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ROSMINI-SERBATI Antonio

 

ROSMINI-SERBATI Antonio

n. a Rovereto nel 1797 - m. a Stresa nel 1855, sacerdote, filosofo e pedagogista italiano.

1. Di nobile famiglia, compie gli studi elementari e superiori a Rovereto, quelli universitari a Padova, dove conosce N. Tommaseo e traduce il​​ De catechizandis rudibus​​ di​​ ​​ Agostino, che pubblica nel 1821. Per la sorella Margherita, direttrice nel 1820 dell’orfanotrofio femminile di Rovereto, scrive​​ Dell’educazione cristiana,​​ edita nel 1823. Sacerdote dal 1821 conduce vita austera tra studi e opere di carità, mentre matura l’idea di elaborare una grande opera politica per risanare moralmente la società. A tale scopo nel 1826 si reca a Milano, dove conosce Manzoni e il conte Mellerio. Scrive il saggio​​ Sull’unità dell’educazione​​ (1826), in cui sostiene che prima regola dell’educazione è l’unità e ogni forma di essa deve tendere alla formazione di​​ tutto​​ l’uomo, in modo che «tutto in esso armoniosamente proceda». Nel 1828 è al monte Calvario di Domodossola: fonda l’Istituto della Carità e ne scrive le​​ Costituzioni;​​ a novembre è a Roma per far approvare l’Istituto, per pubblicare il​​ Nuovo saggio sull’origine delle idee​​ (1830) e le​​ Massime di perfezione cristiana​​ (1830). Gli anni che seguono sono caratterizzati da intenso lavoro: fondazione (1832) delle Suore della Provvidenza (Rosminiane); istituzione del Collegio degli Educatori elementari e quello dei Missionari; pubblicazione di molte opere. Tra il 1839-40 scrive​​ Del principio supremo della metodica​​ (pubblicato postumo nel 1857) per aiutare i suoi religiosi / e a meglio svolgere il loro insegnamento nelle scuole materne, elementari e superiori.

2. R. svolge il problema metodologico dal punto di vista filosofico e pedagogico riprendendolo nella​​ Logica​​ (1854) e, ancor prima, nella​​ Prefazione​​ al​​ Catechismo disposto secondo l’ordine delle idee​​ (ediz. 1844): «Il principio che regge e governa tutto quanto l’ordine didattico è il seguente semplicissimo: “Le verità sieno disposte in una serie ordinata in guisa che quelle che precedono non abbiano bisogno per essere intese di quelle che seguono”». Nel 1848 il governo piemontese gli affida una missione diplomatica presso la S. Sede, che fallisce anche per la politica filoaustriaca del card. Antonelli. Nel 1849 ritorna a Stresa, dove si è stabilito dal 1836, e continua la sua attività di scrittore e di guida degli istituti da lui fondati senza ribellarsi per la messa all’Indice di due sue opere:​​ Le cinque piaghe della Santa Chiesa,​​ Costituzione secondo la giustizia sociale.​​ Su proposta del vescovo d’Ivrea, scrive una serie di articoli in difesa della libertà d’insegnamento. È in relazione con i più noti pedagogisti del​​ ​​ Risorgimento italiano. Dopo il Concilio Vaticano II, la sua persona e i suoi scritti, che spaziano in vari ambiti del sapere, sono oggetto di studio e vivo interesse. Nel 1994 si dà inizio alla causa di beatificazione. In data 26.06.2006 la Congregazione delle Cause dei Santi promulga il decreto riguardante le virtù eroiche del Venerabile A.R.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ l’ediz. di tutte le opere di R. è ora continuata dall’ediz. critica​​ a cura dell’Istituto di Studi Filosofici di Roma e dal Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa. Prevede circa 80 volumi, che vengono pubblicati dall’Editrice Città Nuova di Roma. Tra questi​​ Della educ. cristiana. Sull’unità dell’educazione, a cura di L. Prenna, n. 31. b)​​ Studi:​​ per la vita di R. è fondamentale:​​ La vita di A. R. scritta da un sacerdote dell’Istituto della Carità riveduta e aggiornata dal prof. G. Rossi,​​ 2​​ voll., Rovereto, Manfrini, 1959. Validi strumenti di lavoro sono: Bergamaschi C.,​​ Bibliografia Rosminiana, Stresa, Edizioni Rosminiane Sodalitas, 1967-1996, 7 voll. e Id.,​​ Grande dizionario antologico del pensiero di A. R., Novara, Interlinea, 1997; Morando D.,​​ La pedagogia di A. R.,​​ Brescia, La Scuola, 1948; Prenna L.,​​ Dall’essere all’uomo. Antropologia dell’educazione nel pensiero rosminiano,​​ Roma, Città Nuova, 1979; Lanfranchi R.,​​ Genesi degli scritti pedagogici di A. R.,​​ Ibid., 1983.

R. Lanfranchi




ROUSSEAU Jean-Jacques

 

ROUSSEAU Jean-Jacques

n. a Ginevra nel 1712 - m. a Ermenonville nel 1778, filosofo e pedagogista svizzero.

1.​​ Vita.​​ Dominio del sentimento, fantasticherie, spirito di avventura, ricerca del nuovo: sono i tratti che caratterizzano R. fin dalla sua infanzia. E ancora: incapacità di sottomettersi a qualsiasi tipo di attività, e perciò insofferenza per l’assunzione di ruoli sociali. È domestico, segretario, incisore, copista, ma anche precettore, musicista, seminarista, cattolico e protestante e poi deista, incapace di coerenza, anzi portato all’esaltazione, e infine al paradosso. Vinse nel 1750 il concorso bandito dall’Accademia di Digione, e da quel tempo i suoi contatti con gli intellettuali si fanno più continui, ma non lo portano, per l’incostanza che lo domina, ad inserirsi nel mondo illuminista. Anche Parigi lo disturba, si rifugia in campagna, dove sembra trovare tranquillità e possibilità di meditazioni. La condanna dei suoi scritti maggiori – l’Emilio​​ e il​​ Contratto sociale​​ – lo allontana dalla Francia; e vive un nuovo periodo di vita errabonda. Rientra in Francia; soggiorna ad Ermenonville dove muore.

2.​​ Paradossalità e dover essere.​​ «Preferisco essere uomo del paradosso che uomo dei pregiudizi»: così afferma R. nel secondo libro dell’Emilio.​​ E in corrispondenza a quanto era stato definito nella​​ Encyclopédie,​​ il paradosso è proposta apparentemente assurda, che tuttavia presenta motivi di verità. In realtà, è termine che, interpretato in riferimento all’opposto «pregiudizio», non solo sottolinea il nuovo con cui R. ritiene di caratterizzare il suo pensiero; ma spiega anche la sua reazione alla convenzionalità del costume sociale del tempo, la manifestazione di quel tanto di incoerente, talvolta di disorganico, certamente di non coerentemente logico, di cui sono caratterizzati i discorsi rousseauiani. Questi non solo richiedono un continuo procedere dall’uno all’altro scritto, ma sono portati ad evidenziare problemi, anzi problemi aperti, piuttosto che soluzioni definitive. In realtà il paradosso, pur nella sua almeno parziale dimensione utopica, permette una lettura delle opere di R. che evita il radicalismo estremo di una interpretazione del tutto critica e negativa, onde R. sarebbe il visionario senza capacità di contatti e di controlli da parte della realtà; interpretazione, questa, che in parte si contrappone all’altra, che sottolinea l’estremo frammentismo degli scritti, e perciò l’asistematicità del programma, sia quello politico, sia quello educativo. Certo è che R. non ci offre trattazioni sistematiche: e ne dà continua conferma. Ma ciò dipende dal fatto che il pensatore guarda al «dover essere», più che all’immediatamente «fattibile», che è sempre «ciò che si fa». Frammentarismo ed irrealtà: R. lo riconosce, e per questo ritiene possibile che dei suoi scritti si parli come di​​ fantasticherie.​​ Si tratta, allora, di sapere​​ leggere​​ «oltre il rigo», al di là della convenzionalità del senso comune, così che dal paradosso possa emergere, nel contrasto con il pregiudizio, una dialettica che impone, da una parte il continuo riferimento al contesto e dunque alla situazione prospettata, ma dall’altra la inevitabilità di sfuggire alla tentazione di un adeguamento al ciò che è. È per questo che l’opera di R. è piuttosto «romanzo» che «trattato» di un programma per un «imparare a vivere». Dove è solo il ripensamento critico che può legittimarlo: «lettore volgare, perdonate i miei paradossi: bisogna farne quando si riflette?». Il riflettere è atteggiamento critico, che conduce ad una valutazione di ciò che è, ma insieme a prospettare – che non vuol dire ancora un progettare concreto – ciò che si vorrebbe che fosse, o che dovrebbe essere. È il rapporto tra volere e dovere, in tensione nei confronti delle possibilità dell’ideale, a caratterizzare un pensiero che, in ogni caso, mai potrà essere definito​​ astratto:​​ al più se ne parli come di una​​ teoria​​ che, almeno dal punto di vista delle​​ idee,​​ non può non confrontarsi con il concreto della esperienza.

