Monticone A. (Ed.),​​ La storia dei poveri: pauperismo e a. nell’età moderna,​​ Parma, Studium, 1985; Braido P.,​​ Breve storia del «sistema preventivo»,​​ Roma, LAS, 1993; Prellezo J. M.,​​ Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 99-162.

J. Schepens




ASSOCIAZIONI PEDAGOGICHE

 

ASSOCIAZIONI PEDAGOGICHE

Promosse e animate per lo più da pedagogisti e formate anche da insegnanti, educatori, uomini e donne di cultura, le a.p. nascono dalla volontà di valorizzare e rinforzare, nel dialogo e nella cooperazione, l’esperienza educativa e la riflessione pedagogica. Nate nell’Ottocento, in ambito nazionale e internazionale, tali a. sono venute in parte articolandosi in varie specializzazioni di tipo disciplinare. Tra l’associazionismo educativo, quello pedagogico, quello professionale dei docenti e quello sindacale si notano implicazioni, connessioni e distinzioni, talora separazioni non sempre funzionali agli scopi perseguiti.

1. Fra le​​ a. educative, si possono ricordare, per esempio, quelle che fanno capo allo scoutismo e all’associazionismo di tipo religioso, culturale e sportivo e al volontariato; ma più specificamente si possono citare le a. di genitori come l’AGe (promossa nel 1968 a Roma, dal medico E. Rosini), l’AGeSC (A. Genitori di Scuole Cattoliche, 1977) e il CGD (Coordinamento Genitori Democratici,1976), sorte per aiutare i genitori ad essere parte attiva del sistema formativo, in particolare per ciò che concerne la scuola. Esse aderiscono all’EPA (European Parents Association, 1978). Sul piano internazionale si registrano a. sorte per iniziativa di privati o di organismi o agenzie mondiali: ad es. l’AMSE (Association Mondiale des Sciences de l’Education), le WCCES (World Council of Comparative Education Societies), l’ATEE (Association for Teacher Education in Europe), la WEF (World Education Fellowship), l’AEDE (Association Européenne des Enseignants).

2. La più antica a.p. italiana sembra essere la​​ Società d’Istruzione e di Educazione, sorta in Piemonte nel 1849 e presieduta da V. Gioberti. Benché costituita da cittadini del Regno di Sardegna, si propose l’unione intellettuale e morale di tutti gli educatori della Penisola. Con l’unità d’Italia, nacque a Milano l’Associazione Pedagogica italiana, che diede vita a undici congressi pedagogici, fra il 1861 e il 1880. Nel nuovo secolo, nel 1950 essa rinacque con orizzonti più vasti, aperta anche ai non docenti, con la sigla ASPeI. democratica, pluralistica, aperta a tutti gli interessati alle problematiche pedagogiche ed educative, secondo le idee del fondatore G. Calò, che ne fu presidente fino al 1970. Ha celebrato oltre venti congressi pedagogici, pubblicando talvolta gli atti. Dal 1972 pubblica un bollettino periodico. Per affrontare in modo specifico le problematiche epistemologiche e per seguire da vicino le sorti accademiche della pedagogia e delle sue articolazioni all’interno delle Facoltà universitarie, è nata la SiPed​​ (Società Italiana di Pedagogia), con la iniziale presidenza di M. Gattullo. La prospettiva delle trasformazioni dei corsi di laurea di pedagogia della Facoltà di Magistero in corsi di Laurea di Scienze dell’educazione, con diversi indirizzi, e successivamente in Facoltà di Scienze della formazione, è stata al centro dell’impegno della SiPed, accanto ai problemi della ricerca pedagogica, nelle sue varie suddivisioni interne. Un contributo fondamentale fu dato all’istituzione della Laurea in Scienze della formazione primaria e alle scuole di specializzazione all’insegnamento medio. L’istanza di specializzazione ha ispirato la nascita di a. legate a specifiche discipline: CIRSE (Centro Italiano di Ricerca Storico-Educativa), la SICESE (Sezione Italiana della Comparative Education Society), la SIRD (Società Italiana di Ricerca Didattica)… Va segnalata anche​​ Scholè, Centro di studi pedagogici fra docenti universitari d’ispirazione cristiana, nata nel 1954 per iniziativa di​​ ​​ Nosengo, Agazzi, Stefanini, per affrontare problematiche educative e pedagogiche, di cui si dà notizia nei volumi di atti, pubblicati in apposita collana dall’editrice La Scuola di Brescia. Generosa verso tutte le specializzazioni interne, come verso le confinanti scienze umane e sociali, la pedagogia definitasi generale rischia di smarrire le sue ragioni di disciplina madre e del ruolo strategico di fondazione, di promozione e di sintesi che dovrebbe caratterizzarla, superando le appartenenze di tipo ideologico.

