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EDUCAZIONE SESSUALE

 

EDUCAZIONE SESSUALE

Dimensione dell’e. di base relativa alla sessualità in età evolutiva e nelle diverse età della vita.

1. La sessualità, oggi più che mai, è sentita come simbolo di vita e di morte: demonizzata o all’opposto divinizzata, spesso banalizzata e commercializzata nei più diversi modi. Nonostante il notevole impegno profuso lungo il corso dei secoli, riesce difficile darne una definizione comprensiva e condivisa. Per il nostro secolo merita considerazione il tentativo freudiano di farne l’onnipresente fondamento della civiltà e della cultura. I punti di vista e gli approcci scientifici non riescono a tutt’oggi ad offrire forme di sapere che consentano d’interpretarla e di viverla in termini intersoggettivi e interculturali, di razionalità e di ragionevolezza, evitando forme d’irrazionalismo o di misticismo radicalizzato. In ogni caso non va pensata in maniera separata dalla categorie più comprensive della persona e della vita comunitaria e di genere. Infatti la sessualità umana si presenta come una dimensione pervasiva della vita e della cultura, collegata con altre espressioni fondamentali dell’esistenza umana personale e collettiva, quali la corporeità, l’​​ ​​ amore, l’​​ ​​ amicizia, la stessa​​ ​​ religiosità. Per la coscienza contemporanea è considerata imprescindibilmente uno dei diritti umani soggettivi fondamentali e strettamente connessa con la​​ ​​ differenza individuale e di genere.

2. Una certa socializzazione e inculturazione sessuale sono parte integrante della formazione delle nuove generazioni in ogni tipo di società ed in ogni periodo storico, per lo più secondo modi di e. informale e di imitazione dei costumi sessuali più o meno approvati socialmente. Essa rientra più o meno esplicitamente nelle forme di iniziazione sociale e nei cosiddetti riti di passaggio. Tuttavia, fors’anche per un certo «senso del pudore» legato al carattere di intimità della sessualità, tali pratiche formative hanno dato spesso luogo ad apprendimenti tutt’altro che limpidi, hanno fomentato paure e hanno spinto a forme di distanziamento o di contestazione dei costumi sessuali comunitari. I mutamenti e le innovazioni storico-culturali attuali hanno accresciuto le problematiche di sempre e ne hanno apportate nuove, legate in modo particolare alle istanze di emancipazione, di liberalizzazione, di autorealizzazione, di pieno soddisfacimento dei bisogni soggettivi, che pervadono il comune modo di sentire attuale anche riguardo alla sessualità personale, non senza l’influsso del permissivismo e del consumismo sociale. A livello politico, a partire dal secolo scorso, in molte nazioni, si è invocata una e.s., pubblica e sistematica, per affrontare problemi quali le malattie veneree, il calo demografico, il controllo delle nascite, la formazione di identità sessuate reciprocamente rispettose, la diffusione dell’AIDS, la violenza sessuale, l’abuso dei minori; ed in pari tempo per sostenere il rinnovamento e l’adeguamento storico dei costumi sessuali sociali. A livello pedagogico, si sono ritenute insufficienti le forme tradizionali di e.s.; si è richiesta una prospettiva educativa «scientificamente» confortata, teoreticamente fondata e pedagogicamente progettata; si sono invocate normative deontologiche chiare e figure educative con competenze specifiche. L’e.s. è stata tenuta presente nelle iniziative di e. familiare, nelle scuole per genitori, nei corsi di preparazione al matrimonio Oltre che compito formativo di ognuno, l’attenzione educativa sessuale è, infatti, anche qualcosa di interesse comunitario e collettivo, in quanto parte integrante della ricerca di una migliore qualità della vita di tutti ed ognuno nelle diverse età e condizioni della vita, con modalità speciali in ognuna di esse. In tal senso è aspetto costitutivo dell’​​ ​​ e. permanente.

3. In particolare, l’introduzione dell’e.s. in termini di informazione, di conoscenza e di consapevolezza, in vista della conquista dell’autonomia, della responsabilità, del rispetto di sé e degli altri, della valorizzazione della differenza sessuale e di genere, della procreazione responsabile e delle diverse opzioni etiche ed esistenziali, rientra nel quadro delle finalità della scuola. Questa, infatti, è chiamata a partecipare, con sue specifiche modalità, all’e. delle fondamentali dimensioni della persona, del cittadino e del lavoratore. In tal senso l’e.s. si collega con altre dimensioni educative trasversali a cui la scuola, per il suo inderogabile compito educativo e non solo istruttivo, dimostra di essere sempre più attenta: le cosiddette «nuove e.»; in particolare l’e. alla​​ ​​ salute e alla prevenzione dalla droga e da altre malattie sociali (cfr. legge 162 / 1990). Alcuni la includono nell’ambito della e. alla convivenza sociale, magari proponendola nel quadro più ampio e personalistico dell’​​ ​​ e. affettiva. Altri pensano che non dovrebbe essere intesa come materia a sé stante, ma piuttosto come dimensione trasversale a diverse materie o come parte di tematiche disciplinari. In ogni caso sembrano da privilegiare strategie di tipo interdisciplinare, avvalendosi anche del contributo di esperti esterni, ma sempre nel quadro della programmazione scolastica. Metodologicamente occorrerà avvalersi di tecniche flessibili, che favoriscano anche la partecipazione e la discussione di gruppo. Contenutisticamente ci si dovrebbe comprensivamente riferire agli aspetti psicologici, affettivi, etici, sociali, antropologici, storici, culturali e giuridici della sessualità, in modo adeguato all’età e al grado di maturazione degli alunni.

