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EDUCAZIONE AFFETTIVA

 

EDUCAZIONE AFFETTIVA

La componente affettiva esce dall’intimità vitale profonda, tesa alla conservazione e alla espansione totale. Investe la vita e gli incontri ricavandone stati di gratificazione, piacere, gioia e​​ ​​ felicità o​​ ​​ frustrazione, dolore, dispiacere, sofferenza.

1. L’e.a., che è sempre della persona, promuove maturità e ordine in quella componente e dimensione personale che è l’affettività (​​ e. sessuale,​​ ​​ emozioni,​​ ​​ amore). Essa guida la persona a ottenere la massima disponibilità di carica vitale a tutti i livelli, corporeo, psichico, spirituale, operativo, offrendole condizioni di libertà e stimoli crescenti per sentire bisogni, avere interessi, esprimere desideri, provare emozioni, vivere passioni; ed aiuta l’integrazione della​​ ​​ personalità. In tal senso l’e.a. integra il mondo dell’emotività e dell’apertura all’altro nelle funzioni ordinatrici di percezione, interpretazione, giudizio, valutazione oggettiva e soggettiva, progetto, ecc. Assicura loro validità di espressione, non imbrigliandoli e soffocandoli, ma investendoli produttivamente dentro sistemi di valori, fini e scopi, fino a prospettive etiche e religiose. L’e.a. attraversa le fasi di prima e seconda infanzia, fanciullezza, pubertà, adolescenza, giovinezza, età adulta, anzianità. Privilegia la relazione con se stessi e con le figure parentali, l’amicizia e l’amore in tutte le espressioni. Ne sono luoghi privilegiati i coetanei, la famiglia, la scuola, i gruppi e movimenti, le comunità, lo sviluppo della relazione qualificata maschile-femminile, fino alle dimensioni più larghe della​​ ​​ solidarietà sociale, ideale, religiosa.

2. Sulla dimensione affettiva della personalità e della condotta incidono fattori ereditari, pulsionali profondi, ambientali culturali e modali, esperienziali, favorevoli o conflittuali, conoscenze frutto di riflessione interna o di riferimento assiologico, interpretativo, valutativo e progettuale totale. Da questo punto di vista, l’e.a. è come l’energia delle potenzialità interiori di sviluppo personale, corregge o induce fissazioni e insicurezze, può essere fattore di rieducazione o addirittura di terapia nei casi di evidente deviazione. Sono decisivi la costruzione previa o contemporanea di quadri di interpretazione valida, il possesso convinto di progetti di identità, relazione, appartenenza, partecipazione, l’acquisizione di motivi e criteri di autocontrollo, la possibilità e l’esercizio concreto di espressività affettiva libera e positiva Gli educatori che possiedono​​ ​​ maturità affettiva ne fanno ambiente, stile, stimolo per i soggetti in e., singoli e collettività. Nella situazione attuale dell’esistenza individuale e collettiva tutto ciò non è assolutamente scontato e facile da realizzare.

Bibliografia

Bednarski F. A.,​​ L’e. dell’affettività alla luce della psicologia di S. Tommaso d’Aquino,​​ Milano, Massimo, 1986; Del Re G.,​​ E. sessuale e relazione affettiva,​​ Trento, Erickson, 1994; Ianes D. - H. Demo,​​ Educare all’affettività, Ibid., 2007.

P. Gianola




EDUCAZIONE AI MEDIA

 

EDUCAZIONE AI MEDIA

Per e.a.m. si intende il processo attraverso il quale vengono acquisite, da una parte, competenze per il consumo citico e per la decostruzione dei «testi» mediali e, dall’altra, il processo attraverso il quale vengono acquisite competenze per la creazione di «testi» mediali. L’e.a.m. va perseguita sullo sfondo della comprensione della natura della comunicazione con particolare riferimento ai mass media e alle telecomunicazioni. Un soggetto educato ai meda conosce le caratteristiche strutturali dei media e come esse tendano ad influenzare il contenuto dei media stessi.

1.​​ Cenni storici.​​ L’alfabetizzazione ai media, iniziata negli anni Trenta secondo il paradigma «inoculatorio» o di protezione dai loro effetti, ha seguito, negli anni Sessanta, il paradigma detto «delle arti popolari», volto ad enfatizzarne il potere all’interno della cultura popolare. Negli anni Ottanta si è riscontrata una presa di coscienza circa il potere ideologico dell’immagine, legato alla sua naturalizzazione, con conseguente nascita del paradigma «rappresentazionale» della realtà attraverso il consumo delle immagini. Lo studio sui media quale campo scientifico ha un’origine recente. Dagli anni Novanta, grazie all’analisi investigativa,​​ l’e.a.m.​​ è entrata in una fase di autonomia critica, come delineato da Masterman (1994) che considera l’e.a.m. come una delle poche armi che una società possiede per sfidare il divario di conoscenza e di potere creato dai media stessi. Se negli anni Ottanta la preoccupazione degli educatori era quella di un insegnamento dei media regolamentato, nella scuola primaria e secondaria, la questione oggi si è spostata più sul come operare per trasformare l’esperienza dell’e.a.m. in un processo globale che duri tutta la vita. Inoltre, dalla seconda metà degli anni Novanta è andata sempre più stringendosi l’alleanza fra i media tradizionali – stampa di massa, televisione, radio e cinema – e i nuovi media. Multimedialità e telematica sono sempre più due ambiti concettuali che si intersecano integrandosi. L’urgenza di educare all’uso dei media vecchi e nuovi si rivela più che mai un’urgenza prioritaria dell’e. nella società globalizzata. Varie sono le ottiche dalle quali collocarsi per educare ai media vecchi e nuovi.

2.​​ La​​ media education​​ è una strategia per gestire al meglio l’e. alla cittadinanza nella società dell’informazione. Per formare alla comunicazione è necessario immettersi nel flusso di riflessione e proporre strategie operative riferite ai media intesi come risorsa integrale per l’intervento formativo. La​​ media education​​ non si esplicita solo nella scuola, ma anche nella famiglia e nel​​ non profit​​ nelle sue diverse forme. Il termine​​ media education​​ e la corrente culturale dei​​ media educators​​ o educatori ai media ha origine negli anni Settanta in Australia ed è presente in alcune iniziative dell’UNESCO. Nel 1978 viene fondata in Canada l’Association for Media Literacy​​ che sviluppa, nello stato dell’Ontario, riflessioni teorico-pratiche che confluiscono, nel 1989, nel volume​​ Media literacy, libro-guida per le scuole superiori. Gli anni Ottanta vedono nel britannico Len Masterman il teorico più accreditato. Il testo-base che guida il movimento della​​ media education​​ è​​ Teaching the media​​ del 1985. Masterman, in un contributo del 1994, fa osservare che il punto focale dell’e.a.m. è quello di sviluppare nei bambini sicurezza in se stessi e maturità critica per formulare giudizi motivati sui programmi televisivi e, in seguito, anche su articoli di giornali. Gli educatori di tutto il mondo hanno compreso l’importanza dell’e.a.m. in tal senso, tuttavia la realizzazione concreta di corsi finalizzati a tale scopo è ancora agli inizi nella maggior parte dei Paesi, con l’eccezione forse di Scozia, Canada e Australia. Masterman offre ai​​ media educator​​ un quadro concettuale robusto per l’introduzione della​​ media education​​ nella scuola, fondato sulle convinzioni che: i media nella scuola vanno studiati con sistematicità come ogni altra realtà della cultura; i media non sono la realtà, ma una sua rappresentazione, una costruzione di un’immagine di realtà. Con la conseguenza che il primo compito della​​ media education​​ è quello di «decostruire» tale costruzione artificiale della realtà. Per Masterman, quattro grandi categorie guidano il processo di decostruzione: a) gli elementi strutturali presenti nella comunicazione mediale; b) il linguaggio proprio usato dai media, che va insegnato ed appreso; c) i fattori ideologici ed economici ai quali i media sono strettamente legati, che li rendono capaci di far passare come realtà una costruzione «interessata» della realtà; d) La «negoziazione» che il pubblico opera sui significati trasmessi dai media sulla base delle proprie conoscenze, valori e ideologie. In questo senso il pubblico, soprattutto giovanile, va preparato ad essere fruitore critico dei media. Nel 2006 l’UNESCO e la Commissione Europea danno il via al progetto MENTOR, un programma che riunisce esperti e professionisti della​​ media education​​ del bacino mediterraneo e discute sulla formazione dei formatori mettendo a fuoco strategie nazionali e internazionali per lo sviluppo della​​ media education. MENTOR è diventata un’associazione professionale per lo sviluppo della​​ media education​​ nel mondo. Prezioso è il volume​​ Handbook on Information Literacy​​ pubblicato dal Consiglio d’Europa. In Italia, l’associazione MED (Giannatelli e Rivoltella, 2003) crea uno spazio d’incontro e di progettazione tra Scienze dell’E. e Scienze della Comunicazione.