3. Le​​ a.p. d’insegnanti​​ si caratterizzano sia per la difesa degli interessi di categoria (differenziandosi però ad un certo punto dai sindacati), sia per un impegno di formazione e di aggiornamento professionale, sia infine per la volontà di concorrere alla modifica degli ordinamenti attraverso la ricerca e l’espressione di istanze di ordine generale, sociale e pedagogico, e non di interessi corporativi. Di recente sono nate anche a. di direttori didattici, presidi, ispettori, divenuti «dirigenti», come l’ANP (A. nazionale presidi, che è anche sindacato), l’ANDIS (A. nazionale dirigenti scolastici, 1988) e la DISAL (Dirigenti scuole autonome e libere). Le a. professionali di insegnanti si possono storicamente distinguere in a. di maestri e di professori secondari, oltre quelle di docenti universitari; ad esse, definite «professionali» o «generaliste», si affiancano a. «disciplinariste», relative alle diverse discipline insegnate. All’inizio del ’900 troviamo​​ l’Unione Magistrale Nazionale​​ (UMN), presieduta da L. Credaro, e la​​ Federazione Nazionale fra Insegnanti delle Scuole Medie​​ (FNISM), presieduta da G. Kirner. L’impostazione era in complesso laica, democratica, inizialmente apartitica, con punte di anticlericalismo. Lo slogan di Credaro era: «Né servi né ribelli». Nel 1907 nacque a Milano la cattolica​​ A. magistrale Nicolò Tommaseo. Queste a. sparirono durante il regime fascista, sostitute da una​​ A. nazionale insegnanti fascisti. Nel 1944-1945, in vista della fine della guerra e della ricostruzione, nascono l’UCIIM, Unione cattolica italiana insegnanti medi, promossa dal Movimento laureati di Azione Cattolica, e l’AIMC, a. italiana maestri cattolici, promossa dalla Sezione maestri di Azione Cattolica, erede della «Tommaseo»; nel 1946 rinasce anche la FNISM. Dopo gli anni 1943-44 vissuti in clandestinità, su iniziativa di C. Carretto e M. Badaloni, l’AIMC tenne il 1° congresso nel settembre 1946. Si trattava di «fare della scuola una istituzione portante della rinascita italiana», ispirandosi ai principi del Vangelo e a quelli della Costituzione. Associa maestri, educatrici, direttori, ispettori. È strutturata democraticamente e radicata sul territorio, con propri organismi e luoghi d’incontro, in interazione continua fra diversi livelli associativi e con istituzioni pubbliche di tipo ecclesiale, civile, sindacale e politico. Intende la​​ ​​ professionalità come strumento al servizio della scuola, dell’educazione, della società civile, in dialogo con forze associative, sindacali e partitiche. Ha anticipato e seguito l’innovazione scolastica e la riforma della scuola elementare, con attenzione a tutto il sistema scolastico, in particolare l’istruzione magistrale e la formazione universitaria dei docenti. Pubblica mensilmente «Il Maestro», libri raccolti in tre collane e ha un sito. L’UCIIM, nata il 18.6.1944, per iniziativa di​​ ​​ G. Nosengo tenne il 1°congresso nel 1947, sul tema Scuola e democrazia. La sua impostazione teologica (autonomia laicale, competenza professionale, costruzione e animazione cristiana dell’ordine temporale) avrebbe trovato pieno riscontro nelle idee del Conc. Vaticano II. Affronta problemi di spiritualità professionale, di educazione scolastica, di didattica, d’innovazione, anche a livello presindacale e prepolitico, con spirito dialogico, anzitutto a livello degli organi collegiali. Ha avuto un ruolo rilevante nella preparazione e nell’attuazione delle riforme scolastiche, con particolare riferimento alla scuola media, ai processi di partecipazione e alla stesura dei programmi della scuola secondaria, inferiore e superiore: ha promosso centinaia di convegni, collane, il mensile «La Scuola e l’Uomo», il sito e UCIIM NEWS. Aderisce al SIESC (Segretariato Internazionale degli Insegnanti Secondari Cattolici), divenuto nel 2006 FEEC​​ Federazione europea di insegnanti cristiani. Di recente AIMC e UCIIM associano anche docenti di tutti gli ordini di scuola. La FNISM (Federazione Nazionale Insegnanti Scuola Media) è la prima a. italiana di professori, essendo nata nel 1901. Attenta agli aspetti giuridici e sindacali, ha inteso anche contribuire alla formazione di una coscienza civica, laica e democratica dei docenti. Per opera di G. Salvemini tese a presentarsi come «partito della scuola» e difese la scuola popolare statale, in frequente polemica contro la non statale. Associa ora docenti di tutti gli ordini e gradi e anche intellettuali non docenti. Pubblica l’«Eco della Scuola Nuova». Il CIDI (Centro Iniziativa Democratica degli Insegnanti) è un’a. di insegnanti di tutti gli ordini di scuola e di università. È sorta nel 1972, a partire da un nucleo romano. Ha partecipato, con rilevanti contributi, alla stesura e all’attuazione dei programmi della scuola, anche nell’ambito delle diverse commissioni ministeriali. Dedica molta attenzione ai problemi dell’insegnamento / apprendimento, con particolare riguardo all’istruzione obbligatoria fino a 16 anni, a temi come l’intercultura, l’ambiente, la legalità, la salute, promuovendo gruppi di ricerca e convegni a carattere nazionale e internazionale. Pubblica il mensile «Insegnare». Il MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) trae le sue origini ed ispirazioni dall’insegnamento di​​ ​​ Freinet. In Italia intorno al 1950 furono costituite tre delegazioni dei CEMEA (Centri di Esercitazione Metodi Educazione Attiva). Nel 1951 fu fondata a Fano un’a. dal nome CTS (Cooperativa della Tipografia Scuola), che assunse le tecniche di Freinet. Nel 1957 prese il nome di MCE e si caratterizzò per l’impegno cooperativo, per lo spirito democratico, la didattica della individualizzazione e della socializzazione. Il movimento è oggi articolato in gruppi, a livello nazionale e locale: gruppi che s’impegnano in particolare su temi didattici come la matematica, l’informatica, l’educazione alla pace. Fa parte della FIME (Fédération Internationale des Mouvements d’École Moderne).

4. Fra le a. più recenti si trovano l’OPPI (Organizzazione per la preparazione professionale degli insegnanti 1965), DIESSE (Docenti e Scuola, 1987), ADI (A. Docenti Italiani, 1998), APEF (A. professionale europea di formazione, 2000); Legambiente Scuola e formazione (2000). Tutte queste a. sono riconosciute dal MPI come qualificate per la formazione dei docenti e fanno parte del Forum delle a. professionali di insegnanti e dirigenti (FONADDS) presso il MPI (dal 2004), con ANDIS e DISAL. Le a. cattoliche fanno parte della Consulta nazionale per la pastorale scolastica presso la CEI (UNESU, Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’Università). Nel 1999 è nata l’AIDU, a. italiana docenti universitari, d’ispirazione cattolica, che dispone di un suo sito.

Bibliografia

Ambrosoli L., La​​ FNISM, Firenze, La Nuova Scuola, 1967; Sani R.,​​ Le a. degli insegnanti cattolici nel secondo dopoguerra, Brescia, La Scuola, 1990; Chiaromonte B. (Ed.),​​ Il CIDI ha ventanni, Roma, CIDI, 1992; Corradini L., «UCIIM», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ Appendice A-Z, Brescia, La Scuola, 2003, 1485-1489; Id., «AIDU»,​​ in Ibid., 2003, 15-17;​​ Prioreschi M., «AIMC», in Ibid., 17-18;​​ Corradini L.,​​ Educare nella scuola nella prospettiva dell’UCIIM, Roma, UCIIM-AIMC, Armando, 2006;​​ Chiesa e testimonianza cristiana delle a. laicali nella scuola oggi, Atti dell’Incontro nazionale di Abano T., 1-3 dic. 2005, in CEI, Notiziario UNESU, 3, 2006;​​ L’educazione? Una sfida da vincere insieme. Nuovi cammini,​​ promesse,​​ impegni, Atti del I Incontro nazionale delle aggregazioni laicali e dei soggetti operanti nell’educazione e nella scuola, Roma 11-13.5.2007, in CEI, Notiziario UNESU, 6. 2007.

L. Corradini




ASSOCIAZIONISMO

 

ASSOCIAZIONISMO

Per a. si intende il complesso delle associazioni presenti in un dato contesto. A sua volta va considerata​​ associazione​​ ogni collettività più o meno stabile, costituita volontariamente per perseguire uno o più scopi complementari o comuni a tutti i suoi associati. Tali scopi, poiché esorbitano dalla capacità di prestazione dei singoli, vengono perseguiti collettivamente, mediante vincoli di solidarietà fra gli associati, in maniera sistematica, attraverso forme di organizzazione democratica.

1. Sulla base di questa definizione, è possibile tracciare alcune distinzioni. L’intenzionalità e la volontarietà dell’adesione rendono l’a. diverso dalle​​ aggregazioni di fatto​​ (etnia, famiglia, parentela, gruppo d’età...) e dalle​​ aggregazioni obbligatorie​​ (esercito, corporazioni, partiti unici in regime totalitario...). L’a. va distinto anche dai​​ sindacati,​​ dalle​​ cooperative​​ e dalle​​ organizzazioni professionali,​​ la cui azione principale è direttamente collegata all’attività economica dei propri membri. Mentre l’a. riconosce i centri politici e culturali del potere, con i quali stabilisce rapporti di contrattazione, i​​ movimenti sociali,​​ attraverso azioni conflittuali, invece mettono radicalmente in discussione i modelli dominanti di utilizzazione delle principali risorse materiali e simboliche della società (Touraine, 1973). La presenza di vincoli, di un’estesa organizzazione formale e di obiettivi ufficialmente prefissati differenziano l’a. dai​​ gruppi,​​ più spontanei ed «espressivi», e dalle aggregazioni primarie (Cooley, 1909). L’a. si distingue anche dalla​​ comunità.​​ Quest’ultima è fondata su un forte senso di appartenenza e sul coinvolgimento tendenzialmente totale dei propri membri, i quali condividono obiettivi comuni (anche se indeterminati), giudicati prioritari rispetto agli interessi individuali. L’adesione ad una comunità si fonda su dinamiche prevalentemente affettive o su motivazioni legate alla tradizione (Weber, 1922). Ma più che una collettività concreta, la comunità può costituire uno stato particolare che alcune collettività assumono per un tempo limitato (Gallino, 1978). In tal senso anche un’associazione può temporaneamente acquisire lo stato di comunità.

