1

SHELDON William Herbert

 

SHELDON William Herbert

n. a Warwik nel 1899 - m. nel 1977, psicologo statunitense.

1. Precocemente interessato al comportamento animale e ai problemi della classificazione – a 12 anni era già un numismatico di fama e aveva già scritto due volumi sulla classificazione delle monete – segue gli studi di medicina e psicologia. Dopo aver conseguito il dottorato all’Università di Chicago, studia psichiatria a Zurigo, dove entra in contatto con​​ ​​ Jung, e ha occasione di conoscere​​ ​​ Freud e Kretschmer. Tornato nel 1936 negli Stati Uniti, insegna dapprima psicologia alla Università di Chicago e si trasferisce quindi, nel 1938, alla Harvard University, dove svolge ricerche di tipo sperimentale in collaborazione con S. S. Stevens. Nel 1947 nominato direttore del Constitution Laboratory di medicina alla Columbia University di New York, si interessa in modo particolare delle relazioni tra malattie organiche e struttura fisica.

2. S. si propone di fondare su base empirica una psicologia costituzionale, definita come «lo studio degli aspetti psicologici del comportamento umano, nei loro rapporti con la morfologia e la fisiologia del corpo» (1940). Prendendo spunto da Ippocrate e Galeno nonché dalla tipologia elaborata da Kretschmer, e conducendo una serie di studi empirici su ben 4000 soggetti, identifica una serie di variabili oggettive che possono essere usate per descrivere il corpo. Sostituendo inoltre al concetto di tipo quello di variabile continua, getta le basi di una teoria strutturale della personalità. Sottolineando l’importanza per la psicologia dell’«antropologia fisica» espressa in termini di componenti, o variabili, che possono essere misurate e quantificate ai fini sia della struttura che del comportamento di quel «tutto unico struttura-comportamento che è la personalità umana», S. sostiene la stretta dipendenza dei tratti di personalità e di carattere dalla struttura corporea. Ritenendo che la «struttura fisica determini silenziosamente tutti i fenomeni del comportamento» e che «nel fisico lo psicologo possa trovare quelle costanti che costituiscono le salde infrastrutture, così necessarie per lo studio regolare e coerente del comportamento», elabora progressivamente una teoria caratterologica basata sul concetto di costituzione, intesa come la «costruzione del corpo», e cioè «quegli aspetti dell’individuo che sono relativamente più fissi e meno mutevoli» (Varieties of human physique,​​ 1940).

3. Sulla base di tali aspetti – identificati nella morfologia, fisiologia, funzione endocrina e che possono risultare, in contrasto aspetti relativamente più labili e suscettibili di modificazioni da parte delle pressioni ambientali, quali abitudini, atteggiamenti sociali, educazione – S. (1940) giunge a identificare 76 tipi corporei, riconducibili ai tre somatotipi endomorfo, mesomorfo e ectomorfo e a costruire un atlante per la identificazione rapida e oggettiva del somatotipo. Successivamente, sulla base della corrispondenza, stabilita empiricamente tra somatotipi e caratteristiche temperamentali, S. differenzia tre fondamentali tipi di carattere, a cui riconduce tra l’altro i diversi quadri psichiatrici: l’endomorfico-viscerotonico (sociale, rilassato, affezionato), il mesomorfo-somatotonico (energico, competitivo), e l’ectomorfo-cerebrotonico (inibito). Su questa base sostiene la corrispondenza tra somatotipo e specifici tratti temperamentali. Successive ricerche empiriche non hanno tuttavia confermato l’esistenza delle correlazioni tra caratteristiche somatiche e comportamentali, e hanno dunque messo in dubbio la validità della costruzione proposta da S.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ principali opere di S.:​​ The varieties of temperament: a psychology of constitutional differences​​ (1942);​​ Constitutional factors in personality​​ (1944);​​ Atlas of men: a guide for somatotyping the adult male at all ages​​ (1954). b)​​ Studi:​​ Hall C. S. - G. Lindsay,​​ Teorie della personalità,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1986; Caprara G. V. - R. Luccio (Edd.),​​ Teorie della personalità,​​ 3 voll., Bologna, Il Mulino, 1981-1992.

F. Ortu - N. Dazzi




SHINTOISMO

 

SHINTOISMO

Lo s., religione del Giappone, si basa sull’adorazione dei​​ kami​​ (divinità naturali). La parola​​ Shinto​​ viene da​​ shin​​ (divinità di luce) e​​ tao​​ (via); significa «la via degli dèi».

1. Lo s. nasce per distinguersi dal​​ ​​ Buddismo e richiama qualcosa di soprannaturale. Non ha fondatore, né sacre scritture, né dogmi, né interpreti autentici; ma esprime il sistema dei valori cui viene orientata ogni persona fin dalla nascita. I vari riti tendono a soddisfare i sensi dell’uomo e a pacificare la mente e il cuore.

