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PETITES ÉCOLES DE PORT-ROYAL

 

PETITES ÉCOLES​​ DE PORT-ROYAL

L’espressione P.É.​​ (piccole scuole) viene molto usata nel Seicento in Francia per indicare le scuole «di iniziazione», in cui si insegnano i primi rudimenti del leggere e dello scrivere. Hanno avuto speciale risonanza le «piccole scuole» fondate dall’abate di Saint-Cyran (1581-1643), con la collaborazione attiva di un gruppo di intellettuali, i «solitari» di Port-Royal. Queste P.É. non sono però semplici scuole elementari: i giovani vi ricevono una formazione completa in un ambiente di internato.

1. Le tappe principali che scandiscono la breve vita delle P.É.​​ de P.-R. sono queste: nell’estate del 1637 un piccolo gruppo di ragazzi è accolto a Port-Royal-des-Champes, un monastero femminile cistercense a 25 km da Parigi, per iniziativa di Saint-Cyran. Questi, all’inizio della sua attività, si propone di formare sacerdoti istruiti e capaci, ma molto presto, rispondendo alle attese degli amici, vengono raccolti a Port-Royal ragazzi che non intendono abbracciare lo stato ecclesiastico. Come primo maestro è scelto un giovane prete: Antoine Singlin (1607-1664). I contrasti con l’autorità reale e con quella ecclesiastica sono all’origine di diversi cambiamenti di sede (Port-Royal-de-Paris, Chesnay, Port-Royal-des-Champes, Les Granges,​​ Chesnay). Dopo aver conosciuto anche momenti di forzata dispersione degli allievi, le scuole furono soppresse da Luigi XIV nel 1660.

2. Le P.É.​​ si collocano nel contesto del movimento di riforma etico-religiosa promosso dal​​ ​​ Giansenismo. A questa voce rimandiamo per ciò che riguarda gli orientamenti culturali, i maestri, la produzione letteraria e pedagogica. Alla preoccupazione di rigore morale e alla critica dei costumi e della religiosità del tempo è unita, nei portorealisti, una forte sensibilità scolastico-educativa. Senza negare l’importanza della funzione della famiglia nell’ambito dell’educazione, essi affermano la necessità dell’istruzione e danno una speciale importanza alla scuola. Un insegnamento solido è considerato indispensabile per poter conoscere quello che si deve fare nella vita e per prepararsi in modo adeguato a servire Dio e difendere le proprie convinzioni. In prospettiva schiettamente cristiana, le P.É.​​ si propongono di raggiungere alcuni obiettivi: preservare dal male gli «eletti», restaurare la natura decaduta, chiarire la ragione e raddrizzare la volontà. Su questa base poggiano i valori della libertà interiore, della sincerità, della padronanza di sé.

3. Nella proposta dei​​ mezzi educativi,​​ uno speciale accento viene pure messo sugli aspetti religiosi: a) creazione di un​​ ambiente pulito​​ mediante la scelta attenta dei maestri e delle persone che entrano in contatto con gli allievi; è proibita la frequenza dei teatri e le opere classiche si studiano in edizioni «purgate» dai passaggi ritenuti pericolosi; b)​​ disciplina​​ seria, anche se sempre paterna e ragionevole; c)​​ castighi​​ poco frequenti, e quelli corporali in casi gravi dopo aver esaurito altri mezzi; d)​​ vigilanza continua​​ per prevenire le occasioni di pericolo. Il maestro responsabile di ogni gruppo di ragazzi (da quattro a sei) è sempre presente tra di loro nei diversi momenti della giornata e nei diversi ambienti, anche nella camerata di sera. Curare la dimensione morale e religiosa non significa trascurare gli altri aspetti dell’educazione; anzi a Port-Royal si mira con serietà a far imparare «l’arte di ben condurre la propria ragione nella conoscenza delle cose» (Lancelot-Arnauld, 1969, 104). I titoli di due testi fondamentali sono, a questo proposito, significativi:​​ Grammaire generale et raisonnée​​ (A. Arnauld - C. Lancelot), la​​ Logique de Port-Royal​​ (A. Arnauld - P. Nicole). D’altra parte, il programma culturale, svolto con gradualità, è ampio: lettura, scrittura, lingue (fr., lat., gr.), spiegazione di autori, matematica e materie scientifiche, geografia e storia, retorica, filosofia.

4. Dal punto di vista pedagogico, la risonanza e l’influsso di Port-Royal sono legati anzitutto alla ricca personalità dei «solitari», all’impegno educativo di questi «asceti austeri e amorevoli» e alla fortuna e diffusione dei loro saggi e testi scolastici, in cui si avvertono tracce di autori classici (​​ Cicerone,​​ ​​ Quintiliano,​​ ​​ Seneca) e di altri più recenti (​​ Erasmo,​​ ​​ Montaigne,​​ ​​ Descartes,​​ ​​ Comenio).

Bibliografia

Lancelot C. - A. Arnauld,​​ Grammatica e logica di Port-Royal,​​ a cura di R. Simone, Roma, Ubaldini, 1969; Delforge F.,​​ Les P.É. de P.-R.,​​ 1637-1660,​​ Paris, Cerf, 1985; Hildesheimer F. - M. Pieroni Francini,​​ Il Giansenismo,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1994; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia,​​ vol. 2,​​ Torino, SEI, 2004; Weaver F. E.,​​ La contre-réforme et les Constitutions de Port-Royal, Paris, Cerf, 2004.

J. M. Prellezo




PIAGET Jean

 

PIAGET Jean

n. a Neuchâtel nel 1896 - m. a Ginevra nel 1980, psicopedagogista svizzero.

1.​​ Gli inizi.​​ Dopo un precoce interesse pelle scienze naturali (a dieci anni pubblica il suo primo articolo scientifico sul passero albino, si laurea in zoologia a venticinque anni e nel 1918 si specializza con una tesi sui molluschi), P. sviluppa progressivamente un crescente interesse per la psichiatria e la psicologia. Frequenta così a Zurigo l’ospedale psichiatrico diretto da E. Bleuler, inizia la lettura delle opere di​​ ​​ Freud, segue i seminari di​​ ​​ Jung e per alcuni mesi è in analisi con S. Spielrein. I suoi forti interessi di tipo speculativo lo portano poi, tra il 1919 e il 1921, a Parigi dove segue alla Sorbona le lezioni di G. Dumas e di H. Piéron. Prendendo spunto dal pensiero del filosofo francese H. Bergson, P. si propone di utilizzare gli strumenti della scienza sperimentale per studiare le forme successive di elaborazione della ragione nell’ontogenesi delle condotte umane. Inizia così, mettendo a punto presso il laboratorio di​​ ​​ Binet un metodo per la standardizzazione dei​​ ​​ test mentali per bambini di​​ ​​ Burt, a prestare particolare attenzione alle strategie seguite dal bambino per giungere alla soluzione dei problemi e nel 1921 accetta il posto di direttore di ricerca presso l’Institut J. J. Rousseau, offertogli da​​ ​​ Claparède.