3.​​ Natura e libertà.​​ Due i termini-concetti-chiave per una​​ equilibrata​​ lettura di R.:​​ natura​​ e​​ libertà.​​ Ma entrambi i termini non sono univoci, logicamente definibili, e ciò anche perché se ne parla come «atteggiamenti» della prassi, così che sempre il molteplice domina sull’uno, il vario sull’identico. Certo la natura è dichiarata il​​ bene,​​ la naturalità la​​ bontà:​​ «tutto è bene uscendo dalle mani dell’Autore delle cose». Così inizia l’Emilio,​​ ed è dichiarazione che, con modalità varie, impronta tutti gli scritti, e quasi sempre in correlazione-opposizione con il​​ male,​​ prodotto dalle mani dell’uomo. Duplice è la natura cui si fa riferimento: quella​​ fisica,​​ l’ambiente​​ che viene privilegiato nella sua dimensione spontanea, immediata: la campagna e non la città, che è costruzione umana. È preferenza che verrà ampiamente accolta nel mondo romantico e che costituirà il tema preferito di non pochi scrittori, romanzieri e poeti di stile «sentimentale» dell’Ottocento. È la campagna ad accogliere Emilio per la sua educazione: solo in quell’ambiente egli potrà non risentire delle degenerazioni della vita sociale. Non per questo la conservazione – o la ricostituzione – della naturalità significherà ricondurre l’educazione ad​​ individualità,​​ o a fare dell’uomo «un selvaggio» o un abitante dei boschi o delle caverne. Si tratta di evitare che l’uomo venga «travolto dalle passioni» ma anche «dalle opinioni» degli uomini, così che egli possa «vedere con i​​ suoi​​ occhi e sentire con il​​ suo​​ cuore». Ancora qui riappare la radicalità del paradosso usato per sconfiggere l’artificiosità dei pregiudizi. Certo la natura-ambiente ha la sua inflessibilità: è quel che è, così che le​​ cose​​ si impongono all’uomo, prescrivendo l’uso di strumenti e di modalità atti a permettergli l’utilizzazione dell’esperienza a proprio vantaggio. Infatti l’uomo naturalmente tende alla felicità, che è​​ equilibrio di forze​​ ​​ quelle offerte dall’ambiente e quelle costitutive della natura umana – e​​ di bisogni,​​ quelli della crescita umana (dalla puerizia alla giovinezza) riscontrabile negli esiti del​​ piacere,​​ dell’utile,​​ del​​ bene.​​ Si tratta di bisogni naturali: che caratterizzano l’altra faccia del naturale, la natura «originaria» dell’uomo – che è spesso denominata​​ carattere,​​ ma forse meglio si dovrebbe dire «temperamento» – che non si identifica con una solitudine individualistica, come troppo affrettati interpreti hanno concluso. Le dichiarazioni di R. sono esplicite: «l’uomo è socievole per sua natura»; è «fatto per vivere con gli uomini». Ne danno esplicita conferma il quarto e il quinto libro dell’Emilio,​​ ma ancor più il​​ Contratto sociale,​​ dove viene prospettata la via per uscire dallo stato di forza, che mette ciascuno in contrasto con l’altro, e pervenire, attraverso lo stato di diritto, allo stato di realizzazione della piena libertà morale, che non è solo il vertice cui deve pervenire il singolo mediante una corretta educ. naturale, ma anche il contrassegno di quella​​ Res pubblica,​​ in cui si realizza politicamente il bene comune. È un fatto che allo stretto rapporto delle due maggiori opere, l’Emilio​​ e il​​ Contratto sociale,​​ gran parte degli studiosi ha dato scarso rilievo, preferendo piuttosto l’antitesi, basata sul​​ naturalismo​​ dell’​​ Emilio​​ ​​ letto in chiave «individualistica» – e sulla​​ solidarietà​​ di un «contratto», redatto necessariamente in termini di socialità e di politicità.

4. L’«uomo intero».​​ L’inadeguata, perché unilaterale e superficiale, interpretazione dell’uomo naturale​​ ha impedito quell’andare oltre la lettera del dettato, per coglierne l’intenso significato problematico. Eppure R. è, in questo, quanto mai esplicito. «L’uomo naturale è tutto per sé; è l’unità numerica, l’intero assoluto che non ha rapporto che con se stesso o con il suo simile. L’uomo civile non è che una unità frazionata dipendente dal denominatore, e il cui valore è in rapporto con l’intero che è il corpo sociale». È distinzione essenziale, questa, dell’uomo intero dall’uomo frazionato che vive ed esercita i suoi ruoli sociali e professionali. «Nell’ordine sociale in cui tutti i posti sono precisati ciascuno deve essere allevato per il proprio»: su questa base si può intendere l’obiettivo dell’educazione naturale comune a quello del contratto sociale. Qui è la​​ volontà generale​​ ​​ la volontà degli uomini​​ interi​​ ​​ e non la​​ volontà di tutti​​ ​​ gli uomini​​ frazionati​​ ​​ a permettere la realizzazione di uno Stato tutto rivolto al «bene comune»; nella educazione naturale è la ricostituzione dell’interezza dell’uomo o, per dirlo con altra espressione, dell’umanità dell’uomo,​​ a dover essere perseguita, anche perché altrimenti la stessa sua​​ libertà​​ verrebbe intaccata, essendo inevitabilmente l’agire sociale e professionale legato ai limiti dei ruoli. «Nell’ordine naturale, essendo gli uomini tutti uguali, la loro vocazione comune è lo stato di uomo». Come si vede, viene chiaramente prospettato l’obiettivo di sempre: riportare il ruolo all’uomo, e non ridurre l’uomo al suo ruolo. È per questo che R. è in condizione di presentare la famiglia come prima società naturale; ma anche di considerare naturali gli esiti politici di quelle comunità sociali dove non il numero bensì la​​ qualità​​ ​​ l’intero naturale – è il punto di riferimento. Il «bene comune» non esclude una considerazione meritocratica della società, a condizione che il merito professionale non trascuri il valore dell’uomo intero.

