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ABACO

ABACO

Antico strumento per l’esecuzione di calcoli elementari, da cui deriva il pallottoliere; usato per l’insegnamento dell’aritmetica nelle scuole.

1. Si ritiene che la parola a. derivi dal fenicio​​ abak​​ o dall’ebraico​​ abaq,​​ e che indichi la sabbia sparsa su una superficie per scrivervi sopra. Conosciuto probabilmente dai babilonesi e dai cinesi, questo strumento per calcolare assunse con il tempo l’aspetto di una intelaiatura con dei numeratori scorrevoli. Impiegato ancora in diversi Paesi come Cina, Giappone e Russia.

2. L’a. fu utilizzato da greci e romani, come testimoniano vari scritti di Persio e di Apuleio e anche in Spagna dagli arabi nelle cui scuole, secondo la tradizione, il monaco Gerberto di Aurillac (945-1003), il futuro papa Silvestro II, ne apprese l’uso, e scrisse una​​ Geometria​​ e due opuscoli:​​ Regula de a. computi​​ e​​ Libellus de numerorum divisione.​​ A partire da quel periodo l’uso dell’a. fu introdotto con successo nelle scuole cattedralizie. Durante il sec. XIX l’a. o pallottoliere continuò ad essere utilizzato nelle scuole per insegnare il calcolo intuitivamente.

3. Al posto della sabbia su una superficie liscia, si utilizzava una struttura di legno con dieci fili paralleli, nei quali erano inserite dieci palline che si potevano spostare da un lato all’altro. Il filo superiore rappresentava le unità, il secondo le decine, e così via. Le cento palline potevano essere utilizzate come unità semplici o come unità di diverso ordine. Per facilitarne l’uso si consigliava di dividere l’a. in due tavole distinte con palline di diverso colore, una per le unità semplici e l’altra per calcoli più complessi.

Bibliografia

Carderera M.,​​ «Ábaco», in​​ Diccionario de educación y métodos de enseñanza,​​ vol. I, Madrid, Hernando, 1858; Boyer C. B.,​​ Storia della matematica,​​ Milano, ISEDI, 1976; Picuti E.,​​ Sul numero e la sua storia,​​ Milano, Feltrinelli, 1979;​​ García Solano R.,​​ Aplicación práctica del ábaco, Madrid, Escuela Española, 1996.

B. Delgado




ABILITÀ

 

ABILITÀ

Le a. fanno parte dell’​​ ​​ intelligenza come componenti ad essa subordinate, distinte tra loro ma correlate, formando il costrutto multidimensionale dell’intelligenza stessa. L’insieme delle a. è sinonimo dell’intelligenza; ad esso viene associato il termine attitudine che rappresenta la potenzialità da sviluppare da parte del soggetto. Sinonimo dell’a. è anche la capacità; nelle a. e nelle capacità vengono distinte le destrezze, composte da contenuti semplici ed eseguite con automatismi. All’a. è associata anche la competenza che consiste in conoscenze specifiche complete e ben organizzate; esse sono il risultato della formazione delle a.

1.​​ Struttura.​​ Le a. sono considerate una struttura gerarchica, formata dal vertice dell’a. generale (o intelligenza generale) e dalla base delle a. specifiche. Tra i due termini si situano le aree delle a. più o meno generali, i cosiddetti fattori di gruppo. Questi sono composti da alcune aree di a. come quella verbale, numerica e spaziale. Le tre aree possono essere suddivise a loro volta in a. più specifiche. La stessa a. generale viene suddivisa in a. cristallizzata e fluida. L’a. cristallizzata è il risultato dell’interazione del soggetto con il suo ambiente formativo, basato sull’apprendimento di vari contenuti in rapporto al patrimonio culturale. In essa predominano i processi cognitivi algoritmici con percorsi prestabiliti. L’a. fluida si forma prevalentemente nel contesto socioculturale libero e in situazioni occasionali; in essa predomina il processo euristico con un percorso imprevedibile. Questa a. si realizza nelle stesse aree dell’a. cristallizzata, ma con processi di maggiore astrazione e concettualizzazione. I due tipi di a. si formano fino all’età adulta allo stesso ritmo; in seguito l’a. fluida incomincia a declinare mentre l’a. cristallizzata continua ad aumentare. L’a. cristallizzata può essere rilevata con varie prove attitudinali, particolarmente con quelle verbali, mentre l’a. fluida può essere diagnosticata con le prove non verbali, basate sulle figure geometriche disposte in un certo ordine da scoprire e poi proseguire. Nelle varie a. di gruppo i due tipi di a. sono presenti in proporzioni differenti; per es. quella di matematica è composta dalle conoscenze cristallizzate, dal ragionamento fluido e dalla rapidità di esecuzione. Le tre aree (verbale, numerica e spaziale) sono pervase da processi mentali e da modalità operative di complessità differente formando in base ad essi tre strati disposti in ordine gerarchico. Il primo, il più semplice, è formato dalle a. cristallizzate, rappresentate da comprensione verbale, conoscenza lessicale, ragionamento sequenziale. Il secondo è formato dagli stessi processi che però sono più complessi; in tale strato è maggiormente presente anche l’a. fluida. Il terzo è formato dalla capacità elaborativa di informazioni, dalla comprensione dei contenuti verbali e simbolici complessi e dal ragionamento su contenuti di elevata astrazione. Le tre aree e i tre strati dipendono in modo differente dai fattori genetici. I processi centrali sono maggiormente guidati dai geni rispetto ai processi situati nella periferia e le a. spaziali lo sono maggiormente delle a. verbali. Il numero delle a. singole varia da un massimo di 180 ad un minimo di 8. Per stabilire il numero delle a. singole vengono usati due criteri: la consistenza interna, la relativa indipendenza di una dall’altra e il rapporto con un criterio (ad es. una realtà sociale importante).

