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DOMANDA EDUCATIVA

 

DOMANDA EDUCATIVA

L’esigenza di​​ ​​ formazione può essere letta come d.e. personale e sociale, individuale, di gruppo, comunitaria.

1.​​ La pedagogia dell’offerta.​​ Nel nostro tempo sembra abbastanza evidente la ambivalenza di una pedagogia dell’offerta. Essa parte solitamente da progetti, programmi e modelli da trasmettere e far accogliere: è normalmente pedagogia di obiettivi e progetti stabiliti altrove. La metodologia educativa assume il compito di dare attuazione a tali obiettivi o progetti, senza un momento precedente di metodologia pedagogica di ricerca nel campo, per rilevare la d.e. da cui partire e con funzione di riferimento costante lungo l’intero processo di risposta. Tale pedagogia e i sovra-sistemi, che stanno alla radice dell’offerta, presentano debolezze interne, anche a motivo del pluralismo contestuale o di critiche esterne di rifiuto da parte di minoranze non disposte a lasciarsi manipolare. Ma se le pedagogie trasmissorie vengono colte come lontane rispetto alla realtà viva di bisogni, attese e domande, tuttavia, oggi, si hanno nuove forme di proposizione di pedagogia dell’offerta. Adulti e giovani risentono o soggiacciono supinamente alle indicazioni e ai messaggi dei sovra-sistemi che impongono comportamenti e offrono risposte pre-confezionate ai loro scopi: ieri quelli politico-ideologici oggi quelli del neocapitalismo internazionale e del mercato mondializzato. I bisogni sono indotti, l’omologazione è provocata, il consenso e l’adesione catturati. Nel campo dell’educazione, la pedagogia dell’offerta si è presentata come esigenza di adeguazione al mercato del lavoro, al successo professionale e esistenziale all’altezza dei trend attuali, magari innestata su istanze di autorealizzazione, di buona qualità della vita, di accesso ai beni di consumo, di equità e correttezza sociale. Le ricerche, i progetti, i programmi, i libri dell’offerta educativa sono molto sofisticati e sistematici a riguardo, offrono ideali, ricette di soluzioni dei problemi, modi di acquisizione di competenze.

2.​​ Verso una pedagogia della d.e.​​ Rispetto ad una pedagogia dell’offerta sembra oggi importante una pedagogia della d. o forse meglio una pedagogia del campo-d. Essa potrebbe costituire un nuovo indirizzo di pedagogia interdisciplinare. Nella pedagogia della d. persone informate, sensibili, responsabili, competenti e attive, individuano – rispetto alla problematica umana e esistenziale attuale – un campo problematico emergente, personale e / o sociale, adulto e soprattutto giovanile, generale o particolare, speciale e / o specifico; lo leggono in termini educativi di bisogno e possibilità, cioè di d. di intervento valido e efficace per risolverne i problemi di qualità della vita in esso presenti e per promuoverne o consolidarne forme qualificabili come umanamente degne a livello di esistenza personale e comunitaria; analizzano situazioni, necessità, risorse e condizioni; elaborano progetti e programmi di risposta o quanto meno di proposta educativa. La rispondenza alla d. giudica la validità della risposta-proposta.

3.​​ La d.e.​​ In effetti, la d.e. nasce in profondità, nei luoghi e nei tempi della vita individuale e comunitaria, nel suo sorgere, nel suo crescere e maturare. Ma la vita non si sviluppa sempre pacificamente; per cause interne ed esterne trova spesso condizioni di ingiustizia e di esclusione, di oppressione e repressione, di dominazione e di strumentalizzazione manipolatrice, di conflitto e lotta, di difficoltà e limite, di debolezza e errore, di fragilità e peccato: perciò si fa​​ problema,​​ ma sempre​​ valore-problema,​​ in quanto i problemi sono situazioni problematiche della vita, delle persone, del mondo e del loro intrinseco valore. Così nasce nel campo e nei campi la tensione di appello interiore e quindi la invocazione implicita o espressa, e cioè la d. che chiede o vuole ascolto, attenzione, comprensione, cioè intervento di aiuto per la​​ soluzione​​ che liberi i valori di vita e ne risolva i problemi. La soluzione viene da​​ risposte​​ a quanto è palese nella d., aggiungendo e accettando​​ proposte​​ alla d. profonda, ad attese latenti e possibili che all’inizio sono al di là delle capacità di d. esplicita. Si delinea così il quadro completo della educazione personale, sociale, epocale, umana. La credenza e la fede religiosa, in genere e quella cristiana in particolare, vi scorgono l’ordine del trascendente e della grazia, che non ha tanto una d. diretta, ma piuttosto una risonanza nelle profondità dell’uomo fatto da Dio e secondo Dio, a sua immagine e somiglianza, animato da tensioni infinite. In ogni caso bisognerà impostare e prolungare un cammino di​​ ricerca​​ per individuare e definire contenuti, processi, progetti e programmi; per incrementare il dialogo e il confronto democratico. Il risultato atteso è la​​ condivisione ideale​​ e la​​ convergenza operativa.

