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FRANTA Herbert

 

FRANTA Herbert

n. a Tuschkau (Cecoslovacchia) nel 1936 - m. a Benediktbeuern (Germania) nel 1995, psicologo tedesco.

1. Professore di psicologia all’Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma e alla​​ Philosophisch-Theologische Hochschule der Salesianer Don Boscos a Benediktbeuern​​ (Germania). Costretta a lasciare il Paese (1945), la famiglia F. si trasferisce a​​ Scheinfeld-Germania (1949). Completata la scuola superiore, diviene salesiano (1957) e sacerdote (1966), lavorando poi per alcuni anni in Brasile. Consegue nel 1970, presso il Pontificio Ateneo Salesiano (Roma), la licenza in Filosofia-Pedagogia; nel 1971, il diploma di qualificazione professionale in Psicologia e nel 1972 il dottorato in Filosofia-Pedagogia con indirizzo psicologico. Frequenta a Bonn (Germania) i seminari di Hans Thomae, al cui metodo psicobiografico dedicherà il suo dottorato. Dal 1973 approfondisce il campo della psicoterapia.​​ 

2. I suoi interessi scientifici sono rivolti primariamente a quella che amava chiamare la​​ psicologia applicata, ossia una psicologia finalizzata a trasmettere, tra le persone comuni, concetti e strumenti propri della psicologia, con lo scopo di sviluppare capacità e competenze idonee ad affrontare i problemi della vita. Sostenitore di molti aspetti della visione adleriana dell’uomo e della funzionalità psichica, ribadisce non solo negli scritti, ma anche nei suoi insegnamenti, l’importanza del decentramento dall’Io, dell’interesse sociale, dell’incoraggiamento. Dal punto di vista più strettamente terapeutico si orienta soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita verso l’approccio cognitivo-comportamentale del quale apprezza la scientificità e il rigore metodologico. Le sue idee al riguardo hanno dato vita al programma della Scuola Superiore di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’UPS, all’ideazione e all’attuazione della quale ha attivamente collaborato. Si deve menzionare, infine, il suo interesse per la prevenzione e, in tempi più recenti, per la psicologia della salute. Il pericolo del​​ ​​ relativismo etico, dell’immanentismo, della visione epicurea che possono permeare in modo più implicito che esplicito alcune prassi psicoterapiche costituiscono per F. un aspetto di notevole importanza non sufficientemente approfondito e problematizzato. Tuttavia, le sue idee al riguardo, che non fa in tempo a pubblicare (a causa della prematura morte), rimangono come viva testimonianza, tra gli allievi, che hanno avuto il privilegio dei suoi insegnamenti.​​ 

Bibliografia

Tra le opere principali di H. F.:​​ Psicologia della personalità. Individualità e formazione integrale, Roma, LAS, 1982;​​ Atteggiamenti dell’educatore,​​ Ibid., 1988;​​ Relazioni sociali nella scuola,​​ Torino, SEI, 1988;​​ Comunicazione interpersonale,​​ Roma, LAS, 1990;​​ L’arte dell’incoraggiamento,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1991.

A. R. Colasanti




FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE

 

FRATELLI DELLE SCUOLE​​ CRISTIANE

Congregazione insegnante composta esclusivamente di religiosi laici, che vivono canonicamente in comunità e operano professionalmente «in associazione» con gli educatori che collaborano nelle loro istituzioni. Fondata in Francia alla fine del Seicento da s. Jean-Baptiste de​​ ​​ La Salle, la congregazione si è estesa a livello internazionale specialmente durante il XIX sec. e gli inizi del XX.​​ 

1. L’intuizione originaria del fondatore è che l’educazione è un vero e proprio​​ ministero evangelico​​ non «ordinato»,​​ che esige: a) un uomo «completo» (di qui la scelta dello stato religioso laicale, libero da incombenze pastorali tipiche della vita clericale); b) una persona indivisa tra impegno educativo-secolare e tensione ascetico-religiosa («non fate differenza tra i vostri compiti professionali e la ricerca della perfezione», ingiunge il La Salle ai suoi religiosi); c) un educatore formato spiritualmente e preparato professionalmente, capace di dedicarsi di preferenza agli alunni poveri, dotato di robuste qualità umane come: «contegno, semplicità, ponderazione, saggezza, pazienza, equanimità, zelo, vigilanza, pietà, generosità».

2. Mediante le loro istituzioni scolastiche – spesso innovative nei programmi e nei metodi oltre che attente alla centralità della persona dell’alunno – i f. hanno dapprima (sec. XVIII) anticipato lo Stato moderno nel fornire ai ceti meno abbienti i rudimenti della cultura popolare; poi (sec. XIX) hanno piuttosto assecondato lo Stato borghese nel suo sforzo di democratizzare la scuola e di orientarla verso le nuove professioni indotte dalla crescente industrializzazione; oggi, si orientano in prevalenza verso l’​​ ​​ alfabetizzazione nelle aree critiche del terzo mondo, verso iniziative socio-educative a favore di giovani a rischio, o verso creazioni scolastiche e post-scolastiche di tipo alternativo. Attenzioni prioritarie della congregazione fin dall’origine sono state quella della formazione dei maestri (​​ «scuole normali» o istituti magistrali), della sussidiazione didattica (​​ editoria scolastica,​​ ​​ riviste pedagogiche), e ultimamente anche della​​ ​​ ricerca e sperimentazione educativa a livello di insegnamento primario, secondario e superiore (​​ congregazioni insegnanti maschili).

Bibliografia

Rigault G.,​​ Histoire générale de l’Institut des Frères des écoles chrétiennes,​​ 9 voll., Paris, Plon, 1938-1954;​​ Gil P. M.,​​ Tres siglos de identidad lasaliana,​​ Roma, Études Lasalliennes, 1994; Bédel H.,​​ Initiation à l’histoire de l’Institut des FSC,​​ 3 voll., Ibid., 2001-2007.

F. Pajer




FREINET Célestin

 

FREINET Célestin

n. a Gars nel 1896 - m. a Vence nel 1966, educatore francese.

1.​​ Vita e opere.​​ Fin da piccolo F. aiuta i genitori nel lavoro dei campi. Nel 1915 si diploma maestro elementare e subito dopo partecipa alla prima guerra mondiale. Nel 1916 viene ferito ad un polmone, ma preferisce rinunciare alla massima pensione di invalidità per insegnare nella scuola elementare e, insoddisfatto della metodologia tradizionale, apre la scuola alla «vita», collegando la cultura con le esperienze dei fanciulli. Per rendere più interessante l’apprendimento mette a punto le tecniche didattiche che lo renderanno famoso:​​ il testo libero,​​ la tipografia,​​ la corrispondenza interscolastica e lo schedario.​​ Decide di esplorare con la scolaresca la campagna e di visitare le botteghe degli artigiani, dando agli alunni la possibilità di scrivere i «testi liberi» sulle cose osservate e sui sentimenti provati. I «testi» vengono successivamente stampati con un complesso tipografico molto semplice. L’insieme dei testi costituisce il «libro della vita», strumento didattico alternativo ai libri di testo ufficiali che F. rifiuta di adottare, perché espressioni del​​ ​​ capitalismo. Attraverso il rinnovamento scolastico egli intende cambiare la società in senso marxista. Avvertendo il limite dell’innovazione isolata, si fa promotore di un​​ Movimento Cooperativistico,​​ nel quale coinvolge molti insegnanti, che simpatizzano per le sue idee politiche e per le sue tecniche didattiche. Dopo aver dato le dimissioni dalla scuola pubblica per contrasti con le autorità scolastiche, si stabilisce con la famiglia a Vence, dove fonda una scuola sperimentale, attiva ancora oggi. Con altri insegnanti istituisce a​​ Cannes l’Institut Cooperatif de l’École Moderne​​ per produrre i sussidi didattici collegati con le tecniche, che si diffondono anche in Italia e nel mondo.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ F. oppone il carattere «pratico» della sua pedagogia «popolare», rivolta ai lavoratori sfruttati dal capitalismo, all’astrattezza di certe pedagogie «senza basi sufficientemente solide» (L’éducation du travail,​​ Gap, Ophyris, 1949, 88-89). È esemplare il suo impegno nell’attuazione di una scuola attiva (​​ Scuole Nuove), che superi la «scuola-caserma» e la «classe-tempio», a vantaggio della «scuola-comunità» e della «classe-laboratorio». La pedagogia freinetiana presenta un carattere cooperativistico, poiché è l’espressione del Movimento degli insegnanti. Assume insieme, nella pratica educativa, un carattere sperimentale e un ancoraggio alla saggezza popolare.