2.​​ Formazione.​​ Le a. di ogni individuo si formano nell’interazione del suo corredo genetico con l’ambiente familiare. Particolarmente importante è l’interazione con la madre in quanto da essa dipende l’acquisizione dei vocaboli, della sintassi e dei modelli linguistici. All’interazione si associa lo stile educativo dei genitori nelle loro attese positive sull’acquisizione delle competenze intellettive. L’ambiente familiare contribuisce anche ad uno sviluppo differenziato delle a.; influsso maggiore viene esercitato sulle a. verbali e numeriche, minore sul ragionamento e minimo sulle a. spaziali. La formazione di queste ultime sembra essere maggiormente dovuta ai fattori genetici. L’ambiente scolastico contribuisce allo sviluppo delle a. cognitive in grado minore. Dai vari studi sul confronto tra bambini che hanno frequentato la scuola d’infanzia e quelli che non l’hanno frequentata sono emerse solo lievi differenze. La scuola dell’obbligo sembra dare un maggiore contributo allo sviluppo delle a. poiché l’istruzione avuta da giovani risulta essere in rapporto effettivo con il quoziente di intelligenza da adulti. In quanto alle Facoltà universitarie risulta che le differenti Facoltà formano a. mentali in modo e grado differente: per es. le Facoltà umanistiche formano piuttosto le a. verbali mentre quelle tecniche formano piuttosto le a. spaziali. Un’altra constatazione fatta recentemente sembra deporre a favore delle istituzioni formative; si tratta della cosiddetta «accelerazione secolare». Confrontando le medie aritmetiche dei test attitudinali di questi ultimi sessanta anni si constata un aumento di 15 punti standard per generazione, il che rappresenta un aumento rilevante nelle a. generali. Le cause di questo aumento non sono chiare anche perché all’aumento nelle a. non corrisponde in modo adeguato l’aumento nel rendimento scolastico. È certo però che nelle giovani generazioni rispetto alle precedenti si nota una maggiore capacità di risolvere problemi.

3.​​ Differenze dovute al sesso.​​ Esiste un’innegabile superiorità delle donne nelle a. verbali mentre gli uomini sono superiori nelle a. numeriche e spaziali. Le cause di questa differente formazione delle a. sono dovute ai fattori biologici, ormonali e soprattutto alle​​ ​​ attese sociali di un differenziato comportamento dei maschi e delle femmine. Le differenze sono rilevanti e influenzano notevolmente le scelte professionali dei giovani concentrando le frequenze in alcuni settori lavorativi: scientifico e tecnico (maschile), sociale e amministrativo (femminile). La concentrazione si nota già nella scuola secondaria di secondo grado ed è molto evidente a livello universitario anche se da alcuni decenni il divario nelle a. dei due sessi sta riducendosi.

4.​​ Rendimento scolastico e accademico.​​ L’a. generale è considerata il predittore singolo migliore dei due tipi di rendimento. Da essa dipende il livello di qualificazione dei soggetti in quanto viene ampiamente constatato che il grado di istruzione della popolazione è in evidente rapporto con le a. generali; da esse dipende la durata degli studi come anche l’entrata e uscita dalle istituzioni formative. Il rapporto tra a. generale e le singole materie è differenziato (più stretto o meno stretto), ma nell’insieme coglie una percentuale rilevante della varianza. L’a. cristallizzata predice meglio il rendimento scolastico (generale e specifico) dell’a. fluida. Le prove verbali, numeriche e spaziali predicono bene il rendimento degli studenti delle Facoltà scientifiche, tecniche ed artistiche.

5.​​ Training e successo professionale.​​ L’a. generale, talvolta articolata nelle tre note aree, è pure un valido predittore del successo in vari corsi che preparano all’esercizio delle attività lavorative. Questo vale anche per i corsi che preparano alle attività notevolmente differenti dal settore prettamente scolastico; per es., il successo del training dei futuri piloti di aerei può essere predetto efficacemente con le prove verbali e numeriche. Le a. generali e specifiche predicono in grado leggermente minore il successo professionale. Il loro contributo alla predizione però è stato recentemente rivalutato con la successiva analisi dei dati del passato. L’a. generale predice anche il successo nelle specifiche attività professionali; per es., il successo di un ingegnere dipende maggiormente dalle sue a. numeriche e spaziali e meno da quelle verbali, mentre il successo di un ragioniere dipende più dall’a. numerica e meno da quella verbale, ecc. Alcuni esperti sostengono che se l’entrata nel mondo del lavoro fosse basata sulle a. delle persone si otterrebbe una maggiore efficienza e sarebbero risparmiate delle somme ingenti (Poláček, Fanelli e Telesca, 1992).

6.​​ Promozione delle a.​​ Per promuovere le a. cognitive dei soggetti in crescita (Poláček, 1994) esistono numerosi programmi finalizzati all’apprendimento scolastico per rimuovere lo svantaggio culturale del soggetto dovuto al suo ambiente familiare. L’effetto di tali programmi in genere è positivo ma minore di quello che gli autori dei programmi promettono. I positivi risultati vengono interpretati tramite assunti teorici a seconda che lo sviluppo delle a. sia maggiormente dovuto ai fattori genetici oppure ambientali (Poláček, 1994). La convinzione prevalente è quella che simili programmi migliorino l’apprendimento scolastico dei soggetti ed abbiano un influsso benefico anche su altre variabili personali (​​ socializzazione), ma che non migliorino le effettive a. cognitive. Carroll (1993), in base alla complessità dei contenuti e dei processi distingue tre strati condizionati dai fattori genetici in grado differente: il primo, rappresentato da processi intellettivi semplici è modificabile con un esercizio adatto; il secondo, essendo più complesso, pone una certa resistenza all’intervento esterno; il terzo infine, data la complessità dei processi dai quali è caratterizzato, è poco malleabile. Gli interventi producono un cambiamento nelle competenze di superficie, particolarmente nelle destrezze, senza toccare le sorgenti delle a. Il potenziamento del primo strato perdura nel tempo e produce un miglioramento delle a., ma non un effettivo cambiamento delle sorgenti delle attitudini.