2. Al proprio interno l’a. si presenta alquanto variegato. Ogni sua tipologia dovrà articolarsi sulla base di alcune significative caratteristiche che, generalmente, sono le seguenti: i criteri di selezione e di reclutamento degli aderenti alle varie associazioni; gli interessi e gli scopi (iniziali o successivi, dichiarati o reali, diffusi in tutta l’associazione o concentrati in qualche suo segmento); la natura «strumentale» o «espressiva» dell’attività principale, a seconda che quest’ultima venga indirizzata rispettivamente ai non associati o agli associati (Rose, 1954; Gordon e Babchuk, 1959); la cultura, ossia le conoscenze, i valori, le credenze, i simboli, i rituali adottati e la socializzazione degli associati; la struttura, cioè la presenza più o meno estesa di organizzazione formale, di apparati permanenti; la delimitazione di ruoli specifici in base a modelli di comportamento ufficialmente approvati; il grado di partecipazione della base alle decisioni; il livello più o meno elevato di coinvolgimento personale richiesto ai partecipanti; i meccanismi preposti alla attribuzione del potere (per​​ ​​ carisma, cooptazione, elezione...), così come alla legittimazione ed al ricambio dei gruppi dirigenti; la comunicazione tra associazione e ambiente esterno, tra periferia e centro dell’associazione e tra i vari settori della periferia; le relazioni (di alleanza, di influenza o di competizione / conflitto) con altre associazioni o istituzioni.

3. L’a. può essere considerato una delle risposte al bisogno di socialità, cioè alla propensione degli esseri umani a stabilire relazioni sociali (v. per es. Simmel, 1908). Più in particolare, secondo Rose (1954), l’a. risponderebbe ai bisogni di compagnia reciproca, di sicurezza personale e di conoscenza della realtà esterna. In quanto mediazione tra individuo e società, l’a. tende a preservare il singolo sia dall’isolamento sia dal perdersi in una massa magmatica e anonima. Sempre grazie a questa sua collocazione intermedia, l’a. facilita nel singolo associato la formazione di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo nella società. Talvolta l’adesione attiva ad un’associazione, vissuta come un impegno creativo, gratificante, compensa altre attività (lavorative, familiari) giudicate monotone, ripetitive, frustranti. Per queste ed altre funzioni di integrazione, l’esperienza associativa può facilitare il singolo a ritrovare un senso, uno scopo da attribuire alla propria vita. Ciò aiuta a spiegare perché i soggetti con esperienze associative consolidate si rivelino più disponibili, maggiormente propensi alla «multi-appartenenza» e al «pendolarismo» fra molteplici associazioni.

4. Sono anche altre le funzioni normalmente svolte dall’a. Esso, per quanto presente in ogni società, diventa particolarmente rilevante quando nel sistema sociale, a seguito dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, si accentuano i processi di divisione del lavoro, si moltiplicano i sottosistemi ed i rapporti di interdipendenza reciproca. In questo scenario cresce anche il numero di aggregazioni a cui vengono in parte delegate alcune funzioni che in origine erano prerogativa di pochi sottosistemi, quali la chiesa, il vicinato e la famiglia. Anche l’incremento del benessere collettivo e l’avvento della «civiltà del tempo libero», svincolando il singolo da preoccupazioni primarie di sopravvivenza, consentono un ulteriore sviluppo dell’a.

5. A valorizzarne le funzioni e a facilitarne la sua diffusione è anche l’estensione delle libertà politiche e dei diritti civili. A questo proposito la sociologia statunitense, influenzata dagli studi di Tocqueville (1835) e dalla fiorente realtà associativa americana, sottolinea molto il rapporto fra democrazia e a. In particolare l’a. viene considerato una modalità attraverso cui la società civile si organizza autonomamente per bilanciare il potere centrale dello Stato (Sills, 1968). Questa funzione di bilanciamento costituisce anche un rapporto di complementarità con la sfera della decisione pubblica: l’a. partecipa ai processi di comunicazione e di contrattazione tra centro politico e nodi periferici del sistema, e dunque rappresenta una forma molto articolata di decentramento del potere. La sua organizzazione interna democratica costituisce un ulteriore fattore di formazione alla democrazia, di sensibilizzazione alle esigenze collettive, di comprensione dei processi socio-politici e di partecipazione al loro controllo.

6. Alcune tendenze che caratterizzano molti altri ambiti della società contemporanea possono riguardare lo stesso a. Soprattutto se un’associazione giunge ad essere ampia e complessa, tenderà a porre un’attenzione molto accentuata verso il proprio apparato organizzativo, a scapito dei singoli partecipanti e delle finalità ufficiali dichiarate. Per la necessità di gestione e controllo di un’organizzazione così articolata e per prevenire forme di dissociazione (Gallino, 1979), diventerà preoccupazione prioritaria, funzione prevalente, anche se latente, la giustificazione del gruppo dirigente e delle sue scelte. Si accentueranno di conseguenza i meccanismi di cooptazione nella distribuzione del potere e l’adesione alle procedure formalizzate diventerà la fonte principale di legittimazione. Una tendenza generalizzata in tal senso assimilerebbe l’a. alla «legge bronzea dell’oligarchia» già individuata da Michels (1911) nel potere politico e nelle tendenze alla «burocratizzazione».

7. Per il suo proliferare e per la possibilità di partecipare alla contrattazione fra «centro politico» e «periferia» (v. 5), vi è il rischio che parte dell’a. si trasformi in un insieme «neo-corporativo» di gruppi di pressione sullo Stato. La necessità, per il sistema politico, di ricomporre domande particolaristiche, diverse e talvolta contrastanti, indurrebbe i partiti a ricondurre l’a. entro la loro sfera di influenza, a condizionarlo attraverso forme di​​ neo-collateralismo.​​ In tal modo l’a. vedrebbe attenuarsi il proprio ruolo di espressione autonoma e diretta della società civile.

Bibliografia

Tocqueville A. de,​​ De la démocratie en Amérique,​​ Paris, Gosselin, 1835;​​ Simmel G.,​​ Soziologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung,​​ München, Dunker & Humblot, 1908; Cooley C,​​ Social organization,​​ New York, Scribner’s, 1909; Michels R.,​​ Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie,​​ Leipzig, W. Klinkhardt, 1911; Weber M.,​​ Wirtschaft und Gesellschaft,​​ Tübingen, Mohr, 1922; Rose A. M.,​​ Theory and method in the social sciences,​​ Minneapolis, University of Minnesota Press, 1954; Gordon C. W. - N. Babchuk,​​ A typology of voluntary associations,​​ in «American Sociological Review» 24 (1959) 1; Sills D. L., «Voluntary associations: sociological aspects», in​​ International encyclopedia of the social sciences, XVI,​​ London, McMillan, 1968, 363-379; Gallino L.,​​ Dizionario di sociologia,​​ Torino, UTET, 1978; Id.,​​ Effetti dissociativi dei processi associativi in una società altamente differenziata,​​ in «Quaderni di Sociologia» 28 (1979) 1; Dal Toso P.,​​ Lineamenti di storia dell’a., Roma, Aracne, 2005.