3.​​ Bilancio critico.​​ F. è uno dei rappresentanti più significativi dell’attivismo pedagogico francese. Egli ha avuto il merito di aver dimostrato che l’azione educativa non può essere affidata al caso, né svolgersi in modo isolato rispetto alla famiglia e alla comunità. La sua proposta pedagogica ci sembra inconsistente sul piano teorico, perché procede su basi molto semplicistiche a causa della preoccupazione di aderire al «buon senso popolare» per evitare ogni forma di astrattismo. Il suo contributo più originale e ancora oggi molto attuale è costituito dalle tecniche didattiche che vengono usate al di là della ideologia e della stretta sequenzialità da lui voluta.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ principali opere di F.:​​ L’école moderne française,​​ Gap, Ophyris, 1946;​​ Les dits de Mathieu. Une pédagogie moderne de bon sens,​​ Cannes, B.E.N.P., 1949;​​ Les techniques F. de l’École Moderne,​​ Paris, Bourrelier, 1964. b)​​ Studi:​​ Eynard R.,​​ C.F. e le tecniche cooperativistiche,​​ Roma, Armando, 1968; Caporale V.,​​ La scuola attiva. F.,​​ Bari, Cacucci, 2006.​​ 

V. Caporale




FREIRE Paulo

 

FREIRE Paulo

n. a Recife il 19 settembre 1921 - m. a São Paulo il 2 maggio 1997, educatore e pedagogista brasiliano, massimo esponente della pedagogia della liberazione.

1. Figlio di un ufficiale di polizia e di una maestra e cattolica praticante, imparò da essi il dialogo. Laureato in Diritto, fu sensibilizzato alla pedagogia dalla moglie Costa Oliveira, maestra elementare e direttrice didattica. Nel 1961 fonda a Recife il Movimento di Cultura Popolare per l’educazione degli adulti. Il colpo di stato militare del 1964 lo costrinse all’esilio in Cile e negli Stati Uniti. Il Consiglio Mondiale delle Chiese, lo inviò in Guinea Bissau. Ritornato definitivamente in Brasile nel 1985, promosse la scuola pubblica dello Stato di São Paulo.​​ 

2. Partita come alfabetizzazione coscientizzante delle popolazioni adulte rurali brasiliane, la pedagogia freireana arriva a una impostazione pedagogica globale. Azione educativa e liberazione socio-politica sono congiunte. L’utilizzo dell’approccio marxista gli costò l’accusa di comunismo. La prospettiva è quella dell’umanesimo cristiano di E.​​ ​​ Mounier e J.​​ ​​ Maritain e della linguistica generativa di N. Chomsky. La condizione di oppressione è letta con la categoria dialettica hegeliana di oppressi e oppressori: gli oppressori non possono essere tali senza la dominazione «oggettiva» degli oppressi; questi, a loro volta, espropriati della loro coscienza e della loro parola, pensano come l’oppressore avendone introiettato l’ideologia e leggono fatalisticamente la loro condizione. Convinto che «nessuno libera nessuno, nessuno è liberato da nessuno, ma ci si libera insieme», oppone a una educazione «depositaria» o «bancaria» (in cui l’educando è come un deposito bancario di nozioni e tecniche) una educazione «problematizzante». Il fine di essa è stimolare a prendere coscienza della propria situazione e coglierne i «temi generatori» e le «prospettive inedite di azione», attraverso il dialogo comunitario, nella prospettiva di una civiltà dell’amore. Nell’ultimo periodo ha proposto come integrazione una «pedagogia dell’autonomia» e una «pedagogia della speranza».

3. Oltre le critiche antitetiche di comunismo (da parte della destra liberal-conservatrice) e di borghesismo (da parte della sinistra popolar-rivoluzionaria) o di scarsa attenzione all’emergenza della donna e all’innovazione comunicativa dei mass-media (e dei new media), fatte a F. negli ultimi suoi anni di vita, permangono interrogativi circa l’adeguatezza del metodo freireano a fronte della complessificazione e globalizzazione dell’esistenza sociale attuale e dell’educazione contemporanea; e, più specificamente, circa la consistenza teorica intrinseca del modello e la composizione organica dei riferimenti di cui fa uso.

Bibliografia

a) Principali opere di F.:​​ La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA,​​ 22002 (orig.: 1970);​​ Pedagogia dell’autonomia, Ibid., 2004;​​ Pedagogia da esperança, Rio de Janeiro, Paz e Terra,​​ 1992. b)​​ Studi: Gadotti M.,​​ Leggendo P.F., Torino, SEI, 1995; Nanni C.,​​ Coscientizzazione,​​ liberazione,​​ democratizzazione. L’azione educativa e la pedagogia di P.F., in «Orientamenti Pedagogici» 45 (1998) 210-225.

C. Nanni​​ 




FREUD Anna

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FREUD Anna

n. a Vienna nel 1895 - m. a Londra nel 1981, psicoanalista austriaca.

1. Ritenuta uno dei precursori e dei fautori più entusiasti della psicoanalisi dei bambini, alla quale ha dato un notevole impulso, F.A. nasce a Vienna nel dicembre del 1895. Ultimogenita dei sei figli di S.​​ ​​ Freud, diviene membro della Società Psicoanalitica di Vienna nel 1922, dopo aver completato gli studi magistrali e l’addestramento psicoanalitico. Nel 1938 si trasferisce a Londra. La sua opera ha ampiamente influenzato la teoria, la tecnica e la ricerca psicoanalitiche.