7.​​ Applicazioni educative.​​ Le a. rappresentano la base dell’​​ ​​ educazione intellettuale dei soggetti per mezzo della quale essi diventano autonomi e liberi. Su di esse si fonda anche la​​ ​​ formazione professionale e da esse dipende poi l’esercizio di una specifica attività lavorativa. Le a. assumono una notevole importanza nell’​​ ​​ apprendimento, particolarmente nella loro duplice distinzione di a. cristallizzate e fluide. Sulle prime viene impostato l’apprendimento del sapere consolidato, mentre sulle seconde quello del sapere ancora poco schematizzato. Queste ultime vengono richieste nell’apprendimento ogni volta che il contenuto è nuovo, complesso e di elevata astrazione; infatti per riordinare le conoscenze occorre analizzare le situazioni problematiche e produrre delle inferenze. Anche il sapere consolidato talvolta richiede l’uso delle a. fluide in quanto viene esposto (volutamente o meno) in modo incompleto e confuso e l’alunno deve scoprire i rapporti tra le parti, produrre delle inferenze e proporre un quadro sintetico sull’argomento. Le a. fluide nei loro processi «periferici» possono essere sviluppate con opportuni metodi (Baron e Sternberg, 1987) per mezzo dei quali gli alunni apprendono le strategie per elaborare le informazioni, per impostare e risolvere un problema, per capire il processo del proprio apprendimento e guidarlo con successo. I due tipi di a. hanno poi una diretta applicazione nell’​​ ​​ orientamento; le a. cristallizzate danno la possibilità di prevedere il successo scolastico e professionale e quindi offrono informazioni utili per la elaborazione di un progetto professionale, mentre quelle fluide informano sulle risorse personali in vista della gestione delle situazioni imprevedibili.

Bibliografia

Baron J. B. - R. J. Sternberg (Edd.),​​ Teaching thinking skills: theory and practice,​​ New York, Freeman, 1987; Poláček K. - A. Fanelli - R. Telesca,​​ La predizione del successo / insuccesso scolastico nella scuola secondaria di secondo grado,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 39 (1992) 991-1008; Carroll J. B.,​​ Human cognitive abilities: a survey of factor-analytic studies,​​ Cambridge, University Press, 1993; Poláček K.,​​ In che misura è possibile promuovere lo sviluppo intellettivo?,​​ in «Annali della Pubblica Istruzione» 40 (1994) 10-35; Deary I. J. et al.,​​ The stability of individual differences in mental ability from childhood to old age: Follow-up of the 1932 Scottish Mental Survey,​​ in «Intelligence» 28 (2000) 49-55; Varela F. J.,​​ Habilidad ética, Barcelona, Debate, 2003; Wilhelm O. - R. W. Engle (Edd.),​​ Handbook of understanding and measuring intelligence, Thousand Oaks, Sage, 2005.

K. Poláček




ABILITAZIONE PROFESSIONALE

 

ABILITAZIONE PROFESSIONALE

Un compito professionale viene sovente caratterizzato da gesti che richiedono non solo un certo atteggiamento nel compierli, ma anche una coordinazione di movimenti fisici, una capacità di elaborare informazioni e di prendere decisioni, una certa abilità appunto nel vedere, definire e risolvere un problema. In campo professionale per a.p. generalmente si intende​​ il riconoscimento ufficiale della capacità di una persona ad esercitare una professione definita o anche solo il​​ riconoscimento del possesso dei requisiti necessari per svolgere una particolare forma di attività.

1. Tale capacità certamente necessita di predisposizioni più o meno accentuate, ma difficilmente viene resa concreta senza uno sforzo personale in strutture formative a ciò predisposte. È un riconoscimento che può essere dato in diversi ambiti. In ambito fisico ed in ambito manuale come capacità di coordinare movimenti, di utilizzare bene i diversi strumenti necessari nella risoluzione di problemi pratici, di fare scelte attente ad esigenze di sicurezza, estetica, oltre che di funzionamento ottimale. A volte in questo contesto si sente anche parlare di brevetto con la connotazione di capacità riconosciuta nello svolgere delle mansioni specifiche. In ambito intellettuale per a.p. si intende maggiormente la capacità di adattamento a funzioni di tipo più speculativo, decisionale. Sovente si sente parlare anche di a. alla professione (ingegnere, avvocato…) cioè ad una normale attività di lavoro che costituisce l’occupazione ordinaria di una persona e la sua fonte di reddito.

2. Nel mondo formativo si parla di a. all’insegnamento per coloro che intendono insegnare in una struttura scolastica (a. all’insegnamento della cultura, della fisica, della religione…); si parla anche di esami di a. tecnica e di ottenere una a. L’elemento caratterizzante del termine a. tecnica è sempre l’ufficialità dell’atto in quanto è una constatazione di conoscenze e capacità già acquisite e quindi di possibilità di svolgere una determinata professione ad esse legate con sicurezza e responsabilità.

Bibliografia

Bocca G.,​​ Pedagogia e lavoro tra educazione permanente e professionalità,​​ Milano, Angeli, 1992;​​ Becciu M. - A. R.​​ Colasanti,​​ La promozione delle capacità personali: teoria e prassi,​​ Roma, CNOS-FAP, 2003;​​ D’anzi V. - P. D’anzi,​​ Il CAP Certificato di a. p.,​​ Forlì, Egaf, 2004; Leopold P. et al.,​​ Formare agli insegnanti professionisti: quali strategie? Quali competenze?,​​ Roma, Armando, 2006.