5.​​ Mente,​​ cuore,​​ socialità.​​ A smentire l’antisocialità della pedagogia di R. sta anche, fra gli scritti considerati minori, il​​ Progetto per l’educazione del signor Saint-Marie,​​ dove il ventottenne scrittore richiama l’attenzione sulla necessaria collaborazione educativa tra genitori e precettori, e sulla solida azione autoritaria – capace di castigare e non solo di lodare – precisando che in ogni caso bisogna insegnare ad​​ imparare a vivere​​ fin dai primissimi anni dell’infanzia. Un più ampio programma di educazione sociale troviamo nelle​​ Considerazioni sul governo della Polonia​​ (1772), dove la dimensione nazionale dell’educazione viene privilegiata nel quadro di un programma d’insegnamento. Anche l’accentuato sentimentalismo della​​ Nuova Eloisa​​ (1758) riconosce il primato dell’educazione del cuore rispetto all’educazione della mente, così precisando la​​ natura​​ dell’infanzia che «bimbi debbono essere prima che uomini». L’educazione del cuore è preminente anche nel programma educativo di Sofia, che deve essere formata per​​ compiacere​​ Emilio, il suo futuro compagno di vita. Preceduto dal saggio, vincitore del Concorso bandito dall’Accademia di Digione​​ «Se il progresso delle scienze e delle arti abbia contribuito alla corruzione o alla purificazione dei costumi»,​​ e da un secondo saggio sulla​​ «Origine e il fondamento della ineguaglianza tra gli uomini»,​​ è il Discorso sulla​​ Economia politica​​ (1754-55) che offre, accanto alle indicazioni di socialità riguardanti l’educazione, una chiara presentazione delle tematiche riguardanti il vivere sociale e pubblico. Tali temi sono ripresi e più ampiamente discussi nel​​ Contratto sociale​​ del 1762, che vuole essere una ricerca riguardante il «se, nell’ordine civile, ci possa essere qualche regola di amministrazione legittima e sicura, prendendo gli uomini quali sono, e le leggi quali possono essere». Si tratta, in sostanza, di ricercare se l’uomo, nato libero, e perciò costitutivamente libero, possa conservare la sua libertà, o forse anche potenziarla, senza cadere in catene. Il costituirsi della società non deve infatti né diminuire né annullare la libertà di ciascuno, che è diritto cui non si può rinunciare, perché ciò significherebbe «rinunciare alla propria qualità d’uomo». La proposta di costituire una società fondata sulla volontà generale, significa considerare l’aspetto​​ qualitativo​​ dell’uomo, e non la quantità, il numero degli associati, tanto meno fondare la società – lo Stato – sul rapporto maggioranza-minoranza. Per questo R. preferisce parlare di​​ Res-publica​​ piuttosto che di democrazia, solo così attuandosi il passaggio dallo stato di natura (la libertà naturale) allo stato civile (la libertà civile), provocando nell’uomo il cambiamento dell’istinto in giustizia, così che «ogni cittadino non pensi che con la sua testa».

6.​​ Infanzia e religiosità.​​ Ancora due aspetti del pensiero di R. debbono essere evidenziati, sempre entro i limiti di questa sintetica rassegna. Il primo è il riconoscimento dell’infanzia come centro e principio della considerazione educativa. La esplicita dichiarazione che «l’infanzia non è punto conosciuta», pur nella sua paradossalità, conduce R. a pretendere che il fanciullo non sia più da considerare come un uomo in miniatura, così da dover trasformare in atto questa sua potenzialità. Importa considerare il fanciullo per quel che egli è prima di essere adulto:​​ iuxta propria principia.​​ Ciò riguarda anche tutte le altre fasi della crescita biologica e spirituale dell’uomo. Contro l’adultismo ancora dominante ai suoi tempi, R. pone le richieste di un​​ puerocentrismo​​ che troverà dopo di lui la più ampia diffusione. L’altro aspetto riguarda la dimensione educativa della religiosità: essa viene collocata solo verso i quindici anni, in attesa che si manifestino le capacità razionali, peraltro sempre raccordate con le voci del cuore e del sentimento.​​ La professione di fede del Vicario savoiardo​​ si muove così tra​​ deismo​​ e​​ teismo,​​ non senza venature di fideismo. Il pedagogista riconosce che l’uomo non può prescindere da un suo rapportarsi con la Divinità, con l’Assoluto. Vi è una volontà che anima e governa il mondo, della quale si parla in termini di potenza, di bontà, di intelligenza. Perciò la religione è naturale, e dunque lascia libero Emilio di assumere altro atteggiamento: «Non ho il diritto di essere la sua guida; spetta a lui solo di scegliere». Al di là della considerazione dei contenuti della fede, è il rapporto dell’umano con il divino che importa sottolineare.

7.​​ Osservazioni conclusive.​​ Se vogliamo accettare la precisazione di R. «non aspettate da me un discorso sapiente né profondi ragionamenti. Io non sono un grande filosofo e mi curo poco di esserlo»; e se, ancor più, ci rendiamo conto del biografismo che caratterizza tutti i suoi scritti – e non solo le​​ Confessioni,​​ I dialoghi di R. giudice di J.J.​​ e​​ Le passeggiate solitarie​​ ​​ la troppo ripetuta critica di un R. disorganico, quando non anche contraddittorio, dove l’immediatezza del sentimento domina troppo spesso la linearità del razionale, ci può trovare consenzienti. Ma ciò a condizione di considerarla come una chiara testimonianza, una schietta documentazione di uno stile che è del discorso perché è dell’esperienza vissuta. Essa comunque nulla toglie alla ricca problematicità di un’analisi che sempre deve andare oltre l’interpretazione letterale, per evidenziare proposte, progetti, ideali, a volte utopie, tuttavia sempre contrassegnati dal vigoroso ripensamento delle due idee guida: la​​ natura​​ e la​​ libertà.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ R. J.-J.,Oeuvres complètes,​​ a cura di M. Lannay, Paris, Seuil, 1971;​​ Opere,​​ a cura di P. Rossi, Firenze, Sansoni, 1972;​​ Julie o la nuova Eloisa, tr. it., Milano, Casini, 1988;​​ Emilio o dell’educazione, tr. integrale di P. Massimi, Roma, Armando, 1995; b)​​ Studi:​​ Cassirer E.,​​ Il problema di J.J.R.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1948; Chevallier J. J.,​​ Le grandi opere del pensiero politico. Da Machiavelli ai nostri giorni, Bologna, Il Mulino, 1968; Roggerone G. A., «J. J. R.», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia, vol. II, Brescia, La Scuola, 1977, 109-166; Xodo C.,​​ Maître de soi. L’idea di libertà nel pensiero pedagogico di R., Ibid., 1984; Iannello N.,​​ L’ordine degli uomini: antropologia e politica nel pensiero di Thomas Hobbes e di J.-J.R., Roma-Pisa, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1998; Pesare F.,​​ Politica e educazione in J.J.R., Bari, Adriatica, 2000; Zedda M.,​​ Rileggendo l’Emilio. Itinerari di pedagogia rousseauiana, Roma, Armando, 2003; Gatti R., «R.», in​​ Enciclopedia Filosofica, vol. X, Milano, Bompiani, 2006, 9870-9878.

G. Flores d’Arcais




RUOLO

 

RUOLO

Il concetto di r. indica un modello di comportamento, ciò che un individuo deve fare, per la posizione, codificata e riconosciuta, che egli occupa in una determinata società; è un concetto guida e una categoria di enorme portata nell’analisi della società e della stessa personalità individuale.