2. Il suo contributo teorico più significativo, che costituisce una lettura d’obbligo per chiunque si accosti alla psicoanalisi, è rappresentata dallo scritto​​ L’Io e i meccanismi di difesa​​ (1936). Esso prende avvio dal lavoro di S. Freud (1926)​​ Inibizione,​​ sintomo e angoscia​​ in cui l’angoscia viene concepita non più come la trasformazione di energia libidica non scaricata, come voleva la teoria tossicologica precedente, ma come reazione dell’Io allo stato di pericolo, assumendo il carattere di un segnale con cui si invoca difesa. Ne​​ L’Io​​ e i meccanismi di difesa​​ F.A. riprende il paradigma teorizzato dal padre dell’Io-conflitto-difesa, incentrando lo studio dell’Io ancora essenzialmente sulla funzione difensiva di tale istanza, tuttavia lascia intravedere in esso i prodromi della nozione dell’Io-adattamento. Tale scritto rappresenta, quindi, un ponte dallo studio della patologia allo studio della normalità e, storicamente, l’anello di congiunzione tra l’Io teorizzato dall’ultimo Freud e quello delineato dalla più recente psicologia dell’Io. Dopo​​ L’Io e i meccanismi di difesa​​ la maggior parte degli scritti di F.A. appaiono più clinici e pratici che teorici; gran parte del suo lavoro è dedicato a mantenere la peculiarità dell’approccio psicoanalitico, pur integrandolo con i progressi ottenuti nel campo della psicologia dell’Io e con le scoperte derivanti dalla psicoanalisi e dall’osservazione diretta dei bambini. Come lei stessa afferma (1966, 985s), nel suo lavoro ha avuto «l’opportunità di mantenere uno stretto collegamento fra teoria e pratica, di verificare costantemente le idee teoriche con l’applicazione pratica e di ampliare l’operare pratico e le misure pratiche con la crescita delle conoscenze teoriche». La possibilità di questa proficua interazione teoria-prassi è offerta in prima istanza dalle attività svolte presso la Clinica Hampstead di terapia infantile che lei stessa fonda a Londra, dopo la prima guerra mondiale, assumendone la direzione.

3. La determinazione del tipo di sofferenza che ogni singolo bambino subisce, richiede considerazioni diagnostiche alle quali F.A. (1965) dedica gran parte del suo secondo scritto fondamentale:​​ Normalità e patologia nell’età infantile.​​ In esso spiega l’impossibilità di assumere i parametri della patologia mentale degli adulti per lo studio della patologia infantile e propone tre modalità per valutare il grado di normalità o patologia presenti in un bambino, basati rispettivamente sullo sviluppo delle pulsioni, dell’Io e del Super Io, sul tipo di angoscia e di conflitto e su alcune caratteristiche generali dell’Io ritenute fattori di stabilità. Introduce, inoltre, il profilo diagnostico in cui i dati raccolti secondo le tre modalità vengono organizzati sinteticamente tenendo presenti gli aspetti dinamici, genetici, economici, strutturali e adattivi della personalità.

4. Un altro contributo particolarmente significativo è offerto dal concetto di linee evolutive lungo le quali si organizza progressivamente la personalità del bambino. Rappresentano le sequenze interattive tra Es, Io e Ambiente che tracciano l’intero cammino percorso dal bambino dall’immaturità alla maturità. Rivestono un alto valore pratico, in quanto forniscono la base indispensabile per ogni valutazione della maturità o immaturità emotiva del bambino, dando inoltre la possibilità di stabilire in quali circostanze evolutive egli è pronto per affrontare determinate esperienze. Per questo trovano immediata applicabilità in campo educativo, costituendo uno dei maggiori apporti di F.A. alla teoria psicoanalitica dello sviluppo.

Bibliografia

Lustman S. L.,​​ The scientific leadership of A.F.,​​ in «Journal of American Psychoanal.​​ Ass.» 15 (1967) 810-827; Kris E., «Recensione di: A.F., “L’Io e i meccanismi di difesa”», in E. Kris,​​ Scritti di psicoanalisi,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1977, 281-291; F.A.,​​ Opere,​​ 3 voll., Ibid., 1978; Freud S.,​​ Opere,​​ vol. 10, Ibid., 1978, 231-317; F. A.,​​ Conferenze per insegnanti e genitori, Ibid., 1986; Id.,​​ L’aiuto al bambino malato, Ibid., 1987; Peltzman B. R.,​​ A. F.: A guide to research, New York, Garland, 1990; F.A.,​​ Lezioni ad Harvard.​​ Il bambino malato,​​ il suo ambiente,​​ il suo sviluppo, Milano, Cortina, 1991; Young-Bruehl E.,​​ A.F.: una bibliografia, Milano, Bompiani, 1993; F. A.,​​ Normalità e patologia del bambino. Valutazione dello sviluppo, Milano, Feltrinelli, 2003.

A. R. Colasanti




FREUD Sigmund

 

FREUD Sigmund

n. a Freiberg (Moravia) nel 1856 - m. a Londra nel 1939, medico e psicoanalista austriaco.

1.​​ Vita e opere.​​ Nato da una famiglia ebraica, dopo gli studi secondari si iscrive nel 1873 alla Facoltà di medicina di Vienna. Frequenta il laboratorio di anatomia comparata diretto da C. Claus e successivamente l’istituto di fisiologia di Ernest von Brücke, dove entra in contatto con Breuer, già noto per le sue ricerche neurofisiologiche e che avrà una parte rilevante nella nascita della psicoanalisi. Conseguita nel 1881 la laurea in medicina, pressato da esigenze economiche, abbandona la carriera di ricercatore e inizia a esercitare privatamente la medicina. Ottenuta nel 1885 la nomina a​​ Privatdozent,​​ si reca per 6 mesi a Parigi dove, alla Salpètrière segue le lezioni di​​ ​​ Charcot sull’isteria e le malattie del sistema nervoso. Colpito dalla sua personalità e dalle sue teorie, riprende l’attività e dirige il reparto neurologico dell’Istituto Pediatrico di Vienna. Nel settembre del 1886 sposa Marta Bernays. Nel 1895, pubblica, in collaborazione con J. Breuer,​​ Gli studi sull’isteria,​​ considerato il punto di partenza della psicoanalisi. In questo stesso anno, subito dopo la rottura con Breuer, si immerge nella stesura de​​ Il progetto di una psicologia,​​ saggio rimasto incompiuto e pubblicato postumo solo nel 1950. Pur dedicandosi all’attività privata, continua ad essere attratto dalla ricerca e nel 1884 pubblica un articolo sulle proprietà analgesiche della cocaina. Nel 1896, dopo la morte del padre, concentra sempre di più il proprio interesse sul problema della etiologia dell’isteria e delle nevrosi in genere. Negli anni successivi, in diversi saggi, F. sostiene l’applicabilità del modello proposto ne​​ L’interpretazione dei sogni​​ alla spiegazione di diverse manifestazioni psichiche della vita normale (Psicopatologia della vita quotidiana,​​ 1901;​​ Il metodo psicoanalitico freudiano,​​ 1903). Con i​​ Tre saggi sulla teoria sessuale​​ (1905) alcuni concetti ricevono una formulazione più dettagliata, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra sessualità infantile e adulta. Ottiene intanto, nel 1902 il titolo di professore straordinario titolare all’Università di Vienna e in diversi scritti ribadisce l’importanza centrale della sessualità (Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell’etiologia delle nevrosi,​​ 1905). Dopo il 1906, con il primo gruppo di allievi, pone le basi del movimento psicoanalitico. Nel 1909 viene invitato negli Stati Uniti da S. Hall. Nel 1920 F. è nominato professore ordinario dell’Università di Vienna e pubblica​​ Al di là del principio del piacere,​​ saggio in cui introducendo il concetto di pulsione di morte propone un’ulteriore riformulazione della sua teoria. Nel 1923 gli viene diagnosticato un cancro al palato e alla mascella. Nonostante la malattia e la perdita della figlia Sophie e del nipote H. Halberstadt, a cui era particolarmente legato, F. continua a lavorare:​​ L’Io e l’Es​​ (1923),​​ Il problema dell’analisi condotta da non medici​​ (1926). Nel 1927 pubblica​​ L’avvenire di un’illusione​​ e nel 1929​​ Il disagio della civiltà​​ che, assieme a​​ Totem e tabù​​ (1913), e a​​ Psicologia delle masse e analisi dell’Io​​ (1921) possono essere considerati come un tassello fondamentale nella costruzione della visione antropologica freudiana, visione essenzialmente pessimistica e riassumibile nell’ipotesi della stretta relazione fra una parziale rinuncia al soddisfacimento degli istinti e la nascita della civiltà. Gli ultimi anni della vita di F. sono dedicati a definire lo statuto epistemologico della psicoanalisi (Costruzione nell’analisi,​​ 1937). Nel 1938, in seguito alle persecuzioni antiebraiche, è costretto a rifugiarsi a Londra. Poco prima della sua morte viene eletto membro della Royal Society.

