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PROFILO PROFESSIONALE

 

PROFILO PROFESSIONALE

1.​​ Introduzione. Rappresenta la descrizione delle caratteristiche di un ruolo professionale, ed in particolare la collocazione organizzativa ed i compiti che caratterizzano tale ruolo, così da costituire riferimento per la progettazione – e la certificazione finale – di un percorso che miri a formare persone dotate di competenze adeguate. L’utilizzo dei p.p. risponde alla necessità di finalizzare le attività di istruzione e formazione tecnico-professionale alle reali necessità del mondo del lavoro, così da consentire l’occupabilità delle persone formate e la loro valorizzazione entro il contesto economico.

2.​​ Spiegazione. Esistono tre grandi scuole di pensiero circa il modo in cui elaborare il p.p.: a) La scuola​​ granulare​​ che pone al centro dell’analisi le attività lavorative sotto forma di mansioni. Tale visione ha le sue origini nel modello di organizzazione scientifica del lavoro di F.W. Taylor che prevede la verticalizzazione della decisione, la definizione scientifica delle mansioni, la selezione della persona più adatta, l’addestramento della stessa in modo efficiente, il controllo della produttività. b) La scuola​​ istituzionale​​ che enfatizza l’importanza dell’organizzazione al fine di delineare ruoli che corrispondano alle reali professioni aziendali; queste devono essere pensate come vere e proprie «strutture sociali» ovvero famiglie professionali identificate da figure omogenee per competenze maturate e skill effettive realizzate. c) La scuola​​ olistica​​ che mira a ricomporre le figure professionali intorno ad aree di responsabilità ed a situazioni problematiche che convergono verso il ruolo in oggetto ed enfatizzano l’apporto individuale. In questo senso, la competenza è tale quando mobilita aspetti significativi del comportamento della persona, generando in tal modo prestazioni eccellenti, accettabili o insufficienti, oltre a competenze di soglia e distintive. Se pure la letteratura converge sulla necessità di superare rigide descrizioni di ruoli e mansioni, nel momento propositivo il ventaglio delle posizioni si apre rischiando in tal modo di cadere in uno scenario caotico e difficilmente gestibile. D’altro canto, anche coloro che mirano a ricostruire tutte le figure di lavoro a partire da una mappa globale di competenze paiono destinati ad un esito deludente, vista l’impossibilità di costruire repertori validi in generale, indipendentemente dalle condizioni di esercizio del lavoro. In questo senso, l’unica via percorribile potrebbe essere costituita da un’intesa di massima su p.p. essenziali, lasciando all’azione formativa specifica il compito di contestualizzare l’intervento e di validarne concretamente i risultati.

Bibliografia

Taylor F.W.,​​ Principles of scientific management, Norton, New York, 1911 (trad. it.​​ L’organizzazione scientifica del lavoro, Roma, Athenaeum, 1920); Parsons T.,​​ Structure and process in modern societies, Glencoe, Ill., Free Press, 1960; Scott W. R.,​​ Le organizzazioni, Il Mulino, Bologna, 1994; Spencer L. M. - S. M. Spencer,​​ Competenza nel lavoro, Milano, Angeli, 1995; Boam R. - P. Sparrow,​​ Come disegnare e realizzare le competenze organizzative. Un approccio basato sulle competenze per sviluppare le persone e le organizzazioni, Milano, Angeli, 2002;​​ Trigilia C.,​​ Sociologia economica, 2 voll., Bologna, Il Mulino, 2002; Boldizzoni D. (Ed.),​​ Management delle risorse umane, Milano, Il Sole 24 ore, 2003.

D. Nicoli




PROFITTO SCOLASTICO

 

PROFITTO SCOLASTICO

Con il termine p.s. (dal lat.​​ proficere,​​ progredire) viene designato il progresso nell’apprendimento. In luogo di p.s. alcuni preferiscono parlare di​​ ​​ risultati scolastici,​​ di rendimento. Sono legati a questo concetto alcuni problemi: come interpretarlo (​​ risultati scolastici), quando il p. può esser considerato soddisfacente (​​ standard), come incrementarlo (​​ didattica), che fare con chi non raggiunge livelli soddisfacenti (​​ insuccesso scolastico). Giudici del p.s. sono abitualmente i docenti. Le modalità di valutazione del p.s. hanno suscitato perplessità e sono state oggetto d’uno studio critico sistematico (​​ docimologia). Il p.s. non può essere visto solo come funzione della capacità e / o dell’impegno dell’alunno; sono molti i fattori che lo condizionano e gli accorgimenti da adottare per migliorarlo. Sono stati studiati in particolare gli effetti sul p.s. delle deprivazioni culturali socio-ambientali, e le carenze linguistiche e mentali conseguenti. La scuola, privilegiando l’intelligenza verbale, può avvantaggiare indirettamente gli alunni che provengono da famiglie colte e agiate. Non basta una scuola identica per tutti per ovviare a questi fenomeni. Un metodo ottimale o proficuo su alcuni o sui più non può diventare il trattamento da usare con tutti: si deve arrivare alla​​ ​​ personalizzazione dell’insegnamento, perché tutti possano effettivamente conseguire i traguardi essenziali al loro sviluppo umano e culturale, partendo però dalla situazione d’ognuno, seguendo strategie e ritmi adatti, graduando e variando le esperienze, il tempo di riflessione sulle medesime, le vie alla formalizzazione e alla sistemazione. Nell’ambito d’una​​ ​​ educazione permanente, il p.s. non denota solo una calibrata crescita del patrimonio culturale, ma anche l’apprendimento dei metodi e dei linguaggi tipici delle discipline, il consolidamento d’una motivazione, cioè delle condizioni che consentono una crescita continua.

Bibliografia

Postlethwaite T.N.,​​ Monitoring educational achievement,​​ Paris, UNESCO, 2004; Lessard C. - P. Meirieu,​​ L’obligation de résultats en éducation: évolutions,​​ perspectives et enjeux internationaux, Bruxelles, De Boeck, 2005.