1. Possiamo indicarlo come la porta di accesso e insieme il percorso che caratterizza l’esperienza sociale di ciascuno. I r., previsti dalla società, possono essere concepiti anche come l’espressione di una rete coordinata di funzioni sociali specifiche. Per questo il r. rappresenta di fatto «il punto d’incontro tra individuo e società» o, come meglio precisa​​ ​​ Parsons, punto di incontro, all’interno del sistema sociale, del sistema della personalità con il sistema della cultura. Il r., pertanto, fornisce alla persona il modello a cui deve attenersi e secondo cui dovrà regolare il suo operare. L’adempimento di un r. comporta una preparazione, prevede dei requisiti, delle capacità, delle abilità e delle conoscenze, oltre ad una «disciplina interiore». Di qui, immediatamente, si evincono due conseguenze e si comprende meglio la definizione che solitamente si dà di r.: i r. sono modellati dal sistema sociale, comportano dei doveri ed esigono fedeltà. Volendo giungere ad una definizione del concetto, si può affermare che r. è ciò che si attende da un soggetto sociale (individuo o gruppo) in base alla posizione che occupa all’interno della società. La fedeltà alle aspettative consente «continuità alla società»; per questo motivo tra le attese e le risposte sono tollerate solo piccole divergenze e la società esercita controllo e varie forme di pressione per assicurare risposte adeguate alle attese.

2. Il r. non è solo qualcosa di esterno alla persona, ma può comportare notevoli cambiamenti in colui che lo svolge. Ogni r. implica un’identità specifica e questa è anche il frutto di un processo sociale e, in qualche modo, il risultato di riconoscimenti attribuiti all’azione del singolo da parte del sistema sociale. Non si deve, tuttavia, da ciò concludere che la persona dipenda esclusivamente dai r. che sostiene, né che la personalità sociale sia costituita dalla sintesi dei r. sociali svolti nella vita. Se è vero che i r. trasformano la persona, è anche vero che le persone interpretano i r. Bisogna quindi tener presente che la concreta attuazione delle aspettative di r., secondo il modello elaborato dal sistema sociale, è mediata dalle concezioni e accettazioni espresse dalla persona; ma questo dinamismo può comportare anche tensioni tra persona e società. Le discrepanze sono per lo più attenuate dalle tolleranze insite nel modello elaborato dal sistema sociale e dalle capacità di adattamento delle persone. In alcuni casi possono dare origine a conflitti più o meno evidenti ed avere come esito una trasformazione complessiva dei criteri e delle norme che determinano il sistema dei r. sociali. Proprio perché consente una concreta interazione, l’adempimento del r. appare come punto di intersezione tra il sistema sociale e la persona.

Bibliografia

Linton R.,​​ The study of man,​​ New York, Appleton-Century-Crofts, 1936; Parsons T.,​​ Il​​ sistema sociale,​​ Bologna, Il Mulino, 1965; Allport G. W.,​​ Psicologia della personalità,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1969; Fichter J. H.,​​ Sociologia,​​ strutture e funzioni sociali,​​ Roma, Onarmo, 1969; Ferrarotti F.,​​ Manuale di sociologia,​​ Bari, Laterza, 1986; Cesareo V. (Ed),​​ Sociologia. Concetti e tematiche, Milano, Vita e Pensiero, 2004.

V.​​ Orlando




ŠACKIJ Stanislav Teofilovič

 

ŠACKIJ Stanislav Teofilovič

n. a Smolensk nel 1878 - m. a Mosca nel 1934, pedagogista ed educatore russo.

1. Dopo gli studi, si decise per l’educazione. Partecipò al movimento dell’Educazione libera,​​ poi simpatizzò con i rivoluzionari, ma entrò tardi nel partito (1928). Seppe compattare influssi occidentali con la tradizione russa (​​ Tolstoj). Dal 1905 collaborò alla fondazione di istituzioni educative, chiuse poi dalla polizia; nel 1909 creò la società «Lavoro e distensione per i bambini» e s’informò di pedagogia; nel 1911 fondò una colonia, volta alla collaborazione con le famiglie:​​ Bodraja zizn’​​ (Vita premurosa), divenuta celebre, per la «sintesi di pedagogia individuale e collettiva». Dopo la rivoluzione, ne accettò gradualmente gli obiettivi, appoggiò la «Scuola del lavoro» (in campagna però) e partecipò a varie commissioni. Si prodigò nel 1° «Centro pedagogico sperimentale», a Mosca, curando la preparazione dei maestri e la sperimentazione di nuovi metodi educativi (da quello «dei complessi» a quello «dei progetti»). Studiò, in particolare, i condizionamenti sociali dei bambini a scuola.

2. La sua ricca esperienza e i suoi studi, l’hanno portato a​​ posizioni personali,​​ per il ruolo della dimensione sociale e dell’influsso dell’educatore, a scapito del puerocentrismo o di un rigido marxismo. L’educazione è vista come un processo continuo all’interno di un rapporto democratico tra educatori e allievi, conviventi in una​​ comunità autogestita,​​ sul modello familiare, con rilevante spazio per il gioco, il teatro e soprattutto per il lavoro, nei campi e in casa. I tre parametri fondamentali erano: l’interesse dei bambini,​​ il​​ lavoro​​ e un’adeguata​​ ristrutturazione dell’ambiente​​ in comunità educativa. Non direttamente impegnato in politica, l’assunse, dopo lo studio del marxismo, come finalità educativa, in sintonia con le istanze comunitarie e con la sintesi di teoria e prassi.

3. Tra i più significativi pedagogisti russi, S. fu un moderato riformista, originale e coerente all’interno di una «pedagogia in movimento». Il suo influsso fu elevato durante la prima NEP (Nuova Politica Economica), poi in ribasso e infine rinvigorito dopo il 1931.

Bibliografia

gli scritti di Š. sono raccolti in:​​ Pedagogičeskie socinenija v cetyrech tomach​​ (Opere pedagogiche in 4 voll.), Mosca, 1962-1965; su di lui: Slomkiewiecz S.,​​ Idee pedagogiczne Stanislawa Szackiego,​​ in «Rozprawy z dziejów oswiaty» 10 (1967) 85-106;​​ Wichmann J.,​​ S.T.Š: ein Wegbereiter der modernen Erlebnispädagogik, Lüneburg, Neubauer, 1991.

B. A. Bellerate




SAGGEZZA

 

SAGGEZZA

Della s. occorre individuare esattamente il contenuto e il significato, se si vuole che diventi operabile dal punto di vista educativo: come fine del processo di crescita o come metodo o come qualità dell’educatore.

1. A questo scopo è, anzitutto, necessario distinguerla nettamente da due realtà contigue ben definite dal punto di vista teorico (filosofico-teologico) e operativo (etico): la​​ sapienza​​ o la ricerca-contemplazione del vero e del bene, che diventa in definitiva il Vero e il Bene (Dio) (la​​ sophía​​ e la​​ philosophía-theoría​​ greco-cristiana); e la​​ ​​ prudenza,​​ la virtù guida della vita morale. Dal punto di vista storico-pedagogico rimangono disponibili almeno tre tipi di s.:​​ scienza della vita​​ di stampo tradizionale e popolare; capacità di trasmissione di​​ abilità tecnico-pratiche; sapienza-prudenza depotenziata.

2. Nelle società di tipo tradizionale, affidate alla cultura orale, la s. (scienza di vita, morale e pratica) è prerogativa soprattutto degli anziani carichi di esperienza e di memorie (e vicini al «sacro»): «archivi viventi» («quando un vecchio muore è una biblioteca che brucia»), educatori, giudici e consiglieri (antico Oriente, civiltà Inca, Sparta, ebraismo, Africa). Un concentrato di tale s. sono spesso le massime, le sentenze, i proverbi.