3. La scelta della​​ media literacy​​ o alfabetizzazione ai media potrebbe essere considerata un punto d’arrivo dopo anni di​​ media education​​ (Felini, 2004). La​​ media literacy​​ è il processo di analisi, valutazione e creazione di messaggi sotto una grande varietà di forme. Utilizza un modello basato sull’inchiesta, attraverso il porsi domande circa ciò che si guarda e si legge. L’e. alla lettura dei media è un mezzo per sviluppare la​​ media literacy. Offre strumenti per aiutare le persone ad analizzare criticamente i messaggi veicolati dai grandi mezzi di comunicazione di massa, a scoprire dove si nasconde la propaganda, a cogliere valori e non valori delle notizie e a capire come le grandi emittenti influenzano le informazioni presentate. La​​ media literacy​​ ha come obiettivo l’abilitazione delle persone ad essere creatrici competenti e produttrici di messaggi di massa. Trasformando il processo del consumo dei media in un processo attivo e critico, i giovani in formazione acquisiscono una maggiore presa di coscienza del potenziale di manipolazione dei media stessi e capiscono il ruolo dei mass media e dei media partecipativi come la Rete, nella costruzione di visioni particolari della realtà. In sintesi, la​​ media literacy​​ è un approccio all’e. del XXI sec. Offre un quadro di riferimento teorico per accedere, analizzare, valutare e creare messaggi in una grande varietà di forme – dalla stampa a Internet. La​​ media literacy​​ costruisce una comprensione del ruolo dei media nella società e offre abilità fondamentali per la critica e per l’espressione di sé, indispensabili per la cittadinanza e per la democrazia.

4. Con il termine​​ Medienpädagogik​​ sono intesi tutti gli ambiti nei quali i media hanno una rilevanza pedagogica in riferimento all’e., all’istruzione, all’aggiornamento e alla formazione continua. La​​ Medienpädagogik​​ comprende tutte le riflessioni e misure di carattere socio-pedagogico, socio-politico, socio-culturale e tutte le proposte per bambini, adolescenti e adulti che fanno riferimento ai loro interessi culturali e alle loro potenzialità di manifestazione, che riguardano le loro personali opportunità di crescita e di sviluppo, come anche le loro possibilità sociali e politiche di espressione e di partecipazione democratica (Hug, 2001). La​​ Medienpädagogik​​ è praticata soprattutto nell’area linguisitico-culturale tedesca.

5.​​ L’educomunicazione​​ è l’insieme delle politiche e delle azioni inerenti alla pianificazione, all’attuazione e alla verifica di processi e prodotti destinati a creare e rinforzare ecosistemi comunicativi negli ambienti educativi «in presenza» o «virtuali». Tra queste azioni si includono preferenzialmente lo studio sistematico dei mezzi di comunicazione (media education) fra le pratiche educative, e allo stesso modo ogni sforzo per migliorare il coefficiente espressivo e comunicativo delle azioni educative, comprese quelle destinate all’utilizzazione dei mezzi d’informazione nel processo di apprendimento (information literacy) (De Oliveira Soares, 2001). In America Latina il concetto di educomunicazione è stato utilizzato dal ricercatore uruguaiano M. Kaplún ed è stato messo in discussione nell’International Congress on Communication and Education​​ dalla ricercatrice francese Geneviève Jacquinot, docente all’Università di Parigi 8. Nel suo intervento la ricercatrice affermava che l’educomunicatore non è soltanto un professore specializzato con l’incarico del corso di e. ai mass media, ma un professore del ventunesimo secolo, capace di integrare i diversi mezzi nella sua pratica pedagogica. L’educommunicazione, in realtà, si caratterizza per la ricerca permanente di risposte concettuali e prammatiche alle complesse questioni presenti nelle condizioni di vita della società contemporanea. Il nuovo campo si trova ancora nella fase di definizione della propria identità, essendo elementi fondamentali il carattere interdiscorsivo e interdisciplinare del suo impianto teorico e il livello multiculturale del suo intervento sociale.

6.​​ Educare ai nuovi media.​​ Rappresentazioni informative e concettuali che non sono più lineari e piane affascinano le giovani menti. Nuove competenze cognitive, abilità mentali inedite, modi diversi di parlare e di scrivere si propagano a macchia d’olio e raggiungono i margini della scuola e delle agenzie formative. Cambiano il modo di concettualizzare e sentire e agire nonostante le agenzie formative e contro le stesse (Moeglin, 2005). Il tema della comunicazione mediata dal computer è racchiuso nell’acronimo scientifico CMC ovvero​​ Computer Mediated Communication. Qui la riflessione sulla formazione alla comunicazione diventa d’obbligo. Le dinamiche comportamentali e le modalità di interazione che emergono dalla CMC aprono finestre sul mondo giovanile e chiedono di conoscere e di essere presenti a fianco di chi trascorre il proprio tempo libero in Rete perché sappia costruire relazioni interpersonali autentiche e gratificanti e sappia sviluppare una costruttiva comunicazione di gruppo.

6.1.​​ Educare all’uso dei videogiochi. Gli studiosi sono unanimi nel riconoscere che si può imparare molto videogiocando. In prima istanza, la manipolazione del mouse, della tastiera e dei diversi sistemi di interazione con il​​ software​​ è propedeutica all’uso del computer​​ tout-court. Competenze quali la rapidità di reazione, l’azione in​​ multi-tasking, la velocità nella raccolta e manipolazione di informazioni, l’esercizio della decisionalità e dell’elaborazione di strategie sono un dato di fatto. Altra straordinaria valenza positiva è il contatto sociale. I ragazzi giocano raramente da soli. La pratica dei videogiochi è un’opportunità di contatto sociale e di interazione con gli altri. Le comunità cosiddette​​ gaming communities​​ o comunità di gioco si stanno moltiplicando sulla Rete perché la più gran parte dei videogiochi è​​ multiplayer. I videogiochi sono un argomento di discussione molto frequente nelle scuole o nei luoghi di aggregazione fuori dalla scuola, con la felice conseguenza di rinforzare le reti di socializzazione. L’uso dei videogiochi forma a un pensiero associativo, reticolare; apre a una visione pluriprospettica e multidimensionale; favorisce l’approccio multi-interdisciplinare ai domini di conoscenza, la riflessione, l’autocontrollo, l’autonomia, l’intenzionalità, la flessibilità cognitiva, il lavoro collaborativo-cooperativo, nonché l’opportunità di sviluppare tutte le dimensioni «meta» del pensiero (Cangià, 2001). In riferimento al contenuto dei videogiochi, esso è spesso formativo come nei giochi che utilizzano tecniche di Intelligenza Artificiale. Con il miglioramento dell’attenzione visiva, delle abilità iconiche e spaziali, con l’affinamento del coordinamento occhio-mano, delle competenze di​​ ​​ problem-solving​​ e dell’interazione sociale, viene velocizzata l’attività dei percorsi neurali. In una tipica sessione di gioco il giocatore raccoglie informazioni sull’ambiente, le analizza e prende decisioni basate sulle proprie analisi, poi agisce cambiando lo​​ status​​ dell’ambiente di gioco e iniziando un nuovo ciclo interattivo (Cangià, 2003). Il videogioco infine, mettendo i giovani a contatto con modelli simulativi, li abitua ad avvicinarsi ai fenomeni secondo un approccio complessivo e sintetico, e, in alcuni casi, stimola all’uso di immaginazione e fantasia; abitua infine alla logica, al rigore e alla serietà. I grandi scenari di gioco sviluppati in ambienti «virtuali», come il MUD e il MOO, sono vere e proprie forme di comunicazione molto ricercate e praticate da ragazzi e adolescenti. All’interno di tali scenari gli utenti vivono avventure ricche di sorprese basate su regole e istruzioni predefinite dagli inventori del gioco, ma soprattutto comunicano.

