1

WILLMANN Otto

 

WILLMANN Otto

n. a Lissa nel 1839 - m. a Leitmeritz nel 1920, pedagogista cattolico tedesco.

1. Influenzato da​​ ​​ Herbart e Leibniz e, attraverso di essi, scopritore di una grande tradizione filosofico-pedagogica che comprendeva​​ ​​ Platone,​​ ​​ Aristotele, s.​​ ​​ Agostino e s.​​ Tommaso, la sua corrente di pensiero potrebbe definirsi come​​ ​​ perennialismo pedagogico, anche se allargato agli aspetti storico, individuale e sociale, fino ad essere ritenuto uno dei precursori, se non uno dei fondatori, della pedagogia sociale storica. Studia filologia e filosofia nelle università di Breslau e Berlino e nel Seminario dell’herbartiano​​ ​​ Ziller a Lipsia; è professore della scuola pratica e poi (1868-72) della scuola di educazione di Paul Barth, herbartiano; in seguito, professore del​​ Pädagogium​​ di Vienna. Nel 1872-1903 è professore di filosofia e pedagogia nell’università tedesca di Praga, dove nel 1876 fonda il Seminario pedagogico universitario.

2. W. analizza e critica sia l’idealismo tedesco (studia prima​​ ​​ Kant, poi Fichte ed Hegel) poiché la sua assoluta autonomia esclude l’attività educativa, sia il materialismo che ammette solo un influsso puramente esterno. Concepisce allora una pedagogia «organica» come interpretazione totale della realtà educativa, validata dalle connotazioni del mondo morale: linguaggio, religione, diritto, costumi o forme aristotelico-platoniche che, insieme alle idee (valori sussistenti, modelli e archetipi di ogni possibile realtà) costituiscono la filosofia perenne. Le forme sono l’educazione (influsso dell’umanità matura sull’immaturità allo scopo di raggiungere determinati comportamenti) e la cultura (assimilazione dei beni della civilizzazione: artistici, scientifici, economici), oggetti rispettivamente della pedagogia e della didattica. La società vive attraverso le forme e nel suo organismo la persona si sviluppa. L’opera principale di W.,​​ Didaktik als Bildungslehre​​ (1869), è stata tradotta in varie lingue.

Bibliografia

Greissl​​ C.,​​ O.W. als Pädagog und seine Entwicklung, Paderborn, Schöning, 1916; Pohl W.,​​ O.W. der Pädagog der Gegenwart, Düsseldorf, Pädagogischer Verlag, 1930; Petruzzellis N.,​​ Il pensiero di O.W., in «Rassegna di Scienze Filosofiche» 3-4 (1949); 1-3 (1950);​​ Sánchez Villarán M. C.,​​ O.W.,​​ pensador y pedagogo católico, in «Eidos» 11 (1959) 193-215.

V. Faubell




WINNICOTT Donald Woods

 

WINNICOTT Donald Woods

n. a Plymouth nel 1896 - m. a Londra nel 1971, pediatra e psicoanalista inglese.

1. L’approccio teorico di W. si colloca a metà strada tra la​​ ​​ Klein e A. Freud. W. ha fornito contributi fondamentali per la conoscenza e la cura dei bambini e degli adolescenti. Partendo dall’assunto di base che all’inizio più che un neonato esiste una coppia formata dal bambino e da chi si prende cura di lui, W. sottolinea l’importanza fondamentale dell’ambiente materno, da lui definito facilitante, che nei primi mesi è rappresentato soprattutto dalla preoccupazione materna primaria. Esso offre al bambino un solido supporto emotivo (holding), per poter far fronte alle proprie agonie primitive impensabili e di riflesso strutturare progressivamente il vero Sé. Se invece la madre non corrisponde alle attese del neonato, questi reagisce sviluppando un falso Sé, pronto a soddisfare i bisogni e le richieste dell’ambiente a danno del suo vero Sé.