4. Invero la sessualità è già dentro la scuola a livello del cosiddetto «curricolo nascosto», nell’esperienza di cui gli alunni e gli insegnanti sono portatori, nell’informalità quotidiana scolastica e negli stessi interventi più o meno espliciti o più o meno corretti ed efficaci di questo o quel docente. Infatti la dimensione sessuale non è solo un oggetto da studiare o un comportamento a cui addestrarsi, ma una problematica da vivere, da chiarire e da risolvere in un contesto esistenziale ben determinato ed in una prospettiva di vita individuale e comunitaria. Essa non si riduce ai soli aspetti genetici, biologici o psicologici. Gli stessi aspetti etico-religiosi, ai quali in tempi non lontani pressoché si riduceva qualunque discorso sul sesso, talora con toni ossessivi e apocalittici, hanno da fare i conti con il pluralismo sociale, con la specificità dell’apprendimento scolastico e con le diverse sensibilità delle famiglie e dei gruppi sociali. Le iniziative puramente informative, preoccupate sostanzialmente di fornire le «regole per l’uso» del sesso sicuro, pur in sé meritevoli di considerazione, rischiano di essere riduttive e poco attente alle aspirazioni profonde di una vita sessuale umanamente degna in sé e per sé, oltre i costumi sociali prevalenti e il non far danno a sé e agli altri. Alla conoscenza di eventi, di processi, di tecniche, c’è da aggiungere una ricerca di significati, di valori, di prospettive, un impegno per atteggiamenti personali e stili relazionali che comportano l’accettazione di sé e degli altri, il rispetto e la collaborazione reciproca, in una prospettiva di amicizia, di amore, di forme di vita coniugale e familiare o celibataria.

5. Resta comunque che qualsiasi configurazione didattica della e.s. avrà bisogno di essere preventivamente sorretta da una competente preparazione degli insegnanti e da una ricerca di coerenza ed integrazione educativa tra scuola, famiglia, chiese e tutte le altre forme che globalmente sono denominate «scuola parallela», a cominciare dai mass-media e dall’organizzazione sociale dello sport, del tempo libero e del divertimento. Merita attenzione pedagogica particolare la socializzazione sessuale nei gruppi di pari, specie nel periodo della pubertà e dell’​​ ​​ adolescenza.

Bibliografia

Fromm E.,​​ L’arte di amare,​​ Milano, Il Saggiatore, 1979; Ossicini A.,​​ Essere donna essere uomo,​​ Roma, ERI, 1984; Zani B. - M. C. Bonini - M. L. Xerri,​​ La storia infinita. L’e.s. a scuola,​​ Milano, Angeli, 1993; Galli N. (Ed.),​​ L’e.s. nell’età evolutiva, Milano, Vita e Pensiero, 1994; Malinconico R.,​​ La persona,​​ la problematica del corpo,​​ la sessualità, San Felice a Cancello, Melagrana Onlus, 2003; Verde A. - L. Calcaro,​​ Educare alla sessualità in classe, Tirrenia (Pisa), Edizioni del Cerro, 2006; Olivo S. - V. Iurman - M. Colombo,​​ Affettività e sessualità. Saper ascoltare per saper educare, Trieste, Mgs Press, 2007.

L. Corradini - C. Nanni




EDUCAZIONE SOCIOPOLITICA

 

EDUCAZIONE SOCIOPOLITICA

Si intendono le varie forme di e. che mirano alla formazione della capacità sia di compresenza e di reciprocità positiva, sia di partecipazione responsabile all’esercizio del potere in vista del bene comune.

1.​​ L’ambito e le agenzie.​​ Dopo la seconda guerra mondiale, l’evoluzione dell’e.s. nell’Europa Occidentale è passata grosso modo attraverso quattro​​ fasi.​​ La decade ’60 è stata caratterizzata dall’attuazione di progetti significativi di innovazione in aree quali gli studi sociali, l’e. sociale e le scienze umane, mentre negli anni ’70 l’attenzione si è spostata sull’e. civica e su quella politica. Nel decennio successivo la lista si è allungata e si sono aggiunte altre e. fra le quali le principali sono: l’e. interculturale, allo​​ ​​ sviluppo, alla​​ ​​ pace, alla democrazia, ai​​ ​​ diritti umani e alla legalità. Negli anni ’90 e soprattutto nel 2000 la denominazione più comune è quella di e. alla cittadinanza democratica e tale andamento si spiega a motivo dell’urgenza di attuare nei Paesi la democrazia; in Italia la riforma «Moratti» (L. 53 / 03) ha preferito la terminologia di e. alla convivenza civile perché comprenderebbe anche coloro che non hanno una cittadinanza formale; altri hanno osservato che è possibile mantenere la dizione e. alla cittadinanza democratica se si intende la cittadinanza in senso pedagogico. Passando al tema delle​​ agenzie​​ educative e incominciando dal dibattito sulla continuità o meno degli atteggiamenti sociopolitici dei figli rispetto ai genitori, va ricordato che si sono contese il campo due posizioni: da una parte, coloro che sostengono la tesi della discontinuità generazionale, si appellano alla rapidità e alla profondità del cambio culturale, al depotenziamento funzionale della​​ ​​ famiglia, all’indifferenza dei giovani rispetto ai valori degli​​ ​​ adulti; altri studiosi, pur non negando la presenza di conflitti tra genitori e figli, ritengono che sussista una continuità sostanziale tra le generazioni. Maggiore accordo sembra esistere circa l’incidenza dell’origine sociale che sarebbe il fattore più influente sulla personalità di base del giovane. L’influsso della scuola sulla formazione sociopolitica rivestirebbe un’importanza secondaria rispetto a quello di altre agenzie. Se si passa ad analizzare la natura dell’azione della scuola sembra che la funzione meramente socializzatrice occupi un posto preminente rispetto a quella educativa: l’insegnamento mirerebbe principalmente a rendere conformi, a inculcare valutazioni favorevoli al sistema, a creare un senso di appartenenza e di fedeltà ad esso. Pur con le gravi carenze appena elencate, non si può negare che la scuola svolga una vera e.s., e possa condurre il giovane a una partecipazione politica libera e cosciente e a una maturità politica. L’azione dei gruppi dei pari non sembra sia molto efficace nel trasmettere i valori politici su cui esiste un largo consenso nella società; al contrario essi rivelerebbero una notevole incidenza come competitori delle tradizionali agenzie educative in quanto risulterebbero capaci di elaborare modelli culturali relativamente indipendenti. Le ricerche tendono a sottolineare l’importanza dei mezzi di​​ comunicazione sociale​​ in rapporto alle diverse modalità dell’e.s. e tale influsso consisterebbe in un rinforzo della predisposizione all’ascolto di certi argomenti, già presente nei soggetti.