6.2.​​ Educare all’uso della Rete. La riflessione pedagogico-educativa sulla pratica delle chat si sta svolgendo in parallelo con ricerche sugli aspetti psicologici implicati in detta pratica (Turlow, Lengel e Tomic, 2004). Formare alla comunicazione richiede istruire anche sulle ricadute a livello psicologico, richiede un dialogo aperto e continuo con gli adolescenti circa i «luoghi» virtuali che frequentano, richiede interrogarsi sulla qualità della comunicazione che vi si svolge. La «Rete» è la punta dell’iceberg di una tecnologia già collaborativa, simbolo del nuovo paradigma accettato e diffuso in vari settori della società e delle discipline scientifiche. L’ecosistema della Rete sta evolvendosi verso una configurazione che sta trasformando radicalmente il sapere. La Rete effettiva di macchine, di menti, di cyborg è fatta dai bambini, dai ragazzi e dai giovani che frequentano gli ambienti educativi nei quali operano gli educatori. Per questa ragione l’e.a.m. non può prescindere da una seria e approfondita indagine sugli effetti del consumo della Rete che possono arrivare fino a situazioni di vera e propria dipendenza.

Bibliografia

Masterman L.,​​ Teaching the media education,​​ London, Routledge, 1985; Id., «Media education and its future», in C. J. Hamelink - O. Linné (Edd.),​​ Mass communication research: on problems and policies,​​ Norwood, Ablex Publishing, 1994, 309-322; Id.,​​ A scuola di media: e.,​​ media e democrazia nell’Europa degli anni ’90, Brescia, La Scuola, 1997;​​ Hugh T.,​​ Medienpädagogik, in​​ «Einführung in die Medienwissenschaft Opladen», Berlin, Westdeutscher Verlag,​​ 2001; Soares I. O.,​​ Educomunicación: un concepto y una práctica de red y relaciones, Quito (Ecuador), Redes Gestión y Ciudadania,​​ 2001, 37-52; Cangià C.,​​ Educare alla comunicazione interpersonale,​​ ambientale,​​ mediate di massa e manuale-espressiva, in «Orientamenti Pedagogici» 49 (2002) 405-420; Id.,​​ Videogiochi e insegnamento / apprendimento: una sinergia inesplorata, in «Orientamenti Pedagogici» 50 (2003) 737-755; Gonnet J.,​​ Education aux medias: les controverses fécondes, Paris, Hachette éducation, Centre national de documentation pédagogique,​​ 2003; Giannatelli R. - P. C. Rivoltella (Edd.),​​ Media educator,​​ nuovi scenari dell’e.,​​ nuove professionalità, Roma, DESK, 2003; Felini D.,​​ Pedagogia dei media, Brescia, La Scuola, 2004; Turlow C. - L. Lengel - A. Tomic,​​ Computer mediated communication, London, Sage Publication, 2004;​​ Moeglin P.,​​ Outils et médias éducatifs. Une approche communicationnelle, Grenoble, Presses Universitaires de Grenoble, 2005;​​ Cangià C.,​​ La formazione alla comunicazione, in «Orientamenti Pedagogici» 53 (2006) 21- 35.

C. Cangià




educazione ai SACRAMENTI

 

SACRAMENTI: educazione ai

I s. sono azioni di Cristo e della​​ ​​ Chiesa in cui i credenti scoprono nella fede che Gesù Cristo è presente ed operante in esse per la salvezza dell’umanità. Rivelano globalmente il processo, come paradigma esemplare, che aiuta a riconoscere Dio che accompagna l’uomo sulle strade del mondo.

1.​​ Descrizione.​​ Il​​ Battesimo​​ rivela il momento dell’alleanza che innesta il dono della​​ vita​​ di Dio in ciò che c’è di più prezioso per l’uomo: la sua stessa vita umana. L’innesto provoca la fondamentale trasformazione divina della vita, dall’infanzia alla vecchiaia. La​​ Confermazione​​ ha la radice nella libertà attiva, ed appare come il s. delle scelte personalizzate per un progetto di​​ vita,​​ nel momento in cui ognuno sperimenta il dramma delle decisioni personali: appello tutto particolare alla vita impegnata nella Chiesa. L’Eucaristia​​ fa accostare la​​ vita​​ dell’uomo, individuale e collettiva, il più vicino possibile alla vita di Cristo, perfezionando il bisogno di comunione umana. La​​ Riconciliazione​​ raggiunge la dimensione fondamentale della coscienza umana. Stimolata dalla celebrazione penitenziale, la coscienza viene impegnata nell’intimo della​​ vita​​ di relazione con Dio e con i suoi fratelli. Le crisi del rapporto, gli egoismi lasciano posto all’invincibile speranza di una vita più conforme alle attese di Dio. L’Unzione degli infermi​​ assume la situazione umana particolarmente importante della​​ vita​​ durante la malattia, ed eventualmente dell’età avanzata con la preparazione alla​​ ​​ morte: il conforto e la speranza del dono di Dio penetra nell’intimo stesso della decadenza fisica e prepara il credente per la vita che non finisce. Il​​ Matrimonio​​ celebra il progetto a due della​​ vita​​ d’amore inaugurata dagli sposi che ricevono la missione di svelare le qualità dell’amore di Cristo per l’umanità, intesa come famiglia delle famiglie. L’Ordine sacro​​ trae il suo senso dalla sua funzione di servizio alla​​ vita​​ umana nella sua dimensione sociale ed ecclesiale. I ministri ordinati significano per tutta la Chiesa la sottomissione a Cristo, la fedeltà alla fede apostolica e la comunione delle comunità.

2.​​ Le scelte pedagogiche.​​ Se i s. aggiungono il di più del dono di Dio alla vita già vissuta e celebrata attraverso simboli e riti, l’educatore cristiano predispone un itinerario educativo che porti progressivamente a riscoprire e valorizzare i beni più autentici dell’umanità ed a comprendere il linguaggio dei segni e dei riti. È il compito della​​ ​​ catechesi che cerca di sviluppare i dinamismi più profondi della persona: si indirizza al cuore, là dove sono le radici segrete dell’essere; aguzza la vista per far scoprire un’altra riva, un altro senso delle realtà vissute, perché la verità non finisce dove arriva la vista umana; apre lo spirito all’intelligenza del mistero della vita, appreso come mistero di felicità e di salvezza. La catechesi organizza una: a)​​ pedagogia della fedeltà a quella dimensione della vita​​ in cui si innesta il s.: fedeltà fatta di un’attenzione piena di delicatezza, di capacità di inventare e mettere in atto delle tecniche di servizio per favorire questa crescita vitale: amore, partecipazione, scoperta dell’altro, ricerca ed offerta di senso, perdono; b)​​ pedagogia del risveglio e dell’esplorazione​​ dei valori umani più nascosti per cercare, su una strada piena di mille messaggi, le tracce di una vita più evangelica; per aprire al gusto di Dio presente nei segni, un invito a vivere un’esperienza umana forte; c)​​ pedagogia dell’interiorizzazione attraverso varie attività​​ (inchieste, canti, espressioni gestuali, visione di quadri e pittura...), per favorire la contemplazione e la lode; per imparare ad ascoltare la parola e farla risuonare come un’eco; per dar modo alla parola di purificare, liberare e far vivere; per favorire il desiderio di incontrare Dio col corpo; per investire non solo intelligenza ma anche cuore e sensi; d)​​ pedagogia del desiderio​​ per suscitare l’interesse religioso e far scoprire la gratuità del dono di Dio, per far gustare il «sapore» delle cose di Dio prima ancora del «sapere» le cose di Dio; per aprire alla sorpresa perché la coscienza della lontananza da un bene apre all’alterità di Dio che appare molto più grande dei desideri; e)​​ pedagogia dei segni,​​ perché la salvezza di Dio in definitiva viene all’uomo attraverso simboli e riti (segni) di diversa efficacia salvifica, e così rende familiari i segni della vita che portano alla familiarità umana con i segni del mistero e quindi con i segni sacramentali.