N. Zanni




ABUSO DEI MINORI

 

ABUSO DEI MINORI

Aggressione momentanea o cronica da parte degli adulti (genitori, educatori o altri) nei confronti del bambino e, per estensione, di ogni minore.

1. Ci sono vari tipi di a. al minore: a)​​ a. fisico.​​ È il più facilmente individuabile. Le forme più frequenti sono: percosse, lesioni cutanee, lesioni scheletriche, traumi cranici, distacchi retinici, lesioni interne, avvelenamento, annegamento, soffocamento nella culla, somministrazione di psicofarmaci; b)​​ a. sessuale.​​ Consiste nel coinvolgimento di un minore in attività sessuali da parte di adulti. Può essere intrafamiliare (il più frequente, circa l’80% dei casi), extrafamiliare (​​ pedofilia, pedopornografia, prostituzione minorile, satanismo); c)​​ a. psicologico​​ (svalutazioni, umiliazioni, minacce, ricatti, violenza assistita, doppio legame, aspettative esagerate, violenti coinvolgimenti emotivi nel processo di separazione dei genitori).​​ L’a. psicologico non sempre è facilmente individuabile, anche se è il più frequente. Esso viene compiuto più o meno inconsciamente per​​ trascuratezza​​ (carenze affettive, rifiuti, abbandoni) o per​​ ipercura​​ (iperprotettività, legame simbiotico, sindrome di​​ Münchhausen, medical shopping). Talvolta, come nel caso della​​ ​​ violenza sessuale, questi tre tipi di a. nei confronti del minore si verificano contemporaneamente.

2. L’a. al minore compromette gravemente lo sviluppo fisico e / o psichico della​​ ​​ personalità. Il livello di gravità dipende dall’età. Le conseguenze sono tanto più negative quanto più l’a. si verifica in età precoce. L’a. fisico​​ in seguito può causare, a seconda dei casi, tendenze paranoiche, ritardo mentale, scarso concetto di sé, scarso livello di aspirazione, reazioni autoaggressive, tendenza agli incidenti, atteggiamenti sado-masochistici. L’a.​​ sessuale​​ espone il minore al rischio di gravi sensi di colpa, di distacco emotivo, di erotizzazione precoce delle relazioni interpersonali, di disturbi nell’identità sessuale, di frammentazione della personalità. L’a. psichico​​ può determinare un ritardo nello sviluppo sensomotorio e intellettivo, un arresto della crescita, turbe psichiche (​​ psicosi,​​ ​​ depressione), malattie psicosomatiche. Non è infrequente il caso in cui soggetti che nell’infanzia o nell’adolescenza hanno subito un a. in età adulta lo ripetano a loro volta su altri minori.

Bibliografia

Miller A.,​​ La persecuzione del bambino. Le radici della violenza, Torino, Boringhieri, 1987; Bertolini M. - E. Caffo (Edd.),​​ La violenza negata,​​ Milano, Guerini e Associati, 1992; Campanini A. (Ed.),​​ Il maltrattamento all’infanzia. Problemi e strategie d’intervento,​​ Roma, Nuova Italia Scientifica, 1993; Cesa Bianchi M. - E. Scabini (Edd.),​​ La violenza sui bambini. Immagine e realtà, Milano, Angeli, 1993; Malacrea M. - S. Lorenzini,​​ Bambini abusati. Linee-guida nel dibattito internazionale, Milano, Cortina, 2002; Luberti R. - M. T. Pedrocco Biancardi (Edd.),​​ La violenza assistita intrafamiliare, Milano, Angeli, 2005; Montecchi F. (Ed.),​​ Gli a. all’infanzia: I diversi interventi possibili, Ibid., 2005; Castellazzi V. L.,​​ L’a. sessuale all’infanzia, Roma, LAS, 2007.

V. L. Castellazzi




ACCADEMIA

 

ACCADEMIA

Istituzione che promuove attività letterarie, artistiche, culturali o scientifiche; quasi sempre ristretta a soci scelti sulla base di criteri di merito e / o cooptati dai soci già associati.

1. La prima a. fu fondata da​​ ​​ Platone, in onore dell’eroe ateniese Academo, nelle vicinanze di Atene, nel 387 a.C. In questa scuola filosofica si formò​​ ​​ Aristotele, fino alla morte del maestro. A partire dal Rinascimento il termine a. fu usato per denominare associazioni di artisti, letterati e scienziati, rette ordinariamente da speciali statuti. Gli umanisti si interessarono ad arti diverse da quelle insegnate nelle università; crebbe allora l’interesse per altre discipline che allargarono straordinariamente lo stretto ambito universitario tradizionale.

2. Ogni a. cercò di specializzarsi in un campo del sapere. Di carattere filosofico fu l’a. Platonica,​​ fondata a Firenze da Cosimo il Vecchio (1562); di archeologia si interessò l’a. Romana,​​ protetta dai papi, mentre l’a. Pontiana​​ si interessò di letteratura. Anche in altri Paesi furono fondate a. simili: ad es. in Francia, Inghilterra e Germania. Nel sec. XVII sorsero le prime a. scientifiche specializzate nello studio della lingua, delle arti nobili, del diritto, delle scienze politiche e morali. Se nei primi secoli i membri dell’a. appartenevano alla nobiltà, alla borghesia e all’alta gerarchia ecclesiastica, a partire dal sec. XIX vi insegnarono anche professori universitari di riconosciuta fama, attratti dal prestigio sociale che questi centri assunsero. Tra le a. italiane, vanno ricordate quelle della Crusca (1582) e dei Lincei (1603); fra le straniere: l’Académie Française (1635), la Royal Society (1660) e la Real Academia Española (1713).

Bibliografia

Immisch O.,​​ A.,​​ Freiburg, 1924; Geymonat L.,​​ Storia del pensiero scientifico,​​ Milano, Garzanti, 1970; Jaeger W.,​​ Paideia. La formazione dell’uomo greco,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1991; Larrúa S.,​​ La A. Católica de Ciencias Sociales, Sevilla, Curia Provincial, 2002.