4.​​ Il​​ campo-d. e i campi-d.​​ La comprensione della d.e. richiede un ulteriore approfondimento del​​ campo-d.​​ e dei​​ campi-d.​​ Il​​ campo-d.​​ totale di riferimento, intervento e azione è, idealmente, il campo della persona, ma realmente è il campo-umanità, campo delle persone oggi viventi sulla faccia della terra nella loro generalità. Bisogna definirne e assumervi pedagogicamente le d., progettare risposte per risolvervi pedagogicamente i problemi di vita e valore. All’interno di questi orizzonti planetari, per interventi e soluzioni più concrete sarà necessario individuare​​ campi-d.​​ particolari dove siano possibili analisi, interpretazioni, elaborazioni di progetti, piani e metodi di risposta. Non è difficile capire come oggi sia profonda, la d. globale e articolata di educazione diretta delle persone, ma anche di soluzione, attraverso l’educazione, degli enormi valori-problemi di vario genere, che inquietano i circa sei miliardi di abitanti della terra. Continenti, nazioni, gruppi e singole persone dilatano sempre più e meglio i loro stili di vita, ma vivono anche dilaniati da ingiustizie, oppressioni, impotenza, indegnità di vita, abbandoni fisici e materiali, culturali e spirituali. La d.e. si specifica nelle diverse d. particolari (e nei diversi campi di d.): quelle dei giovani, degli adulti, degli anziani, delle famiglie, dei gruppi, dei movimenti, dell’associazionismo, delle comunità, della società civile, dei diversi soggetti sociali, delle comunità locali, nazionali, internazionali, mondiali, umane.

5.​​ La pedagogia della d.​​ La d.e. chiede un’adeguata e congruente pedagogia. Di tale compito si possono delineare i momenti principali: a)​​ Assumere la d.​​ Le d. si formano nella intimità esistenziale dei vari campi, come concreti vissuti di bisogni, possibilità e tensioni. Si​​ formulano​​ a livello di coscienza implicita ed esplicita interna, sotto forma di interessi e di desideri, e a livello di espressione esterna, sotto forma di richieste di intervento e aiuto personale e sociale, intersoggettivo e istituzionalizzato. Devono​​ essere percepite e assunte,​​ da responsabili e competenti capaci di formulare e / o dare risposte. È indispensabile un filtraggio di qualificazione, di priorità, di organizzazione, ma non di esclusione o manipolazione, con partecipazione d’impegno e competenza. b)​​ Analizzare la d.​​ La realtà del campo-valore-problema deve essere analizzata in tutte le dimensioni che permettono di individuare con precisione la natura della d., le necessità che essa impone di risolvere, le risorse che offre, le condizioni interne e esterne di operabilità. Questo si ottiene ricavando i dati dai sovrasistemi in cui si colloca, e da cui deriva, dove cerca e progetta la soluzione: il sistema della​​ ​​ personalità (quale struttura, dinamica e situazione antropologica olistica e particolare); i sistemi di​​ ​​ appartenenza e partecipazione sociale, culturale, politica; i sistemi educativi paralleli e interferenti. Dopo di ciò si può pensare al progetto. c) «Educare» la d.​​ La d. del campo e dei soggetti interessati non può essere assunta grezza. Fin dai primi interventi è necessario aiutare i soggetti, gli ambienti, le istituzioni coinvolte, a definirne il senso vero e completo, ad approfondire carenze, soprattutto a rendere consapevoli aspetti e condizioni nascoste, che superano l’immediato, spesso solo simbolico e parziale, e che vanno esplicitati, sostenuti, promossi, consolidati. d)​​ Aprire alla proposta.​​ Avviene quasi sempre che la d. riveli tensioni e integrazioni che stanno al di là dei punti di partenza e di primo approccio. Non si tratta solo di aggiunte estrinseche, ma anche di comprensione della normalità dello stato di invocazione e di attesa che l’immediato contiene e rivela. La d. trova aperture e compiutezza, ma anche la proposta, che nasce per questa via, avrà garanzia di aggancio, di investimento dinamico favorevole per il consenso impegnativo.