2.​​ F. e la psicoanalisi.​​ Il termine psicoanalisi compare negli scritti freudiani nel 1896 (Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa)​​ e sostituisce i termini precedentemente usati di «analisi psichica» e «analisi psicologica». Sulla base della definizione data nel 1922 dallo stesso F. si possono identificare nella psicoanalisi tre livelli strettamente interrelati. La psicoanalisi può cioè essere considerata: «1) un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe praticamente impossibile accedere; 2) un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3) una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica» (Psicoanalisi,​​ 1922). Nella costruzione della teoria psicoanalitica, sono schematicamente individuabili tre fasi.​​ La prima fase​​ (1887-1897), segnata dalla collaborazione e dal successivo distacco di F. da Breuer, trova il suo momento conclusivo nella scoperta che il ricordo delle esperienze traumatiche non rappresenta il ricordo di avvenimenti reali ma di fantasie che soddisfanno un desiderio infantile. A partire dalla collaborazione con J. Breuer e dalla riflessione sul caso di Anna O. – che costituirà il primo dei casi clinici presentati negli​​ Studi sull’isteria​​ (1895) – F. giunge progressivamente ad elaborare, grazie anche all’abbandono dell’ipnosi, un nuovo metodo, il metodo delle libere associazioni, basato sul postulato del determinismo psichico e atto a sottolineare l’importanza della vita sessuale del paziente nonché l’esistenza di avvenimenti traumatici, sempre di natura sessuale, verificatisi durante l’infanzia. Nel periodo compreso tra il 1897-1923 vengono elaborati i concetti fondamentali della psicoanalisi. Questa​​ seconda fase​​ è caratterizzata dalla progressiva accentuazione dell’importanza attribuita al modo in cui l’apparato psichico affronta esigenze ed impulsi interni e al modo in cui li rappresenta. Sulla base dell’autoanalisi e del lavoro clinico con i pazienti, F. era giunto, nel 1897, a considerare erronea la teoria del trauma sessuale infantile (La sessualità nell’origine delle nevrosi,​​ 1898) e a ipotizzare che i ricordi di traumi sessuali, che così di frequente affioravano nelle libere associazioni dei suoi pazienti non si riferissero ad avvenimenti passati realmente accaduti ma esprimessero piuttosto fantasie derivanti da desideri di natura sessuale. Ne​​ L’interpretazione dei sogni​​ (da lui considerata come una delle pietre miliari della psicoanalisi, come «la via maestra alla conoscenza della vita mentale inconscia») F. formula non solo un’originale teoria del sogno ma pone le basi di una nuova psicologia, presentando uno specifico modello della mente e utilizzando una serie di concetti – quali inconscio, processo primario e secondario, complesso edipico, rimozione, difesa, conflitto dinamico – che occuperanno sempre una posizione centrale nella elaborazione della teoria psicoanalitica adulta. Il funzionamento mentale viene descritto nei termini dei rapporti tra il sistema PC (percezione-coscienza), Prec (preconscio) e Inc (inconscio) separati fra loro da barriere che modulano l’accesso dei diversi contenuti mentali. Grazie al sogno, considerato la «via regia per l’inconscio», diviene, secondo F., possibile studiare le caratteristiche distintive dell’Inconscio e dei suoi rapporti con il pensiero cosciente. La rimozione costituisce a questo punto della teoria freudiana il meccanismo fondamentale responsabile da un lato della selezione del materiale che avrà accesso alla coscienza e dall’altro della formazione del sintomo, del sogno e di altre manifestazioni della psicopatologia della vita quotidiana. Nel 1905, nei​​ Tre saggi,​​ F. identifica inoltre l’elemento motivazionale fondamentale della vita psichica nella pulsione, considerata come strettamente ancorata al terreno biologico e concettualizzata in termini energetici, e propone un modello di sviluppo psicosessuale di tipo chiaramente evoluzionistico, che trova il suo punto centrale nel complesso edipico. Nell’interpretazione del transfert viene identificato lo strumento fondamentale della tecnica psicoanalitica e vengono inoltre postulati due principi di funzionamento della vita psichica, il processo primario, operante nell’inconscio, e il processo secondario, caratterizzato dal contatto con la realtà e dalla possibilità di differire il soddisfacimento di esigenze pulsionali. Un ulteriore sviluppo in questa fase è dato dalla formulazione del concetto di narcisismo (1914) e dalla edificazione, negli scritti metapsicologici (1915-1917), della struttura teorica della psicoanalisi. La formulazione del concetto di pulsione di morte, che compare nel 1920 nello scritto​​ Al di là del principio di piacere​​ chiude questa fase intermedia.​​ La terza fase,​​ che prende inizio dalla pubblicazione, nel 1923, di​​ L’Io e l’Es,​​ trova il suo punto centrale nella formulazione della teoria strutturale che sostituendosi al modello topico, presentato nel 1900 nell’Interpretazione dei sogni,​​ riconduce il funzionamento mentale ai rapporti fra tre strutture psichiche dell’Io, dell’Es e del Super-io. L’Es rappresenta il polo pulsionale della personalità, il Super-io, costituito dalla introiezione delle figure genitoriali, così come sono state vissute dal bambino, veicola gli ideali e i divieti delle figure genitoriali, e l’Io, istanza mediatrice tra l’Es, i divieti del Super-io e le esigenze di realtà, costituisce «il rappresentante degli interessi della persona nella sua totalità». All’Io spetta dunque il compito di modificare la realtà esterna in funzione delle esigenze pulsionali, mediante il controllo degli apparati che presiedono alla percezione, memoria e motilità, nonché di controllare, mediante il ricorso a specifici meccanismi di difesa, le richieste provenienti dall’Es. La dinamica della vita psichica è ricondotta ad una molteplicità di conflitti: tra le pulsioni di vita e le pulsioni di morte, tra le esigenze provenienti da diverse istanze, tra le diverse parti componenti ciascuna istanza. Dalla nuova riconcettualizzazione dell’apparato psichico F. estenderà da un lato l’indagine psicoanalitica a realtà extracliniche (psicologia delle masse, l’origine e il senso della religione, dell’organizzazione sociale e della civiltà) e dall’altra ritematizzerà il campo di applicazione clinica proponendo una classificazione della psicopatologia in termini di meccanismi di difesa e di dinamiche conflittuali. Di conseguenza vengono introdotte delle modifiche sostanziali nella tecnica terapeutica il cui strumento fondamentale, l’interpretazione, deve mettere l’Io in condizione di reintegrare quelle parti della vita psichica che la rimozione aveva reso non più disponibili.