L. Calonghi - C. Coggi




PROGETTAZIONE EDUCATIVA DIDATTICA

 

PROGETTAZIONE​​ EDUCATIVA / DIDATTICA

Elaborazione del progetto educativo che deve fare da guida ideale a tutta l’attività educativa e didattica che si svolge in una istituzione formativa, fornendo a tutte le sue componenti un riferimento prospettico chiaro e condiviso di​​ ​​ valori, mete formative, principi d’azione, sistemi di relazioni interpersonali e istituzionali e modalità di​​ ​​ valutazione.

1.​​ P. e orientamenti normativi. L’attività di p.e. e didattica porta a definire quello che nella​​ Carta dei servizi della scuola​​ viene identificato come «Progetto Educativo di Istituto», cioè quadro delle «scelte educative e organizzative» e dei «criteri di utilizzazione delle risorse». L’istanza progettuale è stata ripresa negli anni novanta dalla normativa riguardante l’autonomia della scuola e il riconoscimento delle cosiddette scuole paritarie. Il​​ Piano dell’Offerta Formativa​​ è un impegno previsto dalla legge e dal suo regolamento attuativo al fine di presentare non solo l’identità della istituzione, ma anche gli impegni che essa intende prendere nei confronti degli utenti. Il POF dovrebbe derivare da un lavoro progettuale, che parte dalla scelta di un orizzonte di valori di riferimento, si confronta con la realtà culturale e sociale della popolazione, studenti e genitori, a cui si rivolge, propone specifici percorsi formativi, curricolari ed extracurricolari, prevede opportune soluzioni di carattere organizzativo e didattico. Ne deriva metodologicamente l’adozione di uno schema di lavoro che dall’analisi dei bisogni formativi degli studenti, considerati nel loro contesto di vita, giunge alla definizione e formulazione di un quadro di obiettivi formativi, sulla base dei quali si prospettano percorsi didattici validi ed efficaci, modalità organizzative coerenti, forme e tempi di verifica e valutazione. Tutto ciò dovrebbe essere realizzato quanto più possibile in rapporto con il territorio e le aspirazioni di sviluppo culturale, sociale e produttivo in esso presenti. Di qui il concetto di programmazione territoriale della scuola. In un senso più legato al concetto di​​ ​​ curricolo per p. si può intendere l’impostazione previa dell’​​ ​​ azione educativa e / o didattica che ne prefigura gli obiettivi, i contenuti, i metodi e le modalità di valutazione. La p. può essere svolta a vari livelli: nazionale, regionale, locale, di singola classe e disciplina. Essa può riguardare una singola lezione, un’​​ ​​ unità didattica, un testo scolastico, un programma didattico audiovisivo, un​​ ​​ software didattico multimediale, l’impianto stesso culturale ed educativo dei programmi di studio nazionali. In senso più personale e soggettivo la p. riguarda il significato, i valori, lo stile e le scelte di vita che ciascuno si propone di far propri come prospettiva o orientamento esistenziale. In questo senso si parla di «progetto di vita», che fa da riferimento alla propria autoeducazione.

2.​​ Origine e rilievo in campo educativo.​​ Di progetti educativi più o meno esplicitamente formulati nelle loro assunzioni teoriche e pratiche è ricca la letteratura pedagogica, anche se il termine «progetto» ha avuto una diffusione generalizzata in questi ultimi tempi. Molto spesso veniva usata l’espressione​​ ​​ sistema educativo in senso analogo, anche se ovviamente oggi siamo più avvertiti circa il preciso senso di quest’ultimo termine. Con significati simili è stata anche utilizzata la parola metodo educativo. Così spesso si usano oggi in maniera interscambiabile le espressioni: «sistema educativo preventivo», «metodo educativo preventivo», «progetto educativo preventivo». Occorre tuttavia essere avvertiti circa gli slittamenti di significato che si hanno nell’utilizzazione delle tre espressioni, che concettualmente non risultano del tutto equivalenti. Ciò premesso, un progetto educativo rimanda ai destinatari, ai valori, ai principi, alle indicazioni di metodo, alle modalità di rapporto educativo, alle doti personali, culturali e morali, necessarie nell’educatore, che ne costituiscono i caratteri peculiari.

3.​​ Origine e sviluppi in campo didattico.​​ Anche nell’ambito dell’​​ ​​ insegnamento, metodi di p. dell’azione didattica sono sempre stati presi in considerazione in modo più o meno esplicito. L’insistenza attuale sul momento progettuale dell’azione didattica può essere fatto risalire agli apporti della tecnologia dell’educazione, che a partire dagli anni venti, ha progressivamente delineato una metodologia di lavoro sempre più chiara e definita. In particolare la p. di un percorso didattico può essere collegata all’idea di poter identificare con una certa precisione ed efficacia i passi successivi che gli allievi dovrebbero percorrere per conquistare determinate conoscenze e competenze. L’avvento delle macchine per insegnare e dell’​​ ​​ istruzione programmata ha dato un nuovo impulso alla p.d., in quanto dovevano essere identificati con grande precisione i singoli obiettivi didattici parziali, le modalità di presentazione e di consolidamento delle conoscenze e competenze da questi richiesti, le forme di valutazione del loro raggiungimento, i percorsi alternativi nel caso di non conseguimento. Tale spinta è stata ulteriormente sollecitata dalle ipotesi più recenti di sviluppo di percorsi istruttivi gestiti da sistemi informatici (​​ tecnologia dell’educazione), in cui la p. e sviluppo dei programmi didattici ha un rilievo ben più importante della loro somministrazione. Ciò è particolarmente evidente nei percorsi formativi sviluppati con tecniche di​​ ​​ insegnamento a distanza.