Bibliografia

Lawton D.,​​ Programmi di studio ed evoluzione sociale. Dalla teoria alla pratica,​​ Roma, Armando, 1973; Girardi G.,​​ Per quale società educare?,​​ Assisi, Cittadella, 1975;​​ Furter P.,​​ Les systèmes de formation dans leurs contextes,​​ Berne-Frankfurt, P. Lang, 1980; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ L’analisi dei bisogni. Prospettive teoriche e metodologiche emergenti da una ricerca in campo educativo,​​ Trento, Fed. Scuola Materna, 1983; Freire P.,​​ La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA, 2002; Gianola P.,​​ Il campo e la d.,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica.​​ Edizione a cura di C. Nanni, Roma, LAS, 2003.

P. Gianola - C. Nanni




DOMANDE NELL’INSEGNAMENTO

 

DOMANDE NELL’INSEGNAMENTO

Le d. sono azioni linguistiche generalmente usate per ottenere informazioni. Possono essere utilizzate in moltissimi contesti: nell’intervista, in prove di​​ ​​ valutazione dell’apprendimento, in contesti giuridici o in conversazioni con amici. Data la loro straordinaria efficacia nello stimolare un’attività della mente, sono state particolarmente studiate e ritenute uno strumento molto diffuso ed efficace per l’apprendimento. In questo ambito si distinguono due tipi di d.: d. rivolte direttamente durante una lezione; d. rivolte durante la lettura di un testo da apprendere.

1.​​ Tassonomie di d.​​ Il tipo di d. non è indifferente circa il processo mentale che induce; per questo si sono prodotte molte «tassonomie» (classificazioni) dei tipi di d. che possono essere utilizzate da un​​ ​​ insegnante. In genere la classificazione è costruita o in base ad una descrizione di processi mentali o in riferimento alla complessità del processo cognitivo che induce o in riferimento al «dove» può essere trovata la risposta. Si distinguono così d. che: a) spingono semplicemente ad un rilevamento o ricupero di informazioni (si chiede di: vedere, osservare, provare, nominare, ricordare, descrivere, contare); b) richiedono di stabilire un collegamento tra conoscenze nuove e previe (integrare, completare, descrivere, ricordare, definire, connettere, collegare, parafrasare); c) spingono ad un’analisi più approfondita (sintetizzare, analizzare, spiegare il perché, classificare, mettere in una sequenza, riassumere, stabilire analogie); d) pongono una sfida al pensare, immaginare e formulare ipotesi predittive, scoprire (applicare un principio, pianificare, giudicare, predire, inventare, inferire, ipotizzare, generalizzare, ecc.).