2.​​ Le ricerche sistematiche e gli incarichi internazionali.​​ Si trasferisce definitivamente a Ginevra e inizia le sue ricerche sistematiche sullo sviluppo infantile occupandosi sperimentalmente e teoricamente della strutturazione del pensiero nel bambino e nell’adolescente. Ne studierà dunque le prime attività percettive e motorie, il costituirsi di un mondo oggettivo e le prime manifestazioni, tra il primo e il secondo anno di vita, dell’intelligenza senso-motoria e quindi dell’attività rappresentativa. Successivamente prenderà in esame l’attività imitativa, il gioco simbolico e il linguaggio verbale, e giungerà a delineare un quadro e un’analisi complessiva della rappresentazione del mondo nel bambino, caratterizzata dall’egocentrismo, dal realismo, dalla non reversibilità delle operazioni di pensiero. In seguito, sulla base di una serie di osservazioni sistematiche condotte con il metodo clinico, analizzerà lo sviluppo del pensiero dai quattro agli otto anni, il comparire della reversibilità, il formarsi delle principali nozioni di quantità, numero, movimento, spazio. Porterà infine a termine, in collaborazione con B. Inhelder, una serie di studi sull’evoluzione dell’intelligenza sino ai quindici-sedici anni (processo ipotetico deduttivo, processo di induzione, concetto di probabilità). Nel 1929 viene nominato direttore del Bureau International de l’Éducation e nel 1940, alla morte di Claparède, direttore dell’Istituto J. J. Rousseau e professore di psicologia sperimentale a Ginevra. Dirige inoltre gli «Archives de Psychologie», che si caratterizzeranno sempre più come il periodico della scuola piagetiana. Al termine della II Guerra Mondiale ricopre importanti incarichi all’Unesco e insegna a Ginevra storia della scienza e alla Sorbona di Parigi, come successore di Merleau-Ponty, psicologia genetica (1952-1963). Nel 1954 fonda a Ginevra un Centro Internazionale di Epistemologia genetica con impianto interdisciplinare (psicologia, logica ed epistemologia) e prende posizione contro il metodo filosofico-speculativo rapportandolo criticamente al metodo scientifico. Si occupa inoltre dei problemi dello strutturalismo cercando di mettere in luce un punto di vista metodologico comune ai diversi campi di ricerca.

3.​​ Lo sviluppo mentale del bambino.​​ Sin dall’inizio, l’interesse principale di P. per lo​​ ​​ sviluppo infantile si è incentrato sulla genesi della capacità logica, da lui definita «l’assiomatica della ragione». Individuato nella psicologia dell’intelligenza il centro dei propri interessi teorici e sperimentali, P. ha teso a dare un’esatta interpretazione psicologica dei concetti e delle operazioni logiche (concetto di spazio, tempo, ecc.; operazioni di disgiunzione, congiunzione, esclusione) studiandone la genesi e lo sviluppo e utilizzando un metodo, l’analisi genetica dei processi, che postula un parallelismo tra l’acquisizione individuale e l’acquisizione storica. Secondo P. la capacità di ragionamento logico non è innata nel bambino ma si costituisce progressivamente, presentandosi sotto forma di strutture operative, in connessione con il linguaggio e i rapporti sociali: l’atto logico consiste nell’operare, nell’agire sulle cose o sugli altri. È necessario dunque, se si vuole comprendere come si costruisce l’apparato concettuale di cui il pensiero si avvale, seguire il soggetto nella sua attività nell’ambiente che lo circonda. Sulla base di queste premesse la condotta intelligente, l’adattamento, possono venir descritti con una dialettica funzionale di due processi: quello di assimilazione e quello di accomodamento, dove, secondo P., anche i riflessi elementari (ad es. il riflesso della suzione nel neonato) contengono già elementi di assimilazione e dove il pensiero logico astratto, quale il ragionamento matematico, è definibile come un comportamento interiorizzato e concettualizzato. Secondo P., lo sviluppo mentale del bambino, dall’infanzia all’adolescenza, può essere descritto come un lungo percorso che conduce alla acquisizione di modalità adulte di conoscere il mondo e di entrare in relazione con gli altri. In questo percorso è possibile identificare una serie di stadi, ognuno dei quali svolge un ruolo fondamentale e ineliminabile. In esso possono essere identificati due periodi principali: il periodo senso-motorio (dalla nascita ai primi due anni di vita) e il periodo concettuale (dai 2 anni ai 15 anni). Questi due periodi sono a loro volta suddivisibili in stadi. Nel periodo senso-motorio il bambino sviluppa progressivamente le proprie modalità di interazione con l’ambiente, passando dall’uso esclusivo dei riflessi alle coordinazioni visuo-motorie. Impara cioè a coordinare percezione e movimento e raggiunge, tra i 4 e gli 8 mesi, la «permanenza della persona» e la «permanenza dell’oggetto»: apprende cioè che le persone e gli oggetti sono entità separate da lui che mantengono la propria esistenza anche se scompaiono dal suo campo visivo. Alla fine del periodo senso-motorio il bambino è in grado di formarsi delle immagini mentali e può iniziare a operare con le rappresentazioni interne che non richiedono la presenza immediata di oggetti o persone. Il periodo concettuale è suddiviso in tre momenti: lo stadio preoperatorio (dai 2 ai 7 anni), lo stadio delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni) e lo stadio delle operazioni formali (dagli 11 ai 15 anni). Nello stadio preparatorio si assiste allo sviluppo delle rappresentazioni esterne (fase preconcettuale) e delle operazioni mentali di classificazione e seriazione degli oggetti (fase del pensiero intuitivo). Nello stadio delle operazioni concrete il bambino acquisisce progressivamente la capacità di compiere operazioni mentali facendo riferimento a oggetti concreti, cose o persone e inizia a utilizzare i concetti di numero, peso e volume. Lo sviluppo mentale giunge a termine nello stadio delle operazioni formali, caratterizzato dalla acquisizione della capacità di compiere operazioni mentali utilizzando esclusivamente simboli, e dal conseguente accesso al metodo ipotetico-deduttivo nella soluzione di problemi logico-matematici.

4.​​ L’epistemologia genetica.​​ La via che porta alla elaborazione dell’epistemologia genetica parte dunque dallo studio dello sviluppo psicologico del bambino. Essa è intesa da P. come «scienza separata dalla filosofia ma legata a tutte le scienze umane e alla biologia», volta a rintracciare la genesi dei concetti di spazio, di tempo, causalità o numero e classe che a loro volta si formano per successivi adattamenti e che permettono la concettualizzazione dello sviluppo mentale nei termini di un adattamento via via più preciso alla realtà. In quanto tale, l’epistemologia genetica «è in grado di affrontare questioni fino a quel momento esclusivamente filosofiche in una maniera risolutamente sperimentale». Le considerazioni epistemologiche di P. si basano dunque sulla ricerca sperimentale, sia psicologica sia biologica, e sul ricorso a un metodo strutturale che procede per approssimazioni successive. Le sue affermazioni sullo sviluppo mentale del bambino, le sue conclusioni riguardo al tipo di acquisizioni logiche, affettive, percettive dei diversi stadi dello sviluppo medesimo, sono corredate da un complesso di dati di osservazioni e elaborazioni statistiche tali da consentire una verifica della loro validità e sono ricche di implicazioni da un punto di vista didattico e pedagogico, sottolineando l’esigenza di adeguare i metodi e i contenuti dell’insegnamento ai diversi stadi dello sviluppo cognitivo, affettivo e morale del bambino.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ tra le opere di P. trad. in it.:​​ Giudizio e ragionamento nel bambino, Firenze, La Nuova Italia, 1958;​​ Il linguaggio e il pensiero nel fanciullo, Firenze, Giunti-Barbera, 1965;​​ La nascita dell’intelligenza, Firenze, La Nuova Italia, 1968;​​ Il giudizio morale nel fanciullo, Firenze, Giunti-Barbera, 1972;​​ Dove va l’educazione, Roma, Armando, 1978. b)​​ Studi:​​ Filograsso N.,​​ J.P. e l’educazione,​​ Urbino, Argalìa, 1974; Hers R. H.,​​ Promoting moral growth: from P. to Kohlberg,​​ New York / London, Longman, 1979; Evans R. I.,​​ Cos’è la psicologia: lo sviluppo della mente umana,​​ l’educazione,​​ i meccanismi dell’apprendimento spiegati dal più grande studioso di processi cognitivi: J.P., Milano, Mondolibri, 2002; Taroni P.,​​ Introduzione a P., Urbino, Quattroventi, 2005; Gardner H.,​​ Riscoperta del pensiero e movimento strutturalista. P. e Lévi-Strauss, Roma, Armando, 2006; Filograsso N. - R. Travaglini (Edd.),​​ P. e l’educazione della mente, Milano, Angeli, 2007.