3. A livello teorico, «intellettuale», ci si affida alla s. dell’anziano colto nelle società feudali greca e medievale. In​​ ​​ Omero appare Chirone che dà ad Achille (Iliade​​ XI 832) e ad altri venti eroi una integrale formazione fisica intellettuale e morale. Anche nella letteratura cavalleresca del​​ ​​ Medioevo europeo l’eroe, l’uomo di valore (in guerra, nella politica, nel comportamento quotidiano), è «saggio» in quanto è «abile», chiaroveggente, «sperimentato», all’altezza della situazione, dal sangue freddo, perspicace oltre che «pio» e «giusto».

4. Dal punto di vista storico, anche nello specifico campo pedagogico, si ricorre al concetto di s. quando, particolarmente nel Cinquecento francese, vengono messe in discussione la logica e la filosofia aristotelica, con l’approdo a posizioni scetticheggianti e moralistiche. Il binomio classico sapienza-prudenza perde il rigoroso significato originario, assumendone un altro pragmatico-vitale, guida ad una felicità «su misura d’uomo», chiuso nella sua individualità anziché supportato da un’antropologia vigorosamente metafisica aperta al trascendente. Nel saggio​​ De l’institution des enfants​​ ​​ Montaigne propugna la formazione di un uomo «abile» piuttosto che «sapiente», allenato nella filosofia intesa come arte di vita piuttosto che costruzione concettuale astratta (il sapere sillogistico degli «ergo», l’«ergotismo»): «la testa ben fatta più che ben piena», la s. del «saper ben vivere e del ben morire», attinta dalla frequentazione del mondo e degli uomini più che dai libri. Analoghi orientamenti si trovano nel​​ De la Sagesse​​ di Pierre Charron (1541-1603). Nell’educazione dei figli il padre (lib. III 14) dovrà tendere «più alla s. che alla scienza e all’arte», «più a formare il giudizio e per conseguenza la volontà e la coscienza che a riempire la memoria e accendere l’immaginazione». È «saggio chi nei desideri, nei pensieri, nelle opinioni, nelle parole, nei fatti, nei comportamenti si regola con misura ed equilibrio». Lo plasma una morale e una pedagogia del «ne quid nimis», regolata dal principio «surtout pas trop du zèle».

Bibliografia

Charron P.,​​ De la Sagesse,​​ Paris, Villery, 1635;​​ Montaigne M. de,​​ Essais,​​ par M. Rat, Paris, Granier, 1952, 154-192 (XXVI: «De institution des enfants»);​​ Gregory​​ T.,​​ La s. scettica di P. Charron,​​ in «De Homine» 6 (1967) 163-182; Bosco D.,​​ Charron moralista: temi e problemi «de la Sagesse»,​​ in «Rivista di Filosofia Neoscolastica» 69 (1977) 247-278;​​ Brucker Ch.,​​ Sage et sagesse au moyen âge​​ (XIIe et XIIIe siècles). Étude historique,​​ sémantique et stylistique,​​ Genève, Librairie Droz,​​ 1987; Minois G.,​​ Storia della vecchiaia dall’antichità al Rinascimento,​​ Bari, Laterza, 1988.

P. Braido




SALESIANI

 

SALESIANI

Membri della Società salesiana, istituto religioso fondato da s. Giovanni​​ ​​ Bosco, nel 1859, dedicato principalmente all’educazione dei giovani, specialmente di quelli «più poveri e abbandonati».​​ 

1. Dal 1843 al 1846 a Torino don Bosco dà una graduale forma organizzata agli incontri domenicali con gruppi di giovani, in prevalenza immigrati, finché trova una sede stabile per il suo primo​​ ​​ «oratorio», intitolato a s. Francesco di Sales, nella zona di Valdocco, alla periferia nord-occidentale della città. Nel 1847 e nel 1849 dà vita ad altri due, sotto il patronato rispettivamente di s. Luigi Gonzaga e dell’Angelo Custode. A seguito di talune divergenze sorte nella loro conduzione, il 31 marzo 1852 mons. Fransoni, arcivescovo di Torino esule a Lione, emanava una​​ Patente​​ con la quale​​ deputava don Bosco effettivo «Direttore Capo spirituale dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, a cui vogliamo siano uniti e dipendenti quelli di S. Luigi Gonzaga e del S. Angelo Custode». Don Bosco andava oltre. Tra il 1853 / 54 e il 1859 con somma discrezione egli concretava il progetto di fondare un istituto o società religiosa che garantisse stabilità e continuità all’opera degli «oratori»: sarà la «Società di san Francesco di Sales». Le​​ Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales​​ si fermano volutamente al 1854; dal 1854 incomincia per don Bosco la storia della congregazione (G. Barberis,​​ Cronichetta,​​ quad. 4 A, 38-41). La sera del 26 gennaio 1854 egli raccoglieva un piccolo gruppo di giovani, che si impegnavano, in prospettiva di un futuro voto, a un «esercizio pratico di carità» verso i giovani (MB V 9). A Roma nel 1858, in un’udienza concessagli da Pio IX il 9 marzo, don Bosco era incoraggiato a dare inizio a una società religiosa con eventuali voti da professare dopo un congruo tempo di prova. La iniziava a Torino nella «casa annessa» all’oratorio di Valdocco il 18 dicembre 1859 con 17 soci. Intanto incominciava ad elaborare le​​ Regole​​ o​​ Costituzioni,​​ sottoposte nel 1860 all’esame e all’approvazione dell’arcivescovo Fransoni e dal 1864 alla Santa Sede. Nel frattempo, dopo un triennio di prova, il 14 maggio 1862 i primi «ascritti» avevano professato i voti temporanei. Datato al 23 luglio 1864, giungeva da Roma in favore dell’incipiente congregazione il cosiddetto​​ Decretum laudis.​​ Soltanto il 1 marzo 1869, a seguito di ardue trattative, la Congregazione dei Vescovi e Regolari emanava il decreto di approvazione definitiva; più avanti, con decreto del 13 aprile 1874, la medesima Congregazione approvava anche il testo delle​​ Costituzioni.​​ L’iter​​ giuridico si perfezionava il 28 giugno 1884 con la concessione «per comunicazione» dei privilegi (facoltà connesse con la cosiddetta «esenzione») dei Redentoristi.

2. Soprattutto dai primi anni ’60 le vicende della Società dei S. di don Bosco (SDB) si intrecciano e quasi si identificano con la vita del fondatore, costantemente consacrato al primario impegno «educativo», pratico e teorico. Egli opera nel suo Istituto di consacrati in due direzioni principali: promuoverne e articolarne la «missione» mediante la diffusione, il consolidamento e l’animazione delle opere apostoliche ed educative; assicurarne il carattere specificamente «religioso», disporne le strutture essenziali, plasmarne lo «spirito», quello che egli finisce col definire «spirito salesiano», cioè di s. Francesco di Sales rivissuto da religiosi consacrati all’educazione giovanile e popolare con il particolare stile assistenziale e pastorale «preventivo» (​​ sistema preventivo), che esigeva «grande calma» e «straordinaria mansuetudine» (MO 133).

