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SUICIDIO

 

SUICIDIO

Atto volontario e / o desiderio cosciente o deliberato dell’individuo di togliersi la vita.

1. Non esiste un accordo sostanziale sull’accezione comune del termine. Le definizioni di s. attualmente esistenti possono essere suddivise in due categorie. Alla prima appartengono quelle che limitano il termine s. alle «uccisioni di sé» volontarie; alla seconda quelle che includono nel termine s. anche le morti in cui è presente un impulso inconscio a uccidersi. Tra le due definizioni è presente, comunque, una certa contraddittorietà. Le prime, che si fondano sul criterio dell’intenzionalità per stabilire se parlare o meno di s., pongono il problema delle possibilità e delle modalità per individuare la volontarietà dell’atto. Infatti, tranne i casi in cui il soggetto lascia per iscritto una spiegazione del gesto suicida, non è facile risalire alla sua motivazione conscia, perché spesso è presente un’ambivalenza tra desiderio di vivere e desiderio di morire. Le definizioni appartenenti alla seconda categoria, invece, abolendo l’intenzionalità, comprendono anche quegli atti in cui il desiderio di togliersi la vita, pur non raggiungendo il livello della consapevolezza, traspare dalle varie azioni del soggetto. In tal modo si rischia però di includere nella categoria degli atti suicidi anche dei presumibili atti autodistruttivi inconsci, come incidenti, automutilazioni e turbe psichiche che portano all’autodistruzione corporea (anoressia mentale e tossicomania).​​ 

2. Vista l’assenza di soddisfacenti definizioni di s., è necessario stabilire che l’oggetto di indagine è rappresentato da una vasta gamma di comportamenti autolesivi che vanno da atti ben definiti (es. incidente stradale per eccessiva velocità, impiccagione, avvelenamento per respirazione di gas di scarico, ecc.) a modalità esistenziali in cui il soggetto si lascia morire (es. anoressia mentale). Dal punto di vista psicologico, all’inizio di questo secolo il s. era considerato il sintomo di una malattia mentale. Attualmente si riconosce l’influenza di diversi fattori (sociali, culturali, individuali, familiari, ecc.) sul soggetto suicida, ma non si esclude il ruolo fondamentale dell’orientamento verso pseudovalori che, favorendo la concentrazione sul conseguimento del​​ ​​ benessere o del successo, oppure sulla gratificazione esasperata di​​ ​​ bisogni, fanno piombare la persona nella frustrazione e nel vuoto esistenziale.

3. Pur essendo un fenomeno non molto frequente nell’infanzia, il s. del bambino non è solo frutto di incoscienza e di fantasie di onnipotenza, ma può anche essere l’espressione della consapevolezza dei dolori che accompagnano l’esistenza e dell’incapacità di trovare una soluzione soddisfacente. Nell’adolescenza il s. appare legato alla difficoltà di controllare ed equilibrare i cambiamenti psicofisici e istintuali, mentre nella «fascia oscura» dell’età di mezzo (dai 25 ai 64 anni) sembrano prevalere le mille preoccupazioni del lavoro, della vita affettiva, della salute, della solitudine. Nella vecchiaia, invece, giocano un ruolo decisivo il declino dell’intero organismo, le frequenti e profonde esperienze di lutto, la cessazione del lavoro e della partecipazione alla produttività sociale.

4. Una​​ ​​ prevenzione dal volto umano supera il concetto del puro contenimento del rischio del s. e chiede di fare riferimento alla persona e alla società, di operare sul territorio concreto, sulle istituzioni, sui processi e sulle interazioni umane, di effettuare interventi multilaterali e differenziati nella sfera del pubblico, del sociale, del giuridico, dell’economico, del sanitario, dell’etico e del religioso, di promuovere e qualificare la dimensione partecipativa e relazionale di ogni esistenza, di riconoscere l’esigenza di mobilitare un continuo processo di anticipazione delle patologie sociali. Fondamentalmente, la prevenzione primaria si configura come educazione al senso della vita; la prevenzione secondaria si rivolge alla famiglia, al gruppo dei pari, alla scuola e al quartiere per individuare i fattori predisponenti e per cercare di neutralizzarli; la prevenzione terziaria presuppone la piena rieducabilità del soggetto e si orienta sia verso il superamento dell’illusione della centralità egocentrica che verso la maturazione di un orientamento autotrascendente.

Bibliografia

Fizzotti E. - A. Gismondi,​​ II s. Vuoto esistenziale e ricerca di senso,​​ Torino, SEI, 1991; Crepet P.,​​ Le dimensioni del vuoto. I giovani e il s.,​​ Milano, Feltrinelli, 1993; Mazzani M.,​​ Il s. in adolescenza, Roma, Laurus Robuffo, 2004; Pangrazzi A. (Ed.),​​ Il s. Dalla resa alla lotta per la vita, Torino, Camilliane, 2004; Pietropolli Charmet G.,​​ Crisis center. Il tentato s. in adolescenza, Milano, Angeli, 2004; Bernardini P.,​​ Giacomo Casanova. Dialoghi sul s., Roma, Aracne, 2005; Loperfido A. - R. Irti,​​ La metamorfosi della sofferenza. Dopo il s. di un familiare, Bologna, EDB, 2005; Borgna E. - M. Manica - A. Pagnoni,​​ Il s. Amore tragico,​​ tragedia d’amore, Roma, Borla, 2006.

E. Fizzotti




SULLIVAN Harry Stack

 

SULLIVAN Harry Stack

n. a Norwick, New York nel 1892 - m. a Washington nel 1949, psichiatra e psicoanalista statunitense.

1. Entrato giovanissimo, nel 1904, alla Cornell University è costretto da problemi economici ad abbandonare gli studi che potrà riprendere soltanto nel 1915 quando si iscriverà alla Medical School di Chicago. Qui, in un ambiente culturale profondamente permeato dal pragmatismo, subisce l’influsso della psicologia sociale e dell’antropologia di B. Malinowski, nonché della psicologia sociale di W. McDougall. Psichiatra presso il Saint Elizabeth Hospital di Washington e docente all’Università del Maryland, dopo esser uscito dalla Società Psicoanalitica è, nel 1936, tra i fondatori della Washington School of Psychiatry e dà vita al movimento «culturalista,» di cui diventerà il portavoce. È stato inoltre professore di psichiatria e direttore del dipartimento di Psichiatria alla Georgetown University Medical School.

2. La sua attività clinica con i pazienti schizofrenici, e l’introduzione di alcune modifiche nella tecnica psicoanalitica classica lo portano a sostenere l’utilità di un approccio psicosociale all’interno della metodologia psichiatrica. Giunge così a formulare «la teoria interpersonale della psichiatria» che vuol essere un superamento della teoria freudiana. Secondo tale teoria, basata sulla nozione di «campo relazionale», la personalità individuale può essere considerata una «configurazione relativamente durevole, delle situazioni interpersonali, che caratterizzano la vita umana, e cioè come un prodotto dell’interazione di campi di forze interpersonali, intesi molto concretamente come l’insieme delle relazioni sociali in cui il soggetto si è venuto a trovare nel corso della sua vita». Su questa base S. sostiene che la malattia mentale, e la schizofrenia in particolare, ha origine in un disturbo delle relazioni interpersonali e riflette un problema di fondo, o una deformazione, dell’organizzazione di base della personalità. Per S. la psichiatria deve direttamente integrarsi nel vivo del tessuto sociale, aprirsi all’osservazione dei dati reali ed essere programmaticamente finalizzata al «beneficio del paziente».