F. Ortu - N. Dazzi




PIANIFICAZIONE DELL’EDUCAZIONE

 

PIANIFICAZIONE​​ DELL’EDUCAZIONE

È l’organizzazione, secondo una scansione temporale, dello sviluppo del​​ ​​ sistema formativo o di una sua parte.

1. Benché una qualche p.d.e. ci sia sempre stata, è solo dopo la seconda guerra mondiale che si parla comunemente di piani e si diffondono nei ministeri le strutture di p.d.e. Per prima l’Unione Sovietica le attribuisce un posto di rilievo: l’impostazione è caratterizzata da centralizzazione, unità gerarchica di comando, controllo ideologico del curricolo e stretta integrazione fra scuola ed extrascuola, educazione dei giovani e degli adulti, p.d.e. e p. economica. Nei Paesi capitalisti, nonostante la fiducia nelle capacità di autoregolazione del mercato, si riscontra una notevole presenza della p.d.e. dato l’interesse degli Stati a sviluppare l’educazione. La p.d.e. si qualifica per la natura indicativa dei piani, per la tendenza al decentramento, per la preferenza verso gli incentivi. Nei Paesi in via di sviluppo la p.d.e. ha occupato dagli inizi un posto centrale sia per l’influsso delle organizzazioni internazionali, sia per convinzione propria perché, a motivo anche del successo apparente negli Stati comunisti, la p.d.e. si presentava come uno strumento essenziale per distribuire in modo efficace le scarse risorse disponibili. I risultati modesti della p.d.e. e il crollo del blocco comunista hanno creato alla fine degli anni ’80 del XX sec. confusione e incertezza da cui si è usciti attraverso l’adozione di approcci più qualitativi, decentrati e partecipativi.

2. Attualmente​​ si pensa che la p.d.e., pur implicando notevoli aspetti tecnici, non possa essere considerata un’attività prettamente tecnica, ma sia invece intrinsecamente politica perché incide sul futuro del sistema formativo. Di fronte alla scarsa efficacia dell’impostazione centralistica ci si orienta verso una decentrata, partecipativa e aperta; tuttavia, rimane l’esigenza del coordinamento tra le diverse strutture che consenta di valorizzare i rapporti di complementarità esistenti e di realizzare sinergie generali. Quanto ai modelli economici di riferimento, ha perso terreno l’approccio della «mano d’opera» per la difficoltà di prevedere nel lungo periodo le esigenze di forza lavoro; invece, guadagnano consensi la formula della domanda sociale, che punta ad identificare i bisogni dei cittadini, e l’analisi costi-benefici che valuta i vantaggi e gli svantaggi delle alternative proposte allo scopo di determinare la più efficace. Le relazioni tra istruzione e formazione da una parte e crescita economica dall’altra non si possono basare solo sulla domanda di lavoro, ma bisogna anche tenere conto della qualità dell’offerta; si richiede pertanto un monitoraggio costante della domanda e dell’offerta al fine di elaborare strategie concertate. Tale approccio andrebbe realizzato nel quadro di un modello personalista che ponga al centro la persona e non il sistema economico.

Bibliografia

Rizzi F., «P.d.e.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. V, Brescia, La Scuola, 1992, 9058-9061; Farrel J. P., «Planning education: Overview», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The international encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21994, 4499-4510; Lodigiani R.,​​ La formazione come risorsa, in «Studi di Sociologia» 37 (1999) 3, 345-368; Bertrand O.,​​ Planning human resources: Methods,​​ experiences,​​ and practices, Paris, Unesco, 2004; Cecchini A. - A. Plaisant,​​ Analisi e modelli per la p., Milano, Angeli, 2005; Bertagna G.,​​ Il pensiero manuale, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2006.

G. Malizia




PIANO DELL’OFFERTA FORMATIVA

 

OFFERTA FORMATIVA: PIANO DELLA

1.​​ Il Piano dell’o.f. (Pof) nella normativa. Art. 3 del Dpr. 275 / 99: «1. Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il piano dell’o.f. Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia. 2. Il piano dell’o.f. è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi di indirizzi di studi determinati a livello nazionale a norma dell’articolo 8 e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’o.f. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità». Commi 1 e 2 dell’art. 9 del Dpr. 275 / 99: si parla di «ampliamenti dell’o.f. che tengano conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. I predetti ampliamenti consistono in ogni iniziativa coerente con le proprie finalità, in favore dei propri alunni e, coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli enti locali, in favore della popolazione giovanile e degli adulti. I curricoli determinati a norma dell’articolo 8 possono essere arricchiti con discipline e attività facoltative che, per la realizzazione di percorsi formativi integrati, le istituzioni scolastiche programmano sulla base di accordi con le regioni e gli enti locali».

2.​​ Il Pof in un’ottica statalista. Per ragioni storiche, quando, nel nostro Paese, si impiega l’espressione «ottica statalista», si intendono richiamare due qualificazioni. La prima presuppone legittimo e doveroso un sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione costituito in maniera monopolistica o quasi-monopolistica da istituzioni scolastiche statali. La seconda ritiene che tale sistema possa funzionare bene, garantendo equità e qualità a livello nazionale, soltanto se organizzato al proprio interno in maniera piramidale, gerarchica e centralista (gli storici dicono ‘napoleonica’). Questa modalità organizzativa si riferisce sia ad una burocrazia statale (centrale, regionale, provinciale, di scuola) che «obbedisca» alle direttive di metodo e di contenuto emanate dal vertice, il Ministro della P.I., sia ad una burocrazia locale, di scuola, fondata su un «potere» gerarchico dei «dirigenti sui dipendenti» o, comunque, di gruppi elitari sull’insieme dei docenti, degli studenti e delle famiglie.

