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SCUOLA RURALE

 

SCUOLA RURALE

Tradizionalmente per s.r. si intende quella s. che si trova in nuclei di popolazione agricola (villaggi, case coloniche, borgate, fattorie, masserie, tenute) a volte definita nelle leggi riguardanti l’educazione in base al numero di abitanti (per es. meno di 5000).

1. Dal punto di vista educativo le s.r. sono quelle che si trovano in campagna, che sono carenti di cultura, di stimoli educativi, di mezzi e di prospettive di miglioramento sociale e che sono generalmente unitarie e monodidattiche (un solo​​ ​​ maestro per tutte le età), in contrapposizione alla s. urbana, ricca, omogenea, graduata e che rende possibile il cambio sociale. Nella maggioranza delle pubblicazioni fino al primo terzo del sec. XX si confonde s.r. con s. primaria, di adulti e istruzione popolare. Fino alla prima guerra mondiale nella legislazione di alcuni Paesi si definivano «s. incomplete» (non vi si insegnava il programma completo) e in quasi tutti, «s.r.». Dove queste s. esistevano, erano miste, non per ragioni pedagogiche e sociali ma per mancanza di mezzi. All’inizio del sec. XX la Russia aveva delle s.r. modello (di una o due classi) di insegnamento elementare complete mentre in Germania quelle che avevano un solo maestro erano tutte rurali e separate per sesso. In Svezia vi erano 16 s.r. superiori e in Danimarca s. superiori di campagna, fondate da N. Grundtvig nel 1844; «superiore» significava il grado più avanzato dell’insegnamento primario. Certamente, le s.r. sono state le s. tradizionalmente più trascurate in tutti i Paesi.

2. Le​​ Raccomandazioni​​ dell’Unesco del 1956 e del 1958 hanno portato all’uguaglianza delle opportunità rispetto alle s. urbane e alla cosiddetta «concentrazione scolastica». Attualmente vi sono più di 500 milioni di donne analfabete nelle regioni rurali del cosiddetto Terzo Mondo, che ignorano perfino il proprio diritto all’educazione; il 64,5% dei ragazzi superiori ai 15 anni in Asia sono analfabeti; in Africa lo sono il 47,4%; in​​ ​​ America Latina e nei Caraibi il 19,2%; nell’area del Pacifico il 10,2%; negli Stati Arabi il 70,4%; nei Paesi meno sviluppati il 78,4%. Questo dimostra che il problema delle s.r. non è solo questione di migliorarle dove già vi sono, ma è necessario impiantarle nelle grandi aree in cui non esistono né progetti né programmi nei piani di sviluppo.

Bibliografia

Hippeau​​ C,​​ L’Instruction publique, Paris, Didier,​​ 1872-1881;​​ García P. de A.,​​ Teoría y práctica de la educación y la enseñanza,​​ vol. II, Madrid, Hernando,​​ 21902, vol.​​ IX,​​ 1905; Chlebowska K.,​​ Literacy for rural women in the Third World,​​ Paris,​​ Unesco, 1990; Unesco,​​ World education report 1991,​​ Ibid., 1991.

V. Faubell




SCUOLA SERALE

 

SCUOLA SERALE

Durante il sec. XIX si sviluppò in tutta l’Europa un gran movimento a favore delle s. per adulti che aveva un duplice obiettivo: ovviare alle deficienze della s. primaria ed ampliare le conoscenze necessarie per l’efficace introduzione delle innovazioni tecnologiche dello sviluppo industriale.

1. A questo scopo furono create​​ ​​ s. operaie maschili e femminili che ebbero, in generale, scarso successo, tranne che in Danimarca, perché gli operai non riuscivano a sostenere due o tre ore di s.s. dopo giornate lavorative di quattordici o sedici ore. Lo scarso interesse dei datori di lavoro e dei governi per superare questo grave problema e i ritmi non molto accelerati degli inizi dell’industrializzazione resero difficile qualsiasi tipo di soluzione. Maggiore incidenza, nonostante la scarsità di mezzi e di possibilità, ebbero le associazioni operaie internazionali. Con grande sforzo e tra l’ostilità ed il sospetto dei governi, tali organizzazioni crearono nei nuclei urbani scuole, atenei, biblioteche, cooperative, teatri e sale di svago, in cui potersi riunire, discutere e fare conferenze a carattere culturale come si faceva per gli iscritti nelle s.s. Il finanziamento di questi centri proveniva da istituzioni pubbliche, da sovvenzioni private e dalle quote degli iscritti.​​ 

2. Anche la Chiesa cattolica contribuì creando centri a carattere confessionale, offrendo agli operai cattolici gli stessi vantaggi che socialisti ed anarchici offrivano ai propri simpatizzanti. L’azione della Chiesa in favore del proletariato ricevette grande impulso a partire dal pontificato di Leone XIII (1878-1903) che nell’enc.​​ Rerum novarum​​ analizzò le dure condizioni in cui si trovavano gli operai e raccomandò varie misure per la loro promozione anche culturale.

Bibliografia

Baruffi G.F.,​​ S.s. degli adulti,​​ in «Letture di Famiglia» 5 (1846) 65-67; Ramello F.,​​ Regole per le s.s.,​​ in «L’Educatore» 4 (1848) 174-178; Aquilino Fr.,​​ Le prime s.s. a Torino,​​ in «Rivista Lasalliana» 1 (1934) 446-452; Novelli A.,​​ Le s. notturne: il recupero scolastico nella Roma papale,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 23 (1976) 626-634; Giannarelli R. - G. Trainito,​​ Compendio di legislazione sull’istruzione secondaria,​​ Firenze, Le Monnier, 1990.