P. Montesperelli




ATTEGGIAMENTO

 

ATTEGGIAMENTO

È difficile trovare in letteratura una definizione univoca di questo concetto. Una classica è quella di​​ ​​ Allport (1935, 8) che lo intende come «uno stato mentale o neurologico di prontezza, organizzata attraverso l’esperienza, che esercita un’influenza direttiva o dinamica sulla risposta dell’individuo nei confronti di tutti gli oggetti e situazioni con cui entra in relazione». Questa definizione risulta molto ampia ed implica diversi aspetti che meriterebbero ulteriori specificazioni; in essa, comunque, appare chiaro che l’a. è un costrutto ipotetico, non osservabile direttamente, ma da dedurre dal​​ ​​ comportamento manifesto di una persona.

1. Oggi per lo più ci si riferisce al costrutto di a. per indicare una predisposizione appresa a rispondere prontamente in un modo generalmente favorevole o sfavorevole ad un oggetto, persona, istituzione, simbolo o evento. Esso include tre componenti: una componente cognitiva (le​​ ​​ credenze) che riguarda la percezione, la descrizione personale dell’oggetto dell’a., indipendentemente dal fatto che essa sia vera o falsa, e che si basa sia sull’evidenza oggettiva che sulle opinioni personali; una componente affettiva, riguardante i sentimenti di piacere, o dispiacere, e le valutazioni favorevoli, o meno, nei confronti dell’oggetto; e una componente comportamentale, cioè la disposizione, la tendenza ad agire in un certo modo verso l’oggetto in questione. Vanno comunque considerate posizioni diverse. L’approccio comportamentista considera l’a. fondamentalmente come una disposizione a valutare positivamente, o meno, un oggetto, disposizione che si forma grazie a ripetute e sistematiche associazioni tra oggetto ed eventi positivi o negativi; in questo approccio, infatti, la formazione degli a. viene spiegata in base ai principi dell’apprendimento (condizionamento classico, rinforzo, osservazione). L’approccio funzionalista lega l’origine dell’a. ai​​ ​​ bisogni o alle funzioni a cui esso serve. Ad es., vengono riconosciute all’a. una funzione strumentale (aiuta ad ottenere ricompense o evitare punizioni nel mondo sociale), una conoscitiva (serve come struttura per gestire e acquisire conoscenze, organizzando e semplificando il notevole flusso informativo con cui ci si confronta), una difensiva (protegge e accresce l’immagine di sé). Dal momento che gli a. sono funzionali a soddisfare alcuni bisogni fondamentali, la loro componente valutativa è connessa a tali motivi, e cioè emerge un a. positivo verso un oggetto se i motivi di fondo sono soddisfatti rispondendo favorevolmente ad esso, e viceversa se la soddisfazione scaturisce da una risposta negativa. Un terzo approccio, socio-cognitivo, si è infine affermato negli ultimi decenni, in linea con l’attuale tendenza generale in psicologia a spiegare la condotta secondo una prospettiva cognitivista o dell’information processing;​​ secondo questo approccio, infatti, l’a. viene principalmente concettualizzato in termini di cognizioni, schemi, in quanto esso si fonda sulle credenze personali riferite ad un oggetto. Ogni credenza collega un oggetto a degli attributi positivi o negativi, e la disposizione valutativa dell’a. è la risultante di tutte le credenze riferite ad un oggetto; inoltre, in quanto schema, l’a. influenza l’elaborazione delle informazioni sociali sia a livello di ricerca attiva e di codifica (percezione, giudizi) di informazioni collegate all’a., che di recupero di esse dalla memoria. Le credenze e, quindi, gli a. relativi al mondo sociale derivano dall’esperienza diretta con un oggetto, dalle informazioni acquisite nel processo di​​ →​​ socializzazione tramite famiglia, gruppi di riferimento, mezzi di​​ ​​ comunicazione di massa, e dalle inferenze elaborate sulla base di informazioni già possedute; insieme a tutto ciò, si deve tenere conto delle variabili personali che intervengono a modulare la percezione dei messaggi sociali ricevuti.

2. Oltre a spiegare la formazione degli a., gli psicologi sociali ne hanno studiato le conseguenze, soprattutto per verificare l’influenza da loro esercitata sul comportamento sociale. Fino agli anni ’60 si dava per scontato che tale costrutto potesse spiegare e predire la condotta sociale, ma da una serie di studi è emersa una scarsa correlazione tra a. espressi verbalmente e successivo comportamento manifestato. Gli studiosi hanno dunque dovuto riconsiderare il rapporto tra a. e comportamento, concludendo che da un lato, l’espressione verbale di un a. va posta in relazione, più che con una singola condotta, con un insieme di misure di comportamenti attuati nei confronti della classe di oggetti dell’a., e dall’altro, che per predire una singola condotta a partire dall’a. è necessario chiedere alla persona di esprimere il suo a. in merito alla condotta specifica in questione (ad es.: donare il sangue), e non rispetto ad un ambito generale (ad es.: solidarietà). D’altra parte, bisogna tener presente che nell’attuazione di una condotta intervengono anche tanti fattori situazionali e personali. In questa linea Fishbein e Ajzen (1975) hanno proposto la teoria dell’azione ragionata, secondo cui un’azione è determinata dalle intenzioni comportamentali del soggetto; a loro volta le intenzioni dipendono dall’a. verso quella specifica condotta (composto dalle credenze sulle conseguenze di quel comportamento e dalla valutazione personale di queste), dalle credenze normative personali e sociali, e dalla motivazione a conformarsi a tali norme. Seguendo tale prospettiva interattiva e facendo riferimento allo specifico a. comportamentale, è possibile rendere più accurata, come è stato confermato da ricerche successive, la previsione di una condotta.

3. Essendo un costrutto ipotetico, non osservabile, l’a. viene inferito misurando le risposte cognitive, affettive e conative ad esso connesse. Di solito, per misurare un a., si usano metodi diretti nei quali i soggetti sono interrogati direttamente in merito ad un oggetto; tra questi metodi, oltre ad usare singole domande in cui le persone sono invitate ad esprimere la loro posizione (d’accordo, non d’accordo, incerto) circa affermazioni positive o negative su un oggetto, molto spesso si usano scale di misurazione come la scala Likert (una serie di affermazioni rispetto alle quali va indicato il grado di accordo, o meno, su una scala di 5 o 7 punti), e il differenziale semantico, in cui si invita a valutare l’oggetto dell’a. rispetto ad una serie di aggettivi bipolari (es.: buono - cattivo), in cui il centro del continuum esprime l’eventuale neutralità. Sono stati elaborati anche dei metodi indiretti (ad es.: test proiettivi, rilevazione parametri fisiologici), soprattutto quando gli a. toccano questioni delicate e si prevede un’alta probabilità di contraffazione delle risposte alle domande dirette; tali metodi, tuttavia, possono a volte implicare problemi etici e spesso si rivelano poco affidabili. Data la rilevanza degli a. in molti ambiti della vita sociale, molti studiosi si sono interessati, anche al fine di migliorare la convivenza civile, a come essi possano essere cambiati. In proposito ci sono molti modelli, tra cui ad es., il modello della comunicazione persuasiva (McGuire, 1985) che spiega l’effetto persuasivo di un messaggio sulla base di 5 processi: attenzione, comprensione, accettazione, ritenzione, azione.​​ Sempre in ambito cognitivista ci sono le teorie dell’equilibrio (Heider, 1946) e della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957), basate sull’assunto che si ha il bisogno di mantenere la coerenza tra gli elementi della propria struttura cognitiva; tale bisogno spiegherebbe sia la stabilità che il cambiamento di un a.: mentre da una parte si tende a selezionare le informazioni a seconda se sono congruenti o meno con il proprio quadro di riferimento, dall’altra, qualora si venisse a creare un’incongruenza a seguito di nuove esperienze o dati, mutare a. sarebbe uno dei modi per ristabilire lo stato di equilibrio. In sintesi, i diversi modelli ipotizzano due percorsi di elaborazione delle informazioni quando si cambia a.: uno centrale, sistematico, in cui ci si sofferma a riflettere sui dati a disposizione, e uno periferico, con meno attenzione, basato su euristiche quali ad es. fidarsi di chi parla se lo si ritiene esperto o simpatico (Petty-Cacioppo, 1981; Eagly-Chaiken, 1993). Alcuni considerano tali percorsi come aspetti in un unico percorso, con processi più o meno elaborati a seconda della motivazione, dello stato emotivo, e delle abilità cognitive delle persone (Cavazza, 2005).