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ tra le opere di S., pubblicate postume ad eccezione di​​ Conception of modern psychiatry​​ (1940) (La moderna concezione della psichiatria,​​ Milano, Feltrinelli, 1961), ricordiamo:​​ The psychiatric interview,​​ 1954;​​ Clinical studies in psychiatry​​ (1956);​​ Studi clinici,​​ Milano, Feltrinelli, 1965;​​ Il colloquio psichiatrico, Ibid., 1972;​​ Scritti sulla schizofrenia,​​ a cura di Helen Swick Perry; prefazione all’edizione italiana di Marco Conci, Ibid., 1993. b)​​ Studi:​​ Rattner J.,​​ Psychologie der zwischenmenschlichen Beziehungen: eine Einführung in die neopsychoanalytische Sozialpsychologie von H.S.S.,​​ Freiburg im Breisgau, Walter-Verlag,​​ 1969; Perry H. S.,​​ Psychiatrist of America: the life of H.S.S.,​​ Cambridge, Harvard University Press, 1982; Conci M.,​​ S. rivisitato: la sua rilevanza per la psichiatria,​​ la psicoterapia e la psicoanalisi contemporanee, Bolsena, Massari, 2000.

F. Ortu - N. Dazzi




SULPIZIANI

 

SULPIZIANI

Società di vita apostolica di sacerdoti diocesani e movimento spirituale-pedagogico francese.

1. La «Compagnia dei preti di San Sulpizio» fu fondata dal parroco J. J. Olier (1608-1657) a Parigi (adozione delle prime Costituzioni nel 1659), per la formazione dei seminaristi e dei preti. Operò inizialmente in Francia, Canada e Stati Uniti. Il gruppo di sacerdoti della Parrocchia e Seminario parigini di Saint-Sulpice si è distinto dal 1642 fino ad oggi nell’impegno per l’educazione religiosa della gioventù, diventando una scuola di formazione alla catechesi per una larga fascia del clero francese.

2. Come educatori dei seminaristi i S. si sono caratterizzati per una tradizione di spiritualità incentrata sul servizio religioso, seguendo la via dell’umanità di Gesù per giungere alla divinità, la preghiera assidua, gli «esami particolari» di notevole ricchezza anche psicologica, la disciplina di vita, l’impegno per la catechesi, la dedizione alla Chiesa. Nel campo della metodologia catechistica Saint-Sulpice ha elaborato un suo metodo, iniziato dall’Olier, sviluppatosi nei secoli seguenti e fatto conoscere dagli scritti di E. Faillon e​​ ​​ Dupanloup. Si avvale di un ambiente proprio, la cappella, e di un’organizzazione accurata. L’adunanza, di due o più ore, si svolge con uno schema prefissato: Interrogazione - Lettura dal Vangelo - Resoconto delle annotazioni - Istruzione - Omelia - Avvisi.

3. Alla scuola dell’Olier appartiene anche Ch. Démia SJ (1637-1689), che lavorò a Lione come fondatore dell’istruzione elementare basata sull’educazione religiosa. Fu il primo in Francia a passare dall’istruzione individuale a quella collettiva, metodo ripreso poi da J. B. de​​ ​​ La Salle. Saint-Sulpice continua a fare scuola anche oggi; ha dato al movimento catechistico francese e mondiale un promotore di eccezionali qualità spirituali, dottrinali organizzative e metodologiche, in​​ ​​ Colomb.

Bibliografia

Faillon E. M.,​​ Histoire des catéchismes de St.-Sulpice,​​ Paris, Gavone, 1831; Id.,​​ Méthode de St.-Sulpice dans la direction des catéchismes,​​ Paris, Leoffre, 1832; Id.,​​ Vie de M. Olier,​​ Paris, Poussielgue, 1841; Colomb J., «The Catechetical Method of Saint Sulpice», in G. Sloyan (Ed.),​​ Shaping the Christian Message,​​ New York, Macmillan, 1958.

U. Gianetto

SUMMERHILL​​ ​​ Scuole Nuove​​ ​​ Spontaneità / Spontaneismo




SUPERDOTATI

 

SUPERDOTATI​​ 

È un termine caratterizzato da forte genericità. Più in particolare, e in linguaggio psicopedagogico, si intende per s. la persona, generalmente in età evolutiva, dotata di capacità intellettive al di sopra della media.

1. Questa sommaria definizione richiede qualche precisazione. Il s. è solo un bambino precoce, con uno sviluppo intellettivo accelerato, magari per un eccesso di stimolazioni ambientali, o è una persona le cui capacità rimarranno sopra la media anche nell’età adulta? E quali sono, allora, i criteri di individuazione del s.? La risposta potrebbe e forse dovrebbe essere molto complessa, ma può essere, per il nostro caso, notevolmente semplificata. Potrebbe essere molto complessa partendo dal concetto di genio, di uomo di talento, di genio in generale o di genio specifico, dal rapporto genio e pazzia, ecc. Gli studi di​​ ​​ Galton, di Lombroso, di Kretschmer sono illuminanti da questo punto di vista. La risposta, nel nostro caso, può essere fortemente semplificata se ci limitiamo a dire che intendiamo per s. colui che, ai test di intelligenza, raggiunge quozienti di intelligenza (Q.I.) che vanno da 135-140 in su. È un criterio convenzionale, ma è quello utilizzato dalla maggior parte dei ricercatori che negli ultimi 80 anni si sono interessati del problema.

2. L’interesse pedagogico per i soggetti s. nasce da due constatazioni che richiedono due tipi differenti di intervento: dato che i s. hanno qualità superiori alla media, come svilupparle ed utilizzarle al meglio per il bene loro e per il bene della società? Da cosa dipendono e come porre rimedio ad alcune difficoltà comportamentali che molti s. presentano? Questa problematica, tuttavia, ha un senso se il s. individuato nell’infanzia rimane tale durante il suo sviluppo e nell’età adulta. Perde importanza se il s. è semplicemente un bambino precoce, con uno sviluppo accelerato, ma che crescendo rientra nella norma.​​ ​​ Terman ha condotto, a partire dall’anno 1922, una ricerca longitudinale che comprendeva, all’inizio, lo studio di 1528 ragazzi tra i 9 e i 16 anni, tutti con un Q.I. al di sopra di 135. Questi soggetti sono stati sottoposti a numerosi esami ed a numerosi controlli nell’arco della loro vita. Nel 1955 è stato possibile rintracciare ancora 1396 di essi, di cui il 93% ha collaborato rendendosi disponibile per ulteriori esami ed approfondimenti. Non potendo addentrarci nel presentare i dati di questa ricerca, ci limitiamo a segnalare la risposta data da Terman al quesito che ci siamo posti.