2. Vi si distinguono tre forme: a) lo s. della Casa Imperiale che celebra ricorrenze e feste sia della famiglia dell’imperatore che dell’intera nazione. Il rituale onora​​ Amaterasu, la dea-madre della famiglia imperiale e dei giapponesi; b) quello dei templi (corrente principale) che raccoglie credenze, riti, feste, e strutture che sostengono circa 80 mila templi sparsi sul territorio (22 mila sacerdoti e 75 milioni di seguaci); c) quello popolare che forma lo strato profondo dell’anima giapponese e raccoglie gli elementi della religiosità in riti, usanze e pratiche assai in voga nel popolo.​​ Nello s. moderno il cuore del culto è il «tempio» in cui si celebrano molti riti ed è sempre aperto ai fedeli, che possono recarvisi per pregare e fare offerte. Gli spazi sacri sono più affollati nei giorni in cui cadono i «matsuri», cioè i festival nazionali. Il tipo di preghiera non segue regole specifiche, ed ognuno può avere espressioni personali. Ci si reca al tempio chiedendo protezione costante sulla famiglia e fortuna per superare difficoltà. La venerazione corrisponde sempre ad un contatto con il mondo naturale, che rende i templi oasi di pace all’interno delle caotiche città. Il culto sottolinea l’appartenenza dell’uomo all’universo di cui è cellula. I riti aiutano a comprendere le scelte da fare, offrono forza e sostegno per superare le difficoltà e supportano la visione spirituale del mondo. L’estetica del tempio (considerato​​ edificio mistico) aiuta a​​ respirare​​ la sacralità del mondo, come luogo sacro a cui in genere​​ canalizza. I rituali collettivi sono gestiti dai sacerdoti; sono molto dettagliati e rappresentano l’equilibrio del mondo. Il modello rituale divenne comune a tutti i templi nel XIX sec. Oggi, in una costante opera di modernizzazione, vengono introdotti nuovi modelli rituali.​​ 

3. Lo s. dà importanza​​ alla vita presente, di cui in ogni età celebra l’aspetto più significativo. Nel fluire eterno del tempo il presente è il punto di incontro tra l’uomo e la sua storia eterna. Nella​​ natura​​ lo s. vede l’azione dei Kami (dèi) più che la loro essenza. La mitologia giapponese narra di un anonimo Dio centrale, assoluto e trascendente, principio di ogni cosa, e mostra interesse per l’operare divino di cui vede in tutti i fenomeni l’opera del Kami, che implica: a) che ciascuno ha ricevuto la sua vita dal Kami attraverso gli antenati; b) che la vita quotidiana si rende possibile per la protezione divina; ciò costituisce la base dei diritti e dei doveri religiosi di ciascun uomo. Lo s. insegna che il volto deve essere il riflesso del cuore, «bello, puro e onesto», come il cuore del Kami. L’uomo ripristina la sua bellezza primordiale, dopo le colpe commesse, attraverso il rito della purificazione e l’attiva partecipazione alle feste del Kami, in cui la persona e il Kami entrano in comunicazione con preghiere, offerte, musica e danze. Le feste hanno importanza vitale in quanto rafforzano il legame di solidarietà e di coesione all’interno della comunità umana. Perciò, oltre alle feste annuali per tutto il popolo, vi sono molti riti di passaggio che interessano la famiglia nel suo complesso: la benedizione del neonato, la festa della crescita per ogni bambino / a che ha compiuto 3, 5, 7 anni; la festa della maturità per chi ha compiuto 20 anni, le nozze davanti al Kami.

4. Lo s. si pratica anche nelle case, dove si allestiscono altarini («mensola»), su cui è posto uno specchio (dà una rappresentazione dei kami) e vi si aggiungono altri oggetti sacri. L’altare serve per offrire preghiere e incenso, oltre ad una serie di elementi tradizionali tra cui il sale, l’acqua e il riso. In alternativa a templi ed altari domestici, anche la «natura» è un​​ luogo​​ sacro: montagne, laghi, isole, spiagge, foreste. Come ambienti incontaminati, sono l’espressione massima del divino, rappresentando una via per giungere a contemplare il sacro ed a percepire la dimensione divina dell’universo. La forza comunitaria si basa sulla famiglia e ogni tipo di comunità è una sua estensione: la scuola è la propria famiglia estesa nel campo educativo; la fabbrica nel campo del lavoro. Lo s. inculca un profondo senso di appartenenza e di adesione alla propria famiglia, promuovendo valori di lealtà, di laboriosità, di solidarietà.