2.​​ Obiettivi e metodologie.​​ Si tratta di formare un atteggiamento, una strutturazione relativamente stabile di tutta la personalità del soggetto che si esprime a diversi livelli nella disponibilità per l’azione. Analogamente che per qualsiasi atteggiamento i livelli comprendono l’aspetto cognitivo, valutativo, motivazionale e comportamentale. Pertanto un primo​​ obiettivo​​ consiste nella capacità di individuare, interpretare e valutare i problemi sociopolitici in una società in cui l’informazione è in vario modo e da più istanze manipolata. Bisognerà far acquistare quei saperi che permettono di penetrare la realtà sociale: in particolare, va sottolineata l’importanza di una seria formazione scientifica che, trasfondendo negli allievi il senso del rigore intellettuale e della verifica nell’esperienza, li immunizzi dal semplicismo, dal dogmatismo e dall’avventurismo di tante attività sociali. Dovranno poi essere assunti i parametri di valutazione che si possono sintetizzare nel valore-uomo, nella libertà, nella giustizia, nell’eguaglianza, nella pace, nell’amore, nei valori della fede. La seconda grande area di obiettivi si può definire come la formazione della volontà di partecipare alla realizzazione del bene comune. Bisognerà in proposito attivare una serie di motivazioni per l’impegno sociopolitico. In particolare si richiede la formazione di un habitus etico-sociale che spinga l’individuo a dare il proprio contributo alla vicenda umana fino a pagare di persona. Il servizio degli altri e del popolo deve essere l’obiettivo da perseguire in vista di un bene comune che assicuri a tutti le condizioni necessarie per realizzare la propria personalità. Un’altra dimensione dell’e.s. è quella creativa e in questo caso si parla di capacità utopica. Con essa non si intende naturalmente un sogno folle, né un comodo pretesto a un alibi per sfuggire a responsabilità immediate, ma ci si riferisce a un’immaginazione prospettica, capace di individuare nel presente potenzialità trascurate e di elaborare un progetto lungimirante di trasformazione della società. Dal punto di vista operativo le capacità da formare sono varie. Si può ricordare anzitutto quella di programmazione, cioè di tradurre nell’oggi le linee direttrici di un progetto. Rientrano in questo ambito le capacità tecniche di creare il consenso su un programma e sulla scelta di alcuni uomini, di utilizzare le strutture politiche per conseguire il potere e realizzare il bene comune, di saper pervenire a un compromesso con forze contrapposte senza irrigidimenti preconcetti e senza cedere sull’irrinunciabile. Vanno richiamati anche il dominio del linguaggio, l’animazione dei gruppi, le capacità decisionali e quelle promozionali. Indubbiamente la​​ metodologia​​ generale da privilegiare consiste nel far partecipare il giovane ad azioni concrete; la partecipazione diretta va, tuttavia, promossa con gradualità. Nella scuola la formazione dovrà essere organizzata intorno a unità globali, dovrà fornire gli strumenti per una discussione critica e aperta delle questioni di attualità e presupporre la presenza di un clima democratico e la partecipazione reale di tutti alla gestione. Nei gruppi sarà consigliabile accentuare l’aspetto dell’esperienza, ricorrendo principalmente a metodiche che si basano sulla prassi piuttosto che sulla elaborazione teoretica e culturale.

Bibliografia

Milanesi G. C. (Ed.),​​ E. e politica,​​ Torino, SEI, 1976; Shaver J. (Ed.),​​ Handbook of research on social studies,​​ teaching and learning,​​ New York, Macmillan, 1991;​​ Birzea C.,​​ L’éducation à la citoyenneté démocratique: un apprentissage tout au long de la vie, Strasbourg, Conseil de la Coopération Culturelle, 2000;​​ Santerini M.,​​ Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Roma, Carocci, 2001;​​ E. alla convivenza civile, in «Annali dell’Istruzione» (2005) 5 / 6, 3-135 (n. monogr.); Chistolini S. (Ed.),​​ Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea, Roma, Armando, 2006.

G. Malizia




EDUCAZIONE SPECIALE

 

EDUCAZIONE SPECIALE

Si può intendere come lettura delle potenzialità e dei bisogni individuali, e come formulazione degli obiettivi per il recupero e l’integrazione di soggetti in situazione di​​ ​​ handicap determinato da disabilità sensoriali, fisiche, intellettive e psichiche. In senso più lato è da riferirsi anche all’approccio pedagogico nei confronti di soggetti in situazione di grave svantaggio socio-culturale.

1.​​ Storicamente​​ l’e.s. nasce come risposta al problema di un recupero dell’handicappato da non intendersi esclusivamente in chiave terapeutica, ma che contempli tutti gli aspetti afferenti la dimensione formativa nel superamento del pessimismo della medicina e nella riaffermazione dell’importanza della relazione tra docente e alunno. Nel XIX sec. sono da considerarsi come pionieri dell’e.s. Itard e Séguin, seguiti all’inizio del XX sec. da​​ ​​ Montessori. Contemporaneamente Pinel ed Esquirol pongono le basi della moderna psichiatria in una concezione del manicomio come casa di cura più che come luogo di segregazione. Sempre all’inizio del XX sec. l’e.s. evolve in un approccio integrato tra psichiatria e pedagogia nell’indirizzo pragmatico dei laboratori inglesi protetti di Clarke, nell’ortopedagogia di​​ ​​ Decroly e Vermeylen e in Italia nelle asserzioni di De Sanctis.