2.1.​​ Redigere il Pof in quest’ottica,​​ significa, dunque, da un lato, costruirlo con il metodo della «modularità aggiuntiva». Il centro detta sia il curricolo nazionale, quello uguale per tutte le scuole della Repubblica (art. 8 del Dpr. 275 / 99), sia i limiti formali del suo possibile adattamento alla realtà locale (per es., affidare il 20% delle ore del curricolo nazionale all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche). Ogni scuola, sulla base delle «esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale» e «tenendo conto della programmazione territoriale dell’o.f.» deliberata dagli enti locali, nonché delle eventuali risorse aggiuntive messe a disposizione da questi ultimi, stabilisce successivamente: a) la parte del curricolo nazionale obbligatorio, che non modifica; b) gli adattamenti locali al curricolo nazionale obbligatorio, nella misura autorizzata dalle norme nazionali; c) l’eventuale integrazione locale del curricolo nazionale con attività opzionali obbligatorie o facoltative; d) le modalità organizzative (tempi, luoghi, risorse) con cui intende concretizzare i punti precedenti.

2.2.​​ Dall’altro lato,​​ redigere il Pof nell’ottica statalista significa, inoltre, attribuire a questo documento il ruolo e la funzione che un tempo erano svolti dai Programmi di insegnamento ministeriali e dalle disposizioni emanate dal Ministero per attuarli. Così come studenti, docenti e famiglie dovevano «obbedire» alle norme ministeriali romane, analogamente essi dovrebbero ora «obbedire» alle disposizioni contenute nel Pof. Per quanto il Pof «vada​​ costruito​​ nella scuola» e per quanto «tale costruzione debba permettere l’accordo tra istanza centrale, normativa e unitaria, ed istanza locale, pragmatica e flessibile» non viene meno il fatto che si tratti comunque di un prodotto elaborato in maniera elitaria e verticistica, sottratto alla negoziazione diretta e cooperativa degli attori poi direttamente coinvolti nella sua pretesa azione formativa in situazione (i concreti studenti di un gruppo classe, i loro concreti genitori, i docenti realmente presenti con loro).

3.​​ Il Pof in un’ottica sussidiaria. Ben altre caratteristiche assume il Pof se, superando le inerzie della logica statalista, si inserisce nell’ottica della sussidiarietà e dell’autonomia (L. n. 59 / 97, Dpr. 275 / 99, L. n. 62 / 2000; riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, L. n. 53 / 03). In questo caso, esso, anzitutto, implica un sistema educativo nazionale composto da istituzioni scolastiche statali e non statali, in regime di equipollenza e di parità anche economica. In quanto documento «costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche», diventa, perciò, lo strumento che garantisce alle famiglie (art. 21, L. n. 59 / 97; L. n. 62 / 2000, L. n. 53 / 03) la libertà di scegliere, per i figli, una scuola nella quale, fatti salvi i comuni valori costituzionali, si professino comunque processi educativi e didattici, con relative ricadute organizzative, coerenti con le convinzioni condivise dai genitori. In secondo luogo, il Pof non è più il risultato di una costruzione modulare aggiuntiva, con il centro responsabile della predisposizione del nucleo curricolare da riproporre poi uguale in tutto il Paese e la periferia incaricata sia di adattare in parte tale nucleo uniforme, sia di arricchirlo con eventuali addizioni. Diventa piuttosto, in tutte le sue parti, il prodotto di una progettualità pedagogica che coinvolge cooperativamente e protagonisticamente tutti i soggetti concreti del processo educativo che si promuove in una scuola, e per la sua intera durata. Ciò è possibile, da un lato, se il centro non pretende più di interpretare il dispositivo dell’art. 8 del Dpr. 275 / 99 come una variabile dei vecchi Programmi di insegnamento, ma ragiona solo per norme generali sull’istruzione e livelli essenziali di prestazione sull’istruzione e formazione professionale, cioè per vincoli da assegnare all’autonoma e responsabile azione progettuale dei docenti e delle scuole (art. 33 della Costituzione e L. n. 53 / 53). Dall’altro, se anche a livello di scuola si procede allo stesso modo: non più, quindi, confezionare prima dell’inizio dell’anno un Pof che i docenti e le famiglie sono poi tenuti ad applicare e, quindi, a considerare alla stregua dei vecchi Programmi di insegnamento, ma attribuire al Pof la funzione di precisare i vincoli di risorsa e di risultato che docenti, studenti e famiglie dovranno considerare per progettare ed attuare, in autonomia e responsabilità, i contenuti, i metodi, i tempi ecc. della propria azione educativa. In questa prospettiva, come peraltro ricorda l’art. 3, comma 2 del DPR 275 / 99, il Pof diventa davvero lo strumento che «comprende e riconosce le​​ diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari» che lavorano nella scuola e favorisce, di conseguenza, i processi di continua presa in carico personale dei compiti di insegnamento e apprendimento da parte di tutti gli attori dei processi educativi, in ogni momento della vita della scuola.

Bibliografia

Bertagna G. - S. Govi - M. Pavone,​​ Pof. Autonomia delle scuole e o.f., Brescia, La Scuola, 2001; Bertagna G.,​​ Valutare tutti,​​ valutare ciascuno. Una prospettiva pedagogica, Ibid., 2004; Id.,​​ Pensiero manuale. La scommessa di un sistema di istruzione e di formazione di pari dignità, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2006 (parte II e conclusioni); Id., «La figura del docente nella riforma», in CSSC-Centro Studi per la Scuola Cattolica,​​ Il ruolo degli insegnanti nella scuola cattolica. Scuola cattolica in Italia,​​ Ottavo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2006.

G. Bertagna




PIANO DI STUDI

 

PIANO DI STUDI

Per p.d.s. s’intende generalmente, almeno nella lingua it., l’insieme / elenco delle materie di studio corrispondenti ad un determinato titolo di studio. Perciò ogni grado e ordine scolastico ha il suo p.d.s. previsto per rispondere al raggiungimento di determinate finalità. L’espressione p.d.s., utilizzata anche a livello universitario, s’identifica spesso con il cosiddetto «curricolo di studi» rispondente alla specializzazione scelta, perseguito secondo un certo ordine, a volte scelto personalmente dallo studente e concordato con le autorità responsabili.

1. Non sempre tale termine viene utilizzato con una distinzione chiara nei confronti di​​ ​​ programmi scolastici e curricoli, perché, a seconda dei Paesi, variano leggermente la denominazione e la prassi secondo il sistema dell’amministrazione scolastica. Tuttavia, nella maggioranza dei casi, ogni p.d.s., se riferito ai gradi e agli ordini scolastici, assume un carattere di riferimento e di guida del sistema scolastico nazionale, in quanto giustifica ed esige l’elaborazione dei programmi scolastici nazionali e dei curricoli a livello locale della singola scuola come applicazione-adeguamento dei programmi ufficiali alla situazione concreta.

2. A seconda del tipo di sistema amministrativo adottato dai Paesi può essere lasciato un certo margine di libertà alle singole scuole di scegliere il p.d.s. che si ritiene opportuno. È in gioco l’autonomia o meno della scuola a livello non solo didattico, ma anche organizzativo, gestionale, economico e finanziario. Il problema è complesso e solo pochi Paesi l’hanno risolto, globalmente o parzialmente. Anche il p.d.s., come i programmi scolastici, va rivisto periodicamente in rapporto non solo allo sviluppo epistemologico e alla considerazione pedagogico-didattica delle singole discipline di studio nei confronti dei soggetti in formazione, ma anche in relazione alle nuove esigenze della società. Basti pensare all’introduzione, in tanti Paesi, della lingua straniera come materia obbligatoria anche nella scuola primaria, dell’informatica nei diversi gradi scolastici, alla soppressione della lingua latina, ecc.