2.​​ Uso appropriato ed efficace delle d.​​ Non basta che l’insegnante sappia scegliere la d. che stimola maggiormente l’attività di riflessione. Egli deve anche saper usare questo strumento in modo appropriato. Numerose ricerche offrono un ampio ventaglio di indicatori che possono essere utili a questo scopo: a) contestualizzare la d.: creare cioè un clima non valutativo, dare un senso di libertà nel rispondere, saper trasformare la risposta sbagliata in una corretta, rilanciare ad un’ulteriore riflessione la risposta ricevuta; b) interpretare le diverse risposte dello studente: distinguere cioè tra risposta corretta, ma rapida e sicura, risposta corretta, ma esitante, risposta non corretta per mancanza di riflessione, risposta non corretta per carenza di conoscenza di fatti o del processo e reazioni diverse a seconda dei diversi tipi di risposta; c) dare tempo per la risposta: quanto più è alto il livello di attività cognitiva che la d. induce, tanto maggiore deve essere il tempo lasciato per trovare la risposta. Un tempo maggiore, oltre a garantire un maggior numero di risposte corrette, permette, anche risposte più articolate e complete; d) porre d. non superiori alle possibilità dello studente: una buona d. deve essere preparata esaminando le conoscenze previe che la risposta esige e i processi che richiede; e) fare d. chiare: strutture sintattiche complesse, d. multiple, uso di un lessico troppo astratto non facilitano la comprensione della d. e quindi rendono difficile una risposta; f) sviluppare le proprie conoscenze sulla materia di insegnamento; esse infatti migliorano la qualità e la pratica delle d.

Bibliografia

Anderson L. - C. Everston - J. Brophy,​​ An experimental study of effective teaching in first-grade reading groups,​​ in «Elementary School Journal» 79 (1979) 193-223; Rowe M. B.,​​ Wait time - slowing down may be a way of speeding up,​​ in «American Educator» 2 (1987) 1; Gall M. D. - M. T. Artero-Boname, «Questioning strategies», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21995, 4875-4882.

M. Comoglio




DONNA

 

DONNA

Il termine d. da​​ dŏmna​​ (m), forma sincopata del lat.​​ domina​​ (signora, padrona) da​​ dominus​​ (signore, padrone), analogicamente al biblico «´​​ /​​ iššah», entra nella lingua nel 1294. Preposto a un nome femminile, conserva il senso lat. di qualifica nobiliare attribuita alle consorti di personaggi autorevoli o rappresentativi. Nel linguaggio comune indica la persona adulta di sesso femminile. Nel termine d. confluiscono opposte reazioni emotive socio-culturali e socio-religiose che vanno dall’esaltazione all’umiliazione / sudditanza, come pure polarità alternative, quali Eva / Maria, Diavolo / Angelo, Seduttrice / Consolatrice, Nemica / Rifugio. Spesso indica la d. in relazione, come figlia, sorella, sposa, madre dell’uomo. Difficilmente indica la d. concreta; in questo caso si usa il plurale. Spesso evoca la condizione asimmetrica della d. rispetto all’uomo, un’asimmetria che ha radici remote e persiste nonostante le azioni positive a favore della parità, come se non potesse essere eliminata, ma solo spostata in avanti.

1.​​ Dalla disputa all’autocoscienza femminile.​​ Nel 1595 Orazio Plata traduce e divulga l’opera di Acidalius Valens,​​ Disputatio perjucunda qua anonimus probare nititur «mulieres homines non esse»: «le d. non sono uomini», una tesi tanto ovvia da risultare ridicola, richiama però la​​ mens​​ misogina che identifica la persona umana con il maschio. Graziano (sec. XII) lo affermava sicuro: «L’immagine di Dio è nel maschio creato unico, origine di tutti gli uomini, che ha ricevuto da Dio il potere di governare come suo sostituto, perché è immagine di Dio unico. Ed è per questo che la d. non è fatta ad immagine di Dio» (Decretum Gratiani​​ q. 5, c. 33). È una concezione abbastanza generalizzata; è presente in numerose culture anche alternative tra loro; favorisce il transito indisturbato di stereotipi e resiste persino nella modernità: l’unità del genere umano si realizza nel maschio, il principe (archón) che rappresenta il principio (arché). Quindi, la d. è diversa dall’uomo nel senso che è inferiore, minore, bisognosa di essere custodita e sorvegliata. La coscienza dell’uguaglianza ancora nel sec. XVI è solo di d. dell’élite. Con il diffondersi della filosofia razionalistica, che fonda i diritti sulla comune natura umana, matura la consapevolezza dell’uguaglianza tra gli esseri umani che, però, viene più facilmente riconosciuta al servo che alla d. La Rivoluzione francese proclama l’uguaglianza, la libertà, la fraternità; diffonde le idee liberal-democratiche, redige la​​ Dichiarazione dei diritti del cittadino; non riconosce, però, la cittadinanza alla d. Olympie de Gougues viene ghigliottinata nel 1793 per la sua​​ Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne​​ (1791). Le d. più consapevoli danno vita a movimenti di emancipazione, iniziano rivendicando dei diritti civili, ma progressivamente estendono la richiesta alla piena cittadinanza in ambito socio-politico, familiare e religioso. Negli anni ’60 dall’idea di emancipazione si passa a quella di liberazione con la denuncia dei sistemi culturali maschilisti che ritengono la d. il secondo sesso (S. de Beauvoir,​​ Il​​ secondo sesso,​​ 1948). Si accende un vivace dibattito sul rapporto dialettico natura / cultura. Le scienze antropologiche, specie quelle umanistiche, lasciano intravedere l’urgenza di superare la contrapposizione perché l’identità si costruisce dal convergere in unità di molteplici fattori, in particolare il patrimonio genetico, contesto, autodeterminazione del soggetto.