2. L’e.s.​​ contemporanea​​ si colloca nel più vasto contesto di una​​ ​​ pedagogia generale che valorizza le differenze individuali in un percorso formativo in grado di orientare lo sviluppo dell’individuo secondo le potenzialità e le capacità personali. Questa prospettiva trae forza e legittimazione dal personalismo cristiano e dall’approccio ecologico-sistemico. Si riferisce, inoltre, alle riflessioni filosofiche intorno al pensiero debole, all’epistemologia scientifica e alla teoria della complessità. La formazione della persona handicappata poggia sul riconoscimento di un diritto soggettivo inalienabile e pone i suoi punti di forza in una progettualità responsabile, razionale, intenzionale e in una relazione interpersonale dove l’altro, non separato dal sé, determina la dimensione dell’incontro educativo. L’e.s. non viene più circoscritta ad ambiti settoriali, ma si pone in una prospettiva di prevenzione («normalità» da tutelare e rafforzare) e di intervento precoce (patologia da diagnosticare e controllare). Essa risponde ai bisogni di formazione delle «diversità» determinate da fattori biologici e sociali e, su quest’ultimo versante, a diversità nuove e originate dal carattere complesso e contraddittorio della società contemporanea che, soprattutto nella scuola, determinano situazioni di difficoltà, disagio e marginalità.

Bibliografia

Itard J.,​​ Sull’e. di un uomo selvaggio,​​ ovvero sui primi sviluppi fisici e morali sul giovane «sauvage» dell’Aveyron,​​ Parigi, Goujon, 1801; Séguin E.,​​ Théorie et pratique de l’éducation des enfants arriérés et idiots,​​ Paris, Baillière,​​ 1841; Montessori M.,​​ Manuale di pedagogia scientifica,​​ Napoli, Morano, 1921; Decroly O.,​​ Avviamento all’attività intellettuale e motrice mediante i giochi educativi,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1951; Canevaro A. - G. Gaudreau,​​ L’e. degli handicappati,​​ Roma, NIS, 1988; Genovesi G.,​​ Scienza dell’educazione e pedagogia speciale, Roma, Carocci, 2005.

A. Augenti




EDUCAZIONE SPIRITUALE

 

EDUCAZIONE SPIRITUALE

È sempre più comune, soprattutto nel contesto culturale anglosassone, distinguere tra e.s. ed e. religiosa. La prima si riferisce soprattutto alla cura della crescita dei valori spirituali e delle esperienze di interiorità da parte dei soggetti in formazione, mentre la seconda fa riferimento a una tradizione di fede e di pratica religiosa, spesso di natura confessionale.

1. Il contesto sociale, culturale e materiale attuale certamente spinge a un ripensamento profondo del rapporto tra spiritualità e e. La presenza sempre più importante nei percorsi educativi di giovani che hanno riferimenti culturali e religiosi molteplici sollecita una riflessione approfondita sulle finalità e le modalità d’azione nel favorire attribuzioni di senso e di prospettiva esistenziale, sviluppo di valori e motivi di natura spirituale, esperienze di vita interiore e relazionale profonda, apertura all’autenticità personale e alla totalità nella visione della realtà sociale e naturale. In tale contesto emergono segnali di un interesse crescente per la considerazione di una dimensione spirituale dell’e., che pur non essendo direttamente ed esplicitamente religiosa, tuttavia è aperta a un approfondimento religioso. D’altra parte, non sembra possibile uno sviluppo autentico della stessa dimensione religiosa della vita umana senza che esperienze esistenziali radicali sollecitino ad andare oltre la superficialità del quotidiano, la provvisorietà dell’immediato, la materialità del consumo. Non solo, occorre che i percorsi educativi, anche scolastici, siano luogo e tempo d’esperienze etiche, estetiche e veritative autentiche, d’esperienze esistenziali che sollecitano un risveglio dell’interiorità, d’accompagnamento per le vie di un viaggio, di un’avventura spirituale verso il senso ultimo della vita, verso le finalità fondamentali dell’esistenza, verso l’incontro personale profondo con l’Assoluto.

2. Di conseguenza sono sempre più numerosi gli studi sia psicologici, sia pedagogici che fanno riferimento a questa dimensione del processo educativo, anche perché a essa la ricerca di senso e di prospettiva esistenziale è normalmente ricondotta. Baumeister (1991), ad es., dopo aver esaminato i risultati di numerose ricerche, conclude affermando che la ricerca di una vita ricca di senso è fondata su quattro tipologie fondamentali di bisogni. Si tratta di quattro sistemi di motivi che guidano le persone a dare senso alle loro esistenze. Una prima area concerne​​ il bisogno di motivi e valori di riferimento. Il soddisfacimento di questo bisogno origina un senso di benessere o di positività per la propria vita e giustifica gli sviluppi del proprio agire. Un secondo ambito di motivi riguarda​​ il bisogno di prospettiva, in quanto gli eventi presenti acquistano significato in funzione di eventi futuri. A questi due principali bisogni vengono associati altri due bisogni in qualche modo correlati ai primi. Si tratta del​​ bisogno di provare senso di efficacia​​ e quello di​​ autostima​​ o di​​ selfworth. Lo stesso H. Gardner (2003), pur essendo dichiaratamente materialista, ha dovuto ammettere l’esistenza di una intelligenza da lui definita «esistenziale» e che può ricondursi alla dimensione spirituale dell’esistenza umana.

Bibliografia

Baumeister R. F.,​​ Meanings of life, New York, Guilford, 1991; Hay D. - R. Nye,​​ The spirit of the child, London, Harper-Collins, 1998; Miller J. P.,​​ Education and the soul. Toward a spiritual curriculum,​​ New York, State University of New York Press, 2000; Pellerey M.,​​ Spiritualità e e., in «Orientamenti Pedagogici» 49 (2002) 1, 39-54; Gardner H., «Esistono altre intelligenze?​​ Il caso delle intelligenze naturalistica, spirituale ed esistenziale», in R. Vianello - C. Cornoldi (Edd.),​​ Intelligenze multiple in una società multiculturale: Ricerche e proposte di intervento, Bergamo, Junior, 2003, 7-26; Gollnick J.,​​ Religion and spirituality in the life cycle,​​ New York, Peter Lang, 2005; Noddings N.,​​ E. e felicità. Un rapporto possibile,​​ anzi necessario,​​ Trento, Erickson, 2005; Ota C. - C. Erricker (Edd.),​​ Spiritual education.​​ Literary,​​ empirical and pedagogical approaches,​​ Brighton, Sussex Academic Press, 2005.