3. Questo studio di tre decadi e mezzo ha dimostrato che il ragazzo s., con poche eccezioni, diviene l’adulto capace, superiore sotto quasi tutti i punti di vista alla generalità. La superiorità del gruppo di s. si manifesta particolarmente nell’abilità intellettuale e nei risultati professionali. Questo non toglie, tuttavia, che il bambino e / o il ragazzo s., soprattutto in quanto precoce nello sviluppo intellettivo, accusi dei problemi di sviluppo. È stata chiamata «sindrome di dissincronia» la difficoltà nata dalla disarmonia tra sviluppo intellettivo e sviluppo affettivo, con manifestazioni di disadattamento che pur non potendosi considerare patologiche, richiedono, comunque, particolari attenzioni da parte degli educatori, siano essi genitori o insegnanti. Esemplificando, si potrebbe dire che il bambino s. coglie «intellettivamente» tensioni familiari o sociali più o meno esplicite, senza avere la maturità affettiva per affrontarle. Il suo sviluppo ne risente producendo disarmonie e forme di disadattamento sociale.

4. Educativamente va detto che nel bambino s. non va sovrastimolata la precocità, ma soprattutto va corretto l’orientamento unilaterale, allargando gli interessi e stimolando il contatto con i coetanei. Senza arrivare alla creazione di classi speciali o differenziali per s. (non ripetendo quanto già faticosamente superato nel campo dell’​​ ​​ handicap), va comunque favorito un arricchimento dei programmi che non significhi né più esercizi sugli stessi problemi né anticipazioni di programmi successivi.

5. Un’ampia analisi riguardante la problematica relativa ai soggetti s. con indicazioni di tipo terminologico, esame dei problemi di adattamento, sullo sviluppo ed i valori da sostenere, su risposte a dubbi e proposte di intervento si trova nel sito svizzero www.scuoladesc.ti.ch s. intellettivi.

Bibliografia

De Craecker R.,​​ Les enfants intellectuellement doués,​​ Paris,​​ PUF, 1951; Witty P.,​​ The gifted children,​​ Boston D. C., Health and Co., 1951; Gutiérrez M.,​​ Il​​ s. e i suoi problemi scolastici,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1965; Gallagher J. J.,​​ L’educazione dei ragazzi dotati,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1970; Terrassier J. C.,​​ Ragazzi s. e precocità difficile,​​ Teramo, Giunti e Lisciani, 1985; Consiglio Di Europa,​​ Recommandation 1248 relative à l’éducation des enfants surdoués,​​ Bruxelles, 1994;​​ Miller A.,​​ Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1998; Adda A.,​​ Le livre de l’enfant doué,​​ Paris, Editions Solar, 1999; Gosselin B. e M.,​​ Surdoués et échec scolaire,​​ Paris, Le Semaphore, 1999; Terrassier J. C. - Ph. Gouillou,​​ Guide pratique de l’enfant surdoué. Comment réussir en étant surdoué,​​ Paris, ESF, 1999.​​ 

M. Gutiérrez




SUSSIDIARIETÀ

 

SUSSIDIARIETÀ

Il principio di s. ha origine nella dottrina sociale della Chiesa e trova la sua formulazione più matura nella enciclica «Centesimus Annus» al n. 48: «una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune».

1.​​ Il principio di s. nella costituzione italiana. È entrato nella legislazione italiana solo con la L. costituzionale 3 / 01. Esso presenta una duplice valenza: infatti, indica sia un paradigma ordinatore dei rapporti tra Stato, formazioni sociali, individui (s. orizzontale), sia un criterio di distribuzione delle competenze tra Stato e autonomie locali (s. verticale). Nella seconda accezione sta a significare la rottura di un sistema di potere centralizzato ed è visto come l’affermazione di una democrazia che individua nella «prossimità» dei governanti ai governati un bene primario. A sua volta, la s. orizzontale, affermando che lo Stato interviene solo quando l’autonomia della società risulti inefficace, si contrappone all’idea di una «cittadinanza di mera partecipazione» e promuove invece una «cittadinanza di azione» in cui è valorizzata la creatività dei singoli e delle formazioni sociali. Esso non va inteso come sostegno ad una ipotesi neoliberale di stato minimo: infatti, mentre si riconosce alla persona il diritto di iniziativa, nel contempo si intende affermare la responsabilità sociale. Il pubblico interesse e il pubblico servizio è garantito, ma non anche esclusivamente gestito dallo Stato che ha il ruolo di favorire, pure nei servizi educativi, l’iniziativa della società civile, la responsabilità diretta delle persone e delle formazioni sociali.

2.​​ S. ed educazione. La s. implica che l’attività scolastica è soggetta alla libera iniziativa dei cittadini entro le norme generali sull’istruzione di competenza dello Stato e le leggi ordinarie di iniziativa regionale. In secondo luogo, le scuole statali, che sono autonome, vengono disciplinate dai due gruppi di norme appena citate e risultano sussidiarie alla libera iniziativa dei cittadini, mentre le istituzioni scolastiche non statali godono di piena libertà entro le norme generali sull’istruzione. Infine, le norme generali sull’istruzione hanno, come oggetto, l’istruzione, che è il servizio erogato, non l’organizzazione degli insegnamenti, degli apprendimenti e dei processi in generale, che costituisce invece l’istituzione scolastica.

Bibliografia

Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica​​ Centesimus Annus, Roma, 1991; Malizia G.,​​ La legge 62 / 2000 e la libertà di educazione. Quali prospettive?, in Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica,​​ A confronto con le riforme. Problemi e prospettive, Brescia, La Scuola, 2002, 57-73; Palma A.,​​ S. e formazione in Italia: profili giuridici, in S. Versari (Ed.),​​ La scuola della società civile tra Stato e mercato, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, 59-80; Bertagna G.,​​ S.,​​ norme generali e libertà di scuola, in Id.,​​ Pensiero manuale, Ibid., 2006, 385-437;​​ S. ed educazione, Milano, Mondadori, 2007.

G. Malizia




SVANTAGGIO SOCIALE

 

SVANTAGGIO SOCIALE

Per s.s. si intende la situazione di​​ ​​ emarginazione sperimentata dal singolo e / o dal gruppo (classe, ceto, minoranza, comunità) in un contesto sociale di riferimento in cui altri vivono la situazione opposta di vantaggio e quindi di non emarginazione.