4. Critiche e distinzioni.​​ Critiche a una insistenza eccessiva sull’importanza del momento progettuale sono venute da chi, come L. Stenhouse (1977), pensa che il cuore dell’attività formativa consista nell’organizzare attività ricche di potenzialità educative da cui ciascuno possa trarre vantaggi personali, anche diversi da quelli degli altri. Altre critiche possono derivare dal mettere in evidenza i pericoli di una sottovalutazione dell’importanza dell’azione educativa concreta e della relazione educativa effettivamente instaurata con tutte le problematiche decisionali e di rapporti sociali che queste comportano. In ambito scolastico una p.e. e didattica corretta dovrebbe essere considerata come la formulazione di un’ipotesi di intervento formativo sufficientemente organizzato nelle sue componenti essenziali, ma suscettibile di continui adattamenti flessibili alle situazioni concrete man mano che queste lo esigono. D’altra parte nel contesto scolastico la p.e. può essere distinta da quella didattica in quanto la prima è più attenta alla promozione della crescita personale e sociale dell’educando, mentre la seconda si concentra prevalentemente sulle componenti di natura culturale e professionale. La prima deve essere considerata come il riferimento ideale e valoriale che forma l’orizzonte educativo entro cui deve essere sviluppata la p.d. relativa alle varie discipline di insegnamento. Infine sia la p.e. che quella didattica vanno distinte dalla programmazione degli interventi, cioè dalla predisposizione concreta dei tempi, delle risorse e delle singole azioni formative da impostare all’inizio di ogni anno o ciclo di studi. Tuttavia nei documenti ufficiali scolastici si nota una certa ambiguità di definizione tra p. e programmazione. Come criteri operativi di distinzione si possono assumere i seguenti: a) criterio temporale: la p. considera un respiro temporale più ampio del solo anno o quadrimestre scolastico, in genere pluriennale; b) criterio sostanziale: la p. riguarda il quadro generale di identificazione educativa o formativa che la comunità intende assumere come riferimento stabile per la sua azione mentre la programmazione si riferisce a scelte più puntuali e di natura prevalentemente organizzativa. In altre parole la programmazione elabora, entro il quadro fornito dal Progetto Educativo di Istituto e dai programmi scolastici o formativi in vigore, un piano di lavoro limitato a un anno scolastico o formativo, che indica nel concreto i tempi, le risorse, le attività da sviluppare per rendere operativo tale Progetto.

5.​​ Elementi costitutivi della p.​​ In una p.e. le articolazioni portanti sono costituite in primo luogo dai fini, o valori di riferimento, che sono chiamati a formare l’orizzonte educativo entro cui acquista senso e validità l’azione formativa. Questo orizzonte deve appoggiarsi sulla visione antropologica assunta dagli educatori, o dalla comunità educante, cioè su una concezione dell’uomo, della società e del loro bene, non astratta, bensì connessa strettamente con il contesto culturale e sociale di riferimento. Il secondo elemento costitutivo di ogni progetto educativo riguarda i destinatari dell’azione formativa e la loro condizione umana, culturale, sociale ed economica. La lettura attenta e l’interpretazione di tali condizioni alla luce dei valori o ideali educativi di riferimento permette di individuare da una lato la domanda educativa presente, cioè bisogni di formazione emergenti, e dall’altra la scelta e definizione degli obiettivi educativi da assumere come intenti operativi per l’azione formativa. Il terzo passaggio riguarda la prefigurazione dell’azione formativa, la scelta e organizzazione delle risorse formative, cioè delle pratiche educative (attività ed esperienze, loro contenuti, metodi e strumenti) disponibili e che appaiono valide ed efficaci: valide nei riguardi degli obiettivi e dei valori di riferimento, efficaci nei confronti dei risultati che si intendono conseguire. Si tratta della componente strategica della p., cioè della prefigurazione di un percorso formativo che può essere realizzata solo in riferimento a un concreto e specifico contesto educativo, orchestrando in maniera conveniente le differenti risorse formative disponibili in vista di mete educative determinate. Il quarto e ultimo passaggio è costituito dalla impostazione di un sistema di regolazione dell’azione formativa, cioè di valutazione continua e finale. L’istanza valutativa ha un ruolo e un significato permanente e puntale nel guidare l’azione. In effetti, sia nel momento di analisi della situazione iniziale, sia in quello di conduzione dell’azione progettata, sia in quello di verifica dei suoi risultati è presente sempre l’esigenza di interpretare e valutare quanto si riscontra nella realtà educativa. Di qui la necessità di prefigurare i dispositivi da mettere in atto per rendere presente e operante tale istanza.

6.​​ Prospettive teoriche.​​ Sono state elaborate nel passato, e vengono tutt’oggi prospettate, teorie sistematiche relative alla p. di interventi didattici di varia natura, dalla configurazione di azioni formative scolastiche, alla redazione di testi e manuali di autoistruzione, alla predisposizione di programmi multimediali o di costruzione di ambienti di insegnamento a distanza e di​​ e-learning. In genere queste teorie progettuali valorizzano teorie di riferimento relative all’apprendimento, alla motivazione, alla comunicazione, ecc. In questi ultimi anni è stata valorizzata una metodologia di ricerca educativa basata su progetti, i cosiddetti esperimenti progettuali, che mette in luce l’esigenza di partire da un progetto sufficientemente definito nel suo impianto, ma sensibile alla esigenze emergenti nel contesto dinamico della realtà educativa scolastica. Le scelte di modifica e adattamento del progetto, tuttavia, vanno adeguatamente giustificate e documentate (Pellerey, 2005).

Bibliografia

Kaufman R. A.,​​ Educational system planning,​​ Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1972; Stenhouse L.,​​ Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo,​​ Roma, Armando, 1977; Keller J. M., «Motivational design of instruction», in C. M. Reigeluth (Ed.),​​ Instructional design theories and models: An overview of their current status,​​ Hillsdale, Erlbaum, 1983; Vecchi J. - J. M. Prellezo (Edd.),​​ Progetto educativo pastorale: Elementi modulari,​​ Roma, LAS, 1984; Merrill M. D.,​​ Instructional design theory,​​ Englewood Cliffs, Educational Technology Publications, 1994; Pellerey M.,​​ P. didattica, Torino, SEI,​​ 21994; Semeraro R.,​​ La p. didattica.​​ Teorie,​​ metodi,​​ contesti, Firenze, Giunti, 1999; Pellerey M.,​​ Verso una nuova metodologia di ricerca educativa. Per una Ricerca Basata su Progetti​​ (Design based research), in «Orientamenti Pedagogici» 52 (2005) 721-737.