B. Delgado




SCUOLA UNICA

 

SCUOLA UNICA

È​​ definita​​ dai seguenti tratti: abolizione della divisione della s. in tipi di prestigio sociale diverso; creazione di una struttura portante unica; organizzazione del curricolo degli ultimi cicli in un’area comune, in una pluralità di indirizzi e in una molteplicità di materie elettive; previsione di una crescita graduale dell’area opzionale rispetto alla comune tra l’anno iniziale e finale; strutturazione dell’insegnamento in maniera flessibile in modo che l’alunno sceglie e può cambiare e la s. lo orienta.

1. L’ispirazione pedagogica del modello è attribuita a​​ ​​ Comenio, mentre il fondamento sul piano politico è offerto dai principi di libertà e di eguaglianza delle rivoluzioni americana e francese. Negli Stati Uniti esso ha trovato attuazione generalizzata già dall’inizio di questo secolo. La tradizione delle​​ s. parallele​​ ha, invece, dominato nel nostro continente fino alla seconda guerra mondiale. Essa prevedeva tre vie parallele, ciascuna adatta ai bisogni di una diversa classe sociale: l’insegnamento classico in preparazione all’università per la classe dirigente, il tecnico per i quadri intermedi e l’avviamento al lavoro per gli operai. Nel dopoguerra questo sistema è entrato in crisi per il suo carattere classista e per l’incapacità di rispondere all’espansione della domanda di forza lavoro qualificata.

2. Per ovviare a queste difficoltà, durante gli anni ’60 e ’70 del XX sec. il modello della s.u. si è diffuso gradualmente nei Paesi dell’​​ ​​ Europa. Quanto all’​​ ​​ Italia vanno ricordati l’introduzione della s. media unica nel 1962 e il dibattito sulla riforma della secondaria superiore che nel modello della s.u. o comprensiva ha avuto un suo referente fondamentale. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 tale strategia è stata raggiunta da una crisi​​ di consensi e da allora non esercita più l’incidenza di prima sulle politiche scolastiche. Pertanto, oggi si punta alla realizzazione di un​​ mix di integrazione e di diversificazione. Per quanto riguarda la prima è essenziale realizzare due tipi di integrazione. Anzitutto tra diversi livelli del sistema e in particolare fra la istruzione. e la formazione secondaria e l’università. Una seconda forma va attuata all’interno della stessa s. secondaria tra i cicli, le sezioni e le classi, combattendo la frammentazione mediante la definizione di aree comuni di conoscenze e di competenze. Al tempo stesso, la diversificazione​​ dovrà essere la più ampia nel senso che l’istruzione e la formazione potranno essere a tempo pieno o a tempo parziale, e generale, tecnica o professionale, e dovrà coinvolgere oltre alla s., la formazione professionale e le diverse agenzie di socializzazione interessate.​​ 

Bibliografia

García Garrido J. L., «La struttura della s. dell’obbligo alle soglie del secolo XXI», in L. Pusci (Ed.),​​ I giovani in Europa: qualità della s.,​​ qualità della vita,​​ Napoli, Tecnodid, 1988, 39-52; Malizia G. - C. Nanni, «Istruzione e formazione: gli scenari europei», in Ciofs / Fp - Cnos-Fap (Edd.),​​ Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della formazione professionale, Roma, 2000, 15-42; Glenn C. L.,​​ Il mito della s.u.,​​ Torino, Marietti, 2004.

G. Malizia




SCUOLE DELLA DOTTRINA CRISTIANA

 

SCUOLE DELLA DOTTRINA​​ CRISTIANA

Le prime s. di catechismo vennero fondate da laici e sacerdoti milanesi: Albertino Bellarati («Scuola di Albertino») nel 1481 e il B. Angelo Porro («Scuola del Paradiso») nel 1491.

1. Più tardi san Girolamo​​ ​​ Miani fondò a Venezia s. con lo scopo specifico di promuovere l’insegnamento religioso dei suoi orfani (1530). Le s. domenicali di catechismo vennero iniziate a Milano nel 1536 da un gruppo di laici, guidati da Castellino da Castello, sacerdote di Como, che fondò poco dopo (1539) la​​ Compagnia dei Servi dei Puttini in Charità,​​ con lo scopo di animare le s., con delle​​ Regole​​ e con un testo di catechismo redatto da Castellino nel 1537 col titolo di​​ Interrogatorio.​​ Iniziative analoghe sorsero in varie parti d’Italia, ma le s. di Castellino si imposero per la loro migliore organizzazione e si diffusero rapidamente in molte città, e anche a Roma, dove sorse nel 1560 la​​ Compagnia della Dottrina Cristiana,​​ che sarà approvata da Pio V nel 1571 e riconosciuta ufficialmente da Paolo V nel 1607 come​​ Arciconfraternita​​ della Basilica di San Pietro in Vaticano. Nel 1746 la sede sarà stabilita nella chiesa romana della B.V. Maria del Pianto. Le s. e la Compagnia ricevettero un particolare impulso a Milano da Carlo​​ ​​ Borromeo, che le riorganizzò nelle parrocchie sotto la direzione del parroco, ne stese e approvò le​​ Regole,​​ che prevedevano una direzione diocesana centralizzata, e le portò, durante il suo episcopato, da poche decine a oltre 740, con circa 50 mila iscritti, compresi i maestri e i dirigenti.