3.​​ Le modalità di iniziazione ai s.​​ La catechesi aiuta a far vivere i s. anche con alcune modalità di​​ ​​ iniziazione: a) una prima modalità porta a far riflettere sul contenuto, sul senso dei s. non indipendentemente dalla celebrazione. Cioè la catechesi di iniziazione ai s. avviene prima durante e dopo la celebrazione, per introdurre ai gesti simbolici e alle diverse parti della celebrazione, servendosi anche di tecniche e strumenti di animazione (pannelli, elementi decorativi, oggetti simbolici); b) una seconda è l’animazione esperienziale​​ ma reale: le iniziazioni-catechesi sono praticabili nella misura in cui i credenti di una comunità possono già vivere da se stessi i s. Qui si tratta di una specie di laboratorio: proporre ad un gruppo di vivere, con una costruzione artificiale, momenti simili ai s. ma vissuti ed evocati da incontri della vita reale (come ad es. il perdono, la condivisione, il superamento delle difficoltà, l’impegno); c) una terza modalità è l’animazione di sintesi:​​ viene vivamente consigliata come animazione dei gruppi che sono stati iniziati ai s., per permettere di fissare nel cuore, nella mente e nell’intelligenza, i processi sacramentali precedentemente percorsi, come sintesi di ciò che si è vissuto. Non in maniera intellettualistica, ma come partecipazione di esperienze, ricordo di un vissuto lontano, visione di diapomontaggi, pannelli e foto, con interviste, memorie sonore, valutazioni. Proprio perché punti di incontro tra i doni di Dio e la realtà umana, i s. non sempre trovano una facile applicazione nella prassi pastorale. Ad es., c’è oggi chi sostiene che non bisogna amministrare il s. del Battesimo ai bambini ignari, che è necessario ritardare la prima confessione all’età della crescita morale dei fanciulli. Giustificazioni teologiche e pedagogiche entrano in conflitto e non sempre si trova una giusta mediazione. In genere la pastorale dell’iniziazione ai s. viene regolata da Vescovi o Conferenze episcopali e dai progetti catechistici locali.

4.​​ Gli elementi costitutivi che favoriscono la celebrazione e la comprensione dei s.,​​ da evidenziare e preparare sono: a)​​ la festa:​​ ogni s. si colloca nel clima di una festa che deve essere tale per la vita. Non per nulla i s. non sono mai dei segni individualistici ma suppongono una «celebrazione»: decoro, oggetti simbolici, stile di invito, canti; b)​​ l’evento da celebrare:​​ il segno sacramentale è sempre in relazione ad un’esperienza di vita che va puntualizzata: il perdono, la vita divina, la responsabilità e la libertà, i ministeri nella Chiesa, la lotta contro il male; c)​​ l’assemblea comunitaria:​​ la celebrazione deve essere fatta da una convocazione assembleare, come occasione privilegiata che unisce gli amici di Gesù e ne celebra la presenza attraverso i riti (segni e gesti); d)​​ la libertà di partecipazione​​ che serve a collocare nella responsabilità delle scelte, a favorire le motivazioni e a coinvolgere nella condivisione e nella realizzazione; e)​​ la preparazione della celebrazione​​ col gruppo che rende possibile una migliore celebrazione del s. ed una più grande intromissione nella dinamica sacramentale, su due versanti: quello della riflessione comune sullo scorrere generale del ritmo sacramentale che permette di vivere i valori della fede; quello più pratico, una specie di cantiere con elementi relativi alla riflessione: pannelli, testi, montaggi, gesti, canti, suoni; f)​​ la partecipazione attiva​​ dei membri del gruppo che dovranno diventare attori e protagonisti del proprio cammino di vita e di fede, da cogliere anche attraverso il richiamo alla riflessione precedente; g)​​ la scelta di parole e gesti​​ significativi perché i valori celebrati non appaiano lontani, complicati, ma siano evocativi di situazioni reali, e gesti e segni posti dai partecipanti, che parlino da se stessi senza la mediazione di troppe parole.

Bibliografia

Chauvet L. M.,​​ Linguaggio e simbolo. Saggio sui s.,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1982; Mosso D.,​​ Vivere i s.,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1992; Gerardi R.,​​ I s. della fede cristiana,​​ Roma, Istituto di Teologia a distanza, 1995; Gelineau J.,​​ Le assemblee liturgiche,​​ che cosa sono,​​ come devono essere, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2000; Ucn,​​ Incontro ai catechismi. Itinerario per la vita cristiana, Città del Vaticano, LEV, 2000; Morante G.,​​ Preadolescenti,​​ adolescenti e confermazione, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002; Canova M. - F. Rampazzi,​​ Cantare la liturgia,​​ vol. 2.​​ L’anno liturgico. La celebrazione dei s., Padova, Messaggero, 2003; Caspani P. - P. Sartor,​​ L’iniziazione cristiana oggi. Linee teologiche e proposte pastorali, Milano, Centro Ambrosiano, 2005; Fontana A.,​​ Il mondo è cambiato: cambiamo la pastorale, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2006.

G. Morante




educazione al SENSO CRITICO

 

SENSO CRITICO: educazione al​​ 

Educazione al s.c.: istanza formativa che valorizza il potenziamento dell’intelligenza per l’acquisizione di autonomia di pensiero e di azione. Il​​ focus​​ educativo è riferito alla promozione di capacità di pensare in maniera rigorosa, razionalmente fondata. Si attribuisce all’esercizio critico un ruolo essenziale nella vita dei singoli e della società in quanto favorisce scelte rispettose dell’uomo e dell’ambiente, aiuta a far fronte al flusso crescente di informazioni, supporta le scelte personali in situazioni complesse, esistenziali e professionali.​​ 

1.​​ Costrutto.​​ È​​ pensiero di secondo livello, che si esercita su​​ processi​​ cognitivi di base (ad es. i processi induttivi e deduttivi) ed interviene nelle strategie di pensiero complesse, costituite da sequenze di operazioni (ad es. processi di​​ ​​ problem solving), di cui favorisce il coordinamento. È implicato anche nella valutazione di​​ prodotti​​ dell’apprendimento, quali enunciati, azioni, artefatti. Si esplica come​​ valutazione​​ fondata su​​ criteri​​ (di correttezza, efficacia, coerenza, etici, estetici...),​​ dati​​ o​​ indotti, a carattere​​ logico-formale​​ o​​ riferiti al reale​​ (esperito direttamente o in forma mediata dai saperi scientifico-disciplinari). L’esercizio valutativo (capacità critica), per divenire atteggiamento consolidato (s.c.) (Siegel, 1988), richiede disposizioni di ordine affettivo-motivazionale, quali il riconoscimento delle emozioni implicate nei processi di pensiero, la «perseveranza ed il coraggio intellettuale», ecc. (Paul, 1989), ed attitudini, come l’«apertura di spirito», la disponibilità a modificare le proprie posizioni, ecc. (Ennis, 1987).​​ 

2. S.c. e insegnamento.​​ L’educazione al s.c. è riconosciuta quale compito della scuola, che può intervenire secondo due fondamentali modalità. Gli​​ approcci di tipo diretto​​ propongono​​ training​​ a partire da materiali relativamente neutri rispetto ai contenuti d’insegnamento; gli​​ approcci per impregnazione​​ si avvalgono dei contenuti disciplinari. In generale, le strategie didattiche raccomandate valorizzano il confronto​​ inter​​ ed​​ intra​​ soggettivo, l’impiego di forme di rappresentazione logico-iconica della conoscenza (mappe concettuali e schemi), una gestione della comunicazione formativa improntata alla reciprocità dialogica (cfr. anche​​ ​​ critica, pensiero critico).