2. W. è noto specialmente per avere introdotto il concetto di oggetto tradizionale, inteso come punto d’incontro tra la realtà interna e quella esterna. Essendo sperimentato come non appartenente completamente né al me del bambino né al mondo esterno, l’oggetto transizionale, abitualmente rappresentato da un giocattolo, è utilizzato al fine di rendere man mano più sopportabile sia la rinuncia all’illusione di onnipotenza che il processo di separazione dalla madre. La comparsa dell’oggetto transizionale si colloca tra i cinque / sei mesi. La sua assenza è indice di grave disturbo psichico.

Bibliografia

a)​​ Fonti: tra le opere di W. trad. in it.:​​ La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Roma, Armando, 1968;​​ Sviluppo affettivo e ambiente, Ibid., 1970;​​ Il​​ bambino e la famiglia, Firenze, Giunti-Barbera, 1973;​​ Colloqui terapeutici con i bambini, Roma, Armando, 1974;​​ Gioco e realtà, Ibid., 1974;​​ Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli, 1975;​​ Il bambino deprivato, Milano, Cortina, 1986;​​ I bambini e le loro madri, Ibid., 1987;​​ Colloqui con i genitori, Ibid., 1993;​​ Esplorazioni psicoanalitiche, Ibid., 1995;​​ Bambini, Ibid., 1997;​​ Sostenere e interpretare. Frammento di un’analisi, Roma, Ma.Gi., 2006. b)​​ Studi: Phillips A.,​​ W. Biografia intellettuale, Roma, Armando, 1994; Abram J.,​​ Il linguaggio di W.,​​ Dizionario dei termini e dei concetti winnicottiani, Milano, Angeli, 2002;​​ Rodman F. R.,​​ W. Vita e opere, Milano, Cortina, 2004.

V. L. Castellazzi




WUNDT Wilhelm

 

WUNDT Wilhelm

n. a Neckarau nel 1832 - m. a Lipsia nel 1920, psicologo tedesco.

1. Dopo aver studiato medicina alle università di Tubinga e di Heidelberg, ottiene nel 1856 l’incarico di fisiologia a Heidelberg. Qui unisce la ricerca in campo fisiologico ad interessi di tipo psicologico e sottolinea nei suoi scritti l’importanza della sperimentazione per la fondazione di una psicologia scientifica, intesa come scienza della coscienza o della esperienza interna immediata. Nel 1874 ottiene la cattedra di filosofia induttiva a Zurigo e nel 1875 la cattedra di filosofia a Lipsia, dove rimarrà fino al 1917. Nel 1879 fonda a Lipsia il primo laboratorio di psicologia sperimentale che attrarrà ben presto numerosi studiosi di diversa provenienza geografica. Nel 1881 fonda la rivista «Philosophischen Studien». I numerosissimi scritti di W., continuamente rivisti, ampliati e modificati, segnano le tappe di quel lungo percorso che a partire da interessi fisiologici e filosofici lo porteranno ad elaborare i principi, i metodi e i concetti fondamentali della psicologia sperimentale, intesa come scienza autonoma.

2. Il sistema psicologico di W. è essenzialmente contenuto nei​​ Fondamenti di psicologia fisiologica​​ (Grundzuge der Physiologischen Psychologie, che dal 1873-74 conobbe ben 6 ediz.) e nei​​ Lineamenti di psicologia​​ (Grundriss der Psychologie, 1896) in cui vengono definiti l’oggetto (la coscienza del singolo studiata negli elementi ultimi che la costituiscono, e cioè le sensazioni – i prodotti degli organi di senso –, le immagini e i sentimenti), il metodo e il programma di ricerca. Tra il 1910 e il 1920 W. pubblica, in 10 volumi, la psicologia dei popoli o​​ Volkerpsychologie, in cui sostiene la necessità di ricorrere al metodo osservativo per lo studio comprensivo della natura umana, quale si manifesta nella cultura, nel linguaggio, nel mito e nella religione.