2. Quanto al metodo, s. Carlo vuole che le classi siano piccole: da 4 a 6 fanciulli / e; vige la separazione dei sessi. Spesso vi si insegna anche a leggere, a scrivere e a far di conto, ed il tempo è la domenica pomeriggio. Si usano premi, piccoli e grandi, e severi castighi per i renitenti. Grande importanza assume la disputa-gara (non a scopo didattico, ma dimostrativo-selettivo). Essa ha particolare solennità a Roma, dove viene celebrata in San Pietro fin dal 1597. La Congregazione avrà uno sviluppo rinnovato dopo il Concilio Vaticano I, con una particolare vitalità negli USA nella prima metà del XX sec., dove si occuperà della gioventù che non frequenta la s. cattolica.​​ 

Bibliografia

Borromeo C.,​​ Costitutioni et regole delle Compagnie et S.d.D. Christiana,​​ Milano, 1585; Porro I.,​​ Origine et successi della Dottrina Cristiana,​​ Milano, Malatesta, 1640; Castiglione G. B.,​​ Istoria delle S.d.D.C.,​​ Milano, C. Oreana, 1800; Tamborini A.,​​ La Compagnia e le S.d.D.C.,​​ Milano, Daverio, 1939; Braido P.,​​ Lineamenti di storia della catechesi e dei catechismi. Dal «tempo delle riforme» all’età degli imperialismi (1450-1870),​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1991.

U. Gianetto




SCUOLE NUOVE

 

SCUOLE NUOVE

S’intende per S.N. il movimento di riforma pedagogico-didattica iniziato negli ultimi anni del sec. XIX, con manifestazioni particolarmente significative nella prima metà del sec. XX.

1.​​ Significato.​​ L’espressione «movimento di riforma pedagogica» (Reformpädagogischebewegung)​​ viene utilizzata dalla storiografia tedesca per definire l’insieme di orientamenti teorici e di realizzazioni pratiche che caratterizzano il periodo storico indicato; ma l’impegno per un rinnovamento dell’educazione e della s. è pure notevole fuori della Germania; anzi si tratta di un vasto fenomeno, noto con nomi diversi e segnato da tratti caratteristici nei diversi Paesi, che presenta, però alcune istanze comuni: a) critica severa, spesso polemica e un po’ ingenua, contro la cosiddetta «s. tradizionale», denunciata come s. dello sforzo, del castigo, passiva, adultistica, centrata sul programma, lontana dalla vita; b) proposta di mettere in atto una «S.N.». L’espressione «New School», coniata in Gran Bretagna nel 1889, ha una straordinaria accoglienza. Le esperienze inglesi si diffondono rapidamente in molti Paesi. Si creano uffici e associazioni per la loro promozione,​​ Bureau International des Écoles nouvelles​​ (1899),​​ New Education Fellowship​​ (1921); si cerca di fissare «i trenta punti» caratteristici di una «s.n. tipo». I pionieri del movimento parlano anche, in contesti culturali diversi, di «École active» (​​ Ferrière), di «École fonctionnelle» (​​ Claparède), di «Progressive School» (​​ Dewey), di «Arbeitschule» (​​ Kerschensteiner), di «Educación nueva» (Luzuriaga). In Italia viene spesso utilizzato il termine «Attivismo», benché esso sia ambiguo e inadeguato, come si evince dalla polemica, accesa negli anni centrali del nostro secolo, tra gli assertori di un «Attivismo cristiano» (​​ Casotti,​​ ​​ Nosengo) e di un «Attivismo laico» (Coen, De Bartolomeis). Pure in altri casi, sotto i termini utilizzati, si nascondono concezioni teoriche diverse e accentuazioni pratiche non irrilevanti. Nell’insieme «il movimento educativo», durante il periodo storico segnalato, «rassomiglia più a una costellazione, nella quale ci sono numerosi gruppi di astri di tutti i tipi e grandezze (con una certa tendenza o orientamento generale) che ad un sistema planetario chiuso» (Luzuriaga, 1970, 27). Qui faremo qualche cenno anche ad «astri» minori allo scopo di abbozzare un sintetico quadro d’insieme.