B. Delgado




ACCOGLIENZA

 

ACCOGLIENZA

Il termine a. deriva dal lat.​​ accolo​​ che sta ad indicare lo stare vicino, l’abitare, il vivere accanto e dal verbo​​ colligere​​ ossia legare assieme, unire. Il ricorso a questi due significati può aiutarci a comprendere meglio il senso da attribuire alla parola a. In ambito psicopedagogico essa assume una triplice valenza: a. come​​ atteggiamento, a. come​​ fase della relazione di aiuto, a. come la​​ prima fase del processo di socializzazione​​ di un allievo all’interno dell’organizzazione​​ scolastica.

1.​​ L’a. come atteggiamento​​ è l’insieme delle reazioni cognitive, emotive e comportamentali attraverso le quali l’educatore metacomunica apertura, attenzione, rispetto e comprensione nei confronti della singolarità dell’educando il quale sperimenta, grazie ad esse, una sensazione di agio e benessere.

2.​​ L’a. come fase della relazione di aiuto.​​ Costituisce la prima fase della relazione di aiuto indirizzata a gettare le basi per la costruzione di un rapporto interpersonale positivo tra​​ helper​​ ed​​ helpee, indispensabile al coinvolgimento di quest’ultimo e alla proficua realizzazione di tutte le altre fasi. Affinché questa fase si realizzi con successo si richiede di a) creare un ambiente facilitante (cura del contesto, eliminazione di eventuali fonti di disturbo, atteggiamento di calma e disponibilità); b) stabilire una base di influsso (utilizzo di competenze verbali e non verbali che veicolano senso di padronanza, piacevolezza, affidabilità); costruzione di una positiva piattaforma comunicativa (utilizzo di forme verbali non direttive e semidirettive che veicolano comprensione) (Arto-Colasanti, 1996; Carkhuff, 1994).

3.​​ L’a. come prima fase del processo di socializzazione​​ dell’allievo mira a: favorire il graduale inserimento di quest’ultimo nell’organizzazione scolastica, mantenendone integre la singolarità e l’identità; trasferirgli conoscenze, abilità e competenze che lo mettano in grado di partecipare attivamente all’interno della scuola. A questo riguardo Staccioli (2004) afferma che accogliere un allievo a scuola significa molto di più che farlo entrare nell’edificio scolastico e assegnargli un posto dove stare, vuol dire dar vita ad un metodo di lavoro complesso che implica il riconoscimento e il coinvolgimento di tutti i soggetti della comunità educativa. Il metodo dell’a., aggiunge l’autore, presuppone due importanti principi educativi: la​​ fiducia​​ nei confronti dell’allievo e delle sue capacità di apprendere e il​​ rispetto​​ per il suo essere soggetto di diritti. In questa prospettiva,​​ accogliere è predisporre​​ ossia organizzare un ambiente a misura dell’allievo, un contesto cioè fatto di cose, materiali, tempi, ritmi, persone facilitanti l’apprendimento e la socializzazione;​​ accogliere è ascoltare​​ ossia entrare in sintonia con l’allievo e con il suo mondo e con la sua prospettiva sul mondo;​​ accogliere è vivere nel reale, ossia attingere alla vita quotidiana che spesso resta fuori dall’edificio scolastico e che invece, se adeguatamente valorizzata, può consentire di arrivare a cogliere con maggiore pienezza la persona che c’è dietro ad​​ ogni allievo;​​ accogliere è,​​ infine,​​ permettere di apprendere stando bene,​​ ossia recuperare il senso profondo dello stare a scuola che come ci ricorda l’etimo greco​​ skolè, significa agio, benessere, distensione.

4. L’a. permette tanto alla scuola come all’allievo di raggiungere importanti obiettivi. In particolare l’allievo​​ avrà la possibilità di: conoscere cosa l’aspetta e qual è la realtà concreta nella quale andrà ad inserirsi; apprendere i comportamenti organizzativi che gli garantiscono un buon inserimento in essa; avviare una prima conoscenza con docenti e compagni con i quali sarà chiamato ad interagire; la​​ scuola​​ avrà la possibilità di avviare una prima conoscenza dei nuovi arrivati, presentare l’organizzazione nei suoi aspetti strutturali e funzionali, socializzare i nuovi arrivati al sistema di norme e valori presenti nell’organizzazione.

Bibliografia

Carkhuff R.,​​ L’arte di aiutare. Manuale, Trento, Erickson, 1994;​​ Arto A. - A. R. Colasanti,​​ «Introduzione a un modello processuale di terapia integrata», in​​ A.​​ Arto - D. Antonietti,​​ La formazione in psicologia clinica,​​ Roma, IFREP, 1996, 235-281; Staccioli G.,​​ Diario dell’a.,​​ Roma, Valore Scuola, 2002; Id., «A.»,​​ in G. Cerini - M. Spinosi,​​ Voci della scuola,​​ Napoli, Tecnodid, 2004, 11-17.

A. R. Colasanti




ACCOMPAGNAMENTO

 

ACCOMPAGNAMENTO

L’a. (dal lat. medievale, ove​​ com-panio​​ è «colui che ha il pane in comune» [Devoto-Oli, 1988, 679]), in generale, è un aiuto temporaneo e sistematico che un adulto nell’esperienza e maturità dell’esistenza dà a un minore, condividendo con lui un tratto di strada e di vita perché questi possa meglio conoscersi e decidere di sé e del suo futuro in libertà e responsabilità.