4. Va accennato, infine, che gli a. sono stati studiati anche in ambito educativo. In proposito si è particolarmente evidenziata l’importanza degli a. relazionali degli​​ ​​ educatori al fine di promuovere un efficace​​ ​​ rapporto educativo (Franta, 1995): il comportamento relazionale degli educatori, tenendo conto dei loro a. di fondo nei confronti dell’educazione e delle persone in divenire con le quali si relazionano, è stato analizzato in base all’a. emozionale e socio-operativo. Il primo riguarda la creazione di un positivo contatto affettivo con gli educandi volto a valorizzarli, rapporto che risulta fondamentale sia alla loro crescita che alla costruzione di un’adeguata piattaforma educativa; il secondo riguarda la realizzazione del ruolo di guida e di controllo da parte dell’educatore, della sua funzione regolativa e orientativa al fine di favorire l’autosupporto negli educandi. Tale funzione può essere svolta secondo uno stile autoritario, lassista, o autorevole, e quest’ultimo, dagli studi in proposito, risulterebbe essere il più costruttivo per l’​​ ​​ educando.

Bibliografia

Allport G. W., «Attitudes», in C. M. Murchison (Ed.),​​ A handbook of social psychology,​​ Worchester, Clark University Press, 1935, 798-844; Heider F.,​​ Attitudes and cognitive organization,​​ in «Journal of Psychology» 21 (1946) 107-112; Fishbein M. -​​ I.​​ Ajzen,​​ Belief attitude,​​ intention,​​ and behavior: an introduction to theory and research,​​ Reading (Mass.), Addison-Wesley, 1975; Petty R. E. - J. T. Cacioppo,​​ Attitudes and persuasion: classic and contemporary approaches, Dubuque (Ia.), Brown Company Publishers, 1981; McGuire W. J., «Attitudes and attitude change», in G. Lindzey - E. Aronson (Edd.),​​ The handbook of social psychology,​​ vol. II, New York, Random House,​​ 31985, 233-346; Eagly A. H. - S. Chaiken,​​ The psychology of attitudes, Orlando (Fl.), HBJ College Publishers, 1993; Franta H.,​​ A. dell’educatore.​​ Teoria e training per la prassi educativa,​​ Roma, LAS, 1995; Stroebe W. - M. S. Stroebe,​​ Psicologia sociale e salute, Milano, McGraw-Hill Libri Italia s.r.l., 1997; Cavazza N.,​​ Psicologia degli a. e delle opinioni, Ibid., 2005.

C. Messana




ATTENZIONE

 

ATTENZIONE

L’a. è generalmente definita come la capacità della mente di concentrarsi o di focalizzarsi su alcuni elementi dell’ambiente. La sua importanza nella vita di ogni giorno è sotto gli occhi di tutti. Essa infatti controlla l’attività elaborativa della mente selezionando il flusso delle informazioni in base alle capacità dell’individuo e regolando la distribuzione delle risorse fra compiti competitivi. Sebbene spesso si parli dell’a. come di un processo unitario e specifico, in realtà sembra che ciò che viene indicato con questo termine corrisponda a un modo generico di categorizzare processi e comportamenti diversi.

1.​​ Processi attentivi.​​ Con lo sviluppo della psicologia cognitivista l’a. è tornata di attualità. Questo approccio ha promosso un ricco filone di ricerche formulando vari modelli interpretativi, sviluppando nuovi settori di indagine (neurologico e psicologico) e delineando una ricca tipologia di processi attenzionali (selettivo, automatico o inconscio e controllato). Sebbene gli studi siano ancora agli inizi, non mancano dati sulle basi nervose dei processi attentivi. Sembra che i lobi parietali del cervello siano coinvolti nell’a. sensoriale e che l’ippocampo abbia un ruolo nell’a. a breve termine. Nel 1958 Broadbent, attraverso esperimenti che analizzavano l’ascolto dicotico (stimoli diversi inviati ai due orecchi) sostenne la presenza di un «filtro» sensoriale che selezionava l’accesso dell’informazione ai livelli di elaborazione superiori. Treisman (1960) sostenne che, più che di un «filtro», si dovesse parlare di un processo di «attenuazione» dello stimolo, perché negli esperimenti da lui condotti i soggetti che ricevevano il doppio messaggio erano in grado di seguire ambedue se uno di essi era significativo rispetto all’altro. Deutsch e Deutsch (1963) e successivamente Norman (1972) introdussero ulteriori modificazioni ipotizzando che la selezione fosse determinata dalla «pertinenza» dello stimolo. Johnston e Heinz (1978) sostennero un modello di a. selettiva flessibile basato appunto sulla disponibilità delle risorse: la selezione degli elementi dello stimolo comincia dall’inizio, ma la quantità delle risorse aumenta a mano a mano che ci si avvicina alla risposta da dare. Kahneman (1973) spostò l’enfasi della ricerca sul problema delle risorse avanzando l’idea che il processo di selezione analizzato dai precedenti ricercatori era da reinterpretare in termini di quantità di risorse disponibili per svolgere i compiti assegnati.

2.​​ Processi automatici e processi sotto controllo.​​ Un nuovo orientamento alla ricerca sull’a. avvenne ad opera di Schneider e Shiffrin (1977) (processi automatici e sotto controllo) e di Posner e Snyder (processi inconsci). I processi automatici procedono in parallelo, non sono intenzionali, né consci, né subiscono interferenze, né richiedono grande quantità di risorse. Al contrario i processi sotto controllo sono intenzionali, sono diretti ad uno scopo e richiedono molte più risorse dei primi. In genere i processi automatici si applicano a compiti familiari e semplici, quelli controllati a compiti complessi e inusitati. Automaticità e controllo sono due dimensioni che permettono di spiegare anche le esperienze di a. divisa. Nel caso di processi simultanei, i compiti complessi non automatizzati, richiedendo maggiori risorse, diversamente da quelli semplici e automatici, impongono una divisione delle risorse stesse. Le precedenti ricerche e interpretazioni spiegano i fenomeni della a. selettiva o dell’a. automatica e sotto controllo, ma non spiegano ancora altri fenomeni attentivi. Ad es., come interpretare il comportamento dell’a. su qualche cosa che è noiosa? Le ricerche su questo problema sono state numerose anche per la particolare connessione che esso ha con l’attività di lavoro. Molti fattori sembrano intervenire per spiegare le variazioni dei livelli di a. L’a. vigilante o il sostegno dell’a. necessaria ad una prestazione prolungata nel tempo sembrano progressivamente allentarsi a seconda del tipo di stimolo, della periodicità con cui vengono conosciuti i risultati della propria attività, del contesto esterno, dell’assunzione di sostanze stimolanti (anfetamine) e del tipo di personalità introversa o estroversa.