3. Le diverse e contrastanti letture e interpretazioni, che sottolineano da un lato l’elementismo e dall’altro il volontarismo del sistema wundtiano, sono tuttavia concordi nel definire W. come il primo psicologo nella storia della psicologia; gli riconoscono il merito di aver identificato chiaramente la psicologia come autonoma disciplina scientifica e di aver svolto una fondamentale opera di sistematizzazione, fondazione e istituzionalizzazione della psicologia.

Bibliografia

tra le opere di W. trad. in it.:​​ Compendio di psicologia, Torino, Clausen, 1929;​​ Elementi di psicologia, Genova, Centro Diffusione Psicologica, 1992;​​ Scritti scelti di W.W., a cura di C. Tugnoli:​​ La psicologia dei popoli, Torino, UTET, 2006. Su W.: Feldman E.,​​ W.’s psychology, in «American Journal of Psychology» 44 (1932) 615-620; Soro G.,​​ Il soggetto senza origini. La soggettività empirica nella fondazione wundtiana della psicologia sperimentale,​​ Milano, Cortina, 1991.

F. Ortu - N. Dazzi




WYNEKEN Gustav

 

WYNEKEN Gustav

n. a Stade nel 1875 - m. a Göttingen nel 1964, pedagogista e educatore tedesco.

1. Dopo sei anni di collaborazione con H. Lietz nei suoi​​ Landerziehungsheime​​ (luoghi di educazione in campagna), fondò con P. Geheeb nel 1906 a Wickersdorf la «libera comunità scolastica» (Die freie Schulgemeinde) che presuppone la libertà di fronte alla famiglia, alla credenze e allo Stato e la partecipazione organizzativa di alunni e insegnanti, con elezione di propri rappresentanti, ma come comunità puramente spirituale e non nel senso politico-sociale di repubblica o città giovanile, secondo quanto espone nella sua opera​​ Der Gedankenkreis der freien Schulgemeinden​​ (Jena, 1913-1919). La sua filosofia educativa parte dall’idealismo classico (Fichte, Hegel) e da Nietzsche, nel suo aristocraticismo, antistoricismo, valorizzazione della gioventù di fronte all’adulto e dell’arte come elemento educativo. Per l’opposizione del governo imperiale chiuse Wickersdorf, ma il suo influsso fu grande nel mondo giovanile sia attraverso il movimento Wandervogel sia attraverso la rivista «Anfang». Nella Repubblica di Weimar (1919-1933) fu consigliere del Ministero dell’Educazione, creando comunità di genitori e insegnanti nelle scuole secondarie.

2. È caratteristico e centrale in lui il concetto di cultura giovanile: la gioventù crea la propria concezione di vita al servizio dello spirito, non dello Stato; lo spirito e la gioventù coincidono nella scuola, secondo la sua opera​​ Was ist Jugendkultur? (München, 1914;​​ Stuttgart, Klett Verlag, 1970). L’unilateralità del suo concetto di libertà, l’esagerata importanza della gioventù nello sviluppo culturale, la sua opposizione verso le istituzioni di base della società, la mancanza di autentica religiosità nelle sue concezioni e nei riti festivi, e la pericolosa erotizzazione delle relazioni tra educatore ed educando, fecero di W. un personaggio molto discusso e avversato.

Bibliografia

Klein G. W.,​​ Die Freie Schulgemeinde Wickersdorf, Jena, 1921; Rohrs H.,​​ Die Reformpädagogik, Hannover, Schroeder Verlag, 1980.

V. Faubell




XENOFOBIA

 

XENOFOBIA

Avversione ingiustificata nei confronti degli stranieri, paura senza sufficiente motivazione e quindi con carattere patologico.​​ Da​​ xeno-​​ e -fobia​​ comp. dal gr.​​ Ksénos​​ (strano) dal gr.​​ phobia​​ der. dal tema di​​ phobéomai​​ (temere).