Bibliografia

Unesco,​​ Programmes d’études et éducation permanente,​​ Paris, Unesco, 1979; Porter J.,​​ Le concept de troncs communs de formation appliqué à des situations complexes d’apprentissage,​​ Ibid., 1983; Petracca C.,​​ Progettare per competenze. Verso i piani di studio personalizzati, Milano, Elmedi, 2003.

H.-C. A. Chang




PICO DELLA MIRANDOLA Giovanni

 

PICO DELLA MIRANDOLA​​ Giovanni

n. a Mirandola nel 1463 - m. a Firenze nel 1494, umanista italiano.

1. G.P. dei conti della Mirandola è uno dei più rappresentativi umanisti del Quattrocento italiano. Membro dell’«Accademia Platonica» di Firenze; ampiamente aperto a tutte le correnti filosofiche e culturali, ricerca, al seguito di Marsilio Ficino (1433-1499), la concordanza di tutte le correnti filosofiche in una filosofia perenne. Per una prova di questa convergenza progetta, per l’anno 1487 a Roma, un convegno di filosofi e uomini di cultura (che vari ostacoli renderanno inattuabile) per confrontarsi su 900 tesi, da lui elaborate dalle più diverse derivazioni; tesi che gli causarono molte ostilità e anche l’accusa di eresia.

2. Dalla irrealizzabile​​ concordia filosofica​​ passa alla ricerca di una​​ rigenerazione​​ morale,​​ sulla linea del suo contemporaneo fra’ G. Savonarola († 1498). Di particolare rilievo e significatività, anche in un quadro di pedagogia del Rinascimento (​​ Umanesimo rinascimentale), è la sua concezione della dignità dell’uomo, fatto da Dio artefice del proprio destino, con la possibilità (per la sua intelligenza) di farsi ogni cosa. Questa visione dell’uomo, acuta interpretazione della mentalità umanistica, ha la sua massima espressione nel​​ De hominis dignitate,​​ l’orazione introduttiva alle 900 tesi. Vi si rispecchia, in dimensione più filosofica, quella concezione dell’uomo artefice​​ che era già stata propugnata da Leon B. Alberti (1404-1472).

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ G.P.d.M.,​​ Discorso sulla dignità dell’uomo,​​ ediz. con testo latino a fronte a cura di G. Tognon; prefazione di E. Garin, Brescia, La Scuola, 1987. b)​​ Studi:​​ Di Napoli G.,​​ G.P.d.M. e la problematica dottrinale del suo tempo,​​ Roma, Desclée, 1965; De Lubac H.,​​ L’alba incompiuta del Rinascimento. P.d.M.,​​ Milano, Jaca Book, 1977; Garfagnini G. C. (Ed.),​​ G.P.d.M. Convegno internazionale di studi nel cinquecentesimo anniversario della morte (1494-1994), Firenze, Olschki, 1997; Frosini F. (Ed.),​​ Leonardo e P. Analogie,​​ contatti,​​ confronti.​​ Atti del Convegno di Mirandola (10.05.2003), Ibid., 2005.

M. Simoncelli




PIETISMO

 

PIETISMO

In Germania nella prima metà del Seicento già si delineava la nascita del razionalismo illuministico, ma contemporaneamente in seno al​​ ​​ protestantesimo sorgeva un movimento religioso che, in un certo senso, risentiva dell’indirizzo giansenistico.

1. Iniziatore del P. fu Filippo Giacomo Spener (1635-1705), che mirava a reagire all’atteggiamento dogmatico ed all’eccessivo formalismo dottrinale dei teologi luterani, esaltando il valore della purezza della coscienza e del sentimento che va colto nella sua immediatezza. Come i giansenisti (​​ Giansenismo) anche i pietisti muovevano dal principio della natura umana corrotta dal peccato originale. Conseguentemente il processo educativo, se solo la fede e la pietà possono risanare l’uomo, deve essere guidato da un’amorevole vigilanza sul fanciullo, evitando che questi sia fuorviato da gioie anche innocenti (e quindi niente giochi, niente premi, niente elogi).

2. Fondatore della pedagogia pietistica e delle attuazioni scolastiche a questa ispirate fu​​ ​​ Francke. Seguì studi di teologia, filosofia, filologia, storia. Istituì a Lipsia il​​ Collegium philobiblicum,​​ e fu insegnante all’università. Di lui va ricordata la grande aspirazione ad istituire un «Seminario universale in cui si procacciasse un reale miglioramento di tutte le classi sociali in Germania, in Europa, in tutte le parti del mondo». Forse da questa angolatura si possono giustificare le varie scuole da lui fondate ad Halle. Si preoccupò dapprima dei ragazzi poveri, la cui ignoranza lo aveva colpito; accanto alle scuole, fondò poi l’orfanotrofio, per ragazzi e ragazze separatamente, nel 1695 il​​ Paedagogium,​​ dove alcuni studenti da lui diretti si dedicavano all’istruzione dei ragazzi provenienti da famiglie abbienti. Nasceva successivamente il​​ Seminarium praeceptorum,​​ frequentato da studenti di teologia mantenuti gratuitamente nell’orfanotrofio, con l’obbligo di insegnare due ore al giorno nel​​ Paedagogium.​​ Un nuovo seminario veniva aperto nel 1707, destinato proprio alla preparazione degli insegnanti (Seminarium selectum praeceptorum).​​ Altra istituzione fu poi la scuola latina (il nostro ginnasio). In definitiva, ecco i dati relativi alla situazione alla morte del Francke: 134 fra maschi e femmine nell’orfanotrofio, 1725 nelle scuole tedesche (o elementari), divise in due categorie, poveri e abbienti, 400 nella scuola latina, 82 nel​​ Paedagogium.​​ Va ricordato che, proprio in vista di uno stretto rapporto tra scuola e vita, negli istituti di Halle non si trascurava l’istruzione professionale. Uomo estremamente pratico il Francke fondò pure una farmacia, una tipografia con vendita di libri, una biblioteca, un gabinetto di storia naturale e arte. Tra gli scritti del Francke è da ricordare la​​ Breve e semplice istruzione sul modo di indirizzare i bambini verso la vera beatitudine divina e la saggezza cristiana​​ (1702). Occorre intendere rettamente col cuore e con l’intelletto le sentenze della Bibbia sì da tradurle «in atti di fede e d’amore», e la preghiera altro non è che un libero rivolgersi a Dio con proprie parole. Pace con Dio e apertura al mondo: la vera saggezza ha come fondamento scienza ed esperienza. Occorre mirare alla fondazione di un Cristianesimo bene operante. Un solo cenno alla organizzazione. Per le materie, oltre alla componente religiosa, l’insegnamento prevede lettura, scrittura, aritmetica, musica. Nel​​ Paedagogium​​ si aggiunge lo studio del lat., del gr., dell’ebraico, ed anche delle lingue orientali. Si attribuisce importanza alla​​ historia naturalis.​​ La giornata si articola nelle varie attività dalle 5 alle 22. Domina il senso della concretezza anche di fronte alla realtà economica, e le autorità laiche vedono con favore l’iniziativa.