M. Pellerey




EDUCAZIONE STRADALE

 

EDUCAZIONE STRADALE

Ambito educativo scolastico ed extrascolastico, finalizzato all’acquisizione di comportamenti corretti e responsabili dei cittadini utenti della strada.

1. Il «nuovo codice della strada» (D.L. 30.4.1992) prevede all’art. 230 programmi di e.s. nelle scuole di ogni ordine e grado. La strada e quanto in essa accade sono una viva manifestazione della complessificazione della convivenza sociale contemporanea a forte predominanza urbana ed hanno una rilevante incidenza sulla vita e l’esperienza personale e sulle relazioni interpersonali e sociali. Nelle indicazioni nazionali decretate in applicazione alla L. 53 / 2003, l’e.s. figura tra le sei e. comprese nell’e. alla convivenza civile, intesa non come disciplina autonoma ma come compito di tutta la comunità scolastica.

2. Essa è rivolta all’apprendimento delle indicazioni, norme e comportamenti corretti relativi all’uso e alla sicurezza stradale; alla capacità di autonomia e di senso di responsabilità come utenti della strada; al rispetto e solidarietà civile ed umana. Più in generale l’e.s. coinvolge il globale rapporto con sé, con gli altri, con le istituzioni, con il mondo dei linguaggi, dei simboli, delle norme, dei​​ ​​ valori. In tal senso è da vedere anche come un aspetto dell’e. generale della persona e delle comunità.

Bibliografia

Cecconi V. - L. D’Angelo - V. Pecchia,​​ E.s. per le scuole dell’obbligo, Roma, Laurus Robuffo, 2002; Biondo D.,​​ E.s. e rischio accettabile. Interventi psicoeducativi per la scuola secondaria, Trento, Erickson, 2006.

C. Nanni




EDUCAZIONE TECNICA

 

EDUCAZIONE TECNICA

Per e.t. si intende lo sforzo di coltivare e promuovere una cultura capace sia di valorizzare il​​ ​​ lavoro come esercizio di operatività, sia di far acquisire conoscenze tecniche utili per sviluppare una mentalità più attenta alle problematiche della produttività e all’inserimento delle persone nel mondo del lavoro in modo critico e costruttivo, oltre che in modo professionalmente valido.

1. L’esigenza di una cultura del lavoro si fa sempre più sentire in una società che deve continuamente confrontarsi con l’evoluzione tecnologica, che possiamo dire è immersa nella tecnica. È una constatazione che può creare forti perplessità o grandi entusiasmi, che in ogni caso evidenzia la necessità di educare alla tecnica in particolare le nuove generazioni. L’e.t. è un tentativo di promuovere la conoscenza dello sviluppo tecnologico necessaria per assumere ruoli professionali in linea con il momento storico in cui si è chiamati ad operare. Nel contesto italiano il termine e.t. ha assunto un significato molto legato alla scuola dell’obbligo in quanto è una delle discipline del programma del ciclo triennale, che si prefigge come finalità di contribuire alla comprensione della realtà tecnologica, del mondo tecnico e all’apprendimento di alcune conoscenze specifiche su tale mondo.

2. L’ e.t. non è però solo un problema scolastico. Anche fuori di esso, per inserirsi nel mondo del lavoro con un certo ruolo ben definito, diventa sempre più importante conoscere aspetti di tipo generale legati ai settori tecnologici e a quelli produttivi nel loro insieme. Diventa perciò indispensabile attivare un qualche momento promozionale per acquisire una sensibilizzazione sull’insieme dei metodi e dei mezzi utilizzati in un processo produttivo dove concorrono conoscenze, capacità e strumenti del lavoro umano necessari per alimentare il progresso di un popolo; e dove c’è bisogno di cultura per non sentirsi estranei a un mondo sempre più tecnologico. Per la generazione in crescita una e. sistematica in tale ambito diviene più pressante e impegnativa; in pratica si tratta di una necessità che deve essere in qualche modo soddisfatta attraverso una e.t. che faccia maturare le persone verso la comprensione di questa realtà tecnologica, così come oggi si presenta.

Bibliografia

Famiglietti M.,​​ La ricerca sul pensiero tecnologico come motore della formazione per tutti e per tutta la vita, Palermo, IRRSAE Sicilia, 2000; Famiglietti M. et al.,​​ Tecnologia e informatica dai tre anni all’età adulta, Napoli, Tecnodid, 2004.

N. Zanni




effetto PIGMALIONE

 

PIGMALIONE: effetto

L’effetto P. trova la sua applicazione nell’educazione, particolarmente nell’apprendimento, con una progressiva trasformazione del suo significato. P. è un mitico re di Cipro, il quale, dopo aver scolpito la statua di Venere, se ne innamora. L’idea fondamentale del mito che un intenso rapporto affettivo può modellare una persona è stata elaborata da G. B. Shaw nell’opera teatrale​​ Pygmalion,​​ in cui un professore di letteratura trasforma l’uso non corretto della lingua inglese di una fioraia di origine ungherese in un uso perfetto. Negli anni ’40 Robert Merton ha sostenuto che le aspettative, anche se fondate sulle convinzioni errate, si realizzano ed ha coniato l’espressione «profezia che si autorealizza».