Bibliografia

Guilford J. P.,​​ The nature of human intelligence, London, McGraw-Hill, 1967; Calonghi L.,​​ La capacità critica. Diagnosi e sviluppo, Roma, CRISP, 1979; Ennis R. H., «A Taxonomy of critical thinking dispositions and abilities», in J. B. Baron. - R. J. Sternberg (Edd.),​​ Teaching thinking skills: theory and practice, New York, W.H. Freeman, 1987, 9-25; Siegel H.,​​ Educating reason:​​ rationality,​​ critical thinking,​​ and education, New York, Routledge, 1988; Paul R.W. et al.,​​ Critical thinking handbook: High school. A Guide for redesigning instruction,​​ Rohnert Park (CA), Center for Critical Thinking and Moral Critique, Sonoma State University, 1989.

D. Maccario




educazione all’AMORE

 

AMORE: educazione all’

Nel linguaggio comune per a. si intende il sentimento o l’attrazione che una persona nutre nei confronti di un’altra, implicante una scelta, per una reciprocità di relazione e di piena e intima unione interpersonale; ma in senso più largo con a. si intende anche qualsiasi sentimento positivo, apprezzamento, attrazione, desiderio per un oggetto, altri esseri, un ideale, una causa per cui ci si dedica e ci si sacrifica e che appaga il proprio desiderio e realizza le aspirazioni personali o di gruppo.

1. Tradizionalmente si distingue nell’a. l’aspetto impulsivo (éros)​​ da quello di​​ ​​ amicizia e benevolenza (filía),​​ da quello di vicinanza interiore (affetto)​​ e da quello di oblatività gratuita e sovrabbondante (agape),​​ tipico, secondo il cristianesimo, dell’a. di Dio. Nella classicità si indicava con termine apposito (=​​ stergo), l’amore dei genitori verso i figli, la loro amorevole cura verso la prole. Dal punto di vista etico-religioso, dopo s.​​ ​​ Agostino si è preso a distinguere la​​ cupiditas​​ (o​​ amor sui​​ = a. di sé fino al «disprezzo» degli altri e di Dio) dalla​​ caritas​​ (o​​ amor Dei​​ = a. di Dio fino al «disprezzo» di sé per donarsi agli altri ed a Dio). Più di recente si è distinto l’«innamoramento», a. «allo stato nascente», che porta a fonderci con la persona amata, dall’a. vero e proprio, che porta a creare una comunità di vita nella stima e fiducia interpersonale globale e perenne. Il vissuto quotidiano mette in luce la complessità e le difficoltà dell’a.: le infatuazioni estetiche o erotiche, le «cotte», gli amori «platonici», le difficoltà di relazionarsi, le paure di perdersi e di essere abbandonati, la ricerca spasmodica del piacere, l’adorazione divistica; fors’anche in relazione a certe tendenze presenti nella cultura contemporanea che portano ad esaltare un certo soggettivismo, individualismo, materialismo, utilitarismo, presentismo a scapito del senso del noi, dello spirituale, del gratuito e della fedeltà.

2. Anche se l’a. si mostra come una dimensione radicale dell’esistenza umana, chiede una graduale maturazione. In tal senso si impara ad amare anzitutto grazie al calore dell’a. ricevuto dagli altri fin dalla più tenera età e per cui è fondamentale il senso di fiducia «originaria» suscitata dalle relazioni interpersonali materne, parentali, familiari e sociali. Un’educazione all’a. consiste essenzialmente nell’aiutare e stimolare le persone a passare gradualmente da un a. infantile immaturo, autocentrato, possessivo ad un a. più personalizzato, interpersonale, solidale, aperto alla trascendenza, capace di a. verso se stessi (capacità di interiorità), di a. alle cose (capacità di operatività e di realismo), di a. agli / per gli altri (capacità di impegno e di solidarietà, di dedizione e di reciprocità), di a. di «Dio» (capacità di dedizione ad una causa ideale e apertura ad una comunione universale e ad una «religione» personale, individuale e comunitaria). Nei confronti di una mancata od errata educazione all’a. o di eventuali carenze, distorsioni, patologie, si richiedono interventi terapeutici, impegno di autoformazione permanente personale, di coppia, familiare, comunitaria. In particolare l’educazione all’a. si rapporta con l’educazione alla sessualità e alla relazionalità amorosa tra uomo e donna; con l’educazione alla scelta del partner e del coniuge, compagno / a di vita: nella prospettiva del «senza fine» e nella speranza della «pienezza della comunione», che sembrano intrinseche all’a. In tutto ciò è notevole il contributo delle scienze umane, della​​ ​​ psicoanalisi e della terapia, ma anche della critica culturale.

Bibliografia

Nygren A.,​​ Eros e agàpe,​​ Bologna, Il Mulino, 1960; Fromm E.,​​ L’arte d’amare,​​ Milano, Il Saggiatore, 1977; Alberoni F.,​​ Innamoramento e a.,​​ Milano, Garzanti, 1979; Lewis C. S.,​​ I​​ quattro a. Affetto,​​ amicizia,​​ eros,​​ carità,​​ Milano, Jaca Book, 1982; Bauman Z.,​​ A. liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma / Bari, Laterza, 2006; D’Aquanno M.,​​ Una didattica avanzata per una pedagogia dell’a., Milano, Angeli, 2007.

C. Nanni




educazione alla LIBERTÀ

 

LIBERTÀ: educazione alla

L’identità della​​ ​​ persona consiste nella coscienza della l. come capacità interiore di realizzarsi secondo un progetto personale. Tale progetto deve «condurre fuori» ciò che è dentro la persona. Ma non è possibile «condurre fuori» qualcosa se non proponendo un modello di ciò che la persona può e deve essere. Tale processo coinvolge il soggetto attivamente anche nella dimensione cognitiva, che avvia una ricerca caratterizzata da una ragione morale.

1. Nella sua vita, la persona si realizza come sintesi instabile di​​ ​​ valori corporei (legati al contesto) e spirituali (trascendenti), in una continua ricerca di equilibrio. La «corporeità» fa prendere coscienza che l’io, che è situato nel contingente, è costretto a fare i conti con il suo spazio-tempo. La «spiritualità» fa comprendere che si può oltrepassare la situazione contingente, sia perché si hanno radici nel passato e si è proiettati verso un futuro, sia perché si possono esprimere valori che hanno un rapporto con il trascendente. In tale processo la l. non può essere intesa in senso assoluto, ma in relazione ad una situazione, ad una convivenza che la esprime; né può essere goduta come bene acquisito una volta per sempre. Si tratta di una conquista graduale e progressiva che suppone un itinerario educativo.

2. Come conquista, la l. non è mai definitiva, ma si attua superando gradualmente i limiti. I mali vanno evitati in quanto mali, come aspetti che riducono, limitano, o arrestano l’umanità dell’individuo: ma possono essere recuperati per quel nucleo che in essi v’è di realtà dotata di significato e di valore. Perciò la conquista delle l. comporta un lungo cammino individuale e collettivo (​​ liberazione, educazione liberatrice), che implica il passaggio da orizzonti limitati a più ampi traguardi che non solo fondano in maniera più radicale e universale quella norma che regola la l. individuale, ma corrispondono alla conquista di un più elevato grado di l. Educare, in tale prospettiva, vuol dire abilitare alle scelte per il proprio progetto di vita, per diventare persona «adulta». Ciò richiede attenzione all’educando, alla sua esperienza umana, alle sue capacità intellettuali, emotive, psicologiche; attenzione all’educatore, che deve lasciarsi coinvolgere e che deve anticipare un senso alle scelte del soggetto, mettendosi in gioco; attenzione agli insegnamenti, ai contenuti della condotta morale, ai giusti comportamenti; ma soprattutto attenzione alle motivazioni, alle intenzioni, agli atteggiamenti interiori, alla virtù. Importanza particolare assume la vita concreta ed il ruolo della famiglia (i genitori), ma anche il valore dell’aiuto che viene dalla scuola, dagli amici, dalla comunità religiosa di appartenenza: insegnare il bene è farlo emergere, con autonomia, razionalità ed altruismo.