2.​​ Origini e sviluppo in Europa.​​ Il fenomeno delle S.N. affonda le radici in un contesto socioculturale a cui solo si allude: industrializzazione, regimi democratici e liberali, mutamenti della vita collettiva (movimento operaio, giovanile e femminile), progresso delle scienze (psicologia, sociologia), maturazione di istanze e fermenti precedenti; per es., l’esperienza educativa di Salzmann e di​​ ​​ Tolstoj, e alcune tesi pedagogiche più note di​​ ​​ Rousseau (bontà naturale del bambino, puerocentrismo, contatto con la natura). All’origine del successo di molte iniziative si trova anche la vigorosa personalità dei promotori e la loro contagiosa fiducia nell’educazione, come nel caso di C. Reddie (1858-1932), creatore della «New School» di Abbotsholme (1889), una s.-internato in campagna, organizzata a modo di «monarchia costituzionale». Un collaboratore, J. H. Badley (1865-1927), allarga, nella s. di Bedales (1893), la partecipazione degli allievi mediante l’organizzazione di un «parlamento scolastico» indirizzato ad «accordare la libertà con l’ordine». Sul modello inglese vengono create diverse istituzioni in Germania (i​​ Landerziehunsheime​​ di Lietz, Wyneken e Geheeb) e in Francia (École des Roches​​ di E. Demolins). In Spagna, dove giunge pure l’eco dell’opera di Reddie e Badley e della s. di lavoro di Kerschensteiner, ha inizio autonomamente, l’anno 1889, la prima «s. all’aria aperta» (Escuelas del​​ Ave María)​​ di​​ ​​ Manjón. Gli autori delle prime esperienze italiane che vengono annoverate tra le s.n. preferiscono parlare di «s. materna», di «casa dei fanciulli» (sorelle​​ ​​ Agazzi), di «casa dei bambini» (​​ Montessori). Ferrière, propagatore convinto delle esperienze di rinnovamento pedagogico-didattico, che egli chiama «s. attiva», riferendosi alle opere sorte in Italia, accoglie il nome proposto da​​ ​​ Lombardo Radice e parla di «s. serene». Tra esse, viene ricordata la «Rinnovata» di G. Pizzigoni, a Milano, e la «s. serena di Agno» di M. Boschetti Alberti, nella Svizzera italiana. Nell’ambito culturale francese, è nota l’«École de l’Ermitage» (1907), definita dal fondatore, lo psicologo e pedagogista belga​​ ​​ Decroly, una «s. per la vita attraverso la vita». Le idee decrolyane sui «centri d’interesse», in stretto rapporto con i «quattro bisogni fondamentali» del bambino (nutrirsi, lottare con le intemperie, difendersi contro i pericoli, agire e lavorare in solidarietà), ispirano l’organizzazione in numerose s. europee e americane, ma destano riserve e critiche tra i pedagogisti cattolici che postulano una «s. attiva secondo l’ordine cristiano», attenta anche ai bisogni superiori (​​ Dévaud).

3.​​ Le S.N. fuori di Europa.​​ Dewey, massimo rappresentante e teorico delle «Progressive schools» negli Stati Uniti, utilizza pure l’espressione «New schools» e «New education» e, superando posizioni polemiche, riconosce che in ciò che «si suol chiamare nuova educazione e s. progressive» ci sono certi principi comuni: «All’imposizione dall’alto si oppongono l’espressione e la cultura dell’individualità; alla disciplina esterna la libera attività; all’imparare dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza; all’acquisto di abilità e di tecniche isolate attraverso l’esercizio si oppone il conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze vitali; alla preparazione per un futuro più o meno remoto si oppone il massimo sfruttamento delle possibilità della vita presente; ai fini ed ai materiali statici è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento» (Dewey, 1967, 6). Quando vengono fatte queste affermazioni, nel 1938, sono ormai note in USA le innovazioni europee (specialmente quelle di Montessori) e in Europa si conosce l’«Elementary school» (1896), creata presso l’università di Chicago. Alla concezione teorica di Dewey si ispirano pedagogisti ed esperienze educative dentro e fuori degli USA. Basti citare tre autori che hanno elaborato tre metodi didattici molto diffusi anche in Italia:​​ ​​ Kilpatrick («Metodo dei progetti»), Parkhurst («Piano Dalton»), Washburne («Tecniche Winnetka»). Tra i più convinti diffusori delle S.N. in America Latina, spicca il brasiliano M. Lourenço Filho. In India è nota la s. di Shantiniketan del poeta e educatore​​ ​​ Tagore, buon conoscitore delle esperienze innovative europee.

4.​​ Rilievi critici.​​ Nella varietà delle realizzazioni esaminate, si riscontrano, in tempi e contesti diversi, istanze che giustificano il discorso su un certo «orientamento generale» (centralità dell’allievo; valorizzazione dell’attività, dell’esperienza, degli interessi spontanei e del contatto con la natura; appello alla collaborazione; introduzione del lavoro manuale nella s.). L’uso di espressioni come «educazione attiva», «educazione nuova» e «attivismo» non deve far supporre che il «movimento di riforma pedagogica» sia riconducibile a un unico sistema pedagogico compiuto. Dal punto di vista storico, sembra più corretto parlare di S.N., di esperienze scolastiche che rispondono a concezioni filosofiche e pedagogiche differenziate. Infatti, le riserve e i contrasti non si verificano di per sé nella pratica di determinati metodi o innovazioni educativo-didattiche (che costituiscono l’apporto più significativo alla storia della s.), ma nei presupposti teorici (monismo evoluzionista, strumentalismo pragmatista, biologismo) che stanno alla base di alcune realizzazioni più note.

Bibliografia

Scheibe W.,​​ La pedagogia nel XX secolo,​​ Roma, Paoline, 1964 (2a​​ ediz. orig.:​​ Die Reformpädagogische Bewegung 1900-1932. Eine​​ einführende Darstellung,​​ Weinheim / Berlin, J. Beltz, 1969); Boyd W. - W. Rawson,​​ The history of new education,​​ London, Heinemann, 1965; Dewey J.,​​ Esperienza e educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1967; Codignola E.,​​ Le «S.N.» e i loro problemi,​​ Ibid., 1968;​​ Luzuriaga L.,​​ La educación nueva,​​ Buenos Aires, Losada,​​ 1970; Stewart W. A. C. - W. P. McCann,​​ The educational innovators,​​ vol. I:​​ 1750-1880;​​ vol. II:​​ Progressive schools,​​ London, Macmillan, 1968-1970; Mencarelli M., «Il movimento dell’Attivismo», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. III, Brescia, La Scuola, 1977, 381-468;​​ Hameline D.,​​ L’école active: textes fondateurs,​​ Paris, PUF, 1995; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia, vol. 3, Torino, SEI, 2004, 199-312 («Le “S.N.” un movimento di riforma pedagogica»).