1. La x. è un concetto vago quando descrive la percezione dell’altro o di gruppi diversi dai propri. È x. razionale quella del lavoratore che si sente minacciato dall’ingresso degli stranieri percepiti come pericolosi ed intrusi. La x. irrazionale si ha quando si nutre paura per comportamenti simbolici di gruppi umani poco conosciuti (es. Nomadi, Sikhs). In senso generale, la x. definisce un atteggiamento mentale, un comportamento xenofobo, di ostilità verso cose o persone straniere. La psicologia studia la x. , mentre il comportamento xenofobo è oggetto di studio delle scienze del comportamento, tra cui l’economia che valuta i costi della x. razionale e non razionale. Il comportamento xenofobo razionale (costi bassi, danno, utilità) si ha in presenza di condizioni che evidenziano la x. verso membri di altri gruppi di appartenenza. La x. non razionale fa uso di tre spiegazioni scientifiche: 1) psicopatologica (odio maniacale per gli stranieri); 2) sociobiologica (aggressività intertribale, sono amici quelli simili a noi); 3) psicologica (etnocentrismo come dato universale).

2. Nella scuola la x. si associa a fenomeni di razzismo, emarginazione, esclusione dei bambini con cittadinanza non italiana, di etnocentrismo studiati anche dall’antropologia culturale e sociale. Analisi circoscritte dei manuali scolastici conducono alla rilevazione della cosiddetta propensione allo stereotipo, incrocio di proporzione tra fatto narrato / commentato e strutturazione linguistica a fini cognitivi. Il modello pedagogico-educativo dello stereotipo è quello nel quale prevale l’indottrinamento e l’ideologizzazione della conoscenza, ottenuti seguendo un processo formativo chiuso, con uso di metodi autoritari di apprendimento-insegnamento che impediscono la costruzione libera, critica e responsabile del sapere da parte del soggetto e del gruppo. Gli stereotipi razziali o etnici sono espressione di pregiudizi a danno di altri. Per la pedagogia la x. non è un valore. La concatenazione straniero-capro espiatorio-razzismo-dispersione-stereotipo-pregiudizio-x. è tra le più studiate nelle scienze dell’educazione. Il termine x. è di scarso uso analitico-descrittivo-esplicativo, si preferiscono razza e relazioni etniche. La​​ xenofilia​​ è descritta come contrario della x. e si verifica quando ci si identifica con lo straniero, generando comportamenti di controtendenza alla x.

Bibliografia

Cashmore E. E. et al.​​ (Edd.),​​ X.,​​ dictionary of race and ethnic relations, London and New York, Routledge and Kegan, 1992; 314; Chistolini S.,​​ L’antirazzismo in Italia e Gran Bretagna.​​ Uno studio di educazione comparata,​​ Milano, Angeli, 2000; Id.,​​ Comparazione e sperimentazione in pedagogia, Ibid., 2001; Ortona G.,​​ Economia del comportamento xenofobo,​​ Torino, UTET, 2001; Portera A.,​​ X., in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, Appendice A-Z, Brescia, La Scuola, 2003, 1561-1564.

S. Chistolini




YOGA

 

YOGA

Y. è uno dei sei principali sistemi filosofici ortodossi sorti nel periodo delle Upanishad, l’ultima tappa dei Veda (800-300 a.C.) dell’​​ ​​ induismo. Tutte le scuole ortodosse affermano che l’uomo è essenzialmente un essere spirituale e la sua anima è eterna; credono nella teoria di karma; insegnano che l’ignoranza (avidyā) della Realtà (il sé, il​​ Brahman) è la causa fondamentale della schiavitù dell’anima e la necessità della reincarnazione (karma-samsāra) e la via dalla schiavitù, dall’ignoranza che è la causa di tutti i problemi dell’uomo, consiste nella conoscenza liberatrice, una profonda «realizzazione» interna esperienziale della verità suprema; e quindi propongono la filosofia come la scienza della salvezza, della liberazione dell’anima dalle catene dell’reincarnazione.