1. Il concetto esprime la natura relazionale dell’essere umano, e più in particolare la qualità del vincolo che lega tra loro le persone, l’una responsabile e capace di prendersi cura dell’altra, ma pure bisognosa del suo aiuto e della sua presenza. Al tempo stesso questo concetto rimanda all’idea classica della vita come viaggio e della relazione umana come compagnia tra pellegrini che condividono tra loro le fatiche e il «pane del viaggio». Infine, la prassi dell’a. ritrova i suoi parametri interpretativi nelle teorie psicopedagogiche che privilegiano l’approccio non direttivo nella relazione di aiuto.

2. Il termine è usato nella pedagogia moderna per sottolineare esigenze e caratteristiche della relazione educativa, oltre quanto una tradizione antica (la pedagogia cristiana) e una più recente (la moderna scienza psicologica) già hanno detto sull’argomento. La teoria dell’a., inoltre, amplia e specifica il senso sia della direzione spirituale che della terapia psicologica: a) da un lato l’a. indica le varie forme di aiuto attraverso le quali la persona è aiutata a crescere non solo sul piano spirituale o clinico-mentale, ma anche su quello più globalmente e integralmente umano; con un intervento non esclusivamente sul singolo, ma anche sul gruppo e attraverso il gruppo; non legato a un’unica modalità operativa, ma a diverse possibilità di cammini di crescita; rivolti a qualsiasi persona, non solo a chi si trova in una particolare situazione di necessità spirituale o di disordine di personalità; b) d’altro lato elemento centrale-peculiare dell’a. non è tanto la «direzione» da imprimere alla vita dell’altro, o l’«analisi» del suo inconscio, quanto la «compagnia», o quella vicinanza intelligente e significativa che porta a un certo coinvolgimento da parte della guida, alla condivisione di ciò che è vitale ed essenziale («il pane del cammino»), alla confessione della fede e della propria esperienza di Dio, nel caso del credente.

3. Si tratta allora d’accompagnare l’altro verso un duplice obiettivo: verso la​​ conoscenza dell’io,​​ anzitutto, della sua realtà interiore, passata e presente, attuale e ideale, positiva e negativa, conscia e inconscia, verso la radice di desideri e motivazioni. Ma è necessario pure accompagnarlo verso la​​ realizzazione dell’io,​​ in un processo d’apertura nei confronti dell’altro e dell’Altro, del presente e del futuro, nella tensione salutare verso il massimo delle proprie potenzialità e nell’assunzione piena della propria libertà e responsabilità. L’a. è dunque un aiuto necessario per la crescita e la maturazione di chiunque; ma vi sono particolari momenti della vita in cui tale servizio è indispensabile: nel periodo dell’adolescenza e della giovinezza e in genere nella formazione iniziale, prima di discernimenti importanti, in situazioni specifiche della vita (momenti di crisi, di sofferenza, di cambiamenti imprevisti, di richieste nuove...), e come strumento di formazione permanente. Particolarmente importante è stato da sempre considerato l’a. nella pastorale giovanile e vocazionale, oltreché nella formazione iniziale e permanente delle vocazioni di speciale consacrazione.

Bibliografia

Imoda F.,​​ Sviluppo umano. Psicologia e mistero,​​ Casale Monferrato, Piemme, 1993; Cencini A.,​​ Direzione spirituale e a. vocazionale,​​ Milano, Ancora, 1996; Baldissera D. P.,​​ Acompanhamento personalizado. Guia para formadores,​​ S. Paulo, Paulinas, 2002; Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna,​​ A. spirituale,​​ affettività e sessualità,​​ Bologna, EDB, 2004; Meloni E.,​​ Accompagnare la formazione. Il sé,​​ gli altri,​​ l’Altro,​​ Ibid., 2005; Goya B.,​​ L’aiuto fraterno. La pratica della direzione spirituale,​​ Ibid., 2006.

A. Cencini




ADATTAMENTO

 

ADATTAMENTO

La parola a. designa in genere l’esito dell’incontro dell’organismo con il suo ambiente; se tale esito è positivo, si parlerà di buon a., se negativo, di disadattamento. I termini con cui si indicano i due protagonisti dell’incontro devono essere spiegati: per «organismo» si intende tutta la struttura della persona: biologica, psichica e sociale, e per «ambiente» si intende tutto il contesto in cui la persona vive, che può essere interiore ed esteriore, fisico, sociale, esistenziale. Da questa precisazione dei termini appare che l’a. si può verificare in molti campi. Inoltre l’a. stesso è inteso diversamente a seconda del peso che, nell’interazione, viene attribuito all’organismo o all’ambiente: secondo la corrente comportamentista, ad es., il contributo dell’ambiente è largamente preponderante, mentre altre teorie (personaliste, umanistiche, cognitiviste) sottolineano l’importanza dell’iniziativa del soggetto.

1.​​ A. fisiologico:​​ indica una reazione dell’organismo alle condizioni ambientali in modo da approfittare al massimo delle condizioni favorevoli, o di ridurre al minimo i danni fisici in un ambiente sfavorevole. Ci si può adattare, in questo senso, all’alta montagna o all’immersione in profondità, allo smog della città e all’assalto di germi patogeni, ad un tipo di nutrizione, ecc. Un caso tipico di a. fisiologico è quello dell’a. sensoriale, che ci rende meno sensibili a livelli costantemente alti di stimolazione e più sensibili a livelli costantemente bassi.

2.​​ A. intrapsichico:​​ viene spesso identificato con la sanità, la normalità o la maturità psichica, e ha come indicatore il buon funzionamento all’interno del sistema psichico della persona. Le principali componenti dell’a. intrapsichico sono la libertà da costrizioni interiori, quali le idee ossessive o le azioni compulsive, il senso di dignità personale, la percezione della propria competenza di fronte ai compiti della vita, l’impressione di integrazione interiore, per cui tutto ciò che è personalmente importante trova la sua realizzazione in un contesto gerarchico di beni, e infine lo sviluppo, la cura e la gestione ordinata delle emozioni. La mancanza di a. intrapsichico porta a disturbi psichici di varia natura e gravità.