1. Lo s.s. è misurabile statisticamente, prendendo come indicatori il reddito, la classe sociale, l’età, il sesso, il livello di istruzione, l’occupazione, il luogo di residenza, la collocazione urbana, storia ed ambiente familiare. La disparità selettiva riguarda nazioni ed individui. Nei Paesi cosiddetti «svantaggiati» si registrano più bassi tassi di scolarizzazione di base e solo una piccola minoranza privilegiata raggiunge livelli superiori e migliori di formazione. La politica europea della cooperazione allo sviluppo tende a favorire «l’inserimento armonioso e progressivo dei paesi in via di sviluppo nell’economia mondiale» (Trattato di Maastricht, 07.02.1992, art. 130 U). Ricerche significative condotte sin dagli anni ’60 (C. Bereiter, S. Smilansky, B. Bernstein, J. S. Coleman, A. H. Passow) evidenziano il problema dello s. socio-culturale di bambini «differenti» per linguaggio e schemi di riferimento appresi anche prima dell’ingresso a scuola in ambiente socio-culturale meno favorito, non corrispondente cioè pienamente ad una cultura scolastica che è soprattutto costituita da valori della classe media. Di qui l’insuccesso scolastico e l’educazione compensativa (A. Little, G. Smith) degli anni ’70 intesa ad offrire socializzazioni adatte allo sviluppo nel bambino delle abilità richieste.​​ 

2. Dalle ricerche psicopedagogiche e sociologiche degli anni ’80 emerge un nuovo orientamento. I modelli valoriali della classe media delle società occidentali industrializzate sono considerati in modo critico e non accettati come norma universale, piuttosto si tende all’elaborazione dell’apprendimento partendo da specificità e differenze culturali. Alla pedagogia segregante si sostituisce la pedagogia del pluralismo e l’educazione interculturale. In questo senso lo s.s. è trattato non solo in termini di effetto da eliminare e superare, ma viene anche affrontato con la razionalizzazione di carattere umanistico che valorizza contenuti ed apporti della diversità da comprendere e preservare. Una certa esperienza sociale del bambino è studiata ed esaminata nella sua validità di costruzione differenziata della personalità e delle caratteristiche individuali dell’apprendimento (​​ Piaget, B. S. Bloom) prima che la differenza si trasformi in comportamento deviante socialmente riprovevole.

Bibliografia

Luccio R. - N. Borroni,​​ Disadattamento e s.s.,​​ Firenze, Le Monnier, 1979; Canevaro A., «Gli svantaggiati», in B. Vertecchi (Ed.),​​ La scuola italiana verso il 2000,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1984, 474-490; Chistolini S.,​​ Superare lo s.: indagine su percezioni e valori dei giovani tra i 14 e i 19 anni, in «Osservatorio ISFOL. Formazione - Orientamento - Occupazione - Nuove tecnologie - Professionalità» 19 (1997) 3, 162-219.​​ 

S. Chistolini




SVILUPPO

 

SVILUPPO

Lo s. umano è un processo di cambiamento progressivo e costante che accompagna la​​ ​​ persona lungo tutto l’arco evolutivo (dalla nascita alla morte) modificando ogni suo aspetto, sia sul piano della struttura di​​ ​​ personalità, sia nelle manifestazioni a livello comportamentale. Tale processo è osservabile non solo in riferimento a grandi periodi evolutivi (per es. infanzia - età adulta), ma anche confrontando le diverse manifestazioni del soggetto esaminato a piccoli intervalli temporali (specie nei primi anni di vita). Questo cambiamento come processo, per essere considerato s., implica una tendenza verso una ottimizzazione delle risorse umane («un miglioramento con basi valoriali»); tale aspetto valoriale è definito in funzione delle singole teorie.

1.​​ Caratteristiche dello s.​​ Lo s. appare come una realtà dinamica che, in modi diversi e con ritmi diversi, attraverso continui cambiamenti, tende verso un equilibrio sempre più grande e più maturo. Idealmente, quindi, il cambiamento implica un progresso continuo; non necessariamente, però, avviene in modo armonico a tutti i livelli della singola persona, né si manifesta con eguali ritmi nel confronto interpersonale. Nella singola persona, infatti, è possibile constatare uno s. più maturo e armonico a livello strutturale che comportamentale o viceversa; oppure vi possono essere sfasamenti di s. nelle diverse sfere affettiva, cognitiva e comportamentale; o, ancora, gli sfasamenti possono riguardare le diverse dimensioni e polarità che definiscono la ricchezza dell’uomo. Nel confronto interpersonale è facile rilevare che lo s. è più veloce nei primi anni di vita, per farsi via via meno evidente nell’età adulta e, ancor meno, nell’età senile. Accanto a questa constatazione così palese, però, va rilevato che altrettanto palese è la differenza di s. che possono manifestare persone che pure appartengono alla stessa fascia d’età. L’analisi dei fattori e dei principi di s. può aiutare a capire questa non corrispondenza dei livelli di s.

2.​​ Fattori di s.​​ È ormai unanime la convinzione che i cambiamenti nello s. sono il risultato dell’influsso sia dei fattori endogeni che di quelli esogeni. Senza soffermarci su questo aspetto già noto, ci sembra più importante considerare il modo in cui questo duplice influsso si relaziona con la crescita umana. I due gruppi di fattori endogeni (processi biologici) ed esogeni (processi ambientali), che sono fondamentali per lo s. e che, pertanto, chiamiamo «maggiori», agiscono sempre con uguale influenza. Il loro influsso, però, si esercita in una situazione determinata della storia della persona, il loro incontro avviene alla presenza di quella serie di esigenze concrete che la persona manifesta in ogni momento e subisce l’influsso di una quantità di variabili sia interne che situazionali. Queste esigenze e variabili costituiscono, così, una seconda serie di fattori (che, per analogia, diciamo «minori») che va a condizionare l’interazione dei primi. In altri termini, l’importanza dei diversi fattori, nella situazione concreta della vita, non dipende necessariamente dalla loro grandezza o dalla loro capacità astratta di influsso, ma dall’incidenza reale esercitata in un momento particolare: un fattore oggettivamente piccolo può essere l’elemento che fa scaturire il comportamento. Tutti i fattori concorrono alla messa in opera di un comportamento ed ognuno svolge la sua parte, in modo tale che l’esclusione di uno di essi può compromettere tutto il comportamento. Tenendo presenti i fattori «maggiori» e gli svariati fattori «minori» che intervengono nel comportamento soggettivo, è possibile comprendere più profondamente l’agire umano. È interessante non soltanto considerare la presenza di una pluralità di fattori ma anche, e forse soprattutto, la loro interazione «transazione». Non si tratta di chiedersi quale gruppo di fattori stia influenzando la situazione, né sembra utile chiedersi quanto peso abbia ogni gruppo di fattori. La questione importante sta nell’analizzare come tali fattori influiscano e come intervengano. Appare chiaro che tutti e due i gruppi di fattori devono essere presenti affinché il comportamento sia adeguato. La compresenza e il contributo di ogni fattore, senza escluderne nessuno, e soprattutto la loro armonizzazione e integrazione funzionale e produttiva costituiscono lo stimolo adeguato per la crescita del soggetto. Infatti, la capacità maturativa in generale e, più in concreto, la disponibilità dei soggetti ad imparare, è in funzione della transazione dell’insieme dei fattori presenti nel comportamento umano. L’attuale momento evolutivo del soggetto con il corrispondente livello di maturità raggiunto, la sua esperienza passata con la relativa problematica, e la situazione particolare che sta vivendo possono essere considerati come una sintesi dei fattori la cui analisi garantisce la conoscenza della situazione reale della persona e permette di scoprire la sua disponibilità a maturare e ad imparare. In chiave educativa, si tratta di identificare i «periodi critici», cioè, quei periodi privilegiati durante i quali è più facile, più piacevole e più gratificante la realizzazione di alcuni compiti o il raggiungimento di mete di s., oppure è più facile acquisire conoscenze, competenze ed abilità. In quest’ottica educativa, appare chiara l’importanza di conoscere il tipo di interazione dei diversi fattori e la situazione particolare del soggetto, in modo tale che possa essere colto il momento in cui l’educando si trova nella condizione ottimale per imparare e maturare. Questa scoperta esige come risposta, da parte degli educatori, un adeguamento della proposta educativo-scolastica. La distanza, o discrepanza, tra il punto in cui si trova l’educando e la meta da raggiungere deve essere tale che il soggetto si senta motivato a camminare nella direzione giusta e che l’obiettivo non sia così lontano da indurre scoraggiamento. Di conseguenza, la meta ideale (proposta con «discrepanza ottimale») è quella che presenta maggiore distanza tra il punto di partenza e il punto di arrivo e, nello stesso tempo, è altamente motivante e raggiungibile. Per poter verificare la validità della propria proposta, l’educatore ricorre al meccanismo del​​ feedback,​​ cioè, si avvale di parametri costituiti dall’interesse dell’educando, dalla sua costanza nell’impegno e dal profitto (risultato dell’impegno).