1. Negli anni ’60 del sec. scorso, Rosenthal e Jacobson (1968) ipotizzarono che le aspettative degli insegnanti potrebbero produrre un effetto benefico sullo​​ ​​ sviluppo intellettuale dei loro alunni. Essi idearono un esperimento per dimostrare che è possibile creare negli insegnanti con informazioni errate sui loro alunni delle aspettative positive o negative sulla loro intelligenza, e di conseguenza che essi li avrebbero trattati nel modo corrispondente promovendo o inibendo il loro sviluppo intellettuale. I due autori riportarono varie conferme sperimentali sull’effetto delle aspettative degli insegnanti esattamente come avevano ipotizzato. L’opera ebbe notevole eco e stimolò ulteriori verifiche; tuttavia sollevò anche numerose critiche (Poláček, 1985). In base a tali contributi l’effetto delle aspettative è stato esteso anche ad altre variabili (oltre all’intelligenza) come la motivazione ed è stata operata la distinzione tra le aspettative indotte sperimentalmente e quelle naturali (razza, sesso, livello socioculturale dell’alunno). È stata chiarita inoltre la portata dell’autorealizzazione delle predizioni, una logica conseguenza delle aspettative (predizione positiva o negativa che l’insegnante fa sull’alunno e che questi poi realizza). Una delle conclusioni importanti sulle aspettative riguarda il fatto che esse devono essere fondate sulla realtà; le aspettative superiori alle possibilità dell’alunno hanno un effetto transitorio e non fanno parte del tessuto vitale del soggetto. La fioraia di Shaw lo ha espresso molto bene: «Ho dimenticato la mia lingua di una volta e la nuova che ho appreso è inutilizzabile».

2. L’effetto P. trova applicazione anche in altri settori della vita umana: nella medicina (effetto placebo e operazioni simulate danno sollievo agli ammalati), nella ricerca sociologica (il campione tende a comportarsi secondo le aspettative dello sperimentatore), nel rapporto terapeutico. In questo ultimo caso il terapeuta può trovare molto gratificante il rapporto con il paziente e per prolungarlo può cercare di mantenere il paziente in uno stato di dipendenza e in tal modo ritardare la separazione. A tale scopo ritarda la sua crescita e riduce la sua autonomia. Allo stesso modo può comportarsi un genitore verso il figlio.

3. Dalla pubblicazione dell’opera di Rosenthal e Jacobson (1968) sono passati più di 35 anni e sull’effetto P., sulle aspettative e sulle predizioni che si autorealizzano sono state condotte numerose ricerche. Da esse è possibile trarre, come hanno fatto Jussim e Harber (2005) le seguenti considerazioni di cui alcune operazionali: a) la profezia che si autorealizza avviene realmente nelle classi, ma l’effetto è solo modesto, non aumenta sensibilmente nel tempo e spesso progressivamente diminuisce; b) tale profezia può realizzarsi in modo notevole per soggetti appartenenti a gruppi fortemente etichettati e stigmatizzati socialmente; c) è molto incerto se le aspettative positive contribuiscano allo sviluppo dell’intelligenza e quelle negative lo inibiscano; d) se le aspettative degli insegnanti producono un effetto (positivo o negativo) lo fanno molto di più perché sono fondate sui dati piuttosto che su errate supposizioni. Sarebbe ingenuo, notano Trouilloud e Sarazzin (2003), credere che le aspettative negative possano essere del tutto eliminate in quanto esse fanno parte delle convinzioni irrazionali, presenti in tutte le aree della vita personale e sociale.

Bibliografia

Rosenthal R. - L. Jacobson,​​ Pygmalion in the classroom: Teacher expectation and pupils’ intellectual development, New York, Holt, Rinehart and Winston,​​ 1968; Poláček k.,​​ Le aspettative degli insegnanti e il rendimento scolastico degli alunni,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 32 (1985) 651-666;​​ Trouilloud D. - P. Sarazzin,​​ Les connaissances actuelles sur l’effet Pygmalion: Processus,​​ poids et modulateurs, in «Revue Française de Pédagogie»,​​ 2003, 145, 89-119;​​ Jussim L. - K. D. Harber,​​ Teacher expectations and self-fulfilling prophecies: knowns and unknowns,​​ resolved and unresolved controversies, in «Personality and Social Psychology Review», 2005, 9,​​ 131-155.

K. Poláček




EGOCENTRISMO

 

EGOCENTRISMO

Con il termine e. vengono definite alcune forme di comportamento poste in atto dalla persona in dipendenza di una particolare visione del mondo circostante unicamente dal proprio punto di vista e solo in rapporto a se stessa.

1. L’e. assume forme diverse nelle varie età in relazione allo sviluppo cognitivo della persona. Se ne può individuare una prima, caratteristica del periodo che va dalla nascita ai due anni, della quale il bambino non è consapevole in quanto, a causa dell’età, non ha ancora acquisito la percezione di sé come persona separata dagli altri e conseguentemente il suo modo di esprimersi e di comportarsi rispecchia questo stadio di sviluppo. La seconda forma, tipica del periodo che va dai due ai sei anni circa, si può individuare osservando il particolare uso del​​ ​​ linguaggio che viene fatto dal bambino non per comunicare con gli altri o per informare, ma che rispecchia, invece, la sua incapacità di porsi dal punto di vista dell’altro e che mostra come egli non avverta la necessità di far comprendere il proprio ragionamento agli altri. Nel bambino, inoltre, si individua un tipo di pensiero caratterizzato da grande concretezza ed irreversibilità; il suo modo di ragionare prende in considerazione isolatamente i vari momenti dell’esperienza, disinteressandosi del tutto dell’effetto che le sue comunicazioni possono avere sull’altro, secondo la tipica modalità del pensiero non ancora socializzato. Si può dire che il soggetto è incapace di rendersi conto che il proprio punto di vista è solo uno fra i vari modi di vedere le cose e che ne esistono molti altri. Un terzo tipo di e. è individuabile nel periodo adolescenziale, in cui compare la cosiddetta «onnipotenza del pensiero» che sembra spiegare quella che si ritiene sia la caratteristica di questa età in cui dominano un grande idealismo ed una enorme fiducia nelle proprie possibilità e capacità. In questo periodo il soggetto ha però la possibilità cognitiva di riesaminare le sue posizioni nei riguardi delle idee espresse dagli altri e della realtà, per cui potrebbe, volendo, superare la posizione egocentrica.