3.​​ A. interpersonale:​​ è la capacità di un buon rapporto con gli altri, e comporta un atteggiamento positivo verso gli altri, e cioè una struttura cognitiva o modo di pensare, sia generale che verso le singole persone, che riconosce il valore di esse e la possibilità di collaborare con loro, una inclinazione a entrare in rapporto con gli altri, il gusto di farlo e le relative capacità operative. L’a. interpersonale comporta la capacità di intrattenere rapporti non superficiali, e insieme quella di avere ed esigere rispetto per l’identità propria ed altrui. L’a. interpersonale dipende strettamente da quello intrapsichico, e la sua mancanza genera gli stessi disturbi psichici.

4.​​ A. sociale:​​ comporta una relazione positiva con la società cui il soggetto appartiene. La società di cui si parla può essere intesa in modo più o meno esteso, e riferirsi, ad es., allo stile di una singola famiglia o di un gruppo, oppure alle norme di una intera cultura. Il rapporto con la società può essere di rifiuto, di conformismo o di collaborazione; le relative norme sociali possono essere accettate o rifiutate, e, nel caso siano accettate, possono essere seguite meccanicamente oppure interiorizzate, perché se ne è compreso il valore. L’a. sociale non è necessariamente globale, e, nei vari momenti storici, questo o quell’aspetto della cultura può venir messo in discussione. Il termine «disadattamento sociale» assume talora significati ambivalenti, in quanto si presume che il «sentimento comune» rifletta il bene oggettivo; ma tale presupposto si può scontrare con quanto il soggetto, portatore di pensiero e di progetto originale, può decidere per se stesso. Il «disadattato sociale» può essere sia chi soddisfa i propri impulsi in modo egocentrico, ignorando la solidarietà, sia chi persegue con impegno personale dei valori che la società non riconosce o tenta di cancellare.

5.​​ A. esistenziale:​​ indica il rapporto con un «ambiente totale»; il segmento attuale della vita viene collocato di fronte a tutta la vita ed essa, nella sua totalità, viene confrontata con ciò che è percepito come definitivamente importante per la singola persona, con cui essa si identifica, in ciò per cui si sente realizzata. In questa definizione entrano chiaramente i valori, così come sono vissuti dalla singola persona. L’a. esistenziale sarà positivo se da tale ricerca emergerà una valutazione globale positiva di sé, della vita e della realtà, con la conseguenza di una speranza di base e di un impegno a lungo termine; un a. esistenziale negativo, nato dal non trovar nulla per cui valga la pena di vivere e di impegnarsi, è invece caratterizzato dal disimpegno, dall’apatia e dalla disperazione. Il tema dell’a. esistenziale è elaborato soprattutto nella​​ ​​ logoterapia di V. E. Frankl.

6.​​ L’a. come sfida all’educazione:​​ nell’incontro con l’ambiente, importanti aspetti fisiologici e comportamentali della persona vengono modellati, creando predisposizioni che ne condizionano lo sviluppo futuro. In particolare le ricerche e le osservazioni cliniche sono d’accordo nel rilevare l’importanza decisiva dell’ambiente familiare per avviare e mantenere un buon a. emotivo e sociale. D’altra parte l’esigenza di conservare l’identità della persona nell’incontro con l’ambiente comporta l’educazione all’autogestione e alla responsabilità della propria iniziativa, in coerenza con i progetti e lo stile di ognuno. L’educazione all’autogestione suppone da parte sua che l’educatore sappia accompagnare l’educando alla scoperta di valori sia con una proposta di informazione adeguata, sia ponendosi come modello con cui l’educando possa identificarsi.

Bibliografia

Nuttin J.,​​ Motivation,​​ planning,​​ and action. A relational theory of behavior dynamics,​​ Leuven, Leuven University Press, 1984; Snyder C. R. - C. E. Ford (Edd.),​​ Coping with negative life events. Clinical and social psychological perspectives,​​ New York, Plenum Press, 1988; Feldman R. S.,​​ Adjustment,​​ applying psychology in a complex world,​​ New York, McGraw-Hill, 1989; Meichelbaum D.,​​ Exploring choices: the psychology of adjustment,​​ New York, Foresman, 1989; Nuttin J.,​​ Motivazione e prospettiva futura,​​ Roma, LAS, 1992; Critenden P. M.,​​ Pericolo,​​ sviluppo e a., Milano / Parigi / Barcellona, Masson, 1997.

A. Ronco




ADDESTRAMENTO

 

ADDESTRAMENTO

Apprendimento di capacità specifiche necessarie per svolgere una determinata azione. Generalmente viene ulteriormente precisato con aggettivi che ne evidenziano meglio il significato.

1. Si parla di a. rivolto a persone giovani o adulte per prepararle al mondo del lavoro (a. professionale), ma si parla anche di a. degli animali, in particolare in ambienti dove si desidera avere da parte loro dei precisi comportamenti (performance), come ad es. in una corsa, in un circo o in ambito domestico. Sua caratteristica è la specificità e in un certo modo la meccanicità. Ci si addestra per assumere un comportamento ben definito e non generico. Potremmo perciò definire l’a. come l’insieme di azioni volte a far acquisire destrezza, comportamenti ben definiti in determinate situazioni e capacità concrete nel risolvere problemi specifici. Attualmente per la preparazione professionale si preferisce parlare di formazione e non di a. per superare quel senso riduttivo di cui il termine si è circondato e che lo fa vedere come un apprendimento di comportamenti rigidi, condizionati, meccanici e parziali, staccati da un contesto globale di ciclo produttivo e di vita personale.