3.​​ Principi di s.​​ Due riflessioni permettono di capire diverse manifestazioni della crescita e, avendo delle implicanze operative, offrono elementi per favorirla. a)​​ Relazione tra la maturità e l’esercizio.​​ Maturità ed esercizio, costituendo i due aspetti correlati dell’apprendimento, condizionano fortemente il processo di s. della persona. La maturità, conseguenza della transazione dei diversi fattori di cui abbiamo detto più sopra, condiziona e fondamenta i risultati che la persona può raggiungere (che vanno dalle prime ed elementari attività psicomotorie fino alle più alte realizzazioni dei grandi maestri delle diverse scienze ed arti). Data la correlazione esistente tra la maturità e l’esercizio, la programmazione di quest’ultimo, che comprende tutti gli aspetti della persona, va calibrata in base alla raggiunta maturità del soggetto. Un alto grado di maturità raggiunto dalla persona permette di fare a meno dell’esercizio che, in questo caso, non avrebbe un’incidenza particolare sul risultato finale. Diversamente, l’esercizio può avere delle conseguenze altamente positive, se calibrato alle attuali possibilità della persona, ma anche profondamente negative e disfunzionali (anche se viene eseguito nel migliore dei modi), se è proposto ignorando la disponibilità del soggetto (infatti, se viene proposto alla persona quando questa non è pronta a realizzarlo, può non soltanto condizionare, ma persino bloccare lo s. regolare). b)​​ Continuità e cambio nello s.​​ I fenomeni del cambiamento dovuto allo s. appaiono in modo palese. Nonostante gli evidenti cambiamenti, anche se l’uomo non può essere inquadrato in un modo statico e definitivo secondo preconcetti e nemmeno secondo quadri teorici, possiamo scoprire certe tendenze costanti durante tutto l’arco evolutivo. Non è possibile «sezionare» il processo di s. e dividerlo come se un comportamento o una manifestazione non avesse niente a che vedere con gli altri o con quanto è avvenuto o avverrà nella persona. Ogni individuo ha un proprio modo di svilupparsi e di crescere che costituisce quasi la sua «matrice di crescita»; tale peculiarità è sempre presente e costituisce un fedele accompagnatore. Ci sembra che la conclusione più ovvia e rispettosa della persona umana sia quella di considerare la persona stessa come avente una propria individualità con la quale si va manifestando e realizzando in modi diversi e sempre più maturi. Da un punto di vista educativo, vanno stimolate le capacità evolutive dell’educando favorendo i cambiamenti verso un più alto grado di maturità. È molto funzionale informarsi sulle caratteristiche attuali degli educandi e, in base ad esse, ipotizzare le possibilità di crescita futura nel rispetto del diverso ritmo di s., delle difficoltà che essi possono incontrare e delle differenze individuali. Queste previsioni rispettose delle persone, in campo educativo, permettono di adeguare i compiti da proporre agli educandi e, più in generale, aiutano a calibrare, misurare e adattare (rendere più realistiche) le proprie aspettative sugli altri.

4.​​ Teorie dello s.​​ Ogni teoria dello s. osserva i diversi cambiamenti che intervengono nei soggetti in s. e che riguardano tutte le aree della personalità (motoria, intellettiva, psicosessuale, sociale, affettiva, morale, religiosa, ecc.), cerca di descrivere e relazionare i dati osservati e tenta una loro elaborazione e spiegazione. Ogni teoria inoltre propone il proprio modello di s. indicando la concezione antropologica di base, la qualità dello s. stesso e il modo di interagire dei diversi fattori coinvolti nel processo di crescita del soggetto. La divisione dello s. in periodi evolutivi è una modalità scientifica didatticamente e operativamente utile che consente di cogliere le diverse manifestazioni del processo di cambiamento umano. Tale divisione consiste nel raggruppare, in successivi momenti evolutivi (stadi, fasi, tappe, ecc.), le manifestazioni affettive, cognitive e comportamentali che presentano caratteristiche simili (senza per questo negare la peculiarità degli individui e degli aspetti raggruppati nello stesso momento evolutivo). La sequenza costituita dai diversi momenti evolutivi dà luogo ad un​​ «modello di s.»​​ e l’attenzione particolare rivolta all’evoluzione dell’una o dell’altra manifestazione fa sì che esista una pluralità di modelli. Nell’affrontare i problemi evolutivi in particolare, ma anche nella riflessione antropologica in generale, è di fondamentale importanza il modello di s. di riferimento. Ogni modello offre spunti per cogliere aspetti diversi della persona; ma, per formarsi una mentalità evolutiva rispettosa delle diversità ma anche dell’unitarietà dell’uomo in s., per evitare dicotomie o frammentarietà, è necessario integrare gli aspetti analizzati separatamente unificando le diverse componenti e sfere della personalità in una concezione globale e integrata della persona in s. In altre parole, si richiede che ogni approccio alla realtà evolutiva sia aperto alla considerazione delle diverse componenti della persona vista nella sua totale ricchezza, senza pregiudizi di partenza. Da un punto di vista educativo, sarebbe desiderabile che ogni teoria proponesse delle possibili linee educative per favorire lo s. umano; le linee suggerite avrebbero il pregio di porre una base relativamente sicura per l’intervento educativo, da un punto di vista teorico e aiuterebbero a prendere in considerazione i punti nodali da privilegiare nel processo maturativo della persona stessa. Per altri aspetti e significati specifici, si vedano le rispettive voci dello s.

Bibliografia

Miller P. H.,​​ Teorie dello s. psicologico,​​ Bologna, Il Mulino, 1987; Aparo A. - M. Casonato - M. Vigorelli,​​ Modelli genetico-evolutivi in psicoanalisi,​​ Ibid., 1989; Axia G. (Ed.),​​ La valutazione dello s.,​​ Roma, NIS, 1994; Fonzi A. (Ed.),​​ Manuale di psicologia dello s., Firenze, Giunti, 2001; Oliverio Ferraris A. et al.,​​ Introduzione alla psicologia dello s., Bari, Laterza, 2001; Camaioni L. - P. Di Blasio,​​ Psicologia dello s., Bologna, Il Mulino, 2002.