J. M. Prellezo




SECOLARIZZAZIONE

 

SECOLARIZZAZIONE

Il termine s., come strumento descrittivo e analitico, è carico di molteplici significati e non vi è accordo circa quello che dovrebbe avere nella teoria sociologica. Dice a proposito Lary Schiner (Acquaviva-Guizzardi, 1973) che l’unica cosa che si può forse dire con certezza del concetto di s. è che raramente si può essere sicuri di che cosa esattamente voglia dire quando viene usato. Il termine, infatti, è stato utilizzato in tanti sensi anche tra loro contrapposti. Un altro motivo per cui esso si presenta scientificamente sospetto sta nel fatto che si trasforma facilmente in un giudizio di valore e viene strumentalizzato e adoperato ideologicamente (​​ ideologia). In ciò può avere responsabilità un certo ottimismo razionalista, che dà eccessivo rilievo alla​​ ​​ religione come sistema di spiegazione e che ne prevede poi la progressiva scomparsa soppiantata alla ragione oggettiva. Sulla stessa linea ottimistica si muoveva anche l’ideologia marxista ortodossa che proclamava come inevitabile il declino e l’uscita di scena del fenomeno religioso, in connessione col trionfo della scienza e della​​ ​​ ragione.

1. Oggi esiste un’area geografica a cui la teoria della s. si può applicare molto bene: l’Europa. Al contrario, la religione continua a esercitare un profondo influsso nel resto del mondo: l’Oriente e il Sud-Est asiatico, le regioni asiatiche meridionali e il mondo musulmano, l’Africa e l’America Latina, e anche gli Stati Uniti continuano ad essere Paesi profondamente religiosi. Forse ha ragione Peter Berger quando propone che la teoria della s. dovrebbe essere nobilitata dal concetto di «teoria della pluralizzazione» nel processo di modernizzazione (1994). La parola​​ ​​ pluralismo non è così ambigua e significa nell’uso comune la coesistenza, in certa misura pacifica, di gruppi diversi in una stessa società, il che implica un certo grado di​​ ​​ interazione sociale. Il processo di s. comincia in corrispondenza con lo sviluppo delle scienze, della tecnica, della vita in società, dell’auto-comprensione dell’individuo: esso riguarda soprattutto le strutture sociali, pur senza negare l’importanza della religiosità individuale. Le religioni in Occidente hanno perso di rilevanza sociale e politica, poiché esercitano sempre di meno quel potere di plasmare la società che hanno posseduto per secoli.

2. Alcuni autori indicano due errori da evitare al riguardo della s. Il primo consiste nel partire dalla negazione dei fenomeni attuali di crisi per concludere nel senso della permanenza o dell’invarianza della funzione religiosa in Occidente; nel secondo caso si inferisce dall’indiscutibile declino del ruolo della religione nelle nostre società la certezza che essa sia destinata a svanire senza lasciare tracce. Le istituzioni religiose, raggiunte dalla modernità e dai cambiamenti sociali, sono state depotenziate nelle loro risorse del​​ ​​ sacro. Ora il sacro deborda dallo spazio delle religioni, si trova libero, diffuso, fruibile in più direzioni. I processi di s. sono andati avanti e parallelamente si sono create ampie zone franche non più controllate da un’autorità e sempre più aperte a esperienze differenziate. Il termine s. risulta nel contesto odierno sempre più insufficiente a indicare e comprendere i nuovi modi di intendere i problemi e i nuovi stili di vita: esso è diventato troppo ambiguo. I nuovi dati esulano dal modello prefigurato dal principio di s., anche a partire dagli ambienti della moderna razionalità formale. La s. non è né omogenea, né universale, né univoca nei suoi effetti, come era stato previsto da alcuni autori che avevano sottostimato le risorse di sopravvivenza, di adattamento, di ricomposizione e di innovazione della religione nel mondo moderno. Alcuni sociologi sono del parere che esistono oggi delle forme religiose che sono ormai un esito della s. e che insieme configurano una fase storica che si può definire «post-secolare». Proprio sul terreno della s. si sono manifestati fenomeni culturali significativi come il bisogno di eticità, la domanda di spiritualità, la rivalutazione delle esperienze del sacro e la rinascita di forme nuove e varie di religiosità. La s. si presenta come processo di scomposizione più che di cancellazione del religioso, che produce diverse visioni del mondo, diverse fedi, diversi valori, diverse chiese e diverse appartenenze.