2. L’attuale percorso: tessendo rapporti,​​ cercando vie nuove.​​ Negli anni ’70 inizia una riflessione propositiva sulla differenza, talvolta espressa in forme radicali che inferiorizzano il maschile a vantaggio del femminile, ricalcando con il segno opposto le orme del patriarcato. Al di là di questi esiti, il movimento di pensiero con altre espressioni culturali, specie con la riflessione sulla reciprocità, ha offerto un contributo significativo: ha risvegliato in molte d. il desiderio e l’impegno di crescere in un’identità più profonda, rifiutando l’omologazione al modello maschile e valorizzando la propria e l’altrui diversità come risorsa; ha spinto anche l’uomo a mettere in crisi gli stereotipi e le ambiguità dell’antropologia​​ recepta; è sempre più condivisa l’idea che l’umanità è uniduale nel confronto e nella reciprocità di maschile e femminile. In questo percorso le ragazze, valorizzando le possibilità offerte dalla scolarizzazione di massa, hanno sovente superato i ragazzi: è la generazione femminile del sorpasso negli studi universitari, nelle qualifiche professionali, non però nei poteri decisionali. In questo itinerario di nuova consapevolezza va riconosciuto, non solo a livello ecclesiale, ma globale, il ruolo singolare svolto da Giovanni Paolo II che con la​​ Mulieris dignitatem​​ ha divulgato le acquisizioni emerse dagli studi delle d., specie della teologia al femminile, le ha ricontestualizzate nella​​ Lettera alle d.​​ e in altri interventi. Esse sono riproposte, poi, nel​​ Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Il Papa ha coniato l’espressione «genio femminile» (MD​​ 30,31;​​ Lettera​​ 9-12). È una via singolare per approfondire l’identità e la missione della d.: in questa via – teorica e pratica – sono coinvolti d. ed uomini in reciprocità, valorizzando le rispettive diversità, gestendo responsabilmente gli eventuali conflitti, per costruire una umanità più giusta e solidale.