3.​​ A. e apprendimento.​​ L’interesse per l’argomento è comprensibile perché le conoscenze sull’a. possono fornire indicazioni preziose alla scuola sia per migliorare il livello di prestazione degli studenti che per attenuare le conseguenze dei limiti attentivi di alcune categorie, come gli iperattivi o i ritardati mentali. A questo riguardo si sono studiati gli effetti dell’aiuto nell’identificazione delle informazioni più importanti, delle tecniche di evidenziazioni attraverso figure e immagini, della frammentazione della monotonia dello stimolo, dell’automatizzazione dei processi secondari per aumentare la quantità delle risorse disponibili, dell’uso frequente di domande, del pensare ad alta voce e del verbalizzare ciò che viene svolto, dell’uso di ricompense e dell’immediato​​ feedback, dell’esercizio costante e continuo su un compito per automatizzare le prestazioni. L’effetto positivo del mantenimento dell’a. sul compito dato dal variare degli stimoli, dal contesto mutevole e dalla frequenza di​​ feedback​​ ha suggerito la possibilità di strategie educative di sequenzializzazione di operazioni come il «fermati-osserva-ascolta», «fermati-ricorda-rifletti-decidi», ecc.

Bibliografia

Broadbent D. E.,​​ Perception and communication,​​ Oxford, Pergamon Press, 1958; Treisman A. M.,​​ Contextual cues in dichotic listening,​​ in «Quarterly Journal of Experimental Psychology» 12 (1960) 242-248; Deutsch J. A. - D. Deutsch,​​ Attention: some theoretical considerations,​​ in «Psychological Review» 70 (1963) 80-90; Norman D. A.,​​ Memory and attention: an introduction to human,​​ New York, Wiley,​​ 21972; Kahneman D.,​​ Attention and effort,​​ Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1973; Schneider W. - R. M. Shiffrin,​​ Controlled and automatic information processing​​ I:​​ Detection search and attention,​​ in «Psychological Review» 84 (1977) 1-66; Johnston W. A. - S. P. Heinz,​​ Flexibility and capacity demands of attention task,​​ in «Journal of Experimental Psychology General» 107 (1978) 420-435; Cohen R. A.,​​ The neuropsychology of attention,​​ New York, Plenum, 1993.

M. Comoglio




ATTESE

 

ATTESE

Se per «ruolo» si intende quella serie di funzioni o compiti che la società «si attende» che la persona svolga all’interno delle strutture, contemporaneamente emerge anche il concetto di​​ a. sociali,​​ che è fondamentale nello studio delle interazioni sociali (la teoria dell’​​ ​​ interazionismo simbolico). La persona infatti, nel corso della sua vita sociale quotidiana, agisce anche in rapporto alle a. che gli​​ altri,​​ specialmente se​​ significativi,​​ hanno nei suoi confronti. Quando però le a. rimangono inadempiute diventano la causa di conflitti interpersonali o almeno di delusioni e frustrazioni.

1. In tale contesto soprattutto se​​ didattico,​​ il concetto di a. coinvolge diverse dimensioni, che influiscono notevolmente sul rapporto educatore-educando e insegnante-alunno. Le a. condizionano infatti diversi tipi di comportamento: le​​ a. positive​​ degli insegnanti nei confronti della riuscita dello​​ ​​ studente sono uno stimolo al successo scolastico («effetto​​ ​​ Pigmalione»), come le​​ a. negative​​ pongono condizioni che contribuiscono all’insuccesso. In questo secondo caso però le correlazioni tra i fattori sono meno elevate. Infatti le a. negative provocano da parte dell’alunno una serie di meccanismi di difesa per cui egli non perde necessariamente il concetto di sé, anzi sviluppa atteggiamenti di avversione verso l’autore delle a. D’altra parte le a. positive per essere efficaci devono essere minimamente fondate sulla realtà e non eccessivamente elevate (la legge della «giusta distanza» rispetto ai fini), per evitare fenomeni di scoraggiamento o di rifiuto dei tentativi di approccio. Vi sono inoltre a. degli studenti nei confronti della propria carriera scolastica e / o professionale.

2. Quando queste a. sono alte diventano un incentivo favorevole all’impegno per un miglior rendimento. Esse sono correlate con i concetti di «aspirazioni», di «ambizione» e di «motivazione», pur senza confondervisi. Le a. hanno infatti una triplice componente: cognitivo-intellettiva, affettivo-emotiva e conativo-intenzionale. Ciascuna contribuisce ad influenzare i rispettivi comportamenti, così che un intervento su qualcuna di esse può modificare le successive condotte. L’effetto verificato però è maggiore sulla relazione interpersonale che non sul successo intellettuale e sui risultati oggettivi. Non va sottaciuto il fatto che la qualità stessa delle esperienze passate circa le proprie relazioni interpersonali conduce alla formazione di a., che a loro volta condizionano la successiva interazione. Nel processo educativo infine è ormai un dato verificato che sul comportamento dell’adulto incidono reazioni dello stesso adolescente. Rimane tuttavia ancora aperta la questione circa l’individuazione dei vari settori maggiormente influenzabili e delle condizioni più predisponenti a tale reciprocità.

Bibliografia

Cicourel A.​​ V.​​ - K. Knorr Cetina,​​ Advances in social theory and methodology,​​ London,​​ Routledge and P. Kegan, 1981; Woods P.,​​ Sociology and the school. An interactionist view-point, Ibid., 1983; Rosenthal R. - L. Jacobson,​​ Pigmalione in classe.​​ L’immagine che chi insegna si fa di chi apprende sotto la sua guida, Milano, Angeli, 1992; Fele G. - I. Paoletti,​​ L’interazione in classe, Bologna, Il Mulino, 2003; Palmonari A. et al.,​​ Psicologia sociale, Ibid., 2002.

R. Mion




AUDIOVISIVO

 

AUDIOVISIVO

Il termine a. è relativamente nuovo ed ha un significato molto ampio e fluido.

1.​​ Precisazioni.​​ Pur essendo alquanto discutibile da un punto di vista semantico, con tale termine si abbraccia un complesso di situazioni e di tecniche nuove che si riferiscono al suono, all’immagine fissa e in movimento vista in modo integrato o separato. Esso proviene dall’ambiente pedagogico americano degli anni 1930 / 40 e si è diffuso rapidamente nell’immediato dopoguerra in Europa e in diversi altri Paesi. Nella lingua francese esso appare per la prima volta nelle Raccomandazioni della X Conferenza Internazionale dell’Educazione del 1947 ed entra nel lessico scolastico nel 1959. Nel mondo scolastico italiano appare ufficialmente nel 1956 e all’incirca negli stessi anni in diversi altri Paesi europei. Per a. potremmo intendere «l’insieme di procedimenti elettrici ed elettronici di riproduzione e di diffusione delle immagini e del suono utilizzati nella comunicazione di massa per una ricezione collettiva o individuale organizzata» (Dieuzeide, 1976, 11). Oggi il termine indica sia apparecchiature (​​ hardware)​​ destinate a produrre o a trasmettere messaggi visivi e sonori, sia tutto ciò che viene utilizzato come supporto per riprodurre tali messaggi,​​ ​​ software,​​ per visualizzare cioè immagini e trasmettere suoni. Esso viene usato in contesti ed ambienti assai diversi. Lo possiamo trovare nel settore produttivo, in quello formativo, nel settore dell’assistenza e del tempo libero e perfino in quello politico. L’a. nei processi formativi ha un ruolo che può variare in base alla sensibilità delle persone e all’uso che ne viene fatto, ma che fondamentalmente riguarda aspetti di supporto e di integrazione all’azione formativa in generale. Esso può potenziare notevolmente la capacità di espressione e di​​ ​​ comunicazione: sia per​​ estendere i messaggi​​ tradizionali, perfezionarli, renderli più intuitivi e facilmente ripetibili soprattutto per chi ha scarse capacità di astrazione; sia per dare un​​ contributo innovativo​​ all’intervento, coinvolgendo le persone in modo più diretto.