3. Il punto più importante nell’evoluzione della religiosità odierna è la smentita dell’ipotesi relativa ad un suo regresso irreversibile come volevano alcuni interpreti della s. Per descrivere i molti fermenti di innovazione religiosa ed ecclesiale che si riscontrano nel mondo anche occidentale è stato impiegato il termine di «de-s.». Teorie diverse e contrastanti avevano disegnato schemi interpretativi al cui interno si riduceva sempre più lo spazio delle tematiche dell’​​ ​​ appartenenza religiosa, ritenute forme arcaiche per la costruzione di identità pubbliche e private. La moltiplicazione crescente delle nuove forme religiose ha chiaramente smentito ogni ipotesi sul senso irreversibile e unidirezionale delle trasformazioni sociali in atto. Nell’Ottocento era opinione comune che i processi di modernizzazione favorissero ineluttabilmente l’eliminazione delle religioni: ma oggi, all’inizio del terzo millennio, è opinione prevalente che le religioni sono ineliminabili dal mondo sociale, e dunque continueranno per sempre a caratterizzare la storia umana. A questo riguardo dice F. Sidoti: «Da questo punto di vista nelle società ci saranno sempre fenomeni religiosi, e importante non è tanto la riflessione su s. o de-s., ma piuttosto la discussione in merito a quali forme di religiosità sono preferibili per la stabilità di una società democratica» (Sidoti, 1992,17). La cultura positivista nelle sue varie accezioni era impreparata a prevedere sia un regresso così forte nella diffusione dello spirito laico, sia una rinascita impetuosa dei fenomeni religiosi in parte all’interno e in parte all’esterno delle forme tradizionali. La s. risulta nel contesto odierno sempre più insufficiente a indicare e comprendere i nuovi modi di intendere i problemi religiosi e le espressioni e gli stili nuovi di vita religiosa. Essa nonostante la grande attrattiva esercitata è ben lontana dall’avere un’accezione comune presso i diversi autori e ambienti, e la nuova fenomenologia religiosa si stacca dal modello da essa prefigurato. Molte delle nuove forme di religione e di religiosità costituiscono risposte a bisogni creati da processi messi in moto proprio dalla modernizzazione, che avrebbero dovuto al contrario portare a un irriducibile antagonismo tra religione e modernità secondo la tesi formulata sulla base dell’opera di Weber, per cui la religione nell’età moderna si sarebbe avviata a diventare un fattore sempre più marginale e ad occupare soltanto gli spazi della vita e delle scelte private. La persistenza del religioso, e non soltanto del sacro, è uno degli indicatori più significativi della crisi di fiducia nella​​ ​​ modernità (ragione, scienza, progresso) da parte dell’uomo tecnico.

Bibliografia

Acquaviva S. - G. Guizzardi (Edd.),​​ La s.,​​ Bologna, Il Mulino, 1973; Rosanna E.,​​ S. o trasfunzionalizzazione della religione?,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1973; Acquaviva S. - R. Stella,​​ Fine di un’ideologia: la s.,​​ Roma, Borla, 1989; Backford J.,​​ Nuove forme del sacro,​​ Bologna, Il Mulino, 1990; Dal Lago A.,​​ Il paradosso dell’agire. Studi su etica,​​ politica e s.,​​ Napoli, Liguori, 1990; Martelli S.,​​ La religione nella società post moderna. Tra s. e de-s.,​​ Bologna, Dehoniane, 1990; Campanini G.,​​ Cristianità e modernità. Religione e società nell’epoca della s.,​​ Roma, AVE, 1992; Menozi D.,​​ Storia della s.,​​ Milano, Einaudi, 1992; Sidoti F.,​​ Politeismo dei valori,​​ Padova, CEDAM, 1992; Menozi D.,​​ La Chiesa cattolica e la s.,​​ Torino, Einaudi, 1993; Berger P. L.,​​ Una gloria remota. Avere fede nell’epoca del pluralismo,​​ Bologna, Il Mulino, 1994; Berzano L.,​​ Religiosità del nuovo areopago. Credenze e forme religiose nell’epoca postsecolare,​​ Milano,​​ Angeli, 1994; Lübbe H.,​​ Säkularisierung. Geschichte eines ideenpolitischen Begriffs, München, K. Albert, 2003; Dal Ferro G. et al.,​​ Dialogo con la s.?, Venezia, Istituto di Studi Ecumenici, 2003.

J. Bajzek




SELEZIONE SCOLASTICA / SOCIALE

 

SELEZIONE SCOLASTICA /​​ SOCIALE

Indica l’insieme dei procedimenti scolastici per la scelta dei soggetti idonei al conseguimento di un titolo o, più in generale, allo svolgimento di un ruolo sociale.

1.​​ In una prospettiva​​ macrostrutturale​​ il​​ ​​ funzionalismo aveva sostenuto durante gli anni ’50 e ’60 l’esistenza di una correlazione virtuosa fra stratificazione, s. e scuola. Negli anni ’70 il neo-marxismo e la teoria della riproduzione culturale (​​ marxismo pedagogico) hanno rovesciato tale posizione e hanno accusato la scuola di svolgere, anche attraverso la s., una funzione di perpetuazione della struttura sociale. Dall’inizio della decade ’80 del sec. XX si è assistito a un graduale recupero del ruolo positivo della scuola, anche se in termini realistici che non nascondono le sue carenze. Essa, pur essendo funzionale alla logica della produzione capitalista, trasmette competenze e cultura, contribuisce alla promozione delle classi popolari e fornisce un apporto significativo allo sviluppo della società.

2.​​ Passando al piano​​ micro,​​ i meccanismi di s. utilizzati a scuola possono essere raggruppati in due categorie: quelli consistenti negli esami e tutti gli altri. I secondi si identificano con le diverse forme dell’​​ ​​ orientamento; gli altri comprendono vari tipi di prove di​​ ​​ valutazione quali quelle di profitto, di intelligenza, attitudinali e le interviste. In alcuni Paesi ci si limita alle prove di profitto, mentre la maggior parte fa ricorso a una combinazione di forme diverse. Se si applicano test standardizzati, questi spesso specificano gli indici di affidabilità e di validità; tuttavia, in molti casi le prove non sono standardizzate. Va da ultimo osservato che è in atto un passaggio da una modalità tradizionale di valutazione (deriva dal confronto dei risultati degli studenti con quelli attesi, espressi in obiettivi rilevabili empiricamente e indicanti valori di soglia) ad una cosiddetta autentica (mira a verificare non solo ciò che l’allievo sa, ma ciò che «sa fare con ciò che sa», si muove in chiave formativa e utilizza prevalentemente il portfolio delle competenze personali). La riflessione​​ sociologica​​ ha cercato di individuare le forme di organizzazione scolastica che più influiscono sulla distribuzione diseguale dell’insuccesso secondo la classe di appartenenza e che pertanto si trasformano in forme di discriminazione sociale. Le principali sono le seguenti: l’esame di ammissione alla secondaria di tipo umanistico-scientifico tra i 10 e i 12 anni; la possibilità della ripetenza; la divisione di un livello scolastico in più istituti o indirizzi, ciascuno con un prestigio sociale differente; lo​​ streaming​​ o raggruppamento omogeneo degli studenti che consiste nel distribuire gli allievi di un dato anno in​​ streams​​ o classi di alunni dotati del medesimo livello di intelligenza.​​ 