Bibliografia

Dizionario Enciclopedico Larousse, Milano, Ed. Peruzzo-Larousse, 1990; Breully E. - M. Palmer,​​ Le religioni nel mondo,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme, 1994;​​ Sottocornola F. (Ed.),​​ «S. La via degli Dèi». La religione autoctona del Giappone,​​ Bologna, «Sètte e religioni», quad. 31, 2002; Bellinger G. J.,​​ Enciclopedia delle religioni, Milano, Garzanti, 2004; La Biblioteca di «Repubblica»,​​ Storia delle religioni. Cina - Estremo Oriente, Roma, G. Laterza & Figli, 2005.

G. Morante




SICUREZZA

 

SICUREZZA

La s. è un sentimento di stabilità e di benessere che dà fiducia e serenità alla persona, dispone alla relazione interpersonale e apre al futuro. Sotto il profilo psicodinamico la s. si pone al livello dei​​ ​​ bisogni psico-sociali che presiedono all’autoconservazione e al benessere psicologico. In tal senso essa conferisce alla persona le premesse per dare un certo ordine e senso alla vita, percepita come stimabile e soddisfacente. In quanto motivazione centrale, la s. sta alla radice del sentimento di identità e costituisce uno degli obiettivi di base per la formazione della​​ ​​ personalità.

1.​​ Origine ed evoluzione.​​ La s. sorge da un processo primario di​​ ​​ identificazione, anzitutto con la figura materna, da cui dipende la fiducia di base, l’accettazione profonda di sé e l’apertura all’amore, e quindi con la figura paterna, connessa con il bisogno di guida autorevole, di sostegno per l’orientamento e di conferimento di stabilità. Oltre alla base familiare, la s. richiede identificazioni anche con il contesto socioculturale e con le istituzioni che possono fornire modelli formativi di riferimento, come la scuola, la comunità civile, religiosa, ecc. Una carente identificazione primaria e secondaria espone la persona a insicurezza, sfiducia di sé e soprattutto ad instabilità. Pertanto un contesto educativo e socio-culturale inadeguato può minare in radice la formazione del sentimento di s.

2.​​ Condizioni per la s.​​ Oltre a quelle indicate, sono essenziali nell’età evolutiva le condizioni di accoglienza nella vita di gruppo e soprattutto l’​​ ​​ amicizia, che conferiscono fiducia e stima alla persona. Inoltre è essenziale l’apporto delle istituzioni educative e formative, chiamate ad evitare e contrastare gli errori pedagogici che possono portare alla insicurezza o anche al disadattamento.

3.​​ Una pedagogia della s.​​ Nella formazione di questo sentimento, che corrisponde ad un bisogno fondamentale, è importante prefigurare e garantire un percorso educativo che tenga conto di alcuni interventi essenziali: accoglienza autentica e amorevole della persona, senza pregiudizi e senza attese indebite; stima della persona, fondata non tanto sull’esito del comportamento quanto sulla fiducia nei potenziali evolutivi che permettono alla persona di crescere; valorizzazione positiva e riconoscimento del valore, soprattutto dell’educando, attraverso la considerazione positiva e l’avvio ad una autonomia e capacità decisionale fondate sulla​​ ​​ responsabilità personale; sperimentazione crescente delle capacità autonome di guida della propria vita, a partire da una progressiva autogestione fino alla capacità consolidata di instaurare relazioni e collaborazioni; sostegno di un quadro concettuale che cresca con lo sviluppo cognitivo dell’educando, in modo da fondare il sentimento del valore su una piattaforma valoriale di riferimento.

4.​​ Prevenzione e trattamento dell’insicurezza.​​ La mancanza di s. e il sentimento di insicurezza pongono le premesse per sofferenze psicologiche, disadattamento e talora anche esiti di natura psicopatologica. È per questo che una pedagogia preventiva della s. garantisce e cura le condizioni socio-ambientali e istituzionali per la crescita normale di questo sentimento-bisogno. La prevenzione è volta a contrastare i fattori che possono intaccare fin dall’inizio il sorgere di questo sentimento. Oltre a ciò appaiono importanti gli interventi psicopedagogici volti alla valorizzazione positiva della persona e alla sperimentazione di percorsi di consolidamento e di recupero della s. L’educatore può aiutare l’educando a ricostruire strade sbagliate, a sperimentare via via traguardi successivi di s. personale e sociale, aprendo ai valori che danno senso alla vita. La prevenzione del disadattamento connesso con l’insicurezza è soprattutto necessaria nel garantire un quadro valoriale autentico, perché lo squilibrio o la carenza dei valori o la presenza di disvalori compromettono fin dall’inizio la formazione di questo sentimento-bisogno.

5.​​ Conclusione.​​ La s. non è solo un bisogno dell’educando, ma anche dell’educatore; infatti essa si costruisce a partire dall’adulto. Divenire adulto consolidando la s., ancorandola ai valori e alla fedeltà, costituisce la premessa essenziale per la formazione del sentimento-bisogno di s. non solo nell’infanzia, ma anche nelle successive tappe di sviluppo della persona; e costituisce una condizione fondamentale per una azione educativa positiva ed efficace.