2. Infine vi è l’e. dell’​​ ​​ adulto nel quale si possono individuare sia gli aspetti descritti e che si presentano quindi come forme di un precedente tipo di e., non ancora superato, sia forme di rigidità di giudizi, di atteggiamenti e di comportamenti poco flessibili ed aperti alla revisione. Queste modalità sono più difficili da identificare come forme di e. in quanto possono apparire quali aspetti specifici della personalità individuale. In sostanza si può dedurre che l’e. aumenta quando la persona percepisce di non avere a disposizione altre modalità per far fronte alle difficoltà della vita che si presentano in forma per lei nuova, mentre diminuisce quando essa sente di possedere una certa sicurezza personale che le permette di riesaminare i propri punti di vista e le proprie modalità d’essere senza timore di venir sopraffatta dalle situazioni e dalle persone dell’ambiente circostante.

Bibliografia

Elkind D.,​​ Egocentrism in adolescence,​​ in «Child Development» 38 (1967) 1025-1034; Flavell J. H.,​​ La mente.​​ Dalla nascita all’adolescenza nel pensiero di J. Piaget,​​ Roma, Astrolabio, 1971; Aebli H. - L. Montada - U. Schneider,​​ L’e. del bambino,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1976.

W. Visconti




EMANCIPAZIONE

 

EMANCIPAZIONE

Superamento di una condizione di subordinazione e di dipendenza, per una condizione di​​ ​​ libertà da condizionamenti e di​​ ​​ autonomia nel modo di agire e di pensare.

1. Tratto dal mondo giuridico, in cui sta ad indicare l’atto con cui il figlio (o lo schiavo) è sciolto dal potere paterno ed acquista lo stato di​​ ​​ adulto (e di libero), lungo il corso della storia il termine ha assunto una connotazione politico-sociale, come è nelle espressioni e. dell’umanità, e. della borghesia, e. della classe operaia, e. della​​ ​​ donna, ecc.: l’idea di fondo è la liberazione da una condizione di inferiorità giuridica, sociale, civile, umana rispetto all’assetto sociale dominante. In questa linea, dall’età moderna in poi, si è esaltata la funzione emancipativa dell’istruzione e dell’educazione (ma anche il suo potere di subordinazione e di dominazione).

2. Negli anni ’70, soprattutto negli ambienti tedeschi, l’e. è diventata una categoria centrale in sede educativa e pedagogica. Essa è stata considerata sinonimo di liberazione del soggetto dall’ignoranza e da ogni minorità, in vista dell’autonomia personale e di una società libera e comunicativa. Più specificamente l’e. ha dato forza ispirativa a quegli indirizzi pedagogici, di diverso riferimento culturale, che allora furono etichettati globalmente come pedagogia della «nuova sinistra». Essa si muove nella linea dell’alternativa pedagogico-educativa. Si contesta sia l’educazione tradizionale, considerata repressiva e autoritaria, sia la pedagogia accademica, considerata strumento di conservazione e di riproduzione degli assetti e della cultura dominante. La liberazione dai condizionamenti soggettivi è proiettata nel globale processo di liberazione dai condizionamenti strutturali e istituzionali, nella lotta politico-culturale contro le alienazioni del potere. In sede educativa si privilegia una comunicazione anti-autoritaria, una didattica critica, forme di autogestione. Pedagogisti ed educatori sono proposti come «avvocati» dell’educando e come «teorici critici» che stimolano la presa di coscienza e la partecipazione alla comune lotta di e.

3. Per solito, ma non necessariamente, il quadro di riferimento ideologico è vicino ad un​​ ​​ marxismo libertario o alle forme estreme della teoria critica della​​ ​​ Scuola di Francoforte e della loro dialettica «negativa». Queste posizioni pedagogiche riprendono intenzioni liberatrici, illuministiche, solidaristiche, di inserimento dell’e. nei concreti processi storico-culturali, ma appaiono piuttosto limitate per la debolezza e vaghezza dei riferimenti, per il carattere quasi solo contestativo e reattivo al potere dominante e per la subordinazione dell’educazione alla politica.

Bibliografia

Mollenhauer K.,​​ Erziehung und Emanzipation,​​ München, Juventa, 1968; Lempert W.,​​ Leistungsprinzip und Emanzipation,​​ Frankfurt, Suhrkamp, 1975;​​ Brezinka W.,​​ La pedagogia della nuova sinistra,​​ Roma, Armando,​​ 21980; Veca S.,​​ Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull’idea di e., Milano, Feltrinelli, 1990; Vattimo G.,​​ Nichilismo ed e., Milano, Garzanti, 2003.

C. Nanni




EMARGINAZIONE

 

EMARGINAZIONE

Per e. si intende la mancata integrazione nel sistema sociale da parte di soggetti o gruppi che vengono discriminati sulla base della loro diversità. I motivi dell’e. possono essere di ordine etnico, culturale, religioso, economico o comportamentale. L’e. è un processo sociale e relazionale che tende a spingere gli individui al confine della normalità e della legalità (​​ devianza). Dal punto di vista educativo l’e. può produrre condizioni di svantaggio e di fallimento nel​​ ​​ processo educativo specie in relazione all’​​ ​​ insuccesso scolastico.