3. Le istituzioni educative e pastorali, giovanili e popolari, venivano man mano precisate e, infine, codificate nel primo capitolo delle​​ Costituzioni​​ approvate nel 1874, arricchite da testi successivi in base ad esperienze nuove (per es., dal 1875, la dimensione missionaria) o ad esigenze di maggior chiarezza. Vi sono interessati gli artt. 3-6: «Il primo esercizio di carità sarà di raccogliere giovanetti poveri e abbandonati per istruirli nella santa cattolica religione, particolarmente ne’ giorni festivi»: sono gli «oratori festivi», divenuti quasi dappertutto quotidiani; si affiancano presto gli «ospizi», case nelle quali ai giovani viene «somministrato ricovero, vitto e vestito; e mentre si istruiranno nelle verità della cattolica Fede, saranno eziandio avviati a qualche arte o mestiere» (art. 4); vengono pure aperti istituti o piccoli seminari per la formazione di giovani che «aspirano allo stato ecclesiastico» (art. 5); sono previste case per accogliere «quegli aspiranti allo stato ecclesiastico o religioso, i quali a motivo dell’età avanzata non potrebbero facilmente seguire altrove la loro vocazione»; grande sviluppo viene dato a collegi e scuole per giovani studenti (art. 5); sono pure stabilite attività pastorali per giovani e adulti con missioni popolari, esercizi spirituali e simili; parallelamente è assunto uno specifico impegno nel settore della stampa e dell’editoria scolastica e a sostegno della fede, minacciata dall’«empietà e dall’eresia» (art. 6); verrà successivamente codificato il lavoro nelle missioni estere. Le parrocchie, accettate in misure molto controllate fino a tempi recenti, costituiscono oggi una forma di impegno pastorale s. piuttosto accentuato.

4. Don Bosco, prete diocesano, mancante dell’esperienza personale della «vita consacrata», per dare volto «religioso» alle sue congregazioni, stabilirne le strutture, elaborarne le costituzioni, dovette molto presto prendere contatto con forme e istituti di «vita consacrata» preesistenti. Lo avvantaggiò la precoce familiarità con la storia ecclesiastica, attinse dalle costituzioni o regole di altre congregazioni, lesse autori più facilmente accessibili dal punto di vista culturale. Spiccano tra essi il gesuita Alfonso Rodríguez (1537-1616) e s. Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787); non mancano riferimenti a s. Francesco di Sales e a s. Vincenzo de’ Paoli. Se ne servì per introdurre sé e i primi collaboratori, in gran parte giovanissimi, nei meccanismi di animazione e di governo della vita religiosa s.: vocazione, consacrazione, missione, voti, vita comune, osservanza, perseveranza, pietà, carità fraterna, strutture, rapporti giuridici. Vi dedicò conferenze, esercizi spirituali, circolari, direzione spirituale, riunioni periodiche del personale dirigente (le «conferenze di s. Francesco di Sales» e autunnali, le riunioni del cosiddetto «capitolo superiore»), i capitoli generali (il primo è del 1877, seguiti da altre tre, lui vivente; l’ultimo è il XXV del 2002). Fu costante preoccupazione di don Bosco che l’approfondimento del carattere «religioso» della congregazione nonché pregiudicare potenziasse nei soci la capacità di incontro coi giovani, soprattutto «poveri e abbandonati», che doveva permanere assolutamente primario, originale e moderno.

5. La Società salesiana, costituita da ecclesiastici e laici, ebbe uno sviluppo piuttosto rapido, come si può rilevare dall’elenco dei membri che a partire dal 1870 viene pubblicato ogni anno a cura della direzione generale (trasferita da Torino a Roma nel 1971). Alla morte di don Bosco essa contava 680 professi perpetui, di cui 300 sacerdoti, 88 professi triennali, 267 novizi, presenti in 57 comunità distribuite in 10 nazioni. Essa risulta quadruplicata alla fine del rettorato del b. Michele Rua (1888-1910), mentre si moltiplicano le opere anche in Paesi di missione. Con don Paolo Albera (1910-21) i S. si stabiliscono in India e in Cina. Durante il rettorato del b. Filippo Rinaldi (1922-31) si ha un notevole aumento dei soci e delle opere. Ulteriori accrescimenti si hanno con il rettorato di don Pietro Ricaldone (1932-51), che porta i S. a 16.000 unità, ma soprattutto cura la formazione spirituale e culturale delle giovani leve, tra l’altro con la fondazione del Pontificio Ateneo Salesiano, dal 24 maggio 1973 Università Pontificia Salesiana. Il numero massimo – 21.614 soci professi e circa 1.200 novizi – è raggiunto nel 1967, dopo il rettorato di don Renato Ziggiotti (1952-65), all’inizio del governo di don Luigi Ricceri (1965-77).

Bibliografia

Bosco G.,​​ Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales [1858]-1875.​​ Testi critici a cura di F. Motto, Roma, LAS, 1982; Ceria E.,​​ Annali della Società Salesiana​​ [1841-1921], 4 voll., Torino, SEI, 1941-1951; Stella P.,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica,​​ vol. I.​​ Vita e opere,​​ Roma, LAS, 1979; Braido P.,​​ L’idea della società salesiana nel «Cenno istorico» di don Bosco del 1873 / 74,​​ in «Ricerche Storiche Salesiane» 6 (1987) 245-331; Id.,​​ Don Bosco fondatore. «Ai soci S.»,​​ Roma, LAS, 1995; Wirth M.,​​ Da don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (1815-2000), Roma, LAS, 2000;​​ Linee teologiche,​​ spirituali e pedagogiche della Società Salesiana e dell’Istituto delle FMA nel periodo 1880-1922, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 1-312 (n. monogr.); González J. G. et al. (Edd.),​​ L’educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze ed attuazioni in diversi contesti. Atti del 4º Convegno Internazionale di storia dell’Opera salesiana, Ciudad de México, 12-18 febb., 2006, 2 voll., Roma, LAS, 2007.

P. Braido




SALUTE MENTALE

 

SALUTE MENTALE

Oggi si va facendo sempre più strada l’idea che la malattia o disturbo mentale è un problema sociale non solo per le complicazioni interpersonali che possono derivare da essa, ma soprattutto per il fatto che il contesto sociale ha sempre una sua causa più o meno rilevante nella genesi del disturbo, quindi rientra tra i fattori eziologici. Questo dato assume poi un’importanza primaria nella terapia di recupero e più ancora nella prevenzione dei disturbi mentali.

1.​​ Definizione.​​ Da quanto detto sopra consegue che la s.m. è il prodotto della sana costituzione soprattutto neurologica di un soggetto e dell’apporto ambientale che deve essere emotivamente, culturalmente e socialmente confacente. Possiamo definirla allora come: un soddisfacente equilibrio psichico che dia al soggetto umano: a) un senso profondo e permanente di benessere; b) una capacità produttiva (lavoro, studio ecc.) oggettivamente riconosciuta e apprezzata; c) un’affabilità di rapporti interpersonali tale da determinare legami affettivi stabili e profondi, opportunamente differenziati e promozionali. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) intende la s.m. come la misura in cui da una parte un individuo o un gruppo sono capaci di realizzare le proprie aspirazioni e soddisfare i propri bisogni e dall’altra di cambiare o di adattarsi all’ambiente. La soddisfazione soggettiva è un elemento insostituibile ed è vera quando è capace di indurre anche negli altri il senso di gradevolezza persistente verso la vita individuale e collettiva. Quest’ultima annotazione mette in rilievo il dato che la s.m. permanente coincide con la qualifica di personalità sana che ha il senso della propria identità, un’adeguata valutazione di sé e degli altri e quindi del ruolo da svolgere, una capacità di auto ed eterogratificazione praticamente costante, atteggiamenti e comportamenti sostanzialmente costruttivi. La dinamica fiducia-donazione deve sostituire l’egocentrismo infantile e consentire l’autotrascendenza con rapporti interpersonali reciprocamente arricchenti.