3.​​ Psicoanalisi ed educazione.​​ Fin dal 1898 F. aveva messo in rilievo il peso delle pratiche educative nei confronti della sessualità. Nel 1905 nei​​ Tre saggi sulla teoria sessuale​​ se da un lato sostiene che l’educazione «deve limitarsi a favorire ciò che è organicamente predeterminato» – e cioè lo sviluppo del disgusto, del pudore, di ideali estetici, considerati una sorta di argine della pulsione sessuale – dall’altro punta il dito contro pratiche educative fortemente repressive della sessualità e il ricorso a punizioni corporali. Ancora nel 1908, nel​​ Caso clinico del piccolo Hans,​​ F. sottolinea come l’educazione possa esercitare un profondo influsso a favore o a sfavore della predisposizione alla malattia e come quindi le pratiche educative dovrebbero tendere non alla repressione delle pulsioni sessuali ma piuttosto a rendere «l’individuo atto alla civiltà e utile membro del consorzio umano». Da questa prospettiva, sostiene F., la psicoanalisi è in grado di offrire preziosi contributi alla messa a punto di adeguati metodi pedagogici. Nel 1910 ritorna sull’importanza di opportune misure educative in grado di guidare un armonioso sviluppo del bambino nonché sull’inadeguatezza della pedagogia dell’epoca. Nel 1911 ne​​ I​​ due principi dell’accadere psichico,​​ scritto di notevole importanza teorica, l’educazione viene definita come «un incitamento a superare il principio di piacere e a sostituirlo con il principio di realtà»: gli interventi educativi vengono dunque considerati, in questa prospettiva, come un «ausilio al processo evolutivo che riguarda l’Io». Nel 1913 in​​ L’interesse per la psicoanalisi​​ F. stigmatizza nuovamente il ruolo delle pratiche educative nella «repressione violenta dei moti pulsionali socialmente inutilizzati o perversi», che è all’origine di una «rimozione che instaura una successiva malattia nevrotica». L’educazione dovrebbe quindi «guardarsi dal seppellire i moti pulsionali», limitandosi piuttosto «ad incoraggiare i processi attraverso i quali queste energie possono venire indirizzate su una buona strada». In questo senso «le rivoluzionarie recenti scoperte della psicoanalisi attinenti alla vita psichica del bambino» si rivelano preziose per la messa a punto di una moderna pedagogia che voglia porsi l’obiettivo di prevenire la nevrosi e la perversione. Sempre nel 1913, nella sua prefazione a​​ Il​​ metodo psicoanalitico,​​ di O. Pfeister – che può essere considerato uno dei primi tentativi di coniugare psicoanalisi e pedagogia – F., pur sottolineando come la psicoanalisi «rimanga in un rapporto di esteriorità rispetto al lavoro educativo», ribadisce il valore preventivo dell’azione educativa orientata psicoanaliticamente, attribuendole il compito di «vigilare affinché certe disposizioni e tendenze del bambino non rechino alcun danno al singolo e alla società». Pur ritenendo ancora valida questa prospettiva, nel 1915, in​​ Considerazioni attuali sulla vita e sulla morte,​​ F. pone l’accento sull’importanza della «costrizione esterna esercitata dall’educazione, ritenuta essenziale per la costruzione della civiltà, che trova il proprio fondamento nella rinuncia al soddisfacimento pulsionale. L’educazione psicoanaliticamente orientata svolgerebbe così una funzione preziosa nella trasformazione della vita pulsionale, orientandola verso il bene e verso la conversione dell’egoismo nell’altruismo». Queste posizioni rimarranno sostanzialmente invariate. Su di esse ritorna ancora in​​ L’avvenire di un’illusione​​ (1927) e in​​ Introduzione alla psicoanalisi​​ (1932). Nel 1925, nella sua introduzione a​​ Gioventù traviata​​ di August Aichorn, un pedagogista che si era specializzato nel trattamento di giovani con tendenze antisociali, ribadisce la distinzione fra opera educativa e psicoanalisi. Pur considerando la terapia psicoanalitica una sorta di «rieducazione», F. mette in guardia dalla tentazione di sostituire la psicoanalisi alla pedagogia e sostiene che «le ricerche psicoanalitiche possono giovare alle attività educative intese a guidare [il bambino] alla conquista di una propria personale maturazione, ad aiutarlo nella crescita e a salvaguardarlo da eventuali errori [...] e che dunque se la psicoanalisi può essere molto utile all’educazione non è tuttavia idonea a prenderne il posto». Nella seconda serie di lezioni dell’Introduzione alla psicoanalisi,​​ a cui si è già fatto cenno, mette in particolare rilievo la problematicità degli interventi pedagogici. Secondo F.: «l’educazione [...] deve cercare una via tra Scilla del lasciar fare e Cariddi del divieto frustrante, compito se non insolubile particolarmente complesso». Ed è proprio sulla base delle difficoltà di trovare l’optimum​​ educativo che F. vede nell’analisi degli insegnanti e degli educatori un’auspicabile misura preventiva. Ancora nel 1937, in​​ Analisi terminabile e interminabile,​​ mette in guardia contro le ambizioni terapeutiche ed educative, identifica nella professione dell’educatore una delle tre professioni impossibili e prospetta l’educazione come una serie di interventi volti ad aiutare l’Io «a spostare lo scenario del conflitto dall’esterno all’interno, a dominare il pericolo interno prima che si sia trasformato in pericolo esterno». Tali idee sull’educazione saranno riprese ed esplicitate dalla figlia A. Freud.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ le opere complete di F. sono state pubblicate in tre diverse edizioni: l’ediz. ted.​​ (Gesammelte Werke,​​ 1940-52, 18 voll.) è curata da A. Freud et al.; l’ediz. ingl. (Standard Edition,​​ 1953-74, 24 voll.) è curata da J. Strachey e l’ediz. it. (Opere,​​ 1966-1980, 12 voll.) è curata da C. L. Musatti. b)​​ Studi:​​ Sulloway F.,​​ F. biologo della psiche,​​ Milano, Feltrinelli, 1982; Gay P.,​​ F.,​​ una vita per i nostri tempi,​​ Milano, Bompiani, 1988; Kaufmann P. (Ed.),​​ L’apporto freudiano. Elementi per un’enciclopedia della psicoanalisi,​​ Roma, Borla, 1996; Quinodoz J.-M.,​​ Leggere F. Scoperta cronologica dell’opera di F., Ibid., 2005.

F. Ortu - N. Dazzi​​ 




FRÖBEL Friedrich Wilhelm August

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FRÖBEL Friedrich Wilhelm August​​ 

n. a Oberweissbach (Turingia) il 21 aprile 1782 - m. nel castello di Marienthal, Turingia, il 21 giugno 1852, pedagogista e educatore tedesco.

1.​​ Vita. La madre di F. morì l’anno seguente la sua nascita e il padre, pastore protestante, lo affidò alle cure dei cinque fratelli maggiori e di persone estranee, per cui l’infanzia di F. è stata particolarmente infelice. Nel 1799 si iscrisse ai corsi di filosofia nell’università di Jena, ma li abbandonò dopo due anni per ristrettezze economiche. Nel 1805 F. accettò l’invito di Gruner, allievo di​​ ​​ Pestalozzi, ad insegnare nella sua scuola di Francoforte. Precettore, poi, dei tre figli della famiglia Holzhausen, li portò a Yverdon, la scuola di Pestalozzi, ove lui stesso fu docente e alunno (1808-1810). Rientrato in Germania, si iscrisse prima all’università di Gottinga (1811) e poi a quella di Berlino (1813) per seguire i corsi di mineralogia del Weiss e di filosofia dello Schleiermacher. Divenuto assistente di Weiss e vice direttore del Museo mineralogico di Berlino, abbandonò l’impiego nel 1816, dopo la morte del fratello Cristoforo, per prendersi cura dei tre nipoti a Griesheim, ai quali si aggiunsero i due nipoti del fratello Cristiano. Nel 1817 F. si trasferì a Keilhau, ove fondò: «L’Istituto universale tedesco di educazione di Keilhau»; nel 1826 scrisse la sua opera pedagogica​​ L’educazione dell’uomo; tra il 1831 ed il 1836 fondò e diresse tre istituti in Svizzera: Wartensee, Willisau e Burgdorf. Ritornato in Germania, F. fondò «L’Istituto per l’educazione dell’impulso all’attività di bambini e giovani» (1837) a Blankeburg, ove aprì il suo primo «Kindergarten» (1840), che si diffuse in altre città. Nel 1851 il governo prussiano ordinò a F. di chiudere i Giardini d’infanzia, accusati di diffondere orientamenti sovversivi nei riguardi della religione e della politica. Nel 1860 l’ordine fu revocato, ma F. era morto nel 1852.