1. La Scuola di Chicago, animata da Lynd e Lynd, Burgess, Park, McKenzie, Anderson, Zorbaugh, Shaw, ha studiato il meccanismo attraverso cui si attua l’e. nelle aree urbane e lo descrive come «trasmissione culturale» dei valori e dei comportamenti. Dentro gli​​ slums​​ i giovani apprendono atteggiamenti e modalità di comportamento che hanno visto esercitate dagli adulti e imitandoli; scoprono poi di poter trarre un’utilità, anche economica, da tali comportamenti e li trasformano in condotte stabili. Nel​​ ​​ funzionalismo la società è invece descritta come un complesso sistema di relazioni personali o tra gruppi e di ruoli: essa, infatti, si sviluppa storicamente attraverso un processo di differenziazione sociale. Quando la divisione del lavoro sociale aumenta progressivamente, il processo di produzione di funzioni sociali specializzate può risultare più veloce della capacità di creare o riadattare le norme ed i valori che aiutano l’individuo e le collettività a stare insieme. Pertanto sono marginali coloro che cercano di adottare senza successo mete e valori del gruppo di cui vogliono far parte. Particolare accento ai processi razionali e consapevoli dei soggetti viene posto da Cohen (1969) nell’interpretare marginalità e devianza. Esse sono sintomo del conflitto tra classi sociali in quanto prodotte dalla presa di coscienza della disparità nel raggiungere le mete e nelle opportunità di utilizzare mezzi istituzionali. Per questo motivo le classi inferiori si autoemarginano e sono convinte di non farcela a raggiungere le mete proposte da quelle dominanti. Di conseguenza emergono diversi valori di riferimento: quelli borghesi dei giovani della classe superiore o media e quelli alternativi dei giovani appartenenti alla classe lavoratrice.

2. Attualmente con la categoria dell’e. si tende a leggere le presenze deboli nella società – povertà, devianza, immigrazione, condizione degli anziani, ecc. – come fenomeni conseguenti all’articolazione strutturale della società post-industriale e globalizzata. Dall’e. vista come un fenomeno interstiziale relativo alla mancanza di integrazione sociale si è pervenuti alla sua lettura come condizione permanente ed irreversibile per un alto numero di persone nella società post-industriale (Paci, 1978; Ginatempo, 1983). Tale espansione è conseguenza dell’espulsione dai processi produttivi, comunicativi ed integrativi di quote crescenti di popolazione, tagliate fuori dai nuovi modelli di sviluppo. Ciò porta ad un cambiamento di significato dell’e. che, nel suo progressivo diffondersi, diventa meno visibile, più sommersa e contribuisce alla caduta dei processi integrativi di una società priva di centro. Sempre meno persone si sentono inserite nei processi integrativi della società. Non si tratta di devianza, né di esplicita e. dal contesto sociale, quanto di una oggettiva esclusione dai processi considerati rilevanti nell’economia della vita quotidiana, dalle mete di successo proposte dalla cultura contemporanea e dalle garanzie offerte ai soggetti integrati in modo pieno. La strada rimasta per ottenere garanzia ed integrazione per le quote marginali della popolazione è quella di accedere ai benefici ed ai diversi sussidi proposti dalle strutture assistenziali dello​​ ​​ Stato sociale. Questo propone già una contraddizione poiché se il marginale riesce a riscattare la sua condizione e ad uscire dalla deprivazione per volontà di intraprendenza e di iniziativa personale, perde contemporaneamente anche le forme di assistenza che lo aiutavano. Dunque egli è, in qualche modo, costretto a rimanere dentro la sua dimensione marginale poiché ogni mutamento gli propone un aggravio di problemi. Non sembra invece possibile intravedere una nuova utilizzazione della marginalità come esercito di riserva. Infatti, la marginalità, come ha spiegato Milanesi, «viene definita in termini di effettiva esclusione, isolamento, neutralizzazione dei giovani che è l’effetto più o meno intenzionale di obiettiva e. gestito dal sistema sociale nel suo complesso e spesso rafforzato da fenomeni di autoemarginazione posti in atto da aliquote minoritarie dei giovani stessi. I segni dell’e. sono numerosi: il soggiorno artificiosamente prolungato nelle strutture formative, l’esclusione dal lavoro legale, lo sfruttamento nel lavoro illegale, la condanna a funzioni di consumo coatto, la limitazione ed esclusione dalle diverse opportunità di partecipazione protagonista e lo svuotamento ed esclusione dalle forme stesse di partecipazione subalterna» (1985, 11).

3. Altri interpretano l’e. ancora più esplicitamente come conseguenza della mancata realizzazione di quei bisogni ed aspirazioni post-materialistici individuati nello storico studio «La rivoluzione silenziosa» da Inglehart (1983). In questa prospettiva la marginalità non è un semplice status sociale ed economico ma una condizione esistenziale. Inglehart riprende la scala dei​​ ​​ bisogni individuata da​​ ​​ Maslow ed afferma che i bisogni post-materialistici espressi specialmente dai giovani contemporanei sono così marcati da portarli, ove privi di risposte, a vivere una condizione marginale. La dimensione di marginalità è quindi una conseguenza del mancato coinvolgimento esistenziale nelle sfere del sociale che circondano i soggetti. Tutto ciò, non a seguito di qualche particolare problema, né di qualche trauma, né di qualche etichettamento o, comunque, di difficoltà contingenti, ma per mancanza di qualcosa che non è materialmente accessibile perché si colloca nella sfera delle motivazioni, delle aspirazioni e dei desideri. I bisogni post-materialistici sono paradossalmente la mancanza di desideri e di mete.

Bibliografia

Cohen A. K.,​​ Controllo sociale e comportamento deviante,​​ Bologna, Il Mulino, 1969; Ginatempo N.,​​ Marginalità e classi sociali,​​ Milano, Angeli, 1983; Inglehart R.,​​ La rivoluzione silenziosa,​​ Milano, Rizzoli, 1983; Milanesi G. C.,​​ La condizione giovanile tra lotta per l’e. e lotta per l’identità,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 32 (1985) 7-22; Rossini V.,​​ Marginalità al centro: riflessioni pedagogiche e percorsi formativi, Roma, Carocci, 2002; Mozzanica C. M.,​​ Marginalità e devianza,​​ itinerari educativi e percorsi legislativi, Saronno, Monti, 2002; Barone P.,​​ Pedagogia della marginalità e della devianza: modelli teorici e specificità minorile, Milano, Guerini, 2004.

V. Masini - G. Vettorato