3. In questo orizzonte di senso si pone il problema dell’educazione alla l.: mirare cioè alla maturazione della persona, perché si è liberi quando si è autenticamente se stessi, sviluppando quei valori umani su cui si è fondati per realizzare in sé l’uomo o la donna, attraverso un’autodisciplina che è coscienza critica e dominio personale nelle scelte che permettono di «essere di più», di dare qualità umana alla propria esistenza, di acquisire abitudini di l. Infatti questa educazione non si identifica con un insegnamento rivolto a sviluppare tecniche per l’autonomia e la decisione personale, che pure sono indispensabili, ma deve mirare all’espressione della l. come acquisizione di valori più «autenticamente e pienamente umani», vissuti nella tonalità che caratterizza l’individualità di ognuno. L’educazione alla l. perciò significa educare all’umanità piena, perché ogni educazione è autentica se è promozione di umanità nella sua integralità e unitarietà personale. Siccome la persona è irripetibile, educare alla l. significa permettere che ognuno diventi cosciente delle proprie condizioni interiori ed esteriori, in vista della riuscita di una propria esperienza di uomo / donna. Ne consegue che non si può educare alla l. con metodi coercitivi, ma stimolare, persuadere, convincere ad essere liberi. Educare alla l. sottolinea più il concetto positivo di l. (libertas specificationis =​​ fare questo o quello) che il suo negativo (libertas exercitii​​ = fare o non fare). Il momento negativo è importante per superare il determinismo e il fatalismo, ma da solo non promuove la l. Perciò nel contesto culturale segnato dall’individualismo, dall’utilitarismo, dall’efficientismo e dal presentismo, l’educazione alla l. deve essere caratterizzata da un aiuto a crescere nella responsabilità, nella solidarietà, nella ricerca condivisa del bene comune, nell’impegno di partecipazione «civile» per la promozione e la tutela dei​​ ​​ diritti umani​​ di tutti e di uno sviluppo «dal volto umano» per tutti i popoli e per le generazioni venture. Educare ai diritti umani vuol dire non limitarsi a trasmettere una serie di pur utili nozioni, ma richiede un processo lungo con una strategia preventiva efficace di difesa della dignità di ogni individuo.

4. Allora l’educazione alla l. richiede istruzione, dialogo, senso critico, realismo, motivazione, discussione. Ma anche capacità creativa e senso dell’utopia (cioè il gusto per gli ideali che si vogliono realizzare, anche se in modo limitato). Occorre perciò esercizio, esperienza, tirocinio guidato, accompagnamento; occorre «far pratica» di l. nel concreto della vita comune del proprio tempo, delle istituzioni, delle forze qui e ora disponibili. Sarà necessario aiutare a trovare la «discrepanza ottimale» tra ideale e reale, ad essere coraggiosi e prudenti allo stesso tempo, a «toccar con mano» possibilità e limiti personali e sociali. E saranno pure necessarie opportune e scadenzate forme di valutazione, di verifica e di supervisione interpersonale e (o anche) comunitaria.

Bibliografia

Bausola A.,​​ L. e responsabilità,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1980; Serio G.,​​ Educazione e l. nell’era tecnologica,​​ Napoli, Tecnodid, 1988; Poupard P.,​​ Dio e la l.: una proposta per la cultura moderna,​​ Roma, Città Nuova, 1991; Laporta R.,​​ L’assoluto pedagogico. Saggio sulla l. in educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1996; Montessori M.,​​ Educazione alla l., Bari / Roma, Laterza, 1999; Balducci E.,​​ Educazione e l., Casale Monferrato (AL), Piemme, 2000; Bernardi M.,​​ Educazione e l., Milano, Fabbri, 2002; Rey O.,​​ Une folle solitude. Le fantasme de l’homme auto-construit, Paris, Seuil, 2006.

G. Morante




educazione alla MONDIALITÀ

 

MONDIALITÀ: educazione alla

Pluriverso, ecumene globale, società delle reti, età del meticciato, ecc., sono appena alcune delle espressioni che vengono utilizzate per caratterizzare il mondo d’oggi. Ma dentro ognuno di noi – ha osservato l’intellettuale francese J. Daniel – c’è ancora una contraddizione tra sedentarietà e nomadismo, tra nostalgia del particolare e spinta verso l’universale, tra il desiderio di ancorarsi a un’identità e la solidarietà che ci imponiamo nei confronti degli altri. Tuttavia, per la prima volta, il proposito di Terenzio, che​​ ​​ Montaigne ha reso celebre, «niente di ciò che è umano mi è estraneo», ha cessato di essere una morale ed è divenuto un obbligo: ognuno è diventato il vicino dell’uomo più lontano di questa terra. Il sentimento della distanza sta per scomparire. Sta per nascere in sua vece il «sentimento» dell’interdipendenza.

1. L’educazione alla m. è dunque diventata una necessità, un imperativo pedagogico. L’uomo di oggi, infatti, è in ritardo con se stesso. La storia sta camminando più velocemente della coscienza (E. Balducci). C’è una sfasatura tra la società – che è di fatto planetaria – e la coscienza umana che è ancora pre-planetaria. In termini di consapevolezza, scrive E. Morin, stiamo ancora all’età del ferro dell’epoca planetaria. Abitiamo sull’arancia blu (così è apparsa la Terra nel 1957 all’uomo che la guardava per la prima volta dall’oblò di una capsula in orbita), ma dentro di noi c’è ancora una coscienza dello «spicchio». L’interdipendenza planetaria è ben lontana dall’essere vissuta come categoria etica e ancora meno dal diventare una nuova concezione della​​ governance​​ e della sovranità in politica. Il vecchio principio di indipendenza e di sovranità nazionale non basta più. Non è possibile infatti affrontare problemi globali come l’ecologia, le migrazioni, la guerra, la fame, l’aids... con politiche locali o nazionali. A ragione, Giovanni Paolo II ha affermato (2004): «occorre un grado superiore di ordinamento internazionale». Si comprende così la ragione per cui il politologo statunitense Banjamin Barber abbia proposto di celebrare ogni anno la Giornata mondiale dell’Interdipendenza. E di farlo il 12 settembre, il primo giorno dopo l’11, perché esso non si ripeta mai più. A questa iniziativa simbolica, ma fortemente significativa, hanno già aderito numerosi organizzazioni e movimenti della società civile globale.

2. Alla luce di tutto questo, il ritorno parallelo dei localismi e dei fondamentalismi è tutt’altro che assurdo e appare come il tentativo (inadeguato, certamente, ma non irrazionale) di rimettere al centro se stessi, di ripartire dalla propria terra, dal proprio gruppo etnico, culturale, religioso rifiutando quel senso di parzialità e di relatività che la nuova situazione storica di globalità e di meticciamento impone di accettare. L’educazione alla m. si colloca precisamente in questo contesto storico così complesso e conflittuale che coinvolge tutti, a Nord e a Sud del pianeta. L’Unesco, il Consiglio d’Europa, il Parlamento Europeo, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione hanno approvato, negli ultimi anni, numerose dichiarazioni che sollecitano le agenzie educative a muoversi nella direzione della m. e dell’interculturalità anche per ridurre e per prevenire i fenomeni di razzismo, intolleranza, xenofobia e discriminazione. Non v’è dubbio, infatti, che l’educazione alla m. interessi tutte le discipline scolastiche e l’universo della comunicazione sociale, ma un ruolo particolare spetta all’educazione civica. Pensiamo soltanto al tema dei diritti umani e della cittadinanza (nazionale, europea, mondiale), oppure a quello delle istituzioni democratiche (politiche, economiche, sociali) a livello internazionale. Un grande contributo alla costruzione di una società più giusta e conviviale può venire dalle religioni e dallo sforzo congiunto di riconoscere i principi universali di una comune etica mondiale (H. Küng).

3. Educare alla m. non significa in nessun caso «reductio ad​​ unum» delle diversità, omologazione e uniformità, ma indica la «convivialità delle differenze» e quindi la valorizzazione dell’alterità come risorsa e perfino come diritto ad essere «altro». La vera ricchezza di cui il mondo dispone è infatti la diversità delle culture, delle religioni, dei tanti punti di vista che sono destinati a convivere in uno spazio comune e plurale. L’unità della famiglia umana esige infatti cittadinanza «glocale», oltrepassamento di ogni etnocentrismo, etica del genere umano, disponibilità a costruire, insieme agli altri, la civiltà del con-vivere, affrontando positivamente le sfide incalzanti dell’identità, della laicità e dell’etica pubblica.