Bibliografia

Giusti E.,​​ Autostima,​​ Psicologia della s. in sé,​​ Roma, Sovera, 1995; Meins E.,​​ S. e sviluppo sociale della conoscenza. Nuove prospettive per la teoria dell’attaccamento,​​ Milano, Cortina, 1999; Siegel D. J.,​​ La mente relazionale, Ibid., 2001; Bartolucci M. - B. La Rocca,​​ Un mondo diverso è possibile? Le ragioni dell’insicurezza: una lettura mondiale,​​ Torino, Lighea, 2002.

S. De Pieri




SIGNIFICATIVITÀ STATISTICA

 

SIGNIFICATIVITÀ STATISTICA

La s.s. designa il grado di​​ ​​ probabilità che in un insieme «infinito» di misure il punteggio ottenuto possa essere attribuito a un fattore diverso dal caso.

1. Il procedimento seguito abitualmente per il controllo della s.s. si basa sulla formulazione dell’ipotesi nulla, sulla specificazione di un livello di s. e della numerosità del campione necessaria per il rigetto dell’ipotesi nulla. L’ipotesi nulla (H0) esprime quel che ci si aspetta se il fenomeno studiato è dovuto al caso. Congiuntamente all’ipotesi nulla si formula un’ipotesi alternativa (H1), che esprime l’influsso di uno o più fattori alternativi al caso, di solito identificati in base ad un esame della letteratura teorica e sperimentale sull’argomento oggetto di studio. A questo punto, si sceglie un test statistico (chi2, analisi della varianza, ecc.) che consenta di «falsificare» H0: provando la falsità dell’ipotesi nulla (ossia dell’influsso dominante del caso sul fenomeno) indirettamente si «corrobora» H1.

2. A questo punto, bisogna fissare quale livello di s. (α) riteniamo necessario e sufficiente per rigettare H0. La scelta del livello di s. si riferisce alla percentuale di casi «estremi», non congruenti con l’ipotesi nulla, che si ritiene tollerabile. Ad es., si può determinare che se su un​​ ​​ campione di 300 casi il 5% o meno dei fenomeni osservati non è congruente con l’ipotesi dell’influsso del caso, H0​​ verrà rigettata (e conseguentemente verrà accettata H1). A seconda del tipo dei dati, del tipo di ipotesi alternativa e della potenza del test statistico prescelto, la proporzione dei casi anomali tollerati potrà scendere all’1 % o allo 0,1% e la numerosità dei casi a cui è necessario estendere le osservazioni potrà aumentare. Quanto più grande è α tanto maggiore è la probabilità di rigettare l’ipotesi nulla quando in realtà essa è vera («errore di I tipo»). Si incorre invece in un «errore di II tipo» quando l’ipotesi nulla è falsa e non viene rigettata. La probabilità (β) di commettere questo tipo di errore viene controllata mediante la potenza del test statistico prescelto, la numerosità del campione e l’entità della varianza nella popolazione esaminata.

Bibliografia

Cristante F. - A. Lis - M. Sambin,​​ Statistica per psicologi,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1982; Siegel S. - N. J. Castellan,​​ Non-parametric statistics for the behavioral sciences,​​ New York, McGraw-Hill, 1988; Hays W. L.,​​ Statistics for the social sciences,​​ New York, Holt,​​ 51994; Di Nuovo S.,​​ Fare ricerca. Introduzione alla metodologia per le scienze sociali, Acireale-Roma, Bonanno, 2003.

L. Boncori




SILENZIO

 

SILENZIO

Il s. è un’esperienza così universale ed insieme così segnata dalla personalità di ognuno, da trovare ampia considerazione in campo educativo, normalmente nell’ambito della​​ ​​ comunicazione, e dunque in stretto rapporto con la parola.

1. Anzitutto l’educazione riconosce che possono essere diverse​​ le forme​​ del s.: vi è un s. scelto ed imposto, interiore ed esteriore, davanti a Dio (adorazione), rispetto alle persone, a confronto di avvenimenti; riconosce soprattutto che sono differenti i​​ significati​​ del s., anzi che per sua natura esso è ambivalente, in quanto può essere espressione di verità e di finzione, di dedizione e di sdegno, di rispetto e di rifiuto, di concentrazione e di timidezza. Per questo l’educazione si impegna a qualificare il s. con valori umani, morali e spirituali, formando la persona​​ al saper tacere e al voler tacere,​​ a darsi cioè delle ragioni per cui si tace e si parla, usando in maniera costruttiva, per sé e per gli altri, questa grande risorsa del s.