1. Il termine y. deriva dalla radice sanscrita​​ yug​​ che significa «unire» o «congiungere». Lo y. propone una mèta trascendentale e spirituale alla vita umana e consiste nell’unione dell’anima (atman​​ o​​ purusha) con lo Spirito Supremo (Brahman). L’autore del y. classico-filosofico (rāja-y.​​ = y. regale), Patanjali (II sec. a.C.) offre metodi pratici e sistematici per realizzare questa unione:​​ yama​​ (discipline etiche negative:​​ ahimsa​​ o nonviolenza,​​ satya​​ o veracità,​​ asteya​​ o non-furto,​​ brahmacarya​​ o celibato,​​ aparigraha​​ o non-avarizia),​​ niyama​​ (discipline etiche positive:​​ śauca​​ o pulizia,​​ santosha​​ o contentezza,​​ tapas​​ o penitenza,​​ svādhyāya​​ o studio delle sacre scritture),​​ āsana​​ (disciplina fisica: posizione del corpo),​​ prānāyāma​​ (controllo del respiro),​​ pratyāhāra​​ (controllo dei sensi),​​ dhārana​​ (concentrazione),​​ dhyāna​​ (meditazione) e poi arrivare al​​ samādhi​​ (assorbimento mentale = unione dell’atman​​ con​​ Brahman; in questo stato si realizza l’autorealizzazione o illuminazione). Y. significa anche mezzi o vie (mārga) per «realizzare» l’unione dell’anima con lo Spirito Supremo. Il Bhagavad-gītā, considerato il Nuovo Testamento dell’induismo (V-II sec. a.C.), propone quattro vie:​​ karma-y.​​ (via dell’azione morale eseguita con uno spirito di perfetto distacco –​​ nishkama-karma),​​ raja-y.​​ (via della meditazione con lo scopo di raggiungere Dio),​​ jnāna-y.​​ (via della conoscenza come mezzo della salvezza che consiste nell’intima e costante intuizione dello Spirito Supremo in tutti gli esseri) e​​ bhakti-y.​​ (via della devozione amorosa verso Dio). L’hatha-y., che fa parte dell’āsana​​ del y. classico, offre un sistema di determinati esercizi fisici, varie posizioni del corpo, controllo del respiro, ecc. che giovano al ben essere e perfezionamento del corpo.​​ ​​ Aurobindo propone il​​ purna-y.​​ o y. integrale come mezzo per arrivare alla​​ supermente​​ con una​​ supercoscienza.

2. Lo y. fu il primo sistema al mondo a riconoscere lo stretto rapporto ed interazione tra mente e corpo. I mezzi psicosomatici che propone nei suoi vari processi psico-fisiologici, per trattare il complesso corpo-mente, armonizzano ed integrano la personalità umana a tutti i livelli e stadi della vita. Scopo di tutte le tecniche​​ yogiche​​ è di fornire un sistema di vita e di insegnare a vivere in modo migliore ed integrato. In effetti, lo y. è innanzitutto un’educazione non solo della mente cosciente, ma anche dell’inconscio. Il suo approccio​​ olistico​​ può offrire un’educazione globale dell’uomo nella sua interezza: fisica, mentale, morale, intellettuale, emozionale e spirituale. Adottando la pratica del y., i sistemi educativi moderni possono essere assai rafforzati: possono diventare capaci di formare una giusta attitudine e prospettiva, e quindi innalzare gli standard sociali e politici. Lo y. rappresenta gli sforzi, il cammino, il progresso e la fine dell’evoluzione umana.

Bibliografia

Haridas Chaudhuri,​​ Integral y. The concept of harmonious and creative living, London, Allen & Unwin Ltd., 1975; Bangali Baba,​​ Y. sutra of Patanjali with the commentary of Vyasa, New Delhi, Motilal Banarsidass, 1982; Sri Ananda,​​ The complete book of y. Harmony of body and mind, New Delhi, Vision Books, 1982; Moti Lal Pandit,​​ A historico-analytical study of y. as a method of liberation, New Delhi, Intercultural Publications, 1991.