M. Pellerey




PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA SCOLASTICA

 

PROGRAMMAZIONE​​ EDUCATIVA / SCOLASTICA

In campo scolastico, elaborazione del programma degli interventi educativi e didattici da attuare durante l’anno scolastico, specificato nei tempi, nelle risorse e nelle singole azioni formative da sviluppare; in campo informatico, traduzione di un procedimento di elaborazione di dati in un linguaggio artificiale che il computer è in grado di interpretare ed eseguire.

1.​​ La p.e. e didattica.​​ Il concetto è diventato comune dagli anni settanta, da quando cioè esso ha fatto la sua comparsa nei documenti ufficiali scolastici. Ad es. nei Decreti Delegati del 1974 a proposito del Collegio dei docenti si afferma che esso «cura la p. dell’azione educativa». Nel seguito si è introdotta e sottolineata una distinzione, ora assai diffusa, tra programma di studi e p. Quest’ultima indica l’adattamento dei programmi scolastici ufficiali alle caratteristiche peculiari della popolazione scolastica presente. È diventata comune l’espressione programmazione curricolare, come elaborazione del curricolo di studi sia al livello nazionale, sia al livello locale.

2.​​ P.e. e piani di studio personalizzati.​​ Con gli sviluppi della L. 28 marzo 2003, n. 53 insieme ad altre novità terminologiche, sono entrate nel vocabolario della scuola anche le espressioni: «piani di studio personalizzati», «unità di apprendimento», «obiettivi specifici di apprendimento», ecc. Con ciò si intendeva probabilmente tematizzare una svolta di mentalità il cui nucleo fondamentale stava nell’abbandonare «l’uniformità delle prestazioni progettate a priori». Nelle indicazioni nazionali si prospetta un insieme di passaggi metodologici. I piani di studio personalizzati mirano a tradurre le finalità generali del processo educativo espresse nel​​ Profilo educativo,​​ culturale e professionale (PECUP)​​ e gli​​ Obiettivi specifici di apprendimento (OSA)​​ in​​ Obiettivi formativi, cioè in obiettivi di apprendimento effettivamente adatti ai singoli allievi. Le​​ Unità di apprendimento​​ costituiscono lo strumento principale di strutturazione pratica dell’offerta formativa. Gli obiettivi formativi vengono tradotti in passaggi concreti dell’azione didattica e le singole unità di apprendimento mirano a trasformare le conoscenze e abilità proposte in competenze individuali, tenendo conto delle personali capacità di ciascuno. Esse vanno a costituire poi gli effettivi​​ Piani di studio personalizzati.

3.​​ Progettazione e p.​​ La p.e. e didattica deve essere distinta dalla​​ ​​ progettazione in quanto quest’ultima riguarda l’elaborazione del progetto educativo che deve fare da guida ideale a tutta l’attività educativa e didattica che si svolge in un’istituzione formativa, fornendo a tutte le sue componenti un riferimento prospettico chiaro e condiviso di valori, mete formative, principi d’azione, sistemi di relazioni interpersonali e istituzionali e modalità di valutazione. L’attività di p. elabora, entro il quadro fornito dal piano dell’offerta formativa e dalle indicazioni nazionali, un piano di lavoro limitato a un anno scolastico o formativo, che indica in concreto i tempi, le risorse, le attività formative da sviluppare per rendere operativo tale progetto. In questo senso si è introdotto il concetto di Piano dell’Offerta Formativa (POF) come identità dell’istituzione scolastica e impegno che essa intende assumere nei confronti dei suoi utenti, mentre alla p. curricolare si affida il compito di tradurre tale piano in concrete modalità di attuazione.

4.​​ Programmi e p.​​ Il concetto di p. è stato introdotto anche per segnalare la necessità da parte della comunità scolastica, e in particolare dai Collegi dei docenti e dai Consigli di Istituto, di rileggere e interpretare i programmi di insegnamento ufficiali alla luce della domanda educativa della popolazione giovanile effettivamente presente nella scuola e delle risorse formative disponibili. In effetti le indicazioni nazionali si presentano, per quanto concerne l’articolazione dei contenuti specifici e la loro distribuzione annuale, in gran parte come indicativi, lasciando quindi un notevole margine discrezionale alle decisioni collegiali della scuola. Di qui la necessità di sviluppare accuratamente ogni anno un corretto lavoro programmatorio.

Bibliografia

Maragliano R. - B. Vertecchi,​​ La p. didattica,​​ Roma, Editori Riuniti, 1978; Tartarotti L.,​​ La p. didattica,​​ Teramo, Giunti-Lisciani, 1981; Ballanti G.,​​ La p. didattica, Ibid., 1986; Frabboni F.,​​ Dal curricolo alla p.,​​ Ibid., 1987; Giugni G.,​​ La p. didattica in prospettiva sociale,​​ Ibid., 1987; Titone R.,​​ P. nella scuola,​​ Roma, Armando, 1988; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica,​​ Torino, SEI,​​ 21994; Baldacci M.,​​ La p. per moduli, Bari, Laterza, 2003.

M. Pellerey




PROGRAMMI SCOLASTICI

 

PROGRAMMI SCOLASTICI

Generalmente per p.s. s’intendono i documenti di carattere normativo, emanati dall’autorità scolastica centrale, relativi all’educazione / insegnamento nei diversi gradi e ordini scolastici di un determinato Paese, con le loro note caratteristiche di generalità, universalità e comunicabilità.

1. La nozione è passata dal riferimento all’opuscolo indicativo del​​ quantum​​ delle varie materie da insegnare / apprendere anno per anno, ad un concetto propriamente ed essenzialmente pedagogico. Nell’accezione pedagogica odierna, i p.s. contengono non solo l’indicazione generale dei contenuti didattici distribuiti per classi, come avveniva nel passato, ma anche la finalità e gli obiettivi istituzionali di ogni specifico ordine e grado scolastico e per ogni disciplina di studio: finalità e obiettivi generali, contenuti didattici, criteri metodologici, di valutazione, programmazione e organizzazione educativo-didattica. Tuttavia, a seconda dei Paesi, la loro ampiezza e prescrittività variano: vanno da un’indicatività molto generale (livello minimo​​ standard)​​ ad un’indicazione dettagliatissima. Di fatto, a seconda dei Paesi, i p.s. ufficiali vengono chiamati in modo vario:​​ ​​ piani di studio,​​ ​​ curricolo,​​ syllabus,​​ indicazioni nazionali.