2.​​ L’educazione dell’uomo​​ (1826). L’opera, pensata da F. come un’analisi del processo educativo lungo tutta la vita umana, tratta soltanto delle prime due età: l’infanzia e la fanciullezza. Il pensiero di F. è stato influenzato dalla poesia romantica e dalla filosofia idealistica di Novalis, Schiller, Ficthe, Schelling, Schleiermacher, ma si specifica soprattutto come un «panenteismo» alla maniera di Karl Christian F. Krause (1781-1832), secondo il quale tutto è scaturito da Dio e tutto da Dio è condizionato; e, in particolare, l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, crea, opera ed agisce in modo simile a Dio. Tuttavia, l’uomo non ha coscienza di ciò, ed è opera essenziale dell’educazione portarlo a questa consapevolezza mediante la gradualità delle forme attraverso le quali Dio si manifesta e soprattutto agisce, perché tutto è attività. Attività che ci appare in Dio come creazione, nell’uomo come lavoro, nel fanciullo come​​ ​​ gioco. Il divenire e l’attività, data l’identità assoluta di Dio con l’uomo e la natura, si esplicano anche come Dio che gioca nel fanciullo, lavora nell’uomo e crea nella sua trascendentalità. Gioco, lavoro e creatività sono tre momenti necessari di un unico processo di sviluppo immanente all’umanità: lo sviluppo del divino che è nell’uomo, per cui l’educazione è essenzialmente auto educazione, attività spontanea, fino alla consapevolezza del divino che è in ciascuno di noi e alla sua libera realizzazione. Sviluppo ed educazione sono sempre completi in ciascuna età, e in ognuna l’educazione deve ispirarsi alla vita circostante contemporanea. Nella scuola, in cui deve dominare l’attività spontanea del fanciullo che è il gioco, ci si educa e ci si istruisce vivendo: nulla si apprende in teoria, ma attuando il vero, il bene e il bello e operando in proprio e in collaborazione con i compagni. Durante l’infanzia (fino ai 2 o 3 anni), la seconda infanzia (3-6 anni) e la fanciullezza (fino ai 10 o 12 anni) si devono sviluppare e consolidare in modo opportuno tre forze: religione, laboriosità e temperanza. F. indica, come ambiente particolarmente adatto all’educazione, la famiglia per la prima infanzia, il giardino per la seconda e la scuola per la fanciullezza, con una figura dominante in ciascuno di essi: la madre, la maestra-giardiniera e l’insegnante. Nella seconda parte dell’Educazione dell’uomo​​ F., che ha legato il suo nome al Kindergarten, parla dell’istruzione degli alunni delle scuole elementari, che dovrebbe essere perseguita mediante attività di gioco e di lavoro.

3.​​ Il Kindergarten. L’interesse di F. per l’istituzione prescolare è nato gradualmente e sotto una molteplicità di influssi, in particolare quelli di Krause, che, tra l’altro, gli fece conoscere un opuscolo di​​ ​​ Comenio sul problema (la​​ Schola infantiae), e di Pestalozzi. F. non usa il nome di «Giardino» solo per romantica similitudine, si fonda, invece, su un concetto più profondo: allo stesso modo che nel giardino i fiori si schiudono da sé, così nel Kindergarten i bimbi si sarebbero potuti liberamente esplicare e svolgere da sé, in spontaneità, «germogliando» e «fiorendo» dal loro intimo, nella serenità del gioco e della vita di natura. Oltre i giochi spontanei, quelli preparatori al futuro lavoro produttivo e le occupazioni, F. propone anche dei giochi detti «doni», derivanti da una concezione metafisica della realtà che si esprime in forme geometriche, che sono offerti come materiale di osservazione e di azione, mezzi del conoscere, del fare da sé, del costruire. I «doni» sono i seguenti: La​​ palla elastica​​ e le​​ palle di lana​​ di diverso colore, peso e grandezza; il bambino, giocando e divertendosi, apprende le idee di unità e di pluralità e impara a conoscere le proprietà fondamentali dei corpi. La​​ sfera, il​​ cubo​​ e il​​ cilindro: la sfera rappresenta la massima mobilità, il cubo la stabilità, il cilindro la situazione intermedia. Il cubo scomponibile, inoltre, soddisfa un tipico istinto infantile, quello di rompere una cosa per vedere com’è fatta e ciò che c’è dentro. Il compito educativo delle maestre era agevolato da una serie di tavole esplicative, che accompagnavano ogni dono. Nonostante il didatticismo formale di molti fröbeliani, per i quali i «doni» divennero degli schemi senza vita, resta il loro profondo valore pedagogico.

4.​​ Valutazione. Il valore del gioco per l’educazione del fanciullo era già stato sottolineato, tra gli altri, da Quintiliano, Vittorino, Locke, Fénelon, Rousseau, Pestalozzi, ma solo F. ha formulato con chiarezza il principio che il gioco è tutta l’attività del fanciullo. Mentre prima di F. i bambini erano affidati a delle sale di custodia e ad asili con finalità assistenziali o con attività precoci di istruzione come quello di Aporti, con F. si afferma una nuova istituzione educativa, il Kindergarten, nella quale ci si prende cura dello sviluppo del fanciullo e della sua personalità attraverso la sua attività spontanea: il gioco. Con F., infine, si è incentivato anche l’ambito progettuale dei materiali didattici per la scuola dell’infanzia, al quale si sono ispirate per analoghe iniziative le sorelle​​ ​​ Agazzi e la​​ ​​ Montessori.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ F.F.,​​ Ausgewählte pädagogische Schriften,​​ Paderborn, Schöning,​​ 1965; F.F.,​​ L’educazione dell’uomo, a cura di G. Flores d’Arcais, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1993;​​ b)​​ Studi:​​ Blättner F.,​​ Storia della pedagogia, Roma, Armando,​​ 61972; Gasparini D., «F.F.», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia, II, Brescia, La Scuola, 1977, 431-471; Id.,​​ «F.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. III, Ibid., 1989, 5156-5167; Bucci S.,​​ Educazione dell’infanzia e pedagogia scientifica.​​ Da F. a Montessori, Roma, Bulzoni, 1990;​​ Grazzini M.,​​ Il grande F. delle opere minori, Brescia, Istituto di Mompiano, 1999; D’alessandro C.,​​ Problemi pedagogici nelle teorizzazioni e nelle pratiche educative dell’età romantica, Napoli, Liguori, 2003; «F.», in​​ Enciclopedia filosofica, vol. V, Milano, Bompiani, 2006, 4494-4496.