G. Kuruvachira - S. Thuruthiyil




ZEN

 

ZEN

Nato in Cina come scuola filosofico-religiosa del​​ ​​ Buddhismo mahâyânico, lo Z. conta oggi quasi 9 milioni di aderenti, la cui maggioranza si trova in Giappone. Il termine (dal cinese​​ ch’an, trascrizione del termine sanscrito​​ dyâna) significa «immersione nella meditazione».

1. Il leggendario fondatore dello Z. fu Bodhidharma, originario dell’India del sesto secolo. La leggenda tuttavia attribuisce la fondazione allo stesso Buddha Sakyamuni, iniziatore del Buddhismo, che avrebbe indicato al suo discepolo Mahâkasyapa lo Z. come via che porta all’illuminazione. Infatti il nome scientifico dello Z. è Buddhahridaya («Dottrina del-Cuore-di-Buddha»).

2. L’insegnamento centrale dello Z. è lo stesso del Buddhismo mahâyânico: la possibilità di arrivare all’illuminazione personale, al risveglio improvviso,​​ satori​​ (wu​​ in cinese) o a diventare​​ buddha​​ attraverso una «contemplazione» di tipo​​ taoista​​ (tao​​ letteralmente significa «via» o «metodo» che consiste nell’«agire senza sforzo»), dove l’enfasi è posta sulla spontaneità dell’illuminazione che crea un rapporto armonioso tra l’individuo e la natura, uno stato in cui non esiste più la distinzione tra soggetto e oggetto o tra essere e agire.

3. L’educazione consiste principalmente nella formazione allo spirito dello Z. o di​​ Boddhisattva, cioè amore e compassione verso tutti gli esseri, che è il risultato dell’illuminazione Z. La scuola​​ Soto​​ sottolinea la possibilità dell’illuminazione attraverso una meditazione di tipo​​ yoghico​​ (za-zen) senza fare uno sforzo consapevole. La pratica dello​​ za-zen​​ è centrale e indispensabile allo Z.​​ Za-zen​​ significa concentrazione, silenzio dinamico e contemplazione; è il mezzo per la realizzazione della natura originale di colui che medita ed allo stesso tempo è la sua vera realizzazione. Il​​ Rinzai, invece, adopera anche la tecnica di​​ koan​​ (problemi o compiti tipo puzzle, indovinelli, aforismi, azioni bizzarre, ecc.), dove, appunto, lo studente focalizza la sua meditazione sul​​ koan, che il maestro (roshi) gli propone per consentirgli di arrivare da solo a soluzioni intuitive, eliminando qualsiasi altra soluzione concettuale o logica. Il​​ Rinzai​​ utilizza anche vari tipi di arte (la scherma, il tiro con l’arco, la cerimonia del tè, ecc.), come mezzi per il training dello spirito e per arrivare all’illuminazione. In ogni monastero-tempio della scuola Z. c’è una sala della meditazione, che è il vero centro dell’educazione e della formazione. Durante il periodo dell’iniziazione allo Z. la meditazione dura 5 o 7 giorni, nei quali l’iniziato (un monaco o laico) comincia la giornata verso le 3 del mattino e la conclude alla sera verso le 21. Tutto il giorno è dedicato alla disciplina della meditazione anche durante i lavori di casa o di giardino o qualsiasi altra cosa; si vive in semplicità e si possiede il minimo necessario per nutrirsi e vestirsi. In questo periodo iniziale la presenza del maestro e uno stretto rapporto tra maestro e discepolo sono indispensabili. Il maestro introduce, guida e propone il​​ koan​​ per la meditazione. Una volta iniziata la meditazione, il discepolo «impara facendo», che è il motto dello Z.; egli cerca di vivere in uno stato di meditazione, in armonia con tutto il cosmo, valorizzando ogni momento e ogni attività svolta nella vita. Ogni tanto poi ci sono dei periodi di intenso addestramento (sesshin) nella disciplina della concentrazione e meditazione con l’aiuto del maestro per raggiungere lo spirito Z. L’educazione allo Z. naturalmente varia da persona a persona: può durare anche per anni e persino una vita intera.