2. In tale prospettiva emergono​​ specifici obiettivi​​ educativi, sovente attinti dalla sapienza dei popoli: a) «Vi è un tempo per tacere ed un tempo per parlare», dice la Bibbia (Qo 3,7): significa che il s., come la parola, non può scaturire dall’arbitrio e dal capriccio, ma va commisurato sui bisogni della verità e della vita. b) «Parla quando la tua parola è migliore del tuo s.», ammonisce un saggio indù: si rivendica così il valore della parola mettendo in luce come il s. che riflette sia 1’abituale atteggiamento di una persona. c) «Il s. è sacro», annota la​​ Regola​​ di s. Benedetto: si vuole sottolineare la capacità del s., specialmente in ambito religioso, di far cogliere​​ in primis​​ la voce della coscienza, le mozioni dello Spirito, i delicati messaggi della vita interiore, altrimenti soffocati dai mille rumori. Per questo il s. primario è quello interiore, che però può realizzarsi mediante la disciplina del s. esteriore.

3. A questo proposito,​​ ​​ Montessori ha elaborato per i bambini una pedagogia atta alla scoperta attiva di un affascinante «mondo del s.», riguardante la natura, le cose, le persone, Dio stesso.

Bibliografia

Montessori M.,​​ La scoperta del bambino, Milano, Garzanti, 1950; Picard M.,​​ Il mondo del s.,​​ Milano, Edizioni di Comunità, 1951; Lubienska de Lenval H.,​​ Le silence à l’ombre de la Parole,​​ Tournai, Casterman, 1965;​​ Silence,​​ in «Lumen Vitae» 50 (1995) 4 (monogr.); Fiorentino G.,​​ Il valore del s. Sconfinamenti tra pedagogia e comunicazione, Roma, Meltemi, 2003.

C. Bissoli




SIMBOLO

 

SIMBOLO

Il s. nell’interpretazione tradizionale, proposta da​​ ​​ Aristotele e seguita nell’epoca classica (syn-ballo:​​ getto, metto assieme, unisco) faceva riferimento alla percezione interiore e alla sua manifestazione in suoni e in parole.​​ ​​ Agostino porta l’attenzione sul fatto che i segni sono propri o trasposti; rileva quindi una dilatazione possibile – trasposizione – ad altra realtà significata attraverso il s.

1. Fino ad epoca recente l’interpretazione del s. era legata alla concezione del​​ ​​ linguaggio, inteso come «strumento» di comunicazione del pensiero, deputato a lasciar trasparire la «conformità» fra pensiero e realtà –​​ adaeguatio intellectus et rei​​ –.​​ In questo senso la distinzione fra segno e s. era irrilevante. La riflessione recente e contemporanea ha visto nel linguaggio un’area privilegiata di ricerca: «Mi sembra che oggi vi sia un’area in cui tutte le ricerche si incrociano reciprocamente: quella del linguaggio» (Ricoeur, 1965, 13).

2. Il linguaggio è l’orizzonte stesso del pensiero e del processo interpretativo della realtà. La divaricazione si delinea netta nella riflessione heideggeriana. Per la tradizione l’uomo ha la capacità di conoscere –​​ logon ekon​​ –, per Heidegger invece l’uomo è in quanto conosce. La comprensione non è una funzione conoscitiva, è il modo stesso di essere dell’uomo (Heidegger, 1969). Il s. assurge ad elemento qualificante e rivelativo della forza del linguaggio, viene analizzato da varie discipline e reca l’accentuazione specifica che le caratterizza; ad es. nell’ambito della psicanalisi come espressione del subconscio (P. Diel); o come manifestazione di archetipi (​​ Jung).

3. Singolare attenzione vi è dedicata dall’​​ ​​ antropologia. Per J. Lacan il s. consente al singolo di organizzare una comprensione unitaria e organica del mondo che gli è proprio; Lévy-Strauss a sua volta raccoglie l’intera visione culturale sotto i segni simbolici che la rendono significativa. Con Cassirer il s. viene situato a perno dell’interpretazione della stessa cultura (Cassirer, 1971). In ambito religioso l’analisi del s. consente un’autentica reinterpretazione delle varie manifestazioni della religione (J. Ries).

4. Sotto il profilo educativo si può assegnare al s. una triplice funzione: a) consente a colui che lo emette o lo riceve di articolare il proprio mondo culturale e quindi di mettersi in comunicazione con altri che partecipano della stessa cultura; b) più che designare le caratteristiche di un oggetto tende a far parlare il mondo dei significati di cui la realtà espressa è portatrice e mediatrice: in un certo senso si può dire che il s. dà voce alla realtà e la trasferisce dalla sua rudimentale fattualità all’orizzonte di significato; c) il s. si può quindi opportunamente distinguere dal segno che invece designa una realtà precisa nelle sue specifiche e concrete connotazioni.