2. Utilizzazione.​​ Gli a. sono apparecchiature che trattano immagini e suoni utilizzando il linguaggio orale e iconico. È chiaro dunque che per avere una resa ottimale quando si usano in modo sistematico, è necessario essere attenti ad una serie di problemi relativi alle modalità di comunicazione in generale, oltre che a quelle specifiche del linguaggio usato dell’a. considerato. In chi intende usarli si rende necessario acquisire una conoscenza delle possibilità comunicative di tali linguaggi, almeno negli aspetti fondamentali ed una capacità di utilizzarli concretamente in modo efficace. Normalmente un a. si presta bene per:​​ trasmettere dei contenuti​​ completando, ad es., un messaggio con immagini o commenti semplificati e legati in modo strumentale al particolare concetto da evidenziare;​​ stimolare una discussione / creare interesse​​ in modo da avviare un discorso che verrà poi approfondito con altri mezzi ed in altri momenti;​​ dimostrare abilità da acquisire o atteggiamenti da modificare​​ evidenziando situazioni legate all’oggetto o alla realtà che si vuole far vedere;​​ approfondire particolari​​ di discorsi, di situazioni o oggetti, enfatizzando, in questo caso, gli aspetti che si vogliono studiare per facilitarne la comprensione;​​ documentare la realtà​​ a scopo anche solo informativo. L’a. normalmente facilita molto la trasmissione di conoscenze e l’acquisizione di atteggiamenti desiderati, difficilmente però riesce ad esaurire una tematica complessa. Per completare l’informazione o anche solo per meglio interiorizzarla, si rende necessario aggiungere un apporto successivo attraverso un lavoro di ricerca personale e di gruppo, con interventi di esperti o semplicemente approfondimenti con letture personali. Normalmente l’a. contribuisce a problematizzare, presentare una parte o alcuni aspetti di un tema che verrà successivamente puntualizzato e completato per una sua comprensione completa. Solo con tematiche relativamente semplici e con​​ software​​ ben strutturati si riesce ad essere esaustivi attraverso l’a. Nell’apprendimento il momento di interiorizzazione di conoscenze ed abilità ha forme e ritmi molto personalizzati che difficilmente possono essere gestiti completamente e autonomamente da un a.

3.​​ Prospetto.​​ Oggi gli a. sono presenti in diversi ambienti e sono in continua evoluzione. Un elenco preciso è difficile da fare e rischierebbe di essere incompleto. Inoltre molto dipende da cosa si vuole sottolineare:​​ aspetti storici​​ in cui si evidenziano salti qualitativi o generazionali;​​ aspetti di ordine percettivo o intellettivo; aspetti legati all’integrabilità dei processi formativi;​​ o infine​​ aspetti pratici o di convenienza​​ didattica o commerciale. Il mercato oggi ne propone una certa varietà. Alcuni tipi si presentano principalmente come​​ apparecchiature per un solo uso:​​ lavagna luminosa, proiettore per diapositive e​​ filmstrips, proiettore per​​ microfiches, episcopio, registratore, radio, giradischi (sostituiti sempre più da​​ compact disc),​​ proiettore per film (super 8 oppure 16 / 32 mm), televisione (sia a circuito chiuso via cavo, sia via etere). Altri invece si presentano più come​​ sistemi integrati​​ con nomi legati alle funzioni o alle ditte costruttrici:​​ diatape​​ (registratore + proiettore diapositive), epidiascopio (episcopio + proiettore diapositive),​​ diagraf​​ (lavagna luminosa proiettore per diapositive),​​ multivision​​ (insieme di più proiettori opportunamente sincronizzati),​​ videotop​​ (super 8 con possibilità di variare velocità delle sequenze). Tra gli a. oggi si potrebbe annoverare anche il​​ personal computer,​​ nel senso che può gestire ed integrare suoni e immagini in funzione di una migliore comunicazione. Esso ha però caratteristiche e peculiarità che vanno oltre l’ambito di un a., essendo una apparecchiatura della nuova generazione più potente e versatile. In quest’ottica è quindi riduttivo vederlo come un semplice a.

Bibliografia

Dieuzeide H.,​​ Le tecniche audiovisive nell’insegnamento, Roma, Armando, 1976; Rivoltella P. C. (Ed.),​​ L’a. e la formazione: metodi per l’analisi,​​ Padova, CEDAM, 1998; Parmeggiani P.,​​ Dall’a. al multimediale: documentare per la didattica e la ricerca,​​ Verona,​​ Forum, 2000; Chiocci F. et al.,​​ La grana dell’audio: la dimensione sonora della televisione,​​ Roma, RAI / ERI, 2002.

N. Zanni




AUROBINDO Ghose Sri

 

AUROBINDO Ghose Sri

n. a Calcutta nel 1872 - m. a Pondicherry nel 1950, filosofo, maestro spirituale, politico, educatore indiano.

1. A. compì i suoi studi in Inghilterra e assimilò, oltre alla letteratura ingl., quella gr. e lat.; conosceva gr., lat., fr. e ted. Tornato in India nel 1893 iniziò una intensa attività politica e sociale, contemporaneamente studiò sanscrito e i classici dell’​​ ​​ induismo e del buddhismo, oltre alla sua lingua materna, il bengali. Dal 1903 al 1905 partecipò attivamente al movimento politico​​ swadeshi​​ (nazionale). Pubblicò il giornale rivoluzionario «Bande Mataram» importante per la dottrina della​​ resistenza passiva.​​ Nel 1908 sotto la guida dello Yogi Vishnu Bhasker Lele diventò un​​ yogi,​​ uomo di grande cultura occidentale e orientale. Nell’anno 1914 incontrò Mirra Alfassa – una parigina – che poi diventerà la​​ Mère​​ dell’ashram,​​ fondato da A. Nel 1940 creò una scuola per i bambini; nel 1952 fu fondato L’International Educational Centre S. A.​​ e nel 1968 sorse la città di​​ Auroville​​ presso Pondicherry.

2. A. fondò la sua teoria dell’educazione su​​ purna yoga​​ o​​ ​​ yoga integrale. Il termine​​ yoga​​ significa unire, e per le scuole teiste dell’induismo, vuol dire unione dell’anima con lo Spirito Assoluto.​​ Yoga​​ indica anche i mezzi o vie della liberazione dell’anima. A. propone il​​ purna yoga​​ come mezzo per sviluppare e trasformare tutto l’uomo, non solo l’aspetto puramente spirituale. Il​​ purna yoga​​ è una teoria che si fonda su una sintesi psico-filosofica orientale e occidentale. Secondo la sua concezione filosofica, tutto il mondo è in evoluzione e l’evoluzione dell’uomo tende verso una​​ supermente​​ con una​​ super coscienza.​​ Il divino (Purusha)​​ scende a trasformare lo spirito e il corpo umano (prakriti).​​ Lo scopo dell’educazione è la realizzazione dello spirito della supercoscienza. Secondo A., l’educazione è costituita da cinque aspetti, corrispondenti alle cinque attività principali dell’uomo: fisica, vitale, mentale, psichica e spirituale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Opere fondamentali tradotte in it.:​​ La Sintesi dello Yoga,​​ Roma, Ubaldini, 1967-1969;​​ La Vita Divina,​​ Imola, Galeati, 1973;​​ Guida allo Yoga,​​ Roma, Edizioni Mediterranee, 1975. b)​​ Studi:​​ Sapio M., «A.S.A.G.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. I, Brescia, La Scuola, 1989, 1245-1250; Chistolini S.,​​ Tagore,​​ A.,​​ Krishnamurti. Unità dell’uomo e universalità dell’educazione,​​ Roma, La Goliardica, 1990.