3.​​ L’antropologia biblico-cristiana fonte di ispirazione per un nuovo umanesimo.​​ Molte studiose, di estrazioni culturali diverse, negli anni ’80 hanno interpellato le teologhe a mettere in luce i valori simbolici femminili presenti nella tradizione biblico-cristiana, in particolare nelle Sacre Scritture, specie i due racconti della creazione (Genesi​​ 1-3) e la vita e opera di Gesù, e nell’esperienza monastica e religiosa, specie le congregazioni religiose femminili di fine ’700 e ’800 dalle quali emergono d. che con il loro protagonismo anticipano alcune istanze del femminismo. Si individuano raccordi interessanti tra aspirazioni ed istanze umane, specie femminili, e messaggio biblico-cristiano. I due racconti della creazione evidenziano la fondamentale uguaglianza tra d. e uomo che insieme costituiscono l’immagine di Dio; indicano che la sessualità umana non è una semplice differenza fisica, ma è segno nel corpo della chiamata all’amore, che la d. non riceve la sua identità dall’uomo, né viceversa. Nella loro singolarità sono le uniche creature dell’universo che Dio ha creato per se stesse, offrendo loro il dono della sua comunione. Quindi, l’identità e la dignità della creatura umana sono inalienabili, perché radicate in Dio e in Lui giungono a pienezza; la specificità dei due non è isolamento, né la loro unione dice subordinazione della d. all’uomo. La persona umana, maschio e femmina, è un evento che accade davanti a Dio e da Lui è salvaguardata; è il vertice della creazione e suo garante a nome di Dio, con la missione di portarla a compimento. Gesù con la sua vita, la sua opera e la sua predicazione rivela il mistero della creatura umana, la sua bellezza: «vale più di tutti gli esseri dell’universo». Nel ricondurre la creazione al suo principio, la riscatta dal male, rivendica la dignità di immagine divina per ogni persona, al di là della sua appartenenza socio-culturale o religiosa, persino al di là della sua condizione morale. Così, poveri, piccoli, peccatori, d., tutti sono destinatari privilegiati del Regno. Smaschera le ideologie che inferiorizzano la d.; denuncia la doppia morale / la legislazione ipocrita che colpisce la d. adultera e rimanda libero l’uomo. Dichiara che ogni persona, al di là delle differenze di sesso, lingua, cultura, religione, è fatta per Dio, per rivelare / annunciare il suo Nome. La vede nella sua integralità: non divide lo spirito dal corpo, anzi nella resurrezione proclama la dignità della corporeità. Raccoglie i figli di Dio dispersi nell’unica famiglia, costituendo una comunità religiosa ove le gerarchie sono capovolte: il primo è l’ultimo, il capo è il servo; elimina ogni criterio di discriminazione; offre alla parità tra i sessi il fondamento che nessuna legge umana può eludere o misconoscere: Dio Amore. Le d. riconoscono, perciò, in Lui il loro liberatore e nel suo messaggio trovano una fonte alla quale attingere per dare senso alla vita. Maria è l’icona perfetta della d., espressione compiuta del genio femminile, proprio nell’accoglienza operosa perfetta del progetto del Creatore sulla sua creatura. Quale Nuova Eva, con Gesù, Nuovo Adamo, è punto di riferimento nel cammino verso la pienezza della d. e dell’uomo, non rappresentando simmetricamente gli attributi femminili (Maria) e quelli maschili (Gesù) ma, piuttosto, segnalando il principio biblico per cui Dio fin dall’inizio ha voluto l’umanità come maschio e femmina. Indicano, quindi, la via della piena realizzazione nella trasparenza dell’amore. In questo modo la differenza non è divisione, tanto meno contrapposizione, l’uguaglianza non è cancellazione dell’altra polarità, ma una reciprocità fondata su Dio e aperta all’universo. Oggi soprattutto è urgente ricomprendere questo messaggio per elaborare e tradurre in prassi un umanesimo nuovo ove le tre dimensioni – teologale, umanistica e cosmica – si raccordino in unità secondo il progetto originario della creazione in Cristo, ove la differenza d. / uomo sia valorizzata nel cammino di uguaglianza nella dignità e di differenza sessuale, oltrepassando ogni tentazione di predominio e ogni fascinazione di isolamento («Non è bene che l’uomo sia solo»). Il cammino è lungo. A livello personale dura tutta la vita che non è mai ripetizione, anzi è sempre libertà protesa verso il bene e il vero. Prendere la scorciatoia della identità costruita occasionalmente dalla libertà individuale, secondo il paradigma della «società liquida» (Bauman) o del mondo virtuale, non è un guadagno; è piuttosto una perdita, genera paura e solitudine, segna il regno del «superuomo» e l’eliminazione dei piccoli, radicale alternativa all’unità della famiglia umana. Lo documentano le fatiche dell’ONU nelle Sessioni della Commissione sulla condizione della d. (cfr. la 49a​​ CSW: 28.02-12.03-2005), come pure quelle dell’EU (cfr. iniziative per l’anno 2007 dedicato alla parità). Il cammino di identità della d. chiama in causa l’uomo e interpella le scienze dell’educazione.