Bibliografia

Lévy-Strauss C.,​​ Les structures élémentaires de la parenté,​​ Paris, PUF, 1949; Ortigues E.,​​ Le discours et le symbole,​​ Paris, Aubier-Montaigne, 1962; Ricoeur P.,​​ De l’interprétation,​​ Paris, Seuil, 1965; Heidegger M.,​​ Essere e tempo: l’essenza del fondamento,​​ Torino, UTET, 1969; Cassirer E.,​​ Saggio sull’uomo,​​ Roma, Armando, 1971; Eliade M.,​​ Trattato di storia delle religioni,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1972; Di Nola A. M., «S.», in​​ Enciclopedia delle religioni,​​ Firenze, Vallecchi, 1973; Chauvet L. M.,​​ Linguaggio e s. Saggio sui sacramenti,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1982;​​ Ladrière J.,​​ L’articulation du sens,​​ Paris, Cerf, 1984; Pieretti A., «S.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. VI, Brescia, La Scuola, 1994, 10724-10731.

Z. Trenti




SIMULAZIONE

 

SIMULAZIONE

Il termine deriva dal lat.​​ similis​​ (ingl.​​ simulation, fr.​​ simulation, sp.​​ simulación, ted.​​ vortäuschung) e si riferisce a metodologie educative basate su una finzione,​​ rappresentazione o riproduzione virtuale di situazioni, cose, persone, reali o ipotetiche.

1. La s. può includere dimensioni di ricerca, con elaborazione di modelli teorici e applicativi in aree e metodologie come 1’euristica, il​​ problem finding,​​ il​​ problem solving,​​ i processi decisionali, l’orientamento, ecc., permettendo «di realizzare e, talvolta, di vivere situazioni che, a causa degli alti rischi o dei limiti della capacità percettiva umana, ma anche dell’estrema complessità dei fenomeni o dei costi elevati di una loro osservazione diretta, sarebbe impossibile indagare» (De Finis, 1994). È frequente l’uso di attrezzature tecnologico-didattiche e informatiche.

2. La s. è usata nell’educazione, per l’apprendimento e la maturazione personale, con modelli individualizzati per la ricostruzione e la ripetizione di sequenze, connessi a dimensioni evolutive e differenze individuali; si sottolineano l’attivazione della motivazione e la duttilità in situazioni diverse. Didatticamente, la s. attiva processi cognitivi e soluzione di problemi, per es. in ambito informatico (Krasnor e Mitterer, 1984; Chambers, 1987), con sinergie tecnologiche (Crookall, 1988), formative e multimediali (Kozma, 1991), con applicazioni nell’istruzione programmata e nel gioco didattico​​ (Desideri, 1989). Si distingue (Taylor e Pham 1999) tra s. di processi (per es. immaginarsi mentre si scrivono consigli per nuovi iscritti all’università) e s. di prodotti o risultati (per es. immaginarsi impegnati a scrivere consigli per le​​ matricole, con attenzione ai risultati e alle reazioni degli studenti, ansiosi e diversamente interessati alle varie parti del saggio). Ricerche statunitensi (UCLA, California) hanno verificato sperimentalmente che la s. di processo ha facilitato la pianificazione di un breve saggio scritto e la s. di prodotto ha migliorato la motivazione e l’auto-efficacia (ivi).

3. Nella pratica educativa e nella ricerca sperimentale la s. si applica nel trasmettere l’informazione e nei processi di apprendimento, specialmente in contesti a rischio​​ (per es. in educazione civica per l’uso di materiali pericolosi, simulando conseguenze, nell’educazione sanitaria, ecc.). Con la diffusione di metodologie informatiche la s. è spesso associata al concetto di realtà virtuale,​​ con applicazioni educative sul piano individuale e sociale: per es., s. di attività interattive sia pur nell’assenza di più persone. Il crescente uso metodologico della s. sollecita istanze valutative sul costrutto in oggetto (White, 1989) soprattutto sul piano etico e pedagogico-sperimentale.

Bibliografia

Krasnor L. R. - J. O. Mitterer,​​ Logo and the development of general problem-solving skills,​​ in «The Alberta J. of Educational Research» 30 (1984) 133-144; Crookall D.,​​ Combining the new technologies and simulations: an overview,​​ in «Simulation Games for Learning» 18 (1988) 1 4-10;​​ White C. S.,​​ Directing the software evaluation process: a guide for evaluators,​​ in «Social Education» (1989) 67-68; Desideri I., «Gioco didattico», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. III, Brescia, La Scuola, 1989, 5476-5480;​​ Kozma R. B.,​​ Learning with media,​​ in «Review of Educational Research» 61 (1991) 21-29;​​ De Finis G., «S.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. VI, Brescia, La Scuola, 1994, 10740-10742;​​ Taylor S. E. - L. B. Pham,​​ The effect of mental simulation on goal-directed performance, in «Imagination, Cognition and Personality» 18 (1998-99) 253-268.