S. Thuruthiyil




AUTISMO INFANTILE

 

AUTISMO INFANTILE

Patologia psichica che comporta la predominanza relativa o assoluta della realtà intrapsichica con il conseguente distacco più o meno grave dal mondo esterno.

1. Il termine a., dal gr.​​ autós​​ (se stesso), è stato introdotto da E. Bleuler (1911) per sottolineare che nello schizofrenico il mondo interno prevale nettamente su quello esterno, per cui si verifica una massiccia chiusura nei confronti della realtà. L. Kanner (1943), studiando un gruppo di bambini affetti da a., ha ripreso il termine dandogli però una connotazione diversa e cioè intendendolo non tanto come espressione di un ritiro attivo dalla realtà, quanto invece di un’incapacità di sviluppare delle relazioni con l’esterno. In altri termini, mentre lo schizofrenico si ritira dal mondo, il bambino autistico non vi è mai entrato. Nel 1946 Kanner introduce il termine​​ a. i. precoce,​​ che sarà poi universalmente adottato.

2. L’a.i. precoce​​ detto anche​​ primario​​ tende ad evidenziarsi nei primi diciotto mesi di vita, con una proporzione oscillante dai 2 ai 4 casi ogni 10.000 nati e con una netta frequenza di 3-4 volte superiore nei maschi rispetto alle femmine. Oltre a questo primo tipo, è stato individuato un​​ a.i. secondario a regressione.​​ Esso è più raro, compare entro i primi trenta-trentasei mesi, dopo un periodo iniziale di sviluppo apparentemente normale e a seguito di eventi che comportano un allentamento dell’investimento materno.

3. I​​ sintomi​​ più significativi sono: isolamento estremo, bisogno d’immutabilità, stereotipie, identificazione adesiva, disturbo del linguaggio, uso autistico degli oggetti. Non sono chiare le​​ cause​​ che stanno all’origine dell’a. Alcuni insistono sui fattori organici (genetici, biochimici, neurologici). D’altra parte è però possibile riscontrare una patologia autistica anche in bambini che, almeno con gli strumenti di ricerca finora disponibili, non evidenziano alcun danno organico. Allo stato attuale emergono due orientamenti: uno che tende a sottolineare la prevalenza della base organica ed un altro che invece individua le cause in fattori prevalentemente psicodinamici.

4. Stante la​​ varietà​​ dei modelli interpretativi dell’a.i., le proposte terapeutiche sono estremamente varie. Appare sconsigliabile una terapia prevalentemente farmacologica. Inoltre è ormai superato il ricorso all’inserimento del bambino autistico in una istituzione globale, come suggeriva a suo tempo​​ ​​ Bettelheim. Attualmente, s’insiste per una cura che passa attraverso l’ospedale diurno. Gli autori ad orientamento psicodinamico (M. Mahler,​​ ​​ Winnicott, F. Tustin, W. R. Bion, D. Meltzer), proprio perché indicano la causa dell’a. nel fatto che il bambino all’origine non ha sperimentato il contenimento delle proprie angosce primarie da parte della madre, insistono sul concetto di​​ ambiente terapeutico,​​ inteso non come luogo fisico, ma come contenitore psichico fatto d’interventi psicoterapeutici, educativi, scolastici e ricreativi e di azione di sostegno ai genitori.

Bibliografia

Tustin F.,​​ A. e psicosi infantile,​​ Roma, Armando, 1975; Bettelheim B.,​​ La fortezza vuota,​​ Milano, Garzanti, 1976; Meltzer D.,​​ Esplorazioni sull’a.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1977; Tustin F.,​​ Stati autistici nei bambini,​​ Roma, Armando, 1983;​​ Mazet Ph. - S. Lebovici,​​ Autisme et psychoses de l’enfant,​​ Paris, PUF, 1990; Lelord G. - D. Sauvage,​​ L’autisme de l’enfant,​​ Paris, Masson, 1990;​​ Tustin F.,​​ Protezioni autistiche nei bambini e negli adulti,​​ Milano, Cortina, 1991; Ballerini A.,​​ Patologia di un eremitaggio. Uno studio sull’a. schizofrenico, Torino, Bollati Boringhieri, 2002; Resnik S. et al.,​​ Abitare l’assenza. Scritti sullo spazio-tempo nelle psicosi e nell’a. infantile, Milano, Angeli, 2004;​​ Mistura S. (Ed.),​​ A. L’umanità nascosta, Torino, Einaudi, 2006; Quill K. A.,​​ Comunicazione e reciprocità sociale nell’a., Gardolo, Erickson, 2007; Donaggio a. et al. (Edd.),​​ A. e psicosi infantile, Roma, Borla, 2007.

V. L. Castellazzi




AUTOCONTROLLO

 

AUTOCONTROLLO

L’esigenza di ordine e di misura nell’essere e nell’agire personale è fondamentale in educazione.

1. In tal senso formare il bambino all’a. è una delle principali finalità dell’educazione. Tale finalità in molti casi non viene raggiunta, per cui molti giovani e adulti sono afflitti da gravi problemi. Baumeister, Heatherton e Tice (1994) descrivono alcune forme di questa incapacità di autocontrollarsi: sregolatezza nel comportamento sessuale (maternità indesiderata delle giovani, infedeltà coniugale, malattie veneree e AIDS); sperpero di risorse e di danaro, uso di droghe, abuso di alcolici ed eccesso nell’alimentazione, maltrattamento del coniuge e dei figli, delinquenza e criminalità. Tutto ciò è dovuto alla scarsa acquisizione di a., di autodisciplina e di autoregolazione.

2. L’a. si forma nell’interazione dei fattori genetici con lo stile educativo, il quale si concretizza sostanzialmente in quattro modalità: a) caldo e ragionevole (modelli di a. vengono proposti insieme con forme di sostegno affettivo); b) severo oppure eccessivamente tollerante (senza sostegno affettivo), che porta all’aggressività repressa oppure a quella manifesta; c) instabile (con reazioni imprevedibili del genitore e con difficoltà di comportamento coerente del figlio e quindi con difficoltà di acquisizione di a.); d) con eccessivo controllo (che porta il figlio all’isolamento sociale e alla nevrosi, con rischio di​​ ​​ devianza). Prescindendo dai quattro stili, i genitori e gli educatori possono compromettere la formazione dell’a. dei figli o degli alunni prefiggendo loro degli obiettivi troppo elevati, criticandoli frequentemente, rilevando spesso i loro errori e sostituendosi alle loro scelte e decisioni. Nella formazione dell’a. risulta fondamentale la capacità del bambino di dilazionare la soddisfazione dei suoi​​ ​​ bisogni. È stato constatato che tale capacità, rilevata all’età di 4-5 anni, è correlata con la capacità di autoregolazione nell’adolescenza; tali bambini inoltre risultano collaborativi da adolescenti, al contrario dei bambini privi di questa capacità, che risultano inquieti e aggressivi. L’a. è una delle componenti fondamentali nei progetti di prevenzione del rischio giovanile e contribuisce alla formazione di alcuni importanti costrutti psicosociali come​​ ​​ autoefficacia,​​ ​​ stima di sé e​​ ​​ resilienza.

Bibliografia

Baumeister R. T. - T. F. Heatherton - D. M. Tice,​​ Losing control: How and why people fail at self-regulation,​​ San Diego, Academic Press, 1994.

K. Poláček