A. Arto




SVILUPPO MORALE

 

SVILUPPO MORALE

Con il termine morale, dal lat.​​ mos,​​ moris​​ (costume), si intende comunemente ciò che «concerne le forme e i modi della vita pubblica e privata, in relazione alla categoria del bene e del male» (Zingarelli, 1995). Di conseguenza, definiamo lo s.m. come il processo di progressiva acquisizione, padronanza e adesione a tali forme e modi di comportamento volto al bene (o al male) della persona (privato) e della persona nella sua relazione interpersonale (pubblico). Il problema dello s.m. viene affrontato da diversi settori di studio e solo entro un’ottica interdisciplinare può essere colto in tutta la sua portata. La prospettiva della psicologia evolutiva (prospettiva in cui ci poniamo) sarà, pertanto, necessariamente limitata rispetto alla vastità dell’argomento.

1.​​ Studio psicologico del problema morale.​​ Lo s.m. è qualitativamente diverso dagli aspetti dello s. generale dell’io o, almeno, individua delle sfaccettature che permettono od esigono che venga studiato separatamente. In una visione rispettosa dei bisogni, delle esigenze e delle potenzialità dell’uomo non si potrà prescindere dal considerare la componente m. Tale componente umana è la parte del sistema di​​ ​​ valori, personali e culturali, relazionata con i fini delle attività e degli impegni dell’uomo, con l’adeguamento o meno del comportamento a tali fini, e con la responsabilità inerente a quest’ultimo. Evidentemente, il comportamento m. ha modalità diverse di attuazione a seconda del momento evolutivo che la persona attraversa e si colora di varie tonalità a seconda del tempo e della situazione concreta in cui questa vive.

2.​​ Diversità di approcci nello studio dello s.m.​​ Lo studio psicologico dello s. fa riferimento fondamentalmente a due grandi modelli: meccanicistico e organicistico. Il modello meccanicistico descrive lo s. come una crescita di tipo quantitativo; l’uomo è visto come un essere reattivo che trova la fonte dei suoi valori nella struttura sociale. Il modello organicistico concepisce lo s. in termini di cambiamenti qualitativi e strutturali che si concretizzano nel progressivo passaggio da una fase o stadio al successivo; l’uomo appare come un organismo attivo che partecipa e costruisce il proprio processo di crescita. Questi due modelli hanno alla base una diversa concezione antropologica. Ma la diversa concezione antropologica cui fanno riferimento le varie correnti psicologiche implica anche una diversa impostazione e interpretazione dello s.m.​​ a) Approccio psicanalitico allo s.m.​​ L’antropologia alla base di molti contributi psicoanalitici è quella che diciamo del «peccato originale». Tale concezione parte dal presupposto che nella natura vi sia qualcosa di perverso; di conseguenza, il processo di​​ ​​ socializzazione è visto come una continua lotta tra l’individuo e la società in cui il primo è destinato è soccombere. La morale si presenta con una duplice veste: esterna e sociologica. Il bambino si sente forzato dall’esterno (morale esterna) ad avere un comportamento che gli consente di difendersi dai propri conflitti e dall’ansia provocata dalla repressione insinuata dalla proibizione genitoriale o sociale (morale sociologica). La maturità morale riflette la completa armonia degli istinti e del controllo razionale. La moralità dell’individuo che ha raggiunto la maturità è caratterizzata dalla rinuncia al principio del piacere per lasciare al principio della realtà la gestione del comportamento. L’Io organizza e gestisce Es e Super-Io.​​ b) Apprendimento sociale e s.m.​​ Le teorie S-R e varie correnti della teoria dell’apprendimento sociale applicata alla socializzazione hanno alla base una concezione antropologica che diciamo della​​ «tabula rasa»:​​ il bambino non è né corrotto né puro, bensì completamente malleabile e plasmabile senza limiti; la socializzazione, quindi, consiste in un processo di​​ ​​ condizionamento di un organismo fondamentalmente passivo. La moralità è descritta in termini di specifiche azioni e come realizzazione di ciò che è stato appreso attraverso i premi o le punizioni. Visto in questa prospettiva, lo s.m. altro non è che una trasmissione e interiorizzazione di valori altrui e, di conseguenza, l’uomo morale non è altro che un insieme di risposte condizionate e di abitudini apprese. Un aspetto fondamentale quale quello dell’autonomia e dell’indipendenza di giudizio viene totalmente escluso da questa visione. Nella più ricca visione di Bandura, lo s. (anche quello morale) è visto come un processo di apprendimento basato sull’acquisizione di nuove risposte, e sulla modificazione continua di quelle già esistenti, grazie all’osservazione di molteplici modelli, specie i genitori. In tale visione, la variabile fondamentale è rappresentata dall’affettività, cioè dall’interazione educativo-affettiva tra i genitori ed il bambino.​​ c) Approccio cognitivo-evolutivo allo s.m.​​ L’approccio cognitivo-evolutivo si rifà ad una concezione antropologica, che diciamo della​​ «purezza innata»,​​ secondo cui la natura umana è intrinsecamente buona ed è la società, e specialmente la società degli adulti, ad esercitare un influsso negativo sull’individuo. La socializzazione viene vista come un processo di s. in cui le intrinseche tendenze di crescita del bambino giungono ad una condotta sempre più adattata e autorealizzante. Lo s. (anche quello morale), processo fondamentalmente positivo, è visto come un emergere continuo di sempre più alte, efficaci e complete capacità di rispondere alla realtà esterna o, più precisamente, come una serie di tappe o stadi in ordine progressivo organicamente integrati tra loro e costituenti veri compiti di s. lungo l’arco evolutivo. Gli aspetti essenziali dello s. sono costituiti dalla capacità dell’uomo di organizzare la propria esperienza e di imporre la propria idea sull’ambiente. Lo s.m. (o, meglio, la maturità del giudizio morale) viene visto come un processo in cui l’individuo, per mezzo di strutture logiche nuove in ogni stadio di s., assume progressivamente il ruolo degli altri. In quest’ottica, il comportamento morale è quello che risulta dalla decisione basata su un giudizio sulla cosa giusta da fare; tale giudizio si fonda, a sua volta, sul principio che va dato rilievo a ciò che è giusto per gli altri e che il proprio comportamento va regolato sulla base di norme di giusto o sbagliato che si possono applicare all’altrui comportamento. Per essere in possesso di un elevato livello di moralità, si deve avere la capacità di comprendere la natura o i principi delle norme morali, di analizzare i problemi alla luce di tali norme, e di decidere se e come queste debbano essere applicate. La maturità morale consiste nella moralità basata sui principi (il più alto livello di giudizio morale): una moralità, cioè, che esige dal soggetto un’opinione personale, basata su principi razionalmente accettati e, possiamo anche dire, autogenerati. La maturità morale, per essere tale, non si limita alla sola capacità di prendere decisioni e dare giudizi che siano morali (governati da principi personali), implica anche un comportamento conforme a tali principi; richiede, cioè, che non ci si fermi all’aspetto del puro pensiero, ma che questo trovi il suo completamento nell’azione (coerenza tra pensiero e giudizio). In questa corrente cognitivo-evolutiva, danno il loro valido contributo​​ ​​ Piaget e​​ ​​ Kohlberg.