3. I tentativi di sviluppo di attività artigianali troveranno realizzazione nelle​​ Realschulen,​​ frutto duraturo della pedagogia pietista. Per primo diede una struttura a queste J. J.​​ Hecker, un discepolo del Francke: la nuova istituzione ebbe il pieno appoggio di Federico il Grande. In essa poté sviluppare il suo metodo tabellare e letterale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Spener Ph. J.,​​ Pia Desideria​​ (1675), ediz. critica a cura di K. Aland (1940), trad. it. a cura di R. Osculati, Torino, Claudiana, 1986. b)​​ Studi:​​ Calò G., «Francke e il P. nella storia della pedagogia», in​​ Dall’umanesimo alla scuola del lavoro, Firenze, La Nuova Italia, 1940; Catalfamo G., «Il pensiero pedagogico nei secoli XVII e XVIII», in M. F. Sciacca (Ed.),​​ Grande antologia filosofica,​​ vol. XVI, Milano, Marzorati, 1968, 228-235; Hoser E., «Francke», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. III, Brescia, La Scuola, 1989, 5085-5088; Sacchi R., «P.», in​​ Ibid., vol. V,​​ 1992, 9090-9092; Id., «Spener», in​​ Ibid., vol. VI, 1994, 11036-11038; Buzzi F., «P.», in​​ Enciclopedia Filosofica, vol. IX, Milano, Bompiani, 2006, 8621-8622.

F. De Vivo

PIETRO LOMBARDO​​ ​​ Scolastica




PLATONE

 

PLATONE

Vissuto ad Atene tra il 427 e il 347 a.C., filosofo greco.

1. Filosofo,​​ politico,​​ educatore.​​ P., sommo rappresentante della speculazione greca, è pure tra coloro che massimamente hanno contribuito alla costituzione della​​ ​​ paideia​​ greca, plasmando quell’ideale filosofico che, unitamente a quello retorico proposto dalla scuola di​​ ​​ Isocrate, costituirà sempre uno dei due pilastri dell’edificio della cultura greca. Alunno di​​ ​​ Socrate, ne continua e perfeziona il pensiero. Fin da giovane è fortemente attratto dall’interesse per la​​ ​​ politica. In essa fa le prime esperienze, brevemente, nell’Atene dei trenta tiranni (404); più tardi in Sicilia presso Dionigi il vecchio (388) e successivamente presso Dionigi il giovane (367 e 361). Non trova, però, ascolto presso i governanti; ma non abbandona la sua vocazione politica: diventa maestro e formatore di politici attraverso la sua scuola filosofica, l’Accademia,​​ fondata ad Atene nel 387, con la struttura di associazione religiosa, presso il bosco sacro dedicato ad Accademo, ricco di riferimenti religiosi e culturali. L’Accademia sarà di fatto formatrice, oltre che di filosofi, di politici, consiglieri di governanti e legislatori.

2.​​ Il paradigma del filosofo-politico.​​ I due aspetti, filosofico e politico, sono intimamente collegati nella visione e nell’opera di P., per il quale il filosofo, mentre realizza la più elevata forma di​​ areté​​ (cioè del valore umano), è colui che ha il compito di governare le città e fare le leggi, divenendo così anche educatore dei suoi concittadini. Pensa infatti – come dice chiaramente nella​​ lettera VII​​ autobiografica – che solo ad opera dei filosofi si possa giungere ad una legislazione giusta e ad una retta conduzione dello Stato. La formazione del filosofo sarà così anche la via per la formazione delle città e dei cittadini. Si presentano dunque diversi aspetti da considerare in una visione unitaria del pensiero filosofico / pedagogico / politico di P.: il valore di​​ areté​​ proprio della speculazione filosofica nella ricerca della verità; il tipo di formazione umana che da tale speculazione deriva; il modello ideale di città e di Stato guidato dai filosofi; il curricolo proposto per la formazione del filosofo / politico.

2.1.​​ La ricerca del vero.​​ La ricerca della​​ ​​ verità,​​ come suprema occupazione della mente umana e garanzia dell’autenticità di quei valori su cui si fonda la formazione dell’uomo, contrappone la scuola​​ filosofica​​ di P. (come fu già per Socrate) a quella​​ retorica​​ dei​​ ​​ Sofisti e dello stesso Isocrate. Tale ricerca comporta l’impegno totale del filosofo e un’ascetica​​ che lo porti a staccarsi dai dati sensibili e dall’esperienza della natura, per elevarsi gradualmente nel mondo dello spirito fino alla contemplazione delle idee dell’iperuranio. Ivi l’anima ha già contemplato le idee in una precedente esistenza, per cui il suo​​ sapere​​ è un​​ ricordare.​​ Al vertice delle idee nell’iperuranio P. colloca le idee del​​ Bello​​ e del​​ Buono​​ (il​​ «Bello in sé»​​ e il​​ «Buono in sé»​​ che per P. è la stessa divinità). Ciò è particolarmente significativo, se pensiamo alla parte che il​​ bello​​ e il​​ buono​​ hanno nella visione della​​ paideia​​ greca, la​​ paideia​​ della​​ kalokagathia,​​ di cui ci offre, dunque, la più elevata visione filosofica. Parallela alla esaltazione della speculazione filosofica si ha in P. una svalutazione dell’arte​​ (vista come imitazione della natura, ombra a sua volta delle idee dell’iperuranio) e della​​ poesia​​ (esaltazione della fantasia e strumento della inadeguata presentazione della divinità fatta dai poeti). Questa posizione di P. (da parte sua logica, e peraltro parzialmente superata nell’ultima opera incompiuta, le​​ Leggi),​​ lo mette in contrasto con la grande valorizzazione che l’arte e la poesia hanno in tutta la​​ paideia​​ greca. Nel suo impegno il filosofo è sostenuto dall’azione interiore di​​ eros​​ (presentato nel​​ mito​​ come essere in parte umano e in parte divino) da cui deriva sia il dinamismo della sua elevazione nella contemplazione e quindi della sua autoformazione, sia la spinta della sua azione educativa (eros educativo),​​ per riprodurre e moltiplicare nell’alunno la sua stessa formazione. Tocchiamo così quel compito educativo che, in forza della sua contemplazione della verità, compete al filosofo, espresso da P. nel​​ mito della caverna​​ (Rep.​​ lib. VII) e che si collega strettamente con il compito politico, riservato esso pure al filosofo.

2.2.​​ L’ordine interiore.​​ L’aspetto etico della formazione ha una sua espressione nell’ordine che P. vuole realizzare nell’anima umana e, parallelamente, nello Stato. Esso si fonda sulla concezione della triplice divisione dell’anima umana (tripsichismo) in​​ nous​​ (anima razionale),​​ appetito irascibile​​ e​​ appetito concupiscibile​​ e dell’ordine da stabilire tra essi per realizzare un giusto equilibrio interiore. Ognuna delle tre anime possiede una propria caratteristica o virtù: rispettivamente la saggezza, il coraggio e la ricerca del benessere (moderata dalla temperanza). Il predominio dell’una o dell’altra determina la vocazione individuale di ciascuno e il suo posto nello Stato. L’armonia interiore è data dall’azione moderatrice esercitata dall’anima razionale (il​​ nous)​​ sulle altre due. P. la esprime nel​​ Fedro​​ con il mito dell’auriga che guida e modera i due cavalli, uno bizzoso e impulsivo, l’altro lento e obbediente. Questa prospettiva di ordine interiore, mentre ci dà una prima presentazione delle tre virtù cardinali (la prudenza, la fortezza e la temperanza, che nel loro coordinamento danno come risultato la giustizia) dà anche la più radicale interiorizzazione di quella​​ euritmia​​ che è parte sostanziale dell’ideale della​​ paideia​​ greca.