G. Boncori




SINDROME DI DOWN

 

SINDROME DI DOWN

La s.d.D. consiste nell’insieme delle caratteristiche e delle manifestazioni del soggetto affetto da un’aberrazione cromosomica. L’aberrazione sta nel fatto che durante la divisione delle cellule germinali nel cromosoma 21 non avviene la necessaria disgiunzione prima della ovulazione e di conseguenza esso presenta un cromosoma in più. Questa irregolarità si riproduce poi in tutte le cellule e porterà ad uno sviluppo anomalo dell’intero organismo. Il soggetto affetto da questa irregolarità si chiama soggetto Down. La s.d.D. non è molto frequente, poiché si verifica una volta su 770 nascite ed è associata all’età della madre, ma la causa è incerta (Hodapp e Freeman, 2003).

1. I soggetti Down sono facilmente riconoscibili dalle sembianze esterne: forma degli occhi e degli arti, lentezza dei movimenti e della posizione. L’anomalia cromosomica causa un invecchiamento precoce, porta al rallentamento della circolazione sanguigna ed a facile affaticamento. I soggetti presentano, inoltre, problemi di udito, trovano difficoltà ad acquisire vocaboli e una sintassi corretta; hanno pure difficoltà a prestare attenzione ed ascolto. Non presentano invece problemi di​​ ​​ comunicazione con i loro coetanei e con persone di ogni età. Il soggetto Down condiziona notevolmente la gestione della vita della sua famiglia. I genitori devono essere verso il figlio Down realisti ma nello stesso tempo devono nutrire la fiducia di poter attivare le sue risorse (Visconti, 1989). La marcata differenza nello sviluppo generale e cognitivo tra soggetti Down che vivono nelle istituzioni rispetto a quelli che vivono in famiglia, dimostra quanto sia importante per loro un ambiente stimolante.

2. Tra i vari approcci per promuovere le abilità gestionali dei soggetti Down sembra più efficace quello comportamentale. Infatti con il rinforzo positivo, con il​​ modeling​​ (apprendimento osservativo) e con il concatenamento è possibile far apprendere loro il comportamento adattivo (una discreta autonomia personale) e a ridurre quello disadattivo.

Bibliografia

Mastroiacovo P. - J. E. Rynders - G. Albertini,​​ La s.d.D.: nuove prospettive medico-psico-pedagogiche,​​ Roma, Pensiero Scientifico, 1981; Danileski V.,​​ La s.d.D.: un contributo all’abilitazione del bambino Down,​​ Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 1985; Visconti W., «Down, s. di», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol.​​ II,​​ Brescia, La Scuola, 1989, 4109-4111; Matson J. L. (Ed.),​​ Handbook of behavior modification with the mentally retarded,​​ New York, Plenum Press,​​ 21990; Hodapp R. M. - S. E. N. Freeman,​​ Advances in educational strategies for children with Down syndrome,​​ in «Current Opinion in Psychiatry» 16 (2003) 511-516.​​ 

K. Poláček




SINISTRERO Vincenzo

 

SINISTRERO Vincenzo

n. a Diano d’Alba (Cuneo) nel 1897 - m. a Roma nel 1980, educatore e pedagogista italiano.

1. Compiuti gli studi ginnasiali, S. entra a far parte della Congregazione dei​​ ​​ Salesiani. Ordinato sacerdote, e ottenuta la laurea in lettere presso l’Università Cattolica di Milano, esplica una intensa attività d’insegnamento in istituti di livello secondario e superiore. Il lavoro educativo si coniuga, in S., con la promozione d’iniziative culturali e con la partecipazione in associazioni professionali, dando un particolare contributo alla fondazione (1945) e allo sviluppo della Federazione Istituti Dipendenti dell’Autorità Ecclesiastica. All’epoca della Costituente è vicino ai parlamentari d’ispirazione cristiana. Come esperto nel campo della politica dell’educazione, è chiamato spesso a rappresentare la Santa Sede in organismi internazionali. Dal 1944 realizza una pregevole opera di docenza e di ricerca presso l’Univ. Pont. Salesiana (​​ Facoltà di Scienze dell’Educazione).

2. Nell’opera di studioso e di scrittore, privilegia alcuni settori: scuola cattolica e difesa della libertà d’insegnamento, legislazione scolastica, formazione professionale. Una speciale attenzione vi è dedicata all’analisi comparativa dei sistemi scolastici nei diversi Paesi occidentali. S. pubblica alcuni saggi pionieristici nell’ambito della pedagogia comparata in Italia. Quanti hanno conosciuto da vicino S. ne apprezzano la ricca personalità (vivacità intellettuale e simpatia, forza di volontà, profondo senso religioso, carattere forte e sensibilità squisita, apertura agli orizzonti della cultura moderna) e l’appassionata dedizione al servizio della scuola. Per i meriti in questo campo, gli fu conferita la medaglia d’oro dal Ministero della P.I. (1977).