F. Casella




FROMM Erich

 

FROMM Erich

n. a Francoforte nel 1900 - m. a Muralto (Locarno) nel 1980, sociologo e psicoanalista tedesco.

1. Nato in ambiente ebraico osservante, compì la sua formazione a Heidelberg, seguendo gli insegnamenti dei maestri del pensiero sociologico moderno. Affascinato dalle tesi di​​ ​​ Weber, costruì su di esse la sua psicologia sociale. Dopo aver conseguito nel 1922 la laurea con una tesi sulla sociologia della diaspora, si dedicò esclusivamente agli studi di psicologia e di psicoanalisi, specializzandosi a Berlino alla scuola dei primi allievi tedeschi di​​ ​​ Freud. Emigrato negli Stati Uniti a seguito della persecuzione nazista, insegnò in diverse università americane e fu direttore del Dipartimento di Psicologia dell’Università Nazionale del Messico. Nei suoi scritti ha manifestato una profonda corrispondenza al quadro culturale della contestazione radicale degli anni ’60.

2. Il libro che viene tutt’ora considerato una delle sue migliori produzioni è​​ Fuga dalla libertà​​ in cui non solo analizza il nazismo dal punto di vista psicoanalitico, ma offre una chiave di lettura di una nuova visione antropologica. Tesi centrale del suo pensiero è che l’uomo, mentre matura l’esigenza della​​ ​​ libertà e dell’indipendenza, si sente sempre più solo, nel suo rapporto con la realtà esterna, perché minacciato nelle sue forze, preso da un sentimento di impotenza e di ansietà dinanzi agli aspetti soverchianti e pericolosi del mondo esterno. In una tale situazione si impongono tre meccanismi di fuga dalla libertà: l’autoritarismo, la distruttività e il conformismo, ai quali è possibile far fronte con il ricorso alla​​ ​​ religione. Approfondendo tale tesi in​​ Avere o essere?, F. individua una duplice modalità di esistenza. Da una parte c’è​​ l’avere,​​ ossia l’impulso alla sopravvivenza che, centrato sull’acquisto e sul dominio di proprietà private e di possessi non materiali, come il proprio io, le altre persone, la reputazione, la conoscenza, alimenta avidità, inimicizia e violenza. Dall’altra c’è​​ l’essere​​ che, avendo come caratteristica principale l’attività libera e finalizzata, implica autotrascendenza, crescita, interesse per gli altri, amore.​​ 

3. In tale contesto, la religione, da lui analizzata principalmente nell’opera​​ Psicoanalisi e religione, viene ad assumere un duplice volto: quello dell’autoritarismo e quello dell’umanesimo, con conseguenti risvolti educativi. Nella religione autoritaria, in cui è centrale l’abbandono nelle braccia di un potere trascendente, l’uomo concepisce se stesso come creatura inetta e meschina, considera Dio come un essere dispotico e terribile, e si sente dominato da un sistematico senso di colpa; nella religione umanistica, invece, vengono poste in risalto le capacità insopprimibili dell’uomo, Dio viene delineato come misericordioso e comprensivo, emerge con forza la dimensione positiva della ricerca appassionata e faticosa del senso della propria esistenza.

Bibliografia

a)​​ Fonti: opere di F.E. trad. in it.,​​ Avere o essere?, Milano, Mondadori, 1977;​​ Fuga dalla libertà, Ibid., 1987;​​ Psicoanalisi e religione, Ibid., 1987;​​ Io difendo l’uomo, Milano, Bompiani, 2004;​​ Il coraggio di essere, Bellinzona, Casagrande, 2006; b)​​ Studi: Punturi G.,​​ Progetto uomo: è possibile? Interrogativi di E.F.,​​ Roma, Templari,​​ 21980; Eletti P. L. (Ed.),​​ Incontro con E.F.,​​ Firenze, Medicea, 1988; Funk R. (Ed.),​​ Il​​ meglio di E.F.,​​ Milano, Mondadori, 1990; Fizzotti E. - M. Salustri,​​ E.F., in Idd.,​​ Psicologia della religione con antologia dei testi fondamentali,​​ Roma, Città Nuova, 2001, 153-179.

E. Fizzotti




FRUSTRAZIONE

 

FRUSTRAZIONE

Il termine f. indica lo stato psicologico di insoddisfazione e di delusione sperimentato quando si incontra un ostacolo che impedisce, o interrompe, un’azione finalizzata alla soddisfazione di un bisogno o di un motivo: tanto più i motivi o i bisogni in gioco sono importanti, tanto più la f. ha ripercussioni pesanti nel vissuto di un individuo.

1. Esempi di situazioni frustranti sono la dilazione, la mancanza, o la perdita, cioè situazioni in cui rispettivamente si deve rimandare a tempi successivi la soddisfazione di un’esigenza, non si hanno a disposizione i mezzi necessari a soddisfare i propri motivi, oppure si avevano tali mezzi ma li si è successivamente perduti. Ci si può sentire frustrati anche in caso di fallimento, soprattutto se a seguito del mancato successo si sente messa in discussione la propria​​ ​​ stima di sé (Ronco, 2006). In caso di f. la persona, non potendo gratificare direttamente un dato motivo o bisogno, si trova a dover raggiungere un diverso equilibrio dinamico attraverso nuovi comportamenti, tenendo conto, in modo più o meno costruttivo, dell’ostacolo frappostosi nel soddisfacimento delle proprie esigenze. Dal momento che nel processo di​​ ​​ socializzazione si fa spesso l’esperienza di non poter soddisfare una qualche esigenza personale e di sentirsi quindi frustrati, la ricerca psicologica si è interessata in particolare a come la f. influisca sulla condotta della persona, cercando di individuare quali reazioni si possono avere nelle situazioni frustranti.

2. In proposito è possibile distinguere a grandi linee tre modelli teorici: un primo modello, ispirandosi alla teoria freudiana rivista secondo la teoria dell’apprendimento, ipotizza il rapporto tra f. e​​ ​​ aggressività (Dollard et al., 1967) che può essere diretta verso di sé o verso gli altri (Rosenzweig, 1944); un altro, invece, evidenzia come la f. induca alla fissazione, cioè all’attuazione di un comportamento stereotipato che non si evolve più plasticamente con il mutare delle situazioni (Maier, 1949); il terzo modello, infine, ipotizza che la f. favorisca la regressione, cioè il ritrarsi verso un modo di pensare, sentire e agire più primitivo e immaturo (Barker et al., 1941). Negli ultimi anni, pur prendendo spunto da tali teorie, i ricercatori ritengono che sia riduttivo collegare alla f. un solo tipo di reazione, ma che per comprendere la risposta di una persona in una situazione frustrante occorra tener presente l’interazione di molteplici fattori sociali, ambientali e personali, tra cui gli apprendimenti passati e come viene valutata e interpretata la situazione in questione; inoltre, soprattutto in campo educativo, si evidenzia che non sempre la f. ha un ruolo negativo o induce una disfunzione nel comportamento, ma che quando essa risulta proporzionata alle capacità e alle risorse dell’educando, può essere per lui uno stimolo per riorganizzare in modo creativo e costruttivo il proprio agire verso il raggiungimento della meta desiderata.