2.3.​​ La dimensione politica.​​ Questa formazione interiore diventa il modello di riferimento anche per la formazione della città e dello Stato. P. stabilisce, infatti, un parallelismo tra l’anima e lo Stato, nel quale si illumina anche il compito politico che egli affida al filosofo. Al tripsichismo corrisponde la tripartizione platonica dello Stato. In esso P. contempla tre classi: quella degli addetti alle arti produttive (lavoratori, commercianti, artigiani) che corrisponde (nell’individuo) all’appetito concupiscibile e in cui deve prevalere la virtù della temperanza; quella dei custodi (o soldati) che corrisponde all’appetito irascibile e in cui prevale la virtù del coraggio e della fortezza; quella dei governanti, che corrisponde all’anima razionale e in cui deve prevalere la virtù della saggezza o prudenza. La situazione virtuosa (la​​ giustizia)​​ si avrà nello Stato se ciascuno occuperà perfettamente il suo posto e se vi sarà la piena integrazione e collaborazione tra le varie componenti. Emerge tra di esse il compito di guida, che spetta ai governanti, che perciò, nella concezione platonica, non potranno essere che i filosofi, che hanno contemplato la verità, il Bello in sé e il Buono in sé. Ne deriva anche il compito etico educativo dello Stato, guidato dai filosofi.

3.​​ La formazione del filosofo-politico.​​ È evidente l’importanza che l’educazione acquista in questa visione dello Stato, sia nel suo complesso, sia nella specifica formazione delle classi che lo compongono. La formazione più accurata sarà, chiaramente, riservata alla classe dei filosofi / governanti. Viene in secondo luogo quella dei custodi. Più semplice, riducendosi all’acquisizione delle tecniche delle rispettive attività, sarà quella della classe dei lavoratori. Nella​​ Repubblica​​ e nelle​​ Leggi​​ P. propone particolareggiatamente il curricolo formativo. In esso è evidente l’impostazione unitaria, orientata, nei singoli gradi, al vertice della formazione del filosofo / politico. Vi è recepita quella formazione (rispondente al binomio​​ ginnastica e musica),​​ che già si era affermata nella scuola dei gradi elementare e medio, fino circa ai 18 anni, e si concludeva con l’efebìa​​ (allora periodo di formazione ginnico-militare, dai 18 ai 20 anni ca.). P. vi apporta accentuazioni e integrazioni proprie della sua concezione della​​ paideia​​ e della prospettiva della formazione del filosofo per la quale era una preparazione (propaideia).​​ Esse avranno una loro incidenza, in parte sullo stesso programma della contemporanea scuola di Isocrate e poi nel seguito della tradizione scolastica del periodo ellenistico. Segnaliamo in particolare: a) nel campo della​​ ginnastica​​ il ricupero del valore di preparazione militare (sarà importante specialmente per la classe dei custodi), il suo valore educativo, l’accentuazione anche dell’aspetto igienico, il valore pedagogico e di disciplina morale della danza; b) per la​​ componente letteraria​​ richiamiamo la già citata svalutazione della poesia e il ricupero di autori di prosa; c) particolarmente significativa l’aggiunta e il ruolo delle​​ matematiche,​​ gradualmente in tutti i livelli della scuola: prima (per tutti) in forma elementare orientata a fini pratici, poi, in modo sempre più impegnativo, come disciplina formativa e selezionatrice, particolarmente significativa nella​​ propaideia​​ del filosofo. Sulla linea delle matematiche è l’impostazione e la funzione formativa dello studio dell’astronomia. Di notevole rilievo è il concetto, che appare per la prima volta, di​​ selezione​​ in base alle capacità dell’allievo. Ai 20 anni si conclude il periodo della​​ propaideia​​ (in gran parte comune al programma previo alla scuola di retorica di Isocrate). Di qui, per selezione dei capaci, parte la formazione specifica del filosofo, ancora lunga e sempre più impegnativa. Essa comprende tre ulteriori fasi: un decennio di approfondimento delle scienze matematiche; un quinquennio di esercizio della dialettica (di pura filosofia); il tutto sarà completato da quindici anni di esperienza politica, per giungere (a 50 anni ca.) al filosofo / politico pienamente formato. Non si pensi a una scuola noiosa e pedante: l’Accademia è caratterizzata dallo stile del dialogo e dal clima di amicizia e di ricerca comune, che le dà speciale dinamismo e spirito di famiglia. Con P. si consolida la componente filosofica della cultura greca. Un influsso particolare ha esercitato anche sui Padri della Chiesa e sulla prima inculturazione del Cristianesimo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ P.,​​ Opere,​​ 2​​ voll., Bari, Laterza, 1966; P.,​​ Diálogos. Introducción de C. García Gual, Madrid, Espasa Calpe, 2007. b)​​ Studi:​​ Stefanini L.,​​ P.,​​ Padova, CEDAM, 1949; Sciacca M. F.,​​ P.,​​ Milano, Marzorati, 1967; Funghi M. S.,​​ P. e l’educazione,​​ Torino, Loescher, 1979; Jaeger W.,​​ Paideia. La formazione dell’uomo greco,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1991; Marrou H. I.,​​ Storia dell’educazione nell’antichità,​​ Roma, Studium, 1994; Zanatta M. (Ed.),​​ L’arte del persuadere: la retorica in P.​​ e Aristotele, Milano, Unicopli, 2002.

M. Simoncelli




PLURALISMO

 

PLURALISMO

Il concetto di p. connota l’idea di «pluralità», di «molteplicità» e ammette applicazioni e contesti diversi. Esiste un p.​​ socio-culturale,​​ cioè la situazione, propria di una società complessa, di pluralità di visioni del mondo, di valori e di schemi comportamentali presenti in un determinato contesto sociale (la sua negazione è il «monismo»). C’è anche un p.​​ storico-politico​​ che riflette la prassi giuridica e politica che dà diritto di cittadinanza alle diverse posizioni ideologiche e culturali (all’opposto del «totalitarismo»). Ma si parla anche di p. in ambito​​ educativo,​​ come metodo e obiettivo pedagogico che punta all’acquisizione di atteggiamenti tolleranti e rispettosi della diversità (educazione alla democrazia, contro ogni forma di intolleranza).

1.​​ Il p.,​​ conquista dì civiltà.​​ Storicamente, il p. è frutto della modernità, e si è imposto nell’evo moderno man mano che si affermavano i valori della libertà, tolleranza e i diritti della persona, e veniva superato il monismo culturale ed etnocentrico europeo. Ma è soprattutto il p. socio-culturale che si trova alla base di quello storico-politico e diventa oggetto di preoccupazione pedagogica. Infatti, in una società complessa si moltiplicano e si intrecciano le più diverse proposte culturali, sia in modo sistematico, sia nella continua offerta di concezioni di vita, norme e schemi di condotta, idee e valori, valutazioni, ecc. In tale situazione, nessun sistema o elemento culturale detiene più il monopolio della proposta, ma si attua il libero gioco di un mercato culturale che, abbandonata la pretesa di imporre determinati prodotti, accetta come situazione normale il confronto, la coesistenza e la pluralità delle posizioni. Pur senza negare i rischi e le ambiguità che esso comporta, il p. va valutato​​ positivamente,​​ come una conquista e un segno di civiltà, in quanto portatore di​​ ​​ valori e garanzia per il riconoscimento dei diritti personali e la promozione della giustizia e della pace sociale. Il p. è in fondo espressione di maturità e di responsabilità, ma si presenta anche carico di ambiguità, ed è perciò necessario puntare a un giusto equilibrio tra due posizione estreme: il monismo totalitario e intollerante da una parte ed il relativismo e permissivismo dall’altra.