Bibliografia

Nanni A.,​​ Progetto m.,​​ Bologna, EMI, 1985; Balducci E.,​​ L’uomo planetario,​​ Fiesole, ECP, 1990; Morin E.,​​ Terra. Patria,​​ Milano, Cortina, 1994; Mancini R. et al.,​​ Etiche della m. La nascita di una coscienza planetaria, Assisi, Cittadella, 1996; Tomlison J.,​​ Sentirsi a casa nel mondo,​​ Milano, Feltrinelli, 2001; Küng H.,​​ Etica mondiale per la politica e l’economia,​​ Brescia, Queriniana, 2002; Ceruti M. - G. Bocchi,​​ Educazione e globalizzazione,​​ Milano, Cortina, 2004; Nanni A.,​​ Profeti di m. Il movimento CEM nella scuola italiana,​​ Bologna, EMI, 2007.

A. Nanni




EDUCAZIONE ALLA PACE

 

PACE: EDUCAZIONE ALLA

La p. è un concetto complesso che richiederebbe, per essere esplorato, riferimenti a culture diverse e ad autori di ogni tempo. Basterebbe soltanto evocare il concetto greco di​​ eirene,​​ quello​​ di pax romana,​​ quello ebraico di​​ shalom,​​ quello evangelico-cristiano ma anche di altre culture e religioni. In generale la p., quando non è «dono» divino, è pensata come una condizione di armonia che è per lo più il risultato del superamento di un conflitto.

1. Quando in Italia si usa l’espressione «educazione alla p.» ci si collega, esplicitamente o no, ad una tradizione pedagogica che si è incarnata in figure come​​ ​​ Montessori, Capitini,​​ ​​ Milani ed altri. Ma è a partire dalla metà degli anni ’70 del sec. scorso che si è fatta strada una vera e propria pedagogia nonviolenta. Il fenomeno si accompagna da una parte alla crescita del «movimento della p.» e dall’altra alle pressioni degli organismi internazionali. In Italia, al contrario di altri Paesi (ad es. gli Stati Uniti e la Svezia), mancano corsi di studi istituzionalizzati a livello universitario: non ci sono corsi di laurea o di specializzazione e neanche insegnamenti specifici nell’ambito della​​ Peace research.​​ Una delle finalità principali dell’educazione alla p. è la formazione di un uomo «nonviolento», che abbia cioè fiducia in sé e negli altri; che sappia intervenire in modo creativo e personale nella realtà che lo circonda per modificarla nel senso dell’umano; che si impegni a risolvere attivamente i conflitti senza violenze e prevaricazioni ma facendo leva sulle risorse costruttive già presenti e sviluppandone altre; che sappia operare nel quotidiano con collegamenti più ampi nella dimensione mondiale, che sia sempre alla ricerca della verità senza darla per scontata o rivendicandone l’esclusivo possesso. Per insopprimibile dimensione etico-politica, l’educazione alla p. è sempre, al contempo, educazione al cambiamento e alla giustizia, alla solidarietà e alla convivialità planetaria delle culture e dei popoli. Essa ripropone dunque con forza la​​ politicità​​ del fatto educativo, la coerenza tra mezzi e fini, facendo scoprire la connessione tra modelli sociali e modelli educativi e fra educazione e politica.

2. I percorsi di educazione alla p., se letti in riferimento agli obiettivi appaiono caratterizzati da uno «spostamento» dall’asse cognitivo all’asse relazionale. In breve, la p. non appare come un insieme di «conoscenze», ma come una «relazione» diversa con l’altro. Relativamente ai​​ contenuti,​​ gli itinerari di educazione alla p. presentano una seconda caratteristica ben marcata: non sono centrati su «temi», ma su «problemi» e, in particolare, su «conflitti». Nella nostra società multiculturale l’educazione alla p. è chiamata ad affrontare nuove forme di conflittualità come quelle legate allo scontro di civiltà e alle guerre dei simboli. Sono tanti gli esempi che confermano che viviamo già da tempo in una società «iconoclasta», dove si lotta per i segni, le immagini, le icone, i simboli culturali e religiosi. È per questo che se si vuole ridurre tale conflittualità è necessario preparare la convivenza dei simboli. Particolarmente importante appare oggi il dialogo con l’Islam e l’attenzione ad evitare quegli stereotipi che lo associano con il terrorismo. Non vi è dubbio, tuttavia, che oltre a fare i conti con l’attuale contesto multiculturale e multireligioso, l’educazione alla p. deve partire dal presupposto che la cultura della guerra e della violenza è dentro il linguaggio e dentro l’immaginario per cui bisogna decolonizzare l’immaginario e disarmare la cultura (R. Panikkar). Solo così si potrà avere un pensiero nuovo e purificato dal pregiudizio che vede nella violenza e nello scontro la soluzione dei conflitti e delle ingiustizie.

3. La diffusione di percorsi di educazione alla p. nella scuola e nella società ha contribuito a «decostruire» e modificare alcuni diffusi pregiudizi sui temi della guerra, della razza, della violenza strutturale, della p. positiva e negativa, dell’aggressività, del conflitto, della competitività, del nemico. Dal punto di vista della didattica, ha richiamato l’attenzione sull’importanza delle relazioni interpersonali, degli stili comunicativi, dell’organizzazione degli spazi, dei linguaggi multimediali e delle tecniche metodologiche.

Bibliografia

Corradini L.,​​ Vivere senza guerra. La p. nella ricerca universitaria,​​ Milano, Guerini e Associati, 1989; Farné R.,​​ La scuola di Irene,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1990; Mascia M. (Ed.),​​ Per una pedagogia della p.,​​ Fiesole, Cultura della P., 1994; Satha-Amand C.,​​ Islam e nonviolenza, Torino, Ega, 1997; Margalit A.,​​ La società decente, Milano, Guerini e Associati, 1998; Galtung J.,​​ La trasformazione non violenta dei conflitti, Ibid., 2000; Panikkar R.,​​ P. e disarmo culturale, Milano, Rizzoli, 2003; Morelli U.,​​ Conflitto, Roma, Meltemi, 2006.

A. Nanni




educazione alla PREGHIERA

 

PREGHIERA: educazione alla

Le numerose definizioni di p.​​ rispecchiano altrettante forme con cui la persona si rapporta con il soprannaturale; anche in ambito cristiano la p.​​ assume connotazioni diverse secondo l’atteggiamento spirituale del fedele, le sue motivazioni, il rapporto tra p. e vita, la relazione che intercorre tra p.​​ personale e p.​​ comunitaria.

1.​​ Un quadro di riferimento.​​ Il cammino di educazione alla p. va visto in un contesto che tenga presenti le tappe che iniziano con il fanciullo e l’adolescente, per continuare poi con i giovani, gli adulti, gli anziani. Ciò richiede un atteggiamento di​​ progettuale continuità​​ della proposta educativa. La continuità ha senso quando si pone all’interno di un​​ quadro di riferimento​​ cui converge e da cui prende senso lo specifico cammino educativo: la evangelizzazione e la liturgia. La prima è la base per le iniziali esperienze di p. (lode, ringraziamento, benedizione, supplica). La seconda è un’esperienza più raffinata e impegnativa di p.​​ cristiana, in quanto il sacramento, l’anno liturgico, la liturgia delle Ore e la pietà popolare costituiscono ambiti privilegiati di p.,​​ che realizzano un contatto più o meno profondo con il Dio dell’alleanza.

2.​​ La p. cristiana.​​ È​​ ascolto​​ di Dio che parla;​​ contemplazione​​ dei segni della sua presenza nei fratelli e nelle più diverse realtà;​​ dialogo​​ con Chi per primo si è già mosso per venire incontro;​​ progressiva comunione​​ con il Tutt’Altro che già è presente nell’intimo di ogni persona. Alla precisazione dell’essenza della p. cristiana si accompagnano cinque interrogativi:​​ Chi​​ prega? Il fedele che ha realizzato un minimo di conoscenza del Dio di Gesù Cristo.​​ Come​​ pregare? Le modalità sono diversificate; la storia arricchisce l’oggi con una pluralità di forme che rispondono all’ampia gamma di attese spirituali del singolo.​​ Dove​​ pregare? I luoghi più adatti possono essere in rapporto con situazioni personali o con occasioni comunitarie e ufficiali.​​ Quando​​ pregare? La p.​​ cristiana ufficiale ha ritmi orari, ma il fedele prega sempre quando fa delle scelte ordinarie della propria vita una risposta sincera e totale al Dio dell’alleanza.​​ Perché​​ pregare? La comprensione delle dimensioni della p. cristiana (ascolto, contemplazione, dialogo, comunione) offre la risposta più convincente: nella p. il cristiano​​ accoglie​​ la voce di Dio,​​ trasfigura​​ le realtà quotidiane dando loro il più genuino significato,​​ intesse​​ un rapporto con Dio e con le realtà create contribuendo a realizzare quella​​ comunione​​ che la storia della salvezza esprime e declina attorno alla categoria dell’alleanza.