2.​​ Sustrato biologico.​​ La sanità dell’organismo nella sua globalità, anche se non rappresenta una condizione assolutamente indispensabile, tanto è vero che ci sono tanti portatori di​​ ​​ handicap fisici con s.m. eccellente, tuttavia costituisce un ottimo presupposto per un buon funzionamento della mente. L’aforisma di Giovenale:​​ mens sana in corpore sano​​ mantiene bene la sua asserzione. È soprattutto la solida strutturazione e il valido funzionamento del sistema nervoso che contribuiscono a mantenere efficiente il funzionamento della mente. I recenti studi sui mediatori chimici e i recettori cellulari sulle funzioni degli elettroliti dei neuroni e dell’ambiente extra cellulare suggeriscono che il buon funzionamento nervoso e conseguentemente mentale dipendono anche dalla biochimica del cervello, oltre che dalla sua configurazione e strutturazione macro e microscopica. Ulteriori approfondimenti in questo campo contribuiranno certamente a rendere sempre più efficienti gli apporti dell’igiene mentale, come vedremo parlando di questa branca della Medicina.

3.​​ Sustrato antropologico.​​ L’​​ ​​ uomo è animale culturale a prole inetta ed ha uno sviluppo molto lento rispetto agli altri animali; da piccolo deve essere necessariamente accudito da altre persone per potersi realizzare a sua volta come tale. Vive non solo di entità materiali, ma anche di entità culturali che impara progressivamente a produrre. È fondamentale per il suo sviluppo e mantenimento integrali la qualità dell’ambiente culturale che lo circonda. L’io cresce e si mantiene integrando l’apporto del tu e a sua volta donandosi ad esso. Sono due sistemi aperti che vivono di scambi reciproci; quindi oltre alla validità del materiale di scambio occorre anche la validità della sua forma. Gli interventi educativi dovranno tener conto di tutto ciò.

4. Igiene mentale.​​ Dati questi presupposti, per il mantenimento della s.m. si mettono in atto gli accorgimenti dell’igiene generale e di quella particolare. In quest’ultima vanno privilegiati tutti i tentativi di rinforzare il sistema nervoso e tutte le modalità per favorire un buon adattamento. La s.m. va accudita con maggiore attenzione: nell’infanzia, nella preadolescenza e nel periodo senile. Il primo e il terzo momento sono delicati per la debolezza organismica e per l’insufficiente autonomia dei soggetti; l’intermedio perché il giovane ha il bisogno e il compito di affrontare senza protezionismi nuove situazioni, acquisire nuovi dati, vivere esperienze diverse da quelle già conosciute. In una società alla continua ricerca dell’espansione nell’esistenza e in cui i processi di selezione e le competizioni rientrano nel quadro più ampio della lotta per l’esistenza, si dovrebbero evitare l’eliminazione dei più deboli o squilibrati traumatici. Dove prevale la lotta selvaggia per l’esistenza è inevitabile che la s.m. dei meno adatti venga travolta.

5.​​ Collaborazione fra gli educatori.​​ Come per la s. in genere, per il mantenimento della s.m. occorre che le diverse agenzie educative siano efficienti e concordi per non determinare disorientamenti pericolosi o conflitti intrapsichici. Bisognerà dare nuovo vigore educativo alla famiglia, alla scuola, al lavoro. Molti autori sottolineano l’importanza anche di un’igiene mentale prenatale che favorisca la crescita del soggetto umano nel grembo materno: infatti una gravidanza ben condotta in un ambiente confortevole e moderatamente stimolante, in cui domini l’affetto e l’attenzione intelligente, è un ottimo presupposto per la s.m. del nascituro. La concordia, il rispetto, la presenza di valori adeguatamente gerarchizzati, il senso di responsabilità, la coerenza dei comportamenti, il coraggio nell’affrontare le difficoltà, l’ottimismo realista, sono fattori indispensabili per mantenere la s.m. Insistiamo su alcuni aspetti importanti e delicati: la necessità di scaricare le tensioni in modo innocuo e autenticamente rilassante, il sapersi divertire senza spendere molto in denaro o in fatiche, lo svolgere il proprio compito in modo sereno e non stressante, il saper sdrammatizzare senza banalizzare o ignorare i problemi, sono tutti accorgimenti efficaci per garantire la s.m. Aggiungiamo infine la particolare rilevanza di un buon funzionamento dei Centri di s.m. e dell’assistenza sanitaria in genere, di una buona politica sanitaria con eliminazioni di abusi, di pericoli e di rischi non necessari, di promozione della s.

Bibliografia

Lapenna G.,​​ Le professioni della s.,​​ Milano, Libreria Internazionale della Famiglia, 1976;​​ Lapellégérie H.,​​ Les trois trésors de santé,​​ Paris, Jacques Grancher Editeur,​​ 1977; Meda E.,​​ La ginnastica,​​ Torino, SEI, 1980; Rosi P.,​​ L’atletica,​​ Ibid., 1980; Wyss V.,​​ Più sport più s.,​​ Ibid., 1980; McCormick R.,​​ S. e medicina nella tradizione cattolica,​​ Torino, Edizioni Camilliane, 1986; Ornstein R. - R. Thompson,​​ Il​​ cervello e le sue meraviglie,​​ Milano, Rizzoli, 1987; White E.,​​ Cortical circuits,​​ Boston, Birkauser, 1989; Cairo M. T.,​​ Persona e s.,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Martín Maldonado-Durán J. L.,​​ Infanzia e s. m.: modelli di intervento clinico, Milano, Cortina, 2005.

V. Polizzi




SANTOMAURO Gaetano

 

SANTOMAURO Gaetano

n. a Minervino Murge (Bari) nel 1923 - m. a Bari nel 1976, pedagogista italiano.

1. A cominciare dalla frequenza universitaria S. manifesta un forte impegno intellettuale, ispirato ai valori della tradizione cristiana che si esplica nell’offrire un sincero contributo pedagogico al rinnovamento civile e morale del Meridione. Liberatosi dal fascino della filosofia crociana e gentiliana, S. approfondisce, in particolare, lo studio delle opere di​​ ​​ Mounier, attratto dal suo «personalismo comunitario». Conseguita, nel 1959, la «libera docenza» in pedagogia, intraprende la carriera universitaria e insegna storia della pedagogia prima e pedagogia poi nelle università di Lecce e di Bari. Per il valido contributo offerto alla causa dell’educazione popolare del Sud d’Italia, riceve una medaglia d’oro dal Ministero della P.I. e successivamente viene nominato membro della delegazione italiana presso l’Unesco.

2. L’attenzione verso il problema dell’educazione popolare costituisce la verifica critica della sua​​ pedagogia in situazione,​​ la quale trova le radici lontane nella conoscenza diretta dei complessi problemi della civiltà del mondo contadino meridionale. Nell’assumere come quadro filosofico fondamentale di riferimento i principi del personalismo cristiano, fondato sul riconoscimento della struttura ontologica e assiologica della persona, considerata nella sua «situazionalità storico-sociale» e nella sua «apertura al valore», S. ritiene vitali per la ricerca pedagogica il dialogo, l’integrazione culturale e l’incontro con i più significativi autori e problemi educativi del passato e del presente. Rivela una particolare predilezione per la definizione delle istanze socio-pedagogiche. Nella ricerca di una adeguata metodologia storica della pedagogia, supera i criteri relativistici e pragmatistici di chi ritiene che i fatti storici e la stessa educazione possano essere compresi nella misura in cui si applicano ad essi i metodi delle scienze naturali e sociali. Egli ravvisa, infine, nella prospettiva dell’educazione permanente la «risposta» più adeguata alle esigenze del cambiamento della società di oggi e l’affermazione di un «nuovo diritto» del quale l’umanità dovrà avvalersi per realizzare finalmente un progresso sociale e personale autentico.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Che cos’è la scuola attiva,​​ Bari, Laterza & Polo, 1954;​​ Per una pedagogia in situazione,​​ Brescia, La Scuola, 1967;​​ Modelli educativi nella sociologia teorica,​​ Bari, Adriatica, 1970;​​ L’educazione morale oggi,​​ Ibid., 1974. b)​​ Studi:​​ Giammancheri I. E.,​​ G.S. 1923-1976,​​ in «Pedagogia e Vita» 38 (1976) 1, 95-98; Massaro G.,​​ La pedagogia in situazione di G.S.,​​ in «Prospettive Pedagogiche» 14 (1977) 3, 163-189; Caporale V., «S.G.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. VI, Brescia, La Scuola, 1994, 10277-10283.