2. I p.s. sono il risultato di un lavoro impegnativo di elaborazione e di periodica revisione, a livello nazionale, a cui concorrono diverse competenze (pedagogisti, politici, sociologi, psicologi, esperti in diverse discipline di studio, insegnanti e altri). La loro elaborazione deve contemperare l’istanza logico-epistemologica con l’istanza psico-socio-pedagogico-didattica.

3. Sebbene non tutti siano d’accordo sulla necessità dei p.s. ufficiali, resta incontestabile il loro valore unificante e orientativo a livello del contesto interessato. Le loro funzioni principali riguardano appunto il valore unificante della cultura e la facilitazione del controllo, della comunicazione e collaborazione tra diverse categorie di persone implicate, della continuità educativo-didattica, nonché della professionalizzazione dei docenti. Quei pochi Paesi (come ad es. l’Inghilterra) in cui non esistevano p. ufficiali, hanno introdotto recentemente p. minimi.

4. È importante non solo l’elaborazione e la periodica revisione dei p. ma anche la loro realizzazione effettiva attraverso insegnanti qualificati e competenti nel rispetto della libertà didattica, espressione del riconoscimento della progettualità della scuola.

Bibliografia

Macure S.,​​ L’élaboration des programmes d’études. Question de styles,​​ Paris, OCDE, 1972; OCDE,​​ Guide pour l’innovation pédagogique. Élaboration des programmes scolaires,​​ Ibid., 1975; Pusci L. (Ed.),​​ L’enseignement primaire en Europe. Évaluation des nouveaux programmes dans les 10 pays européens,​​ Frascati, CEDE, 1990.

H.-C. A. Chang




PROPOSTA EDUCATIVA

 

PROPOSTA EDUCATIVA

L’educazione nella sua globalità e nel suo contenuto comunicativo può essere intesa come una lunga e vasta p., vale a dire come una indicazione significativa di senso, che qualcuno dall’esterno fa a qualcuno nelle profondità delle sue attese interiori, in un dialogo che media autorità e libertà.

1. Nella «pedagogia di campo» la p. si colloca nel quadro della comunicazione educativa, completa i momenti della risposta alle domande emergenti dall’interno di esso e garantisce la compiutezza progettuale. La vita e la sua educazione non possono uscire unicamente dalla persona come espansione delle attitudini di​​ ​​ domanda. Devono integrarsi con il profondo di sé e l’altro da sé. La​​ risposta educativa​​ è ogni intervento formale, contenutistico e processuale che corrisponde alla condizione di bisogno e di possibilità del​​ ​​ soggetto, presente a livello di coscienza, varia, ma sufficiente per esprimersi e integrarsi attivamente. La p.e. per sé va al di là delle domande emergenti da bisogni, interessi, possibilità già coscienti e espresse o facilmente stimolabili e provocabili nel soggetto. Si pone in contatto dinamico con le profondità di bisogni e possibilità non consapevoli, non immediate, o consiste in offerte totalmente esterne, in primo luogo dell’educatore, che media e presenta possibilità e istanze del patrimonio di cultura o dell’ambiente socio-storico. La pedagogia religiosa cristiana trova nel Vangelo una p.e. che trascende ogni possibilità di intuizione e di domanda umana.

2. Pedagogicamente la p.e. è un contenuto non chiesto, né spontaneamente atteso, ma a suo modo capace di risuonare dentro, meritevole di comprensione e di apprezzamento, in quanto sentito vero, valido, bello, vitale, motivante, cioè interiorizzabile e integrabile con il proprio mondo personale, le sue intenzionalità e aspirazioni. Condizioni più prossime della p.e. sono la libertà e la fortezza. Una p. non libera non è più tale. È una imposizione, un ricatto, un condizionamento violento o dolce. La p. entra per via di coscienza nelle intimità affettive, emozionali, virtuose e vi dialoga in termini di esplorazione, percezione, valutazione oggettiva, soggettiva, personale, avviando e stimolando, ma non necessitando consensi. La conclusione educativa è di natura deliberata e consensuale e magari creatrice. Ma questa libertà non indebolisce il circolo di efficacia educativa se la p.e. è dotata di fortezza, cioè di capacità di suscitare la risonanza delle forze vitali profonde della persona e di provocarle per la validità dei contenuti che presenta e prospetta. In questa linea – e non solo come fatto socio-giuridico con funzione di condizione di possibilità – acquista il suo senso quello che viene detto «contratto educativo».

Bibliografia

Filloux J.,​​ Le contrat pédagogique,​​ Paris, Dunod,​​ 1974; Santelli Beccegato L. (Ed.),​​ Bisogno di valori,​​ Brescia, La Scuola, 1991; Bertagna G. - P. Cattaneo,​​ Progetto educativo d’istituto e carta dei servizi, Ibid., 1996; Bertagna G. - S. Govi - M. Pavone,​​ POF. Autonomia delle scuole e offerta formativa, Ibid., 2001.

P. Gianola




PROSSEMICA

 

PROSSEMICA

Il termine p., coniato da E.T. Hall, indica quell’area del​​ ​​ comportamento umano (e la disciplina relativa) che ha per oggetto il modo secondo cui si percepisce e si struttura lo spazio.

1. In particolare le ricerche hanno messo in luce le differenze esistenti in proposito nelle diverse culture. La p. evidenzia il «prospettivismo dei fenomeni», vale a dire una sorta di centramento psicologico del mondo a partire dal punto di vista, dall’ubicazione e dal sentire soggettivo, preso a termine di riferimento percettivo, emotivo, valoriale; generalmente con una valorizzazione del vicino (del «prossimo») a detrimento del distante (del «lontano»).

2. Un ambito particolare della p. è quello che riguarda le relazioni interpersonali. Esso indaga specificamente i modi con cui le persone si relazionano fisicamente con gli altri, vale a dire come vivono e strutturano i contatti, la vicinanza, la distanza nel corso delle interrelazioni faccia a faccia con altre persone, attribuendo significati a tali relazioni e risentendone psicologicamente in maniera più o meno positiva o negativa. In tal senso essa contribuisce alla comprensione della​​ ​​ comunicazione e in particolare del​​ ​​ rapporto educativo, ma è rilevante nello studio dell’habitat, della pianificazione urbana e nel sistema della comunicazione sociale.