2.​​ Possibilità e rischi educativi.​​ I riflessi del p. in campo​​ educativo​​ sono molti. Da una parte, in una società pluralistica l’opera educativa può ricevere non pochi stimoli e avvalersi di possibilità sconosciute nel passato: promozione di personalità aperte al dialogo e al rispetto della differenza; ampi orizzonti di arricchimento culturale; superamento di pregiudizi e chiusure; nuove possibilità di maturazione del senso critico, ecc. Ma non bisogna negare l’esistenza di conseguenze​​ negative,​​ soprattutto in ordine all’educazione dei giovani. In una società pluralistica infatti appare fortemente modificato e scosso il processo di​​ ​​ socializzazione, in quanto la molteplicità esasperata e contraddittoria di messaggi culturali si traduce spesso nell’impossibilità di una coerente integrazione personale, nella relativizzazione dei valori e quindi nell’incapacità di maturazione della propria identità. Molti giovani sono così vittima di una massificazione anonima e di un’assunzione acritica delle offerte del p. culturale, e non di rado cadono nelle posizioni estreme della​​ iposocializzazione​​ (carenza di interiorizzazione di norme e valori e di ragioni di vita) o della​​ ipersocializzazione​​ (assunzione globale e indiscussa delle idee e valori caratteristici di alcuni gruppi e movimenti securizzanti). In tutti questi casi sono in agguato atteggiamenti antieducativi di fanatismo, immaturità, intolleranza e violenza. Ed è paradossale che il p., premessa naturale alla tolleranza, possa proprio diventare fonte del suo contrario, vale a dire, dell’intolleranza. Anche il mondo degli​​ ​​ adulti appare scosso dagli effetti del p., in quanto privo di punti di riferimento solidi ed incapace perciò di dominare la complessità e dinamicità della situazione. È spiegabile così che molti adulti si sentano perplessi e si rifugino in forme esasperate di soggettivismo e di identità «di basso profilo». Sono queste in parte le ragioni che portano oggi all’esigenza della​​ ​​ educazione permanente. Da un punto di vista pedagogico, quindi, il p. rappresenta certamente un​​ problema​​ e un​​ compito aperto.​​ Si tratta anzitutto di chiarire, a livello di finalità e obiettivi educativi, quali modelli di società e di personalità vanno promossi attraverso l’opera educativa. E bisogna pure individuare metodi e stili educativi per un’autentica educazione alla democrazia, alla tolleranza e all’accettazione positiva della diversità. Vanno ripensati in questo senso il ruolo delle diverse agenzie e​​ istituzioni​​ educative (​​ famiglia,​​ ​​ scuola,​​ ​​ istituzioni, mezzi di​​ ​​ comunicazione sociale, ecc.). Inoltre si è oggi molto sensibili all’effettiva attuazione di un autentico p.​​ delle​​ istituzioni (spec. della scuola e dei mezzi di comunicazione sociale) e​​ nelle​​ istituzioni, nell’accoglienza e rispetto delle pluralità religiose, ideologiche e culturali.

Bibliografia

Bellerate B. (Ed.),​​ P. culturale ed educazione: Atti del 3° «Colloquio» interideologico promosso da «Orientamenti Pedagogici» tenutosi a Roma 8-9 dicembre 1978,​​ Roma, a cura di «Orientamenti Pedagogici», 1979; Amoriggi R., «P. culturale», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. V, Brescia, La Scuola, 1992, 9193-9198; De Souza C.,​​ Dalla multiculturalità alla interculturalità, in «Orientamenti Pedagogici» 51 (2004) 569-580; De Vita R. - F. Berti - L. Nasi (Edd.),​​ Identità multiculturale e multireligiosa. La costruzione di una cittadinanza pluralistica, Milano, Angeli, 2004; Id.,​​ Democrazia,​​ laicità e società multireligiosa, Ibid., 2005.

E. Alberich




PLUTARCO

 

PLUTARCO

Vissuto tra il 46 e il 126 d.C., filosofo e moralista greco di Cheronea.

1. P. esercitò per molto tempo il suo insegnamento a Roma. Uomo di vasta cultura e scrittore fecondo, di formazione eclettica, è uno dei più validi rappresentanti della​​ ​​ paideia ellenistica.​​ Affronta con fine intuito psicologico e con speciale accentuazione della dimensione etica e della fondazione filosofica i problemi dell’educazione dei giovani. L’opera più famosa di P. sono​​ Le vite parallele,​​ in cui si trova una preziosa fonte di informazioni su istituzioni e personaggi significativi dell’antichità greco-romana, con una particolare valenza pedagogica nella presentazione e valutazione etica delle figure di​​ Uomini illustri​​ che offre come modelli di vita. In questa stessa linea sono importanti le sue​​ Opere morali.

2. Specificamente pedagogico è lo scritto​​ Sul modo di leggere i poeti.​​ Esso risponde a un problema già sentito da​​ ​​ Platone, ma vissuto più intensamente nel mondo cristiano: l’impatto pedagogico dello studio​​ dei poeti classici sui giovani. In esso presenta criteri di valorizzazione, di saggia selezione e di cautela, che ispireranno il più famoso​​ «Discorso ai giovani sulla lettura dei classici»​​ di​​ ​​ Basilio Magno.

3. Ricordiamo qui, per la sua significatività nella storia della pedagogia, il​​ De liberis instituendis, che è stato a lungo erroneamente attribuito a P. È un esempio di quell’interesse specifico per lo studio dell’educazione giovanile, che si afferma nell’età ellenistica. La sensibilità per la parte della​​ natura,​​ della​​ ragione​​ e​​ dell’esercizio​​ integra la considerazione e valorizzazione dell’opera del​​ maestro.​​ Quest’opera, tradotta nel 1411-12, ha avuto notevole ripercussione sui pedagogisti dell’Umanesimo rinascimentale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ P.,​​ Vite parallele, trad. di C. Carena, Torino, Einaudi, 1958; Vite parallele​​ -​​ Pericle e Fabio Massimo, trad. e note di A. Santoni, Milano, Rizzoli, 1991;​​ Vite parallele​​ -​​ Catone Uticense,​​ Bruto,​​ Lucullo, voll. I e III, Torino, UTET, 1998. b)​​ Studi:​​ Gerini G. B.,​​ Idee pedagogiche di P.,​​ Voghera, Officina d’Arti Grafiche, 1912;​​ Galino M. Á.,​​ Historia de la educación. Edades antigua y media,​​ Madrid, Gredos,​​ 1988;​​ Atti del IX Convegno Plutarcheo della Int. Plutarch Society, a cura di I. Gallo, Napoli, D’Auria, 2004; Moreschini C.,​​ Valori letterari delle opere di P.​​ Studi offerti al professore I. Gallo dall’IPS, Malaga, Universitaria, 2005.

M. Simoncelli