2. Nell’ambiente formativo per a. si intende normalmente un insegnamento eminentemente pratico, una modalità per fare acquisire ad una persona delle mansioni specifiche e circoscritte nel tempo e a volte anche nello spazio, o per farle apprendere un mestiere. In questo caso con il termine formazione si tende ad indicare un significato più esteso e a riferirsi ad un insegnamento anche teorico che comprende non solo un apprendimento di abilità specifiche legate alla mansione da svolgere, ma anche di conoscenze, capacità e atteggiamenti necessari per assumere un ruolo nel mondo del lavoro, dove sempre di più si richiederanno anche sensibilità al cambiamento, attenzione al gruppo, desiderio e capacità di riqualificarsi. È comunque una distinzione non ben definita che dipende molto dal contesto in cui il termine viene utilizzato. Nell’idea di a. c’è anche il riferimento ad un insieme di attività che facciano acquisire in tempi brevi competenze tecnico-operative che le persone possono utilizzare nei reparti produttivi, in modo ripetitivo e con scarsa autonomia.

Bibliografia

Agnoli M.,​​ Guida per la redazione del regolamento per la formazione e l’a. del personale negli enti locali,​​ Bergamo, CEL, 2000; De Vita A.,​​ L’e-learning nella formazione professionale,​​ strategie,​​ modelli e metodi,​​ Trento, Erickson, 2007;​​ Grego S.,​​ La formazione come palestra della professionalità. Guida pratica all’utilizzo delle attività formative per le persone e le organizzazioni,​​ Milano, Angeli, 2007.

N. Zanni




ADLER Alfred

 

ADLER Alfred

n. a Vienna nel 1870 - m. a Aberdeen nel 1937, medico, psicologo austriaco.

1. Secondo di sei figli, nacque in una famiglia di commercianti. Si laureò in medicina «per sconfiggere la morte»; lavorò come medico, interessandosi di comprendere la personalità del paziente ed i collegamenti tra i sintomi organici e psichici. Studiò con interesse filosofia, psicologia e scienze sociali. Ottimista e sereno, curava molto i rapporti coi familiari e con gli amici. Alla fine del secolo si sposò ed ebbe quattro figli, ai quali si dedicò con molto affetto. A., non potendo sconfiggere la morte e volendo lenire le sofferenze del disturbo mentale, passò quindi dalla medicina generale alla psichiatria. Nel 1902, invitato da​​ ​​ Freud, entrò a far parte della Società Psicoanalitica di Vienna, da cui si dimise nel 1907, per le divergenze da lui espresse sulla teoria degli impulsi sessuali, considerati da Freud come basi determinanti della vita psichica di un individuo nevrotico o normale e invece da A. solo materiale da elaborare secondo l’atteggiamento individuale. Fondò, nel 1912, la Società per la Psicologia Individuale, che divenne molto attiva. Dopo la Prima Guerra Mondiale, aprì la prima clinica per la consulenza all’infanzia, in collegamento con il sistema scolastico viennese. Nel 1927 andò negli Stati Uniti e continuò ad esporre le sue teorie in varie università statunitensi. Fu scrittore prolifico e conferenziere pieno di temperamento, apprezzato in tutto il mondo. Sensibile all’arte ed alla musica in particolare, dotato di una magnifica voce, amava cantare per gli amici.

2. A. descrive la caratteristica comune della personalità come un movimento tendente alla superiorità o pieno sviluppo delle proprie capacità ed al benessere della società. Le basi della tendenza alla perfezione possono essere costituite da inferiorità organiche, sentimenti di inferiorità e dalla compensazione attuata dall’essere umano per superare le inferiorità reali o presunte. La compensazione può essere diretta anche verso un ideale di perfezione non collegato al tipo di inferiorità, chiamato da A. finalismo fittizio. La tendenza alla perfezione si esprime con la formazione di uno stile di vita (tratti, abitudini, schemi, significati, ecc.), sviluppato nel corso dei primi 4-5 anni di vita specialmente per la posizione occupata e / o percepita nella famiglia (costellazione familiare), per l’atmosfera familiare e in accordo alla finalità che persegue l’individuo in relazione al mondo. Lo stile di vita riguarda le modalità con cui l’individuo, come totalità indivisibile, affronta i grandi problemi dell’esistenza che, per A., sono il sentimento sociale, l’amore, il matrimonio ed il lavoro.

3. Il contributo di A. nella teoria e prassi psicopedagogiche consiste nell’aver posto in rilievo alcuni elementi che influenzano lo sviluppo ed il funzionamento della vita psichica individuale: a) la dimensione sociale, in quanto la funzionalità psichica dell’individuo è realizzabile solo nel rapporto sociale; b) l’intenzionalità o finalità verso una meta del comportamento individuale («per che cosa»); c) le opinioni personali nella valutazione dei fatti e delle esperienze. Siccome per A. l’individuo si sviluppa in modo nevrotico o normale in base non ai fatti ma per l’opinione che ha dei fatti, è compito degli psicologi e degli educatori aiutare gli esseri umani a scoprire e correggere opinioni e soluzioni erronee su se stessi e sui problemi della vita, per modificarle con un atteggiamento costruttivo. Lo stile di vita e le sue modalità di attuazione si possono conoscere dalla posizione dell’individuo nella costellazione familiare, dai sogni e, specialmente, dai ricordi infantili. I primi ricordi sono considerati da A. la chiave di accesso al modo di pensare, di agire dell’individuo, alle opinioni che ha di sé e dell’ambiente, alla sua filosofia di vita, alla sua meta.

Bibliografia

A.A.,​​ Über den nervosen Charakter. Grundzüge einer vergleichenden individual Psychologie und Psychotherapie,​​ Wien, Bergmann, 1912 (trad. it. 1950); Id.,​​ Praxis und Theorie der Individualpsychologie,​​ Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,​​ 1915; Marcus P. - A. Rosenberg (Edd.),​​ Psychoanalytic versions of the human condition: philosophies of life and their impact on​​ practice,​​ New York, University Press, 1998; Franta H.,​​ Individualità e formazione integrale,​​ Roma, LAS, 1982.

G. Giordanella Perilli