Bibliografia

Tra gli scritti più significativi di S.:​​ Verso la libertà della scuola mediante la parità, Torino, SEI, 1947;​​ Problemi attuali della scuola, Ibid., 1956;​​ Scuola e formazione professionale nel mondo, Zürich, PAS-Verlag, 1963;​​ Il Vaticano II e l’educazione, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1967;​​ Politiche di educazione permanente e sviluppo, Torino, SEI, 1975; Prellezo J. M., «S., V.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. VI, Milano, La Scuola, 1994, 10757-10758.​​ 

J. M. Prellezo




SISTEMA FORMATIVO

 

SISTEMA FORMATIVO

Sta ad indicare sia il complesso delle istituzioni che svolgono la funzione formativa sia l’organizzazione del corso degli studi. L’espressione sottolinea l’idea che tali strutture costituiscano come​​ un tutto,​​ un’unità,​​ un insieme​​ che presenta regole e compiti comuni.

1.​​ Il modello di riferimento. Benché nel mondo la varietà dei s.f. sia grande, tuttavia, da quando nel 1972 l’Unesco ha lanciato il modello dell’​​ ​​ educazione permanente, si può dire che tutti i Paesi vi hanno riconosciuto un quadro di riferimento. Questo ruota attorno a quattro assunti principali. Anzitutto, l’educazione di ogni uomo, di tutto l’uomo per tutta la vita richiede il coinvolgimento lungo l’intero arco dell’esistenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). Il s.f. deve prevedere la possibilità di spezzare la sequenza della educazione in diversi tempi – in modo da rinviarne parte o parti a un momento successivo al periodo della giovinezza – e di alternare momenti di studio e di lavoro (alternanza, ricorrenza). In terzo luogo, l’educazione è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestirne democraticamente le varie iniziative (cité educative, o società educante). Infine, l’educazione dovrà costituire un diritto di tutte le persone e di tutti i popoli, presentare un carattere propositivo, offrire strumenti per l’elaborazione di un progetto personale di vita e stimolare l’educando a porsi in maniera critica e innovativa rispetto ai messaggi trasmessi e ai valori circolanti nella società (educazione liberatrice).

2.​​ Le strategie di sistema. Essendo il problema nord / sud la questione più grave che l’umanità dovrà affrontare nel futuro prossimo, gli interventi sul piano​​ mondiale​​ diventano la priorità delle priorità. In altre parole, non è possibile pensare di risolvere i problemi educativi sul piano locale se non si risolvono al tempo stesso i problemi a livello mondiale, se non si riesce ad es. a ridurre in misura importante le diseguaglianze di opportunità formative tra i Paesi del nord e del sud. Un altro gruppo di strategie rientrano nel cosiddetto​​ sistema integrato: questo significa il coordinamento tra le diverse strutture educative che consenta di valorizzare i rapporti di complementarità esistenti e di favorire transizioni complesse, in vista della realizzazione di sinergie generali e della creazione di una vera coerenza formativa. La​​ cité éducative​​ del Rapporto Faure, o la tesi del rapporto Delors che l’educazione riguarda tutti i cittadini, resi ormai attori da consumatori passivi che erano prima, non si possono attuare partendo solo dallo spontaneismo della società civile, ma richiedono anche un intervento del centro che dovrà dare l’impulso, offrire una guida e valutare l’attività della periferia. Inoltre, lo Stato non è più in grado da solo di affrontare i problemi formativi, ma la sua azione dovrà essere completata dall’intervento del «privato sociale» e del mercato, cioè bisogna ipotizzare una​​ dinamica sociale a tre dimensioni. Il «privato sociale» comprende le iniziative che, pur promosse da privati, sono finalizzate a scopi pubblici: pertanto, esse dovrebbero essere sostenute dal denaro di tutti, sebbene non completamente, perché conservano sempre un carattere e una responsabilità privata. In terzo luogo, si dovrebbe fare ricorso al mercato libero per utilizzare anche le sue grandi risorse a condizione che siano garantite la qualità del servizio e l’eguaglianza delle opportunità.

Bibliografia

Faure E.,​​ Learning to be, Paris / London, UNESCO / Harrap, 1972; Durand-Prinborgne C., «Système éducatif», in P. Champy - C. Étève (Edd.),​​ Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la formation,​​ Paris, Nathan, 1994, 956-958; Delors J. et al.,​​ L’éducation.​​ Un trésor est caché dedans, Paris, UNESCO / Odile Jacob, 1996; Malizia G.,​​ Società cognitiva e politiche della formazione nell’Unione Europea, in «ISRE» 6 (1999) 1, 28-50; Nanni C.,​​ La riforma della scuola: le idee,​​ le leggi, Roma, LAS, 2003.​​ 

G. Malizia