4. I monasteri Z. diventarono subito centri culturali, di educazione, di formazione intellettuale e spirituale, di intensa vita artistica, e influenzarono il sistema educativo giapponese. Nel Medioevo lo Z. ebbe prestigio e grande successo soprattutto tra i militari, guerrieri e samurai, che erano attirati dalla sua pedagogia adatta alla disciplina, all’autocontrollo, all’azione e al sacrificio. Non solo, i loro mestieri stessi erano considerati mezzi per raggiungere lo stato di Z. Oggi, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la disciplina e la pratica dello​​ za-zen, come quella dello yoga, non è limitata solo ai seguaci dello Z. Buddhismo ma è diffusa pure tra credenti di altre religioni del mondo.

Bibliografia

Watts A. W.,​​ Lo Z., Milano, Bompiani, 1959; Dumoulin H.,​​ A history of Z. Buddhism, London, Faber, 1963; Suzuki D. T.,​​ Introduzione al Buddhismo Z., Roma, Astrolabio, 1970; Hoover T.,​​ Z. Culture, London, Routledge, 1978; Suzuki D. T.,​​ La formazione del monaco buddhista Z., Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1984; Abe M.,​​ Z. and western thought, London, Macmillan, 1985; Dumoulin H., «Z.», in M. Eliade (Ed.),​​ The encyclopedia of religions, vol. 15, New York, Macmillan, 1987, 561-568.

S. Thuruthiyil




ZILLER Tuiskon

 

ZILLER Tuiskon

n. a Wasungen nel 1817 - m. a Lipsia nel 1882, pedagogista tedesco della scuola herbartiana.

Nel periodo di studi filosofici a Lipsia, Z. ha i primi contatti con il pensiero di​​ ​​ Herbart attraverso M. W. Drobisch e G. Hartenstein. La morte del padre, pastore evangelico, lo costringe a lasciare l’università. Dal 1843 al 1847 insegna greco e latino nel ginnasio di Meiningen. In questa tappa della sua attività dedica particolare attenzione agli aspetti pratico-didattici della pedagogia. Ritorna all’università, privilegiando lo studio della matematica, dell’anatomia, della psicologia, delle scienze giuridiche ed economiche. Attratto dal solidarismo sociale proposto dall’economista J. K. Rodbertus, l’interesse di Z. si centra sempre più sull’educazione come strumento fondamentale per un progetto di riforma della società basato sui valori etici e cristiani. Nel 1862 fonda a Lipsia un «seminario pedagogico» con finalità teorico-pratica, che dirige fino agli ultimi mesi di vita.

2. Nell’impegno di scrittore e di docente universitario, Z. si propone, come obiettivo principale, quello di portare la pedagogia al livello di scienza. Nella presentazione dell’Einleitung in die Allgemeine Pädagogik​​ (1856), egli accenna al progetto di una esposizione completa della pedagogia, secondo i principi segnalati da Herbart. In questa prospettiva, l’opera​​ Grundlegung zur Lehre vom erziehenden Unterricht​​ esercita un forte influsso nel dibattito pedagogico e nella prassi educativo-didattica della seconda metà dell’Ottocento. Lo scritto viene ritenuto «una pietra miliare» nella storia dell’herbartismo. Due concetti vengono particolarmente sviluppati da Z.: il concetto di​​ concentrazione​​ (secondo cui il maestro deve prendere ogni anno come «centro» dell’insegnamento un’idea, un ordine di materie a cui tutta l’attività scolastica deve convergere) e quello dei​​ gradi formali​​ (validi per ogni materia, alla base della costruzione di uno schema per ogni lezione, indipendentemente dal suo contenuto).