V. Caporale




SARMIENTO Domingo Faustino

 

SARMIENTO Domingo Faustino

n. a San Juan nel 1811 - m. a Asunción (Paraguay) nel 1888, letterato, educatore e politico argentino.

1. La vita di S. trascorre nel travagliato periodo dell’indipendenza del suo Paese e della ricostruzione nazionale, a cui egli partecipa attivamente. Sente presto la vocazione per l’insegnamento. Con alcuni amici dà vita alla​​ Sociedad literaria,​​ fonda e dirige la prima scuola normale del Sudamerica (1832) e il giornale «El Zonda» (1839). L’opera più importante è​​ Facundo o Civilización y barbarie​​ (1845). Con la documentazione di un viaggio di «esplorazione pedagogica» in Europa elabora gli scritti:​​ Informe presentado al ministro de Instrucción pública​​ (1848) e​​ De la educación popular​​ (1849). Come ministro dell’istruzione Pubblica e come presidente della Repubblica (1868-1874), dà un forte impulso alla creazione di centri educativi.

2. La proposta pedagogica di S. si innesta nel quadro dell’impegno politico. Il tema della scuola popolare diventa quasi un’ossessione; crede che «solo quando una grande aspirazione sociale si trasforma in mania, si riesce a farla istituzione, conquista». Per lui l’istruzione, sia pure elementare, costituisce un fattore determinante di sviluppo industriale e di progresso. Come obiettivo dell’educazione, indica la formazione del cittadino, cioè dell’uomo libero, nel possesso dei propri diritti, capace di lavorare per il bene di tutti e per se stesso. Mettendo un particolare accento sull’educazione delle donne, scrive che «si può giudicare il grado di civiltà di un paese dalla posizione sociale delle donne». Pur riconoscendo la sua opera di diffusione dell’istruzione, S. viene accusato di aver seguito spesso modelli stranieri. La sua proposta di «insegnamento gratuito, obbligatorio e laico» è oggetto di valutazioni contrastanti.

Bibliografia

Mantovani J. et al.,​​ S. educador,​​ sociólogo,​​ escritor,​​ político,​​ Buenos Aires, Argos,​​ 1963;​​ Verdevoye P.,​​ S. éducateur et publiciste,​​ Paris, Institut d’Études Hispaniques,​​ 1963; Pigna F.,​​ D.F.S. (1811-1888), in «El Historiador» (25.01.2007).

J. M. Prellezo​​ 




SCALE

​​ 

SCALE

1.​​ S. di valutazione.​​ Le s. sono strumenti che consentono di classificare, in una situazione tipificata, caratteristiche psicologiche, sociologiche ed educative (come​​ ​​ atteggiamenti, opinioni, attitudini) attraverso un’osservazione continuata. Le s. sono costituite da una lista di comportamenti, atteggiamenti o proprietà da osservare in cui si possono distinguere diversi livelli; riferendo le osservazioni alla s. si può formulare un giudizio sulla presenza, intensità e / o frequenza delle condotte rilevate.

1.1. Tipi di s. di valutazione.​​ Le s. si possono distinguere: a)​​ In relazione alle forme con cui si esprimono i livelli:​​ possono essere​​ descrittive​​ (rilevano dati classificandoli in categorie);​​ grafiche​​ (la diversa intensità di presenza di una caratteristica è simboleggiata da tacche lungo un segmento);​​ numeriche​​ (definiscono, usando un simbolo numerico, il grado con cui una caratteristica è presente). b)​​ In relazione ai metodi (di graduazione) usati per costituire i livelli (scaling). c)​​ In relazione a chi le compila:​​ si distinguono s. di autovalutazione da s. di eterovalutazione. d)​​ In relazione ai parametri di riferimento per i livelli​​ si distinguono in:​​ s. normative​​ (quando le prestazioni del singolo sono confrontate con quelle del gruppo di appartenenza);​​ s. ipsative​​ (quando il criterio di confronto sono le manifestazioni del soggetto stesso in momenti diversi).

1.2.​​ Caratteristiche psicometriche delle s.​​ Tali proprietà vengono determinate attraverso elaborazioni statistiche condotte su dati rilevati in campioni rappresentativi di popolazioni statistiche alle quali gli strumenti sono destinati. a)​​ La validità.​​ Una s. è valida se misura solo la grandezza per cui è stata costruita, se sono definite con precisione (teorica e operativa) la o le variabili che intende misurare. b)​​ La costanza (o fedeltà,​​ attendibilità):​​ 1)​​ degli osservatori:​​ è definita sulla base del grado di accordo raggiunto da osservatori che utilizzano la s.; 2)​​ della s.​​ (stabilità temporale o fedeltà test-retest). La s. è fedele se, utilizzata due volte nelle stesse condizioni, sugli stessi soggetti di cui si misurano tratti stabili, porta a risultati che differiscono solo per aspetti accidentali.

1.3.​​ Errori nell’uso delle s. e linee di soluzione.​​ Le s. si prestano ad un uso soggettivo. L’errore di generosità, di severità, o di tendenza centrale, l’effetto di alone o pervasivo di una caratteristica osservata sulle altre o l’errore logico legato alle aspettative dell’osservatore, possono interferire sulle osservazioni stesse. È utile quindi seguire, nella costruzione di s. per la ricerca educativa, alcune norme: identificare costrutti educativamente rilevanti, teoricamente ben definiti e traducibili in caratteristiche direttamente osservabili (indicatori); individuare modalità ben distinte per ogni dimensione (livelli); verificare psicometricamente lo strumento.

1.4.​​ S. usate nella ricerca scolastica. a)​​ S. Thurstone: è volta a rilevare l’atteggiamento di un soggetto nei confronti di un particolare argomento; il soggetto deve selezionare, tra una serie di asserzioni, quelle con le quali si trova in accordo. b)​​ S. Likert: si tratta di una s. graduata tramite avverbi e consiste in una serie di asserzioni rispetto alle quali il soggetto deve esprimere il proprio grado di accordo. c)​​ S. Guttman: si avvale di risposte dicotomiche e prevede una serie di asserti ordinati gerarchicamente a seconda dell’intensità della proprietà misurata nel soggetto. d)​​ S. Osgood: si basa su s. di giudizio bipolari (differenziale semantico) e ha lo scopo di rilevare il significato che i concetti assumono per un soggetto, facendo leva sulla componente affettiva.

2.​​ S. metrica dell’intelligenza.​​ Si attribuisce il nome di s. a una serie di problemi (test) che consentono di discriminare le prestazioni di soggetti secondo gradini o livelli. Classica la s. metrica dell’intelligenza di​​ ​​ Binet (1905) elaborata per individuare i bambini ritardati mentali.

3.​​ S. di misura.​​ A seconda della tipologia, i dati delle ricerche nelle scienze umane si possono distinguere come esiti di misure su «s. nominale», ordinale, di rapporti o di intervalli (​​ statistica).

Bibliografia

Bouvard M.,​​ Questionnaires et échelles d’évaluation de la personnalité, Paris, Masson, 2002; Borg I. - P. J. F. Groenen,​​ Modern multidimensional scaling: theory and applications, New York, Springer, 2005; Boncori L.,​​ I test in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2006.

C. Coggi​​