Bibliografia

Hall E. T.,​​ Il​​ linguaggio silenzioso,​​ Milano, Bompiani, 1969; Watson O. M.,​​ Comportamento prossemico,​​ Ibid., 1972.

C. Nanni




PROTESTANTESIMO

 

PROTESTANTESIMO

La connessione storica e sistematica, intenzionale e funzionale tra P. ed educazione comprende sia l’educazione religiosa sia in generale l’educazione sotto la responsabilità evangelica, specificamente in rapporto con la Chiesa, la società e l’individuo. Perciò vi appartengono anche i compiti particolari che a seconda del caso si chiamano catechesi, insegnamento cristiano, educazione religiosa familiare, educazione della coscienza, formazione del carattere, educazione etica, ecc.

1. La connessione tra P. ed educazione è già fondata in modo permanente nella Riforma del XVI sec. Nell’epoca moderna e nell’Illuminismo subisce però una trasformazione, che conduce alla sua forma attuale. Il riformatore e teologo tedesco Martin Lutero (1483-1546) sottolinea assai presto il significato che spetta all’educazione nel crescente rinnovamento della fede e della vita a partire dal Vangelo. Una educazione​​ alla​​ fede è esclusa, mentre una educazione​​ alla luce​​ della fede appare una conseguenza necessaria della coscienza liberata in forza del Vangelo. Da un lato Lutero si impegna per l’insegnamento cristiano di​​ tutti,​​ specificamente con l’aiuto di catechismi e di esami catechistici; dall’altro richiede la fondazione di scuole, che servono per il mantenimento della pace e della giustizia nello Stato e nella società. Ambedue le forme di educazione scaturiscono a suo parere dalla volontà di Dio. Lutero le interpreta nella loro distinzione e connessione ricorrendo all’immagine di due poteri di Dio (mondano / spirituale), da distinguersi secondo il modello della Legge e del Vangelo. La Chiesa, lo Stato e la famiglia sono considerati in uguale misura responsabili dell’educazione. Nell’epoca della Riforma la fondazione cristiana dell’educazione da parte di Lutero era largamente condivisa da parte protestante. Anche i riformatori significativi a livello internazionale, cioè Ulrich Zwingli (1484-1531) a Zurigo e Jean Calvin (1509-1564) a Ginevra seguono la medesima linea. Calvino comunque sottolinea più fortemente la connessione diretta tra Vangelo ed educazione. La trasformazione nell’epoca moderna si prepara nel XVII sec. Contro le distruzioni della guerra dei trent’anni si reagisce con un grandioso progetto di riforma dell’educazione e della società; per es. da parte del teologo ceco​​ ​​ Comenio, ma anche da parte del​​ ​​ Pietismo e soprattutto da parte del teologo e pedagogista tedesco​​ ​​ Francke e del riformatore austriaco-tedesco, più rilevante a livello internazionale, Nikolaus Ludwig Graf von Zinzendorf (1700-1760, fondatore dei Fratelli Moravi di Herrnhut) provengono impulsi per un’educazione al servizio della conversione e del rinnovamento. Anche se il motivo della conversione svolge un ruolo notevole, ulteriormente accentuato nei movimenti di rinnovamento spirituale degli Stati Uniti, alla fine risultano tuttavia le sfide connesse con l’Illuminismo (Inghilterra:​​ ​​ Locke; Francia:​​ ​​ Rousseau; Germania:​​ ​​ Kant) quelle che conducono a una profonda trasformazione del pensiero educazionale protestante. In forma esemplare tale trasformazione diventa visibile nel teologo e pedagogista tedesco Friedrich Schleiermacher (1768-1834), il quale ricollega l’educazione religiosa allo sviluppo della soggettività. Nello stesso tempo egli ritiene che la religione cristiana sia fondamento della formazione di una mentalità. L’educazione religiosa comprende, accanto alla sua dimensione ecclesiale, una dimensione culturale altrettanto rilevante, che irradia molto al di là della Chiesa. Da allora, soprattutto nel XIX sec. la connessione di P. ed educazione trova il suo centro nella «formazione etico-religiosa» della «personalità», di modo che educazione e scuola possano essere considerate nel loro insieme come espressione di educazione cristiana. Accanto ad essa a partire dal XIX sec. guadagnano in importanza istituzioni di tipo diaconale e sociale-pedagogico (case di rifugio per la gioventù, giardini d’infanzia). Allo scadere del XIX sec. si formano associazioni religiose giovanili, che spesso rappresentano un P. non legato alla Chiesa. Il P. ha bisogno del mondo della formazione ed è esso stesso un potente motivo per dedicarsi alla formazione. Anche laddove c’è separazione tra Chiesa e Stato il duplice orientamento del P. sulla Chiesa e sullo Stato rimane intatto. In Paesi come la Germania, dove l’insegnamento della religione nelle scuole statali è di tipo confessionale, ciò documenta l’idea di un cristianesimo culturale; in Paesi dove non c’è l’insegnamento religioso scolastico, soprattutto negli Stati Uniti, la rilevanza dell’educazione religiosa per la cultura e la società viene assicurata da parte della Chiesa (scuole domenicali). Nello stesso tempo la pedagogia religiosa che è orientata su compiti culturali manifesta sovente una specie di tendenza autonomista dalla Chiesa e dalla catechetica.

2. La sintesi pedagogica tra cultura e cristianesimo è stata messa in questione da sistemi politici ostili alla religione, ma anche nell’ambito della teologia da parte di una determinata teologia della rivelazione. Da allora il rapporto tra cristianesimo e cultura si pone giustamente in chiave maggiormente critica, senza che il P. nelle sue correnti principali abbia tuttavia rinunciato all’apertura culturale. L’atteggiamento critico di fronte alla modernità – oggi il postmoderno – al più tardi a partire da Schleiermacher, appartiene alle caratteristiche fondamentali del rapporto tra P. ed educazione. Comunque di fronte alle crisi della modernità appare progressivamente più difficile garantire la connessione tra cristianesimo culturale ed ecclesiale ed in generale tra​​ ​​ cultura e​​ ​​ religione. Lo stretto collegamento tra P. e formazione generale o pedagogia (scientifica), tipico nella storia del P. è progressivamente scomparso; infatti discussioni parallele in Europa e negli Stati Uniti mettono in luce le sfide rivolte al P. da parte dei processi di secolarizzazione culturale e religiosa. Dalla possibilità di superare questi processi dipende in modo decisivo il futuro di un’educazione protestante nella pluralità.