3.​​ Suggerimenti educativi.​​ Da un punto di vista educativo può essere utile considerare quanto segue: a) La crescita morale è favorita dalla stimolazione, da parte di persone significative, a procedere verso stadi più alti di pensiero; tale stimolazione si rende insufficiente (anche se garantita da una presenza continua e intensa) se l’educando non partecipa attivamente. b) Il movimento verso lo stadio superiore implica una riorganizzazione cognitiva; così, possiamo dire che il conflitto cognitivo e lo squilibrio, sono il motore centrale per la suddetta riorganizzazione cognitiva o per il movimento ascendente nella scala degli stadi. c) La discussione sui conflitti morali è un fattore che favorisce il progresso negli stadi di s. (Kohlberg): i diversi stadi che si propongono sono nuovi modi cognitivo-strutturali di assumere il proprio ruolo nelle situazioni conflittuali.

Bibliografia

Piaget J.,​​ Le jugement chez l’enfant,​​ Paris, PUF, 1932; Kohlberg L., «Stage and sequence: the cognitive-development approach to socialization», in D. Goslin (Ed.),​​ Handbook of socialization theory and research,​​ Chicago, Rand MacNally and Company, 1969, 347-480; Hoffman L., «Moral development in adolescence», in J. Adelson (Ed.),​​ Handbook of adolescent psychology,​​ New York, John Wiley and Sons, 1980, 295-343; Arto A.,​​ Crescita e maturazione morale.​​ Contributi psicologici per una impostazione evolutiva e applicativa,​​ Roma, LAS, 1984; Kurtines W. M. - J. L. Gewirtz,​​ Lo s.m. attraverso l’interazione sociale, Roma, Armando, 1998; Power F. C. - A. Higgins,​​ La educación moral según Lawrence Kohlberg, Barcelona, Gedisa, 1998; Pérez-Delgado - Ma. V. Mestre Escrivá (Edd.),​​ Psicología moral y crecimiento personal, Barcelona, Ariel, 1999; Kohlberg L.,​​ Psicología del desarrollo moral, Bilbao, Desclée de Brouwer, 2003.

A. Arto




TAGORE Rabindranath

 

TAGORE Rabindranath

n. a Calcutta nel 1861 - m. ivi nel 1941, filosofo, poeta, scrittore ed educatore indiano.

1. È considerato una delle più grandi personalità dell’India contemporanea. Nella scuola non gli piacquero le discipline e le restrizioni sulla libertà. Nel 1901 fondò la scuola di​​ Shanti-Niketan​​ e si dedicò intensamente all’attività letteraria, educativa e politica. T. ha scritto migliaia di poesie, romanzi, novelle, opere drammatiche, filosofiche e socio-politiche, e altri saggi, soprattutto sul tema dell’educazione; si dedicò inoltre a comporre musica e a 68 anni cominciò a dipingere. Nel 1913 ricevette il premio Nobel per il suo libro di poesia,​​ Gitanjali. Nel 1918 annunciò il suo progetto di trasformare la sua scuola in università internazionale,​​ Visva-Bharati. Dal 1919 a 1931 viaggiò in diversi Paesi del mondo soprattutto per ottenere aiuti per la sua nuova istituzione.

2. Per T. l’educazione ha primariamente uno scopo religioso e comprende lo sviluppo onnicomprensivo della persona. «Viviamo in Dio», dice T., «siamo chiamati a vedere Dio nella creazione e nella creazione vedere Dio». L’educazione è quella che fa della nostra vita un’esistenza armoniosa con tutta la creazione. Egli chiama questo tipo di educazione «educazione di simpatia» o «educazione simpatica». I bambini sono liberi e devono essere lasciati liberi di imparare dalle loro esperienze personali, dal contatto con il mondo della creazione e così godere la loro libertà. Questa libertà consiste anche nel camminare a piedi nudi, giocare con la terra, arrampicarsi sugli alberi, ecc. A questo fine T. fondò la sua scuola, dove i fanciulli, provenienti da qualsiasi casta, credenza o religione, potessero essere liberi di imparare a contatto con la natura. Difatti le lezioni erano tenute sotto gli alberi ed ampio tempo e spazio erano concessi per scoprire, osservare, riflettere, sperimentare, creare (pittura, dipinto, musica, danza, ecc.); l’istruzione così diventava un’arte, l’arte della vita. La sua scuola ha tutto l’aspetto di un’ashram​​ dove tutti, insegnanti e studenti vivono insieme come in una grande famiglia. Lo spirito d’amore personale dev’essere il principio guida dell’ashram, per realizzare il​​ regno di Dio​​ o​​ Dharma. Significativa importanza è data anche all’istruzione intellettuale e formale nel senso tradizionale.

3. T. fondò la​​ Visva-Bharati​​ con una visione universalistica dell’umanità e con lo scopo di creare una comunità dove tutti (artisti, poeti, scienziati, santi e mistici provenienti da qualsiasi casta, razza, religione o Paese) potessero vivere, lavorare e cercare insieme – maestri, insegnanti e alunni – la Verità, che è patrimonio di tutta l’umanità. È il miglior mezzo per promuovere la comprensione e la comunione tra l’occidente e l’oriente. L’università internazionale dev’essere permeata dall’ideale religioso della cultura indiana e cioè la​​ Mukti, la liberazione dell’anima dalla catena dell’egoismo che è la causa di tutti i mali, e la sua unione con l’Anima Infinita attraverso l’unione di​​ ananda​​ (felicità gioiosa e armoniosa) con l’universo. Il pensiero pedagogico di T. è essenzialmente spiritualistico, vitalistico e pragmatistico, però allo stesso tempo non manca di sfumature utopistiche.​​ Santi-Niketan​​ e​​ Visva-Bharati​​ sono luminosi simboli di questi grandi ideali e i loro messaggi (libertà, gioia, pace, pienezza di vita e amore universale) trascendono ogni barriera politica, culturale o religiosa.

Bibliografia

a)​​ Fonti: T. R. - L. K. Elmhirst,​​ R.T.,​​ pioneer in education: essays and exchanges between R.T. and L.K. Elmhirst, London, Murray, 1961; T.R.,​​ Teaching to children the idea of God, in «Visva Bharati Quarterly» 27 (1961) 1, 20-27. b)​​ Studi: Mukherjee H. B.,​​ Education for fulness, Bombay, Asia Publishing House, 1962; Delfino G.,​​ L’ideale educativo di R.T., Genova, Edizioni Pedagogiche, 1972; Ottonello G., «T.R.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol.​​ VI, Brescia, La Scuola, 1994, 11641-11646.

S. Thuruthiyil




TASSONOMIA

 

TASSONOMIA

Ordinamento classificatorio effettuato secondo uno o più principi (etim. gr.:​​ , ordine, e​​ , legge).