3.​​ Alcuni punti fermi.​​ Nell’ambito cristiano​​ il culmine e​​ insieme​​ la fonte della p. è l’Eucaristia,​​ perché lì la proposta divina e la risposta umana trovano il loro punto d’incontro. Non per nulla la p. eucaristica, che racchiude tutti i temi della​​ p.​​ cristiana, è chiamata da sempre la p.​​ per eccellenza. In secondo luogo,​​ il nutrimento della p.​​ è dato principalmente dalla Parola divina sia per l’esperienza esemplare che essa offre, sia perché aiuta a leggere le situazioni della vita riportandole nella prospettiva del progetto originario dato da Dio ed espresso nelle condizioni dell’alleanza. In terzo luogo, va evidenziato​​ il ruolo del silenzio​​ come condizione di incontro, spazio di ascolto, occasione di dialogo e motivo di approfondimento. In questo dinamismo non può essere trascurato l’aiuto offerto dal​​ corpo,​​ dallo​​ spazio,​​ dalle «cose»​​ che stanno intorno, dai​​ tempi​​ e dai​​ ritmi​​ della vita. Nessuna lezione teorica, comunque, potrà mai esaurire tutta la problematica, le attese, i timori, le sconfitte che si incontrano in questo itinerario. Le esperienze porteranno ad una sintesi personale in cui il fedele troverà un modo di rapportare le diverse situazioni della propria esistenza nella logica del Dio Trinità che si è fatto storia perché l’uomo potesse realizzare un cammino di divinizzazione.

Bibliografia

Bianchi E., «P.», in M. Sodi - A. M. Triacca (Edd.),​​ Dizionario di omiletica, Leumann (TO) / Gorle (Bg), Elle Di Ci / Velar, 2002, 1249-1252; Calati B., «P.», in L. Borriello et al. (Edd.),​​ Dizionario di Mistica, Città del Vaticano, LEV, 1998, 1033-1038; Castellano J., «P. e liturgia», in D. Sartore - A. M. Triacca - C. Cibien (Edd.),​​ Liturgia,​​ Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2001, 1492-1511; Wright J. H., «P.», in M. Downey - L. Borriello (Edd.),​​ Nuovo Dizionario di Spiritualità, Città del Vaticano, LEV, 2003, 564-574.

M. Sodi




educazione alla RESPONSABILITÀ

 

RESPONSABILITÀ: educazione alla

L’educazione alla r. rappresenta una delle risposte educative di maggiore importanza, in una congiuntura storica i cui tratti di negatività presentano, sotto il profilo pedagogico, una più che abbondante serie di rilevazioni (tramonto d’epoca; età dell’incertezza; disordine esistenziale; cultura della frammentazione, dell’indifferenza, del piacere; epoca senza linguaggio; antiumanesimo tecnocentrico, cultura «liquida») e le cui manifestazioni (solo per ricordarne alcune: caduta del rispetto per la vita; risorgere di conflitti religiosi, etnici e razziali; aumento del divario fra ricchezza e povertà e formazione di grandi sacche di disagio, esclusione e marginalità) non possono non suscitare le più ansiose preoccupazioni sul presente e sul futuro della nostra civiltà.

1.​​ Fondamenti.​​ In una visione di tipo personalistico, la r. si colloca nel quadro dell’​​ ​​ educazione morale, di cui riprende i motivi e le giustificazioni essenziali. Si tratta, infatti, di porsi nella prospettiva dei comportamenti di natura relazionale, che impegnano, cioè, la​​ ​​ libertà e l’intersoggettività della​​ ​​ persona ed il suo rapporto con regole, norme, confini, prescrizioni e diritti. In questo senso, l’educazione alla r. si può leggere come una delle espressioni dell’educazione alla​​ ​​ alterità in senso generale e alla libertà in particolare. Una prima fascia di attenzione è costituita dall’avvertenza a reagire ad alcune tipiche deformazioni – come quella collettivistica ed impersonalistica (bisogna sempre chiamare in causa la società o il sistema), quella legalistica (basta rispettare le norme consuetudinarie o convenzionali senza andare oltre) e quella egocentristica (l’unico problema è di soddisfare le proprie esigenze e le proprie aspirazioni) – che tendono a snaturare ed a svilire l’idea stessa di r. nei suoi connotati più profondi. Una solida e consistente educazione alla r. può incidersi soltanto in un terreno di riferimento ai​​ ​​ valori come elemento fondante positivo, in cui esercita una funzione di ordinamento centrale l’ideale universalistico dell’umanità come «possibilità di comunicazione universale, di comprensione transculturale […] diritto universale [...] che consente ad ogni uomo, qualunque sia il suo livello di cultura, di moralità, perfino di ragione, di essere riconosciuto come uomo»: in una parola, come «solidarietà concreta» (Réboul, 1995). Da ciò può dipanarsi una molteplicità di itinerari educativi, che vanno collocati lungo un continuum di attività, di esperienze e di proposte da disporre nei due assi dello sviluppo cognitivo da una parte e di quello affettivo dall’altra per arrivare a sbocchi comportamentali e a stili di vita. È infatti necessario, in un senso, «far conoscere e comprendere al soggetto [...] le condizioni di interdipendenza umana, cioè la trama dei rapporti che intessono la condizione sociale dell’uomo [...] perché l’assunzione di r. deve muovere sempre da una consapevolezza crescente del complesso dei compiti e delle funzioni che sono derivanti dalle leggi, dai princìpi, dalle regole, cioè dagli elementi normativi del quadro socio-istituzionale in cui egli è collocato»; ma è altrettanto indispensabile, in un altro, «promuovere nel soggetto la capacità di collocarsi nella prospettiva della obbligazione [...] cioè l’esigenza di uscire verso una volontà di “risposta” attuativa dei compiti assunti» (Massaro, 1993). Intelligenza, emozione ed azione sono ugualmente chiamate in causa in una sinergia di concetti, sentimenti, decisioni, disposizioni e capacità operative.

2.​​ Campi.​​ Possiamo quindi dire che l’educazione alla r. assume in sé tutte le potenzialità e le risoluzioni inerenti a ciò che concerne la dimensione della​​ reciprocità.​​ I campi specifici ai quali questa formazione inerisce con una particolare pregnanza di accenti e di urgenze sono: pace; mondialità (interculturalità, sviluppo, internazionalismo); socialità, civismo, politica; economia; diritti umani e giustizia; salute; ecologia; diffusione dell’informazione; legalità. In ognuno di essi, infatti, la r. si configura come un elemento trasversalmente costitutivo, rappresentandone, in ultima analisi, il solvente pedagogico di base. Sul piano curricolare e metodologico, infine, non bisogna dimenticare l’invito a non rifiutare il confronto con i temi che toccano la conflittualità, la divergenza ed il contrasto, a non appiattirsi in un cognitivismo informativistico privo di forza morale e ad incoraggiare in ogni modo tutte le forme di partecipazione, di impegno e di volontariato capaci di far reagire all’isolamento ed all’autocentrazione egoistica.

Bibliografia

Zavalloni R.,​​ Educarsi alla r.,​​ Milano, Paoline, 1986; Bosello A. P.,​​ Scuola e valori,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1991; Massaro G.,​​ L’educazione personalistica per un più complesso senso della r.,​​ in «Pedagogia e Vita» 51 (1993) 24-42; Réboul O.,​​ I valori dell’educazione,​​ Milano, Ancora / Fondazione Baden, 1995; Chionna A.,​​ Pedagogia della r., Brescia, La Scuola, 2002; Orsi M.,​​ Educare alla r., Parma, EMI, 2002.

C. Scurati