Bibliografia

Barker R. - T. Dembo - K. Lewin,​​ Frustration and regression: an experiment with young children, in «Univ. of Iowa Studies in Child Welfare» 18 (1941) 1; Rosenzweig S., «An outline of frustration», in J.​​ V.​​ Hunt (Ed.),​​ Personality and the behavior disorder,​​ vol.​​ I,​​ New York, Ronald, 1944, 379-388; Maier N. R. F.,​​ Frustration: the study of behavior without a goal,​​ New York, McGraw-Hill, 1949; Dollard J. et al.,​​ F. e aggressività,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1967; Knaus W. J., «Children and low frustration tolerance», in A. Ellis - M. E. Bernard (Edd.),​​ Rational-emotive approaches to the problems of childhood, New York, Plenum Press, 1983, 139-158; Berkowitz L.,​​ Frustration-aggression hypothesis: examination and reformulation, in «Psychological Bulletin» 106 (1989) 59-73; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia.​​ vol. 1.​​ Psicologia dinamica,​​ Roma, LAS,​​ 62006.

C. Messana




FUNZIONALISMO

 

FUNZIONALISMO

Con il termine f. si intende tutto quel complesso di teorie che interpretano i fatti sociali in relazione al loro apporto alla realizzazione di fenomeni sociali più ampi o alle attività di una istituzione o dell’intera società. Si tratta di posizioni riscontrabili in vari campi, dalla sociologia, all’antropologia, alla linguistica, alla psicologia. L’oggetto tenuto qui presente è l’educazione e l’ottica quella sociologica in quanto prevalente nell’ambito considerato. Tra gli autori più importanti dal punto di vista scelto va anzitutto ricordato​​ ​​ Parsons. Per questo studioso ogni fenomeno sociale deve essere esaminato in termini di azione sociale che, a sua volta, è funzione sia di una struttura societaria consistente nei rapporti istituzionalizzati tra le persone, sia della corrispettiva cultura rappresentata dai valori, dalle norme e dai modelli, sia del sistema di personalità dei singoli attori sociali, cioè della cultura da questi interiorizzata (1937). In secondo luogo va citato R. K. Merton a cui si deve in particolare un ripensamento degli assunti parsonsiani: egli ha rivisitato le tre tesi fondamentali del f. classico, precisando che la funzione svolta da un elemento della società non è sempre necessaria per il funzionamento del tutto, può essere superflua, anzi potrebbe non essere positiva (1949).

1.​​ La concezione di società.​​ Il f. interpreta la società come un​​ sistema di parti interdipendenti​​ al cui interno si realizza una vera divisione del lavoro nel senso che ciascun sottosistema svolge funzioni specifiche e mette a disposizione degli altri le sue prestazioni in modo da consentire la conservazione e lo sviluppo del sistema. Nonostante ciò nella società non mancano disfunzionalità delle parti e difetti di interscambio; tuttavia questi non portano generalmente a rotture irreparabili, in quanto il sistema riesce a mantenersi in una condizione di integrazione e di equilibrio attraverso i processi di​​ ​​ socializzazione, cioè mediante la trasmissione ed interiorizzazione di un quadro di valori comuni. La concezione organicista del f., se riesce a spiegare con facilità lo status quo, si trova invece a disagio di fronte alla questione del cambio. Esso, infatti, viene attribuito a fattori negativi: in pratica, è dovuto sia a carenze nella formazione che divengono occasione di devianza, sia alle difficoltà che i sottosistemi incontrano nell’articolazione reciproca a causa della continua complessificazione della divisione del lavoro e dell’aumento della specializzazione delle parti. La​​ stratificazione,​​ a sua volta, viene ritenuta non solo un dato di fatto universale, ma anche un meccanismo necessario per il funzionamento della società in quanto garantisce la selezione dei migliori. Il valore delle posizioni sociali non è eguale per tutte, ma alcune presentano una rilevanza più grande per il sistema. Al tempo stesso non sono molte le persone dotate delle capacità che possono essere trasformate nelle competenze richieste per svolgere i ruoli più importanti. Siccome la funzione necessaria per acquisire le abilità attese implica notevoli sacrifici di tempo e di risorse, la società per invogliare i soggetti dotati ad affrontarli deve assicurare loro adeguate ricompense materiali e morali, cioè un reddito e una condizione sociale più elevata.

2.​​ Le funzioni della scuola.​​ Entro questo quadro il sottosistema scuola svolge anzitutto la funzione di​​ trasformare le capacità in competenze.​​ Nelle società tradizionali vi provvedono istituzioni che sono incaricate contemporaneamente di altri compiti; nel sistema industriale, a causa dell’intensificarsi della divisione del lavoro e della specializzazione, nasce e si sviluppa un sottosistema specializzato e differenziato come quello scolastico. In secondo luogo il f. mette in risalto la​​ interdipendenza fra istruzione ed economia.​​ La forte espansione dei sistemi formativi che ha avuto luogo nel mondo durante gli anni ’50 e ’60 andrebbe ricondotta allo sviluppo parallelo della domanda di forza lavoro qualificata. La crescita dell’economia ha influito direttamente sulla richiesta di manodopera specializzata e ha comportato l’esigenza di una formazione più elevata di porzioni crescenti di giovani, per due motivi: ha determinato un passaggio della forza lavoro dal settore primario verso il secondario e il terziario, cioè verso comparti che si caratterizzano per una domanda più ampia ed elevata di competenze; inoltre, il ritmo accelerato del cambio tecnologico ha prodotto l’elevazione continua del livello delle abilità professionali necessarie per l’inserimento nei vari settori del sistema produttivo. Al tempo stesso la scuola espandendosi svolge una funzione determinante nello sviluppo tecnologico perché rende più produttivo il lavoro e aumenta il ritmo dell’innovazione tecnologica. Il f. concepisce l’istruzione come​​ strumento di progresso sociale.​​ È vero che le disparità sono accettate come necessarie, ma è anche vero che la distribuzione dei ruoli deve avvenire in base al merito. In questo senso l’espansione dell’istruzione consente l’ascesa dei giovani dei ceti più bassi, dotati di elevate capacità, e contribuisce a una ripartizione più giusta delle opportunità formative fra le classi. La scuola è anche​​ funzionale all’​​ ​​ integrazione sociale.​​ Essa infatti motiva a comportarsi secondo i modelli dominanti. In questo senso assicura la sopravvivenza della società e la sua integrazione. Alla fine degli anni ‘60 il paradigma funzionalista è entrato in​​ crisi.​​ La sua visione consensuale non riusciva più a interpretare in modo adeguato una società che era divenuta conflittuale. La contestazione studentesca e la ricerca pedagogica avevano messo a nudo le gravi carenze della scuola, ponendo così in discussione la esaltazione ingenuamente positiva che ne aveva fatto il f. Con gli anni ‘80, tuttavia, si è avuto un graduale recupero della funzione positiva della scuola e anche un suo rafforzamento. Questo ha contributo alla nascita di un​​ neo-f.​​ che mira a coniugare l’ortodossia parsonsiana con paradigmi anche opposti: in particolare ha accettato le interpretazioni conflittuali e ha riconosciuto la centralità delle diseguaglianze strutturali.

Bibliografia

Parsons T.,​​ The structure of social action,​​ New York, MacGraw-Hill, 1937; Merton R. K.,​​ Social theory and social structure,​​ Glencoe, The Free Press, 1949; Parsons T.,​​ The social systems,​​ London, Routledge & Kegan Paul, 1952; Morgagni E. - A. Russo (Edd.),​​ L’educazione in sociologia.​​ Testi scelti, Bologna, CLUEB, 1997; Besozzi E.,​​ Società,​​ cultura,​​ educazione: teorie,​​ contesti e processi, Roma, Carocci, 2006; Schizzerotto A. - C. Barone,​​ Sociologia dell’istruzione, Bologna, Il Mulino, 2006.

G. Malizia