1. II termine t. (trad.: ingl.​​ taxonomy, fr.​​ taxonomie, ted.​​ taxonomie, sp.​​ taxonomía) è nato in biologia dove sta a indicare la scienza delle leggi di classificazione delle forme viventi; è passato poi a significare la scienza delle classificazioni in generale ed è stato infine impiegato, in quest’ultima accezione, anche nelle scienze umane, tra cui la​​ ​​ pedagogia. In ambito pedagogico si intende per t. una lista ordinata di obiettivi educativi che consente di analizzare una finalità educativa e di specificarne i diversi livelli di realizzazione possibile. Esistono numerose t. di obiettivi educativi e alcuni tentativi di andare oltre le t. ordinando gli obiettivi senza perdere di vista l’unità del sapere e l’unitarietà della persona che apprende.

2. Nel 1956 Benjamin Bloom completò la revisione dei documenti preparati da un gruppo di lavoro, composto da insegnanti, ricercatori e esaminatori scolastici, che si era costituito a Boston nel 1948 in occasione di un congresso dell’A.P.A., con l’intento di redigere un testo che consentisse di classificare il livello di difficoltà delle operazioni intellettuali richieste agli alunni per rispondere alle domande fatte più frequentemente durante gli esami.​​ Bloom pubblicò a New York, con la casa editrice McKay, la​​ Taxonomy of educational objectives: the classification of educational goal.​​ Handbook I: cognitive domain. Lo stesso autore avvertì che la suddivisione della sua t. in tre ambiti («cognitive», «affective» e «psychomotor») veniva fatta solo per motivi espositivi, mentre in realtà è impossibile dividere la persona in parti. Nel 2001 tale t. è stata rivista e modificata da L. W. Anderson e da D. R. Krathwohl. Nel 1964 Krathwohl, con la collaborazione di Bloom e di Masia, pubblicò la t. per l’area «affective», aggettivo che in italiano è stato malamente tradotto con «affettiva» mentre sarebbe più esatto parlare di area della volontà. Nel 1972, Anita Harrow completò il lavoro per l’area psicomotoria pubblicando, sempre a New York, la​​ Taxonomy of the psychomothor domain.

3. Anche le altre t. – oppure modelli e sistemi utilizzabili tassonomicamente –, che successivamente sono state prodotte riflettono una tricotomia di obiettivi, generalmente raggruppati in tre campi: «cognitivo» (ad es. quelle di J. Guilford, di R. Gagné-M. D. Merrill, di V. Gerlach-A. Sullivan, di A. De Block, di L. D’Hainaut), «affettivo» (ad es., quelle di W. French o di J. Raven) e «psicomotorio» (ad es. quelle di E. Simpson, di R. Dave, di R. Kibler-L. Barker-D. Miles). Le t. più numerose riguardano l’area «cognitiva»; tra di esse hanno avuto finora una maggiore diffusione, dopo la t. di Bloom e collaboratori, quelle di Guilford, Gagné e D’Hainaut. Guilford, a partire dal 1956, pubblica su riviste nord-americane di psicologia i risultati dei suoi studi sulla struttura dell’ intelligenza; quindi, nel 1967 raccoglie e organizza in un sistema tridimensionale i processi intellettuali precedentemente da lui studiati con l’analisi fattoriale, in modo tale da favorire la formulazione dei corrispondenti obiettivi educativi e la programmazione degli esercizi adeguati; anche se ha costruito un modello strutturale dell’intelligenza e non una t. il contributo di Guilford è stato utilizzato tassonomicamente. Gagné (1969) non prepara una t. degli obiettivi educativi ma sviluppa una gerarchia di schemi operativi che formano le fasi dei processi da attivare per realizzare gli apprendimenti richiesti dagli obiettivi assegnati. D’Hainaut (1980) propone una tipologia interdisciplinare per la classificazione degli obiettivi, che prevede venti classi.

4. Già nel 1977 Gilbert e Vivianne De Landsheere, a p. 20 del libro,​​ Définir les objectifs de l’éducation, pubblicato a Parigi, affermavano: «L’ideale è una t. unica, polivalente, nella quale si fondano i tre ambiti tradizionali e alla quale richiamare costantemente l’attenzione degli educatori, degli autori dei programmi scolastici e dei costruttori dei test circa la necessità di considerare l’individuo tutto intero». L’esigenza manifestata dai De Landsheere ha provocato varie proposte per garantire l’unitarietà dell’educazione, il collegamento dei modelli teorici con i contenuti dei programmi scolastici, l’uso agevole delle classificazioni da parte degli insegnanti. Alcuni hanno cercato di integrare fra di loro le diverse t. mentre altri sono andati oltre le t. Come esempio del primo tipo si segnala Steinaker-Bell e come esempio del secondo García Hoz perché i loro modelli sono stati sperimentati da lungo tempo, rispettivamente nelle scuole del Distretto Scolastico dell’Ontario-Montclair in California e nelle scuole dell’ associazione​​ Fomento de centros de enseñanza​​ in Spagna. II modello tassonomico di Norman W. Steinaker e M. Robert Bell (1974) si articola in cinque livelli gerarchici. García Hoz (1982) ha costruito un sistema di obiettivi fondamentali dell’educazione (S.O.F.E.) che supera la frammentazione degli obiettivi prodotta dalle t. L’autore ha rappresentato tridimensionalmente il suo modello: su di un lato vengono riportate le conoscenze, su di un altro le attività intellettive, su un terzo i valori. Il S.O.F.E. è stato completato, sviluppato e sperimentato in Italia da Zanniello (2002); apposite griglie consentono ora agli insegnanti di formulare gli obiettivi della programmazione mantenendo la visione unitaria del processo educativo.

Bibliografia

Krathwohll D. R. - B. S. Bloom B. - B. Masia,​​ Taxonomy of educational objectives: the classification of educational goal. Handbook II: affective domain, New York, McKay, 1964; Guilford J. P.,​​ The nature of human intelligence, New York, MacGraw-Hill, 1967; Gagné R.,​​ The conditions of learning, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1969; Steinaker N. W.- M. R. Bell,​​ The experiential taxonomy, New York, Academic Press, 1974; Vandevelde L. - P. Vander Elst,​​ Peut-on préciser les objectifs en éducation? Illustration de deux modèles, Labor, Bruxelles, I976; De Landsheere G. - V. De Landsheere,​​ Définir les objectifs de l’éducation, Paris, PUF, 1977; D’hainaut L.,​​ Des fins aux objectifs de l’éducation, Bruxelles, Labor,​​ 1980;​​ García Hoz V.,​​ Modelo de aprendizaje humano y sistema de objetivos fundamentales de la educación, Madrid, Universidad Complutense, 1982; Anderson L. W. - D. R. Krathwohl (Edd.),​​ A taxonomy for learning,​​ teaching and assessing: A revision of Bloom’s taxonomy of educational objectives.​​ Complete edition, New York, Longman, 2001; García Hoz V. et al.,​​ Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Palermo, Palumbo, 2002; Zanniello G., «Dal sistema degli obiettivi fondamentali dell’educazione alla programmazione educativa», in V. García Hoz et al.,​​ Dal fine agli obiettivi dell’educazione personalizzata, Ibid., 2002, 61-155.

G. Zanniello