3. Nonostante l’artificiosità del linguaggio, la rigidità delle articolazioni proposte e lo schematismo che caratterizzano i suoi scritti, Z. ha contribuito in modo decisivo a diffondere il sistema pedagogico herbartiano, facilitandone le applicazioni nella prassi scolastica.

Bibliografia

Dunkel H.D.,​​ Herbart and Herbartianism: an educational ghost story, Chicago / London, The University of Chicago, 1970;​​ Metz P.,​​ Herbartismus als Paradigma für Professionalisierung und Schulreform..., Bern, Lang, 1992; Volpicelli I., «Z.T.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol.​​ VI, Brescia, La Scuola, 1994, 12633-12636.

J. M. Prellezo




ZUBIRI Xavier

 

ZUBIRI Xavier

n. a San Sebastián nel 1898 - m. a Madrid nel 1983, filosofo spagnolo.

1. Z. offre una propria spiegazione metafisica, cercando di superare la metafisica classica e le proposte di Heidegger; disegna una nuova concezione dell’intelligenza (inteligencia sentiente) e della realtà. Tra le opere fondamentali di Z.:​​ Naturaleza,​​ Historia,​​ Dios​​ (1944),​​ Inteligencia sentiente​​ (1980-1983),​​ El hombre y Dios​​ (1984),​​ Sobre el hombre​​ (1986); queste due ultime pubblicate postume a cura degli allievi. La spiegazione metafisica della realtà umana suggerisce, secondo Z., dati significativi per una teoria dell’educazione. La persona umana non è solo soggetto di alcune proprietà né espressione di un concetto ideale di uomo e neppure è il semplice risultato di processi psicobiologici o sociostorici. Per la sua specifica «forma di realtà», ogni persona deve determinare concretamente la sua personalità nell’unità del suo processo vitale. Si tratta di un compito di continua autoconfigurazione, fondata sulla stessa realtà e portata a termine nella dinamica dell’appropriazione di possibilità (apropiación de posibilidades).

2. L’intervento educativo non si definisce mettendo in atto delle capacità (potencias) o dotando operativamente l’individuo, ma disponendo ogni persona a intraprendere nuove e più feconde vie di realizzazione, rendendola capace di disegnare nuovi progetti e possibilità. Inoltre, l’appropriazione di possibilità da parte della persona si attua nella situazione sociale e storica in cui essa inizia il suo processo, divenendo, a sua volta, possibilità per altri. La relazione educativa in ogni situazione sociostorica esige la presenza dell’​​ ​​ educatore e dell’​​ ​​ educando. L’educatore non pretende di imporre forme di comportamento; si fa presente con «causalità personale» di implicazione nel processo di realizzazione dell’educando, offrendo a questi delle possibilità. Con la spiegazione zubiriana della realtà personale si eviterebbe la riduzione dell’educabilità a maturazione psicobiologica, a adattamento del sistema personale alla situazione sociale e storica, o a porre in atto le facoltà naturali dell’uomo.

Bibliografia

Onrubia M.L.,​​ La «apropiación de posibilidades» en la realización de la persona según Z. Aportaciones al tema de la educabilidad, Roma, UPS, 1996; Niño F.,​​ Antropología pedagógica. Intelección,​​ voluntad y afectividad, Bogotá, Magisterio, 2000; Ugalde F.,​​ Educar a «hacerse cargo de la realidad». Reflexiones sobre una dimensión educativa del pensamiento de X.Z., in «Escritos del Vedat» XXXII (2002) 281-315; Niño F., «Educación en valores. Una aproximación desde X.Z.», in J. A. Nicolás - O. Barroso (Edd.),​​ Balance y perspectivas de la filosofía de X.Z., Granada, Comares, 2004, 630-650.

L. Onrubia