Bibliografia

Yoloye E. A., «Selection mechanisms in secondary education», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21994, 5385-5389; Comoglio M.,​​ Insegnare e apprendere con il Portfolio, Milano, Fabbri RCS, 2003; Pellerey M.,​​ Le competenze individuali e il Portfolio, Milano / Firenze, RCS / La Nuova Italia, 2004; Besozzi E.,​​ Società,​​ cultura,​​ educazione: teorie,​​ contesti e processi, Roma, Carocci, 2006; Schizzerotto A. - C. Barone,​​ Sociologia dell’istruzione, Bologna, Il Mulino, 2006.

G. Malizia




SEMANTICA

 

SEMANTICA

Nella sistemazione teorica fornita da Ch. Morris, si definisce s. una delle tre dimensioni costitutive della semiosi e, di conseguenza, una delle tre prospettive a partire da cui si può studiare un segno dal punto di vista semiotico.

1. Si intende per semiosi il processo attraverso il quale un segno funziona come segno, cioè produce senso, significa. In tale processo è facile distinguere almeno tre elementi: a) qualcosa che significa, che funge da segno; b) qualcosa che viene significato, cioè cui il segno rinvia; c) la capacità di questo qualcosa che significa qualcos’altro di produrre effetti su qualcuno. Nello studio dei segni, alla luce del rilievo di queste tre dimensioni costitutive, si prospettano tre livelli a cui organizzare l’analisi: se si resta sul piano dei segni, e si mette a tema lo studio delle relazioni dei segni con altri segni che appartengono allo stesso contesto, si assume una prospettiva sintattica; se si prende in considerazione la relazione dei segni con i loro interpreti ci si colloca dal punto di vista della pragmatica; si costruirà, invece, una s., se si assumerà a oggetto di studio il segno nella sua relazione con ciò che esso denota.

2. Con questo si porta in gioco un problema, quello del riferimento o della denotazione, che ha costituito una​​ vexata quaestio​​ per la ricerca logica tra Otto e Novecento, come la riflessione sulla natura dell’oggetto inesistente all’interno della scuola di Brentano e il dibattito Russell-Strawson a partire dalla teoria delle descrizioni hanno dimostrato. In una prospettiva semiologica il problema non è altrettanto rilevante. Ciò che interessa al semiologo è il connotato, non il denotato. Infatti, navigando nell’universo dei segni, ciò che urge è di capire a quale significato il segno rinvii, non quale oggetto concreto (il referente) esso designi; e infatti, una grande quantità di segni sono non referenziali, non designano cioè nessun oggetto esistente (un divieto di sosta, pur essendo perfettamente significante, non denota nulla).

3. Pensato in questi termini, il problema semantico coincide in definitiva con il problema della classificazione e della verifica dell’operazionalità dei codici attraverso i quali le diverse materie dell’espressione vengono organizzate in funzione significante. L’importanza formativa di una considerazione s. dei segni coincide di conseguenza con l’importanza formativa di un’analisi dei​​ ​​ codici.

Bibliografia

Morris C.,​​ Lineamenti di una teoria dei segni,​​ Torino, Paravia,​​ 21970; Rigotti E.,​​ Principi di teoria linguistica,​​ Brescia, La Scuola, 1979.; Violi P.,​​ Significato ed esperienza, Milano, Bompiani, 2001.

P. C. Rivoltella




SEMINARIO istituzione formativa

 

SEMINARIO: istituzione formativa

Istituzione ecclesiale ordinata alla formazione sacerdotale.

1. Nato con il concilio di Trento il s. è stato riconfermato nella sua validità e necessità dal Vaticano II (OT, 4; Codice cann. 235-245) e da più recenti documenti (Pastores dabo vobis,​​ 60,​​ La formazione dei presbiteri,​​ 58). L’identità del s. (maggiore) è «di essere, a suo modo, una​​ continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù,​​ in ascolto della sua Parola» (Pastores,​​ 60).​​ Finalità specifica del s. è «l’accompagnamento vocazionale dei futuri sacerdoti, e pertanto il discernimento della vocazione, l’aiuto a corrispondervi e la preparazione a ricevere il sacramento dell’ordine con le grazie e le responsabilità proprie» (Ibid.,​​ 61).