4.​​ Le scienze dell’educazione.​​ Sono richiamate ad offrire il proprio contributo alla costruzione di un umanesimo nuovo, nel quale la coscienza della differenza sessuale non sia rimossa, ma alimentata; la dimensione teologale emerga sempre più come indispensabile per salvaguardare dai vari attentati la dignità della persona, specie della d. A livello educativo queste scienze vengono interpellate ad elaborare una vera educazione nell’identità sessuale in una corretta coeducazione ove siano eliminati gli stereotipi ed emerga la dignità di immagine di Dio. Per la realizzazione di tali obiettivi è necessario ed urgente ri-centrare la cultura in tutte le sue espressioni nel senso dell’antropologia uni-duale, oltrepassando il relativismo e accogliendo la prospettiva teologica. La d., quindi, pone la questione antropologica: come la d. è relativa all’uomo, l’uomo è relativo alla d., ed entrambi trovano la loro radicale identità nella relazione con Dio e da Lui sono fatti custodi dell’universo.

Bibliografia

Børresen​​ K. E. (Ed.),​​ A immagine di Dio: modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Roma, Carocci, 2001; Mansoret M. (Ed.),​​ D. e filosofia, Genova, Erga, 2001; Roccella E. - L. Scaraffia (Edd.),​​ Italiane. Dall’unità d’Italia alla prima guerra mondiale, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri / Dipartimento per le pari opportunità, 2003; Borriello L. - E. Caruana - M. R. Del Genio - M. Tiraboschi (Edd.),​​ La d.: memoria e attualità, 6 voll., Città del Vaticano, LEV, 1999-2005; Pontificium Consilium pro Laicis (Ed.),​​ Uomini e d.: diversità e reciproca complementarità, Ibid., 2005; Gaiotti De Biase P.,​​ Vissuto religioso e secolarizzazione. Le d. nella «rivoluzione più lunga», Roma, Studium, 2006; Valerio A. (Ed.),​​ D. e Bibbia: storia ed esegesi, Bologna, Dehoniane, 2006.

M. Farina




DOTTRENS Robert-Alexandre

 

DOTTRENS Robert-Alexandre

n. a Carouge, presso Ginevra, nel 1893 - m. nel 1984, pedagogista svizzero.

1. Maestro a venti anni, fu direttore didattico dal 1921 al ’27; nel 1931 conseguì il dottorato in sociologia e nel ’52 divenne ordinario di pedagogia all’Università di Ginevra. Fondò l’École du Mail, sede di innovazioni metodologico-didattiche, che funzionò dal 1925 al ’55, dapprima sotto la direzione sua e poi di suoi allievi. Ogni attività era scandita in osservazione, verifica e ricerca. I suoi contributi sono maturati in seno alla cosiddetta Scuola di Ginevra (​​ Claparède,​​ ​​ Ferrière, Bovet,​​ ​​ Piaget) e consistono sia in princìpi pedagogici ricavati dalla psicologia infantile, sia in procedure speciali da adattare a scuole comuni.

2. Buon conoscitore delle scienze umane e sociali, additò nella pedagogia un elemento propulsore di rinnovamento civile e di formazione democratica. Si occupò di organizzazione scolastica, aderendo al movimento delle​​ ​​ Scuole Nuove, con forte impulso alla didattica della lingua, a quella della scrittura, alla​​ ​​ docimologia. Sul piano delle riforme si occupò della​​ ​​ formazione degli insegnanti. D. è noto quale esponente della​​ ​​ pedagogia sperimentale (per cui si collega a​​ ​​ Buyse e Planchard) e quale promotore di un metodo individualizzato, ispirato in parte ad analoghi metodi di C. W. Washburne e di H. Parkhurst. Accolse anche le tecniche di​​ ​​ Freinet, studiò le principali riforme scolastiche ed esperienze pedagogiche in Inghilterra, Germania, Belgio ed Austria. Ebbe incarichi universitari anche all’estero. È stato autorevole membro dell’UNESCO (United Nations Educational Scientifical and Cultural Organisation),​​ del BIE (Bureau International d’Éducation)​​ e di altre istituzioni e associazioni.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ tra​​ le opere di D.:​​ L’enseignement individualisé,​​ Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, 1936;​​ Éducation et démocratie, Ibid., 1946;​​ Instituteurs hier,​​ éducateurs demain!,​​ Bruxelles, 1966. b)​​ Studi:​​ Izzo D.,​​ R. D. e la pedagogia contemporanea,​​ Roma, Armando, 1968; Broccolini G.,​​ D., Brescia, La Scuola, 1971; Trombetta C., «D.R.A.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, Ibid., 1989, 4099-4101.