Bibliografia

Asheim I.,​​ Glaube und Erziehung bei Luther. Ein Beitrag zur Geschichte des Verhältnisses von Theologie und Pädagogik, Heidelberg, Quelle und Meyer,​​ 1961; Hull J.,​​ Studies in religion and education,​​ London / New York, Falmer, 1984;​​ Nipkow K. E.,​​ Bildung als Lebensbegleitung und Erneuerung, Gütersloh, Gütersloher Verlagshaus,​​ 1990; Osmer R.,​​ R.,​​ A Teachable Spirit. Recovering the teaching office in the Church,​​ Louisville, Kentucky, Westminster / John Knox, 1990; Francis L. J. - A. Tachter (Edd.),​​ Christian perspectives for education, Leominster, Fowler Wright, 1990;​​ Nipkow K. E. - F. Schweitzer (Edd.),​​ Religions-pädagogik. Texte zur evangelischen Erziehungs und Bildungsverantwortung seit der Reformation, München / Gütersloh, Kaiser / Gütersloher Verlagshaus, 1991-1994, 3 voll.;​​ Ploeger A. K.,​​ Inleiding in de godsdienstpedagogiek,​​ Kampen, Kok,​​ 1993; Canotto P.,​​ Cattolicesimo,​​ p.​​ e capitalismo: dottrina cristiana ed etica del lavoro, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2005.

F. Schweitzer




PROVE OGGETTIVE

 

PROVE OGGETTIVE

Strumenti per la​​ ​​ valutazione del profitto scolastico costruiti secondo la metodologia dei​​ ​​ test (test di profitto).

1. All’inizio del sec. XX gli studi critici sulla scarsa oggettività e validità degli strumenti tradizionali per la valutazione del profitto (interrogazioni, «saggi», problemi...) stimolarono l’introduzione nel sistema scolastico di strumenti più «oggettivi», cioè tali che potessero essere usati da qualsiasi operatore producendo costantemente gli stessi risultati. Gli accorgimenti usati per ottenere oggettività di valutazione, all’inizio, erano solo la parcellizzazione dei contenuti, la preferenza per i quesiti corredati da risposte «a scelta multipla», l’adozione di «griglie di correzione» a cui vincolare tutti gli utenti, l’adozione di un sistema di assegnazione del punteggio uguale per tutti gli operatori. Successivamente, il riferimento alla metodologia generale dei test indusse l’uso di metodologie statistiche standard (per es. l’analisi degli item) e pose il problema della verifica empirica della validità e del riferimento a norme statistiche.

2. La preoccupazione della «validità di contenuto», fondamentale per i test utilizzati in ambito educativo e didattico, indusse prima a segnalare la necessità che le p.o. esplicitassero analiticamente i contenuti disciplinari esaminati e successivamente, in connessione con gli sviluppi della didattica, fu segnalata la necessità di esplicitare gli obiettivi didattici e le metodologie didattiche di riferimento.

3. In Italia le p.o. sono state costruite e proposte agli insegnanti da un limitato numero di centri di ricerca universitaria, individuabili dalla bibliografia. Attualmente, si preferisce il termine​​ test di profitto,​​ anche se gli strumenti così denominati non sembrano più sofisticati psicometricamente delle vecchie p.o. Le prove di «competenza minima» e di «cultura generale» usate nelle procedure selettive sono simili tecnicamente alle p.o., ma ne differiscono in quanto non si basano su un intervento didattico definito a cui ancorare la validità del contenuto.

Bibliografia

Visalberghi A.,​​ Misurazione e valutazione nel processo educativo,​​ Milano, Edizioni di Comunità, 1955; Calonghi L.,​​ Test e esperimenti,​​ Torino, PAS, 1956; Id.,​​ Sussidi per la conoscenza dell’alunno,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1963;​​ id., «I test di acquisizione e di profitto», in C. Scarpellini - E. Strologo (Edd.),​​ L’orientamento. Aspetti teorici e metodi operativi,​​ Brescia, La Scuola, 1976, 767-840; Boncori L.,​​ Teoria e tecniche dei test,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1993; Id.,​​ I test in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2006.

L. Boncori




PRUDENZA

 

PRUDENZA

Si chiama in causa il termine p. nella misura in cui la pedagogia e la sua storia vi fanno riferimento. Tanto più che sembra in atto un volenteroso ricupero del sistema delle​​ ​​ virtù e con esse della p. [1].

1. Né il tema, né le sue variazioni possono passare per specificamente cristiani. Allorché Ambrogio nel suo​​ De officiis​​ (I, 24; I, 27) propone come​​ cardinali​​ le​​ virtù primarie​​ della riflessione stoica, lo fa ispirandosi al modello ciceroniano. Il ricupero di Macrobio lungo il sec. XII ha fornito al sistema nuovi assetti, riesumandone le remote ascendenze platoniche e stoiche [2]. I libri IX e X dell’imponente​​ Speculum universale​​ di Randolfo Ardens rappresentano di cotali tradizioni la più esuberante rivalutazione. P., giustizia, fortezza e temperanza, sono, con la fede, virtù​​ discretivae,​​ diverse dalle virtù​​ oditivae​​ e da quelle​​ contemplativae.​​ Come tale la p. resta pericolosamente sostanziata di conoscenza:​​ memoria,​​ dispositio​​ e​​ providentia​​ sono le sue parti, e la​​ sapientia,​​ la​​ intelligentia​​ e la​​ scientia,​​ le sue specie. È ancora virtù morale? [3]. Anche Alberto Magno, prima di leggere​​ ​​ Aristotele, fa della p. una virtù discretiva e ne riassume la dinamica nei termini adusti del sillogismo:​​ «Omne bonum est faciendum. Sed hoc est bonum. Ergo est faciendum»​​ [4]. Certo esso esprime discrezione sentenziale; ma come farne un esercizio di virtù morale?