2. Elementi costitutivi di tale istituzione sono: a) una comunità educativa organicamente strutturata in ruoli distinti e complementari; b) l’unità della proposta costruita attorno alla sensibilità pastorale, ragione ispirante dell’intera formazione, espressa nella convergenza dei vari stimoli e momenti educativi, dalla preghiera allo studio, dall’esperienza pastorale alla vita comunitaria; c) l’accompagnamento personale dei singoli attraverso il colloquio regolare e frequente; d) una precisa programmazione che armonizzi le dimensioni della formazione sacerdotale (umana, spirituale, intellettuale e pastorale) con il livello di maturità dei singoli e dei gruppi lungo le varie fasi, e la cultura locale; e) una condivisione di vita tra educatori e giovani per un congruo arco di tempo; f) un programma di studi filosofico-teologici che formino il credente e il maestro nella fede.

3. Rispetto al passato il s. odierno sottolinea maggiormente il rapporto tra formazione iniziale e permanente, e mira soprattutto a rendere il soggetto capace di continuare a imparare lungo la vita. Il s., inoltre, non è più pensato oggi come una parentesi che prepara al domani, ma come un’esperienza già fattiva di​​ presbiterio​​ e comunione ecclesiale. Sembrano oggi più marcati, infine, l’impronta pastorale nella formazione e il ruolo della dimensione umana. Condizione fondamentale per l’ingresso nel s. maggiore è la scelta tendenzialmente definitiva del sacerdozio assieme a una certa maturità di base, sul piano umano e spirituale. Nel passato tale preparazione avveniva nel s. minore; oggi tale istituzione, pur mantenendo una sua utilità (can. 234), non è ovunque presente, risentendo della crisi vocazionale, specie in certi ambienti. Nella​​ Pastores dabo vobis​​ si parla di s. minore e «altre forme di accompagnamento vocazionale» (n. 63), a sottolineare la necessità di provvedere comunque alla preparazione all’ingresso nel s. maggiore.

Bibliografia

Codice di Diritto canonico,​​ Roma, 1983, cann. 232-264; Peri I.,​​ I​​ s.,​​ Roma, Rogate, 1985; Gambino V.,​​ Dimensioni della formazione presbiterale,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1992; Giovanni Paolo II,​​ Pastores dabo vobis,​​ Roma, 1992; Congregazione per l’Educazione Cattolica,​​ Direttive sulla preparazione degli educatori nei s., Roma, 1993; Cei,​​ La formazione dei presbiteri nella chiesa italiana. Orientamenti e norme per i s.,​​ Città del Vaticano, LEV,​​ 32007.

A. Cencini




SEMINARIO metodo di studio / ricerca

 

SEMINARIO:​​ metodo di studio / ricerca

Metodo di lavoro intellettuale la cui funzione è avviare i giovani universitari allo studio e alla ricerca in gruppo. Il termine viene usato anche con significati meno precisi: una o più conferenze su un argomento seguite da discussione, incontri e giornate di studio.

1. Le prime esperienze di s. accademico ebbero luogo in Germania nella seconda metà del sec. XVIII, allo scopo di iniziare i futuri professori alla pratica del metodo storico-critico. Oggi viene largamente applicato nell’ambito delle diverse discipline anche in contesti culturali non prettamente universitari. In contesto accademico si distinguono tre livelli: il pre-s. (Proseminar),​​ introdotto già nelle esperienze tedesche, è destinato agli studenti che iniziano i corsi universitari, e costituisce una preparazione al s. propriamente detto (Hauptseminar).​​ Questo, ordinato all’approfondimento critico di una tematica o problema rilevante, è effettuato dallo studente in progressiva autonomia, in équipe con altri colleghi e con un professore in funzione fondamentalmente di coordinatore e di guida, controllato dal gruppo, a partecipazione definita, svolto con regolarità, in clima democratico di collaborazione. Il s. superiore (Oberseminar)​​ si propone un preciso scopo di ricerca in gruppo per dare un apporto originale al progresso della scienza e, contemporaneamente, cerca di offrire un contributo al perfezionamento scientifico dei partecipanti.

2. Dal punto di vista metodologico il s. accademico contempla alcune tappe fondamentali: a) presentazione da parte del docente / esperto dell’argomento proposto (problematica e impostazione generali, fonti e bibliografia essenziale); b) scelta ad opera dei partecipanti del tema (o aspetto del tema) da affrontare individualmente o in piccoli gruppi e pianificazione dei diversi incontri; c) periodo ragionevole di preparazione degli approfondimenti personali; d) incontri regolari di tutti i partecipanti, in cui vengono presentati e discussi i diversi contributi di studio; e) stesura di una relazione scritta. Questa relazione va redatta dai singoli partecipanti al s. (nelle eventuali relazioni di gruppo, deve apparire chiaramente la parte elaborata da ciascun membro). Nel corso della stesura del lavoro scritto vanno vagliati criticamente e integrati gli elementi emersi nei diversi momenti della discussione del tema generale. In tale confronto critico si trova un elemento fondamentale dell’efficacia del s. come metodo di studio e di ricerca in gruppo, alla base della «riforma dell’insegnamento e dell’apprendimento universitario» (Greschat, 1970, 7).

Bibliografia

Greschat M. et al.,​​ Studium und wissenschaftliches Arbeiten. Eine Anleitung,​​ Gütersloh, Gütersloher Verlaghaus Gerd Mohn, 1970; Spandl O. P.,​​ Die Organisation der wissenschaftlichen Arbeit,​​ Braunschweig, Vieweg, 1977; Prellezo J. M. - J. M. García,​​ Invito alla ricerca.​​ Metodologia e tecniche del lavoro scientifico,​​ quarta ediz. rivista e aggiornata, Roma, LAS, 2007 (ediz. in sp.: Madrid, CCS, 2006).

J. M. Prellezo