2. L’acquisizione, lungo il sec. XIII, dell’Etica​​ Nicomachea​​ di Aristotele [5] reca meticolosa precisione semantica e inedite ispirazioni. Lo studio della virtù comincia con il c. 13 del L. I, in cui il filosofo avverte che, essendo la virtù qualità dell’anima, non si può dirne adeguatamente senza prima conoscere quella. Orbene l’anima ha costituzione complessa. In parte è razionale e in parte no; e la quota irrazionale è in parte principio di passioni, voglie e suscettibilità, e in parte fermento di mero metabolismo. Ora è ovvio che mentre quest’ultima quota risulta radicalmente indisponibile, l’altra, per la complessiva sostanziale contiguità con la parte razionale, non può non riuscire suscettibile di discrezione: tra l’eccesso e il difetto può essere di caso in caso ricondotta alla misura espediente. L’appetito è disciplinabile, e la p. ne è la disciplina [6].​​ ​​ Tommaso d’Aquino dispone di Aristotele fin dagli esordii del proprio impegno, però nel suo tacito ma sicuro itinerare non può non esprimere assestamenti differenziati [7]. Convenzionalmente si accredita alla​​ Summa theologiae​​ la decantazione definitiva. Per quel che immediatamente ci interessa, mentre proprio l’Etica Nicomachea​​ ricusa all’anima umana ogni sopravvivenza, Tommaso ne sostiene pervicacemente l’assoluto buon diritto, integrando, nella virtualità di un unico principio, le​​ parti​​ cui Aristotele accredita certa rilevanza; intelligenza compresa. Unica​​ forma​​ del sinolo umano, l’anima, immateriale, concorre dialetticamente, in unità sostanziale, con la potenzialità erosiva della​​ materia.​​ Gli è che l’uomo non sussiste come valore assoluto, ma si realizza, frantumato e disperso, in tempo e spazio, nella molteplicità del numero. Della specie, per ciò stesso, il singolo è come uno scarto, o come tecnicamente si dice, una parte soggettiva. E ciò sia per l’essere, sia conseguentemente per l’agire: a nessun singolo il mestiere d’uomo può riuscire pervio per natura (Ia IIae, q. LXIII, a. 1; IIa IIae, q. LXVII, a. 15). I suoi dinamismi restano, tutti e ciascuno, un avvio avventurato; costituiranno promettente espressione solo se concorrenti in indole e misura. Disciplinare le propensioni è però, della p., compito preliminare (IIa IIae, q. XLVII, a. 6); non può di fatto esaurirne l’impegno. Ponderata, infatti, in funzione della esecuzione espediente, la disciplina in parola deve consecutivamente sostenere codesta promessa fino ad esecuzione consumata: «Prudentia est recta ratio agibilium, unde oportet quod ille sit praecipuus actus prudentiae qui est praecipuus actus rationis agibilium.​​ Cuius quidem sunt tres actus. Quorum primus est consiliari, quod pertinet ad inventionem, nam consiliari est quaerere. Secundus actus est iudicare de inventis; et hic sistit speculativa ratio. Sed practica ratio, quae ordinatur ad opus, procedit ulterius, et est tertius actus eius praecipere. Qui quidem actus consistit in applicatione consiliatorum et iudicatorum ad operandum; et quia iste actus est propinquior fini rationis practicae, unde est quod iste est principalis actus rationis practicae et per consequens prudentiae»​​ (IIa IIae, q. XLVII, a. 8).

3. L’idea d’una virtù che cavalca le propensioni, onde imporre ad esse misura, e definitiva rettitudine alla loro complessiva concorrenza nell’esercizio terminale che insieme esprimono, non è di facile assimilazione [8]. Così la p. di invenzione tomistica cede tosto l’onore della successiva cronistoria ad accezioni meno intrepide e sicuramente arruffate; quella dantesca ad es.: «Bene si pone p., cioè senno, per molti essere morale virtù; ma Aristotele dinumera quella intra le intellettuali, avvegnaché​​ essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per che elle si compongono e senza quella essere non possono» (Conv.​​ IV,17). Nella sua originale elaborazione, la p., per quanto ardua, costituisce alea indeclinabile per chi vuol correre con qualche degna speranza l’avventura umana [9]. Una straordinaria provocazione per ogni pedagogia. Vi si trova, questa, sollecitata e ad attenzioni assolutamente personalizzate, vista la perentoria originalità d’ogni singolo, e a inesauste persistenti cure, vista la fatale estenuazione del suo beneficiario tra nascita e morte.

Bibliografia

[1] Nelson D. M.,​​ The priority of prudence. Virtue and natural law in Thomas Aquinas and the​​ implications for modem ethics,​​ Park, 1992; [2] Lapidge M., «The stoic inheritance» (in​​ A history of Twelft-Century western philosophy,​​ Ed. P. Dronke), Cambridge, 1988; [3]​​ Grundel J.,​​ Die Lehre des Randulfus Ardens der Verstandestugenden auf dem Hintergrund seiner Seelenlehre,​​ München,​​ 1976; [4] Payer P. J.,​​ Prudence and the principles of natural law. A medieval development​​ (in «Speculum» LIV, 1979, 55-70); [5] Gauthier R. A., «Ethica Nicomachea» (in​​ Aristoteles Latinus,​​ 26, 1-3, vol.​​ I:​​ Praefatio),​​ Leiden, 1974; [6] Westberg D.,​​ Right practical reason. Aristotle,​​ action,​​ and prudence in Aquinas,​​ Oxford, 1994; [7] Abbà G.,​​ Lex et virtus.​​ Studi sull’evoluzione della dottrina morale di S. Tommaso d’Aquino,​​ Roma, 1983; [8] Pinckaers S., in «Bulletin Thomiste» IX, 1955, 345-362; [9] Buehler W. J.,​​ The rote of prudence in education,​​ Washington, 1950.

P. T. Stella