D. Izzo




DRAMMATIZZAZIONE

 

DRAMMATIZZAZIONE

La d. è una forma di letteratura, sia in prosa che in versi, solitamente scritta come dialogo, ma non finalizzata allo spettacolo pubblico (​​ teatro).

1.​​ D. e educazione.​​ La d. è applicata alle attività della classe o del gruppo dove la messa a fuoco non è sulla rappresentazione da fare in pubblico. Caratteristica della d. è perciò la scioltezza, spesso l’assenza di copione, senza problemi per la riuscita e, molte volte, senza prove. L’abbinamento d. ed istruzione / educazione, all’inizio del XX sec. è stato opera della filosofia educativa di Isadora Duncan e del lavoro di Emile Jacques Decloze, lo svizzero fondatore dell’euritmica. Nel XX sec., in Gran Bretagna, sono state esplorate e sviluppate varie attività alternative che vanno sotto il nome di «d. nell’istruzione e nell’educazione». Queste attività e questi corsi non hanno come scopo la rappresentazione di quanto preparato e non fanno alcuna distinzione tra chi recita e gli spettatori. Nei corsi si possono raggiungere vari obiettivi quali lo sviluppo fisico, l’espressione del sé e la d. del sé oltre alle relazioni dinamiche, il gioco dei ruoli all’interno del gruppo che la pratica; i bambini / ragazzi / giovani praticano la presa di decisioni e l’esplorazione della fantasia che aiuta a sviluppare l’immaginazione. Soprattutto in Gran Bretagna con Gavin Bolton e Dorothy Heathcote sono stati fatti notevoli sforzi per mettere al centro del curricolo le attività di d. e per utilizzarne le tecniche e la flessibilità con lo scopo di insegnare varie materie, soprattutto in riferimento alla lingua scritta e orale e alla letteratura. Nel contesto della d. trova collocazione l’espressione corporale che aiuta a migliorare le capacità di espressione e di comunicazione attraverso il proprio corpo, contribuendo non solo allo sviluppo fisico, ma anche allo sviluppo mentale ed emotivo. In America Latina, la d. è stata utilizzata per campagne di​​ ​​ alfabetizzazione e di sviluppo agricolo.

2.​​ Altri usi della d.​​ La terapia della d., o​​ ​​ psicodramma, utilizza tecniche di d. per promuovere la guarigione senza ricorrere all’analisi. Le stesse tecniche sono state utilizzate, soprattutto con pazienti giovani, per far rivelare i loro traumi mentali.

Bibliografia

Heathcote D. - C. O’Neill - L. Johnson (Edd.),​​ Collected writings on education and drama, Evanston (IL), Northwestern University Press, 1991; Bolton G.,​​ New perspectives on classroom drama,​​ Hemel Hempstead, Herter, Simon & Schuster Education, 1992; Heathcote D. - G. Bolton,​​ Drama for learning,​​ Portsmouth, Heinemann, 1994; Taylor P.,​​ Researching drama and arts education: paradigms and possibilities, London, Falmer Press, 2005.

C. Cangià




DROGA

 

DROGA

La d. è un particolare farmaco psicotropo – cioè ad azione sulla psiche – che può sconvolgere la mente e indurvi particolari «interreazioni» che la caratterizzano: abitudine o assuefazione, spesso tolleranza, fino alla dipendenza fisica e / o psichica.

1.​​ Effetti delle d.​​ Le d. producono effetti tossici organici e mentali acuti e cronici e comportamenti psichici devianti (​​ devianza), pericolosi per l’individuo che li assume e per la società. È importante precisare il significato dei tre tipi di legame che la d. stabilisce con l’organismo: a)​​ Abitudine o assuefazione:​​ sotto questo termine intendiamo uno stato biologico fisio-psichico, espressione dell’adattamento dell’organismo alla presenza della d., che induce un consumo ripetitivo a intervalli più o meno ravvicinati. b) La​​ tolleranza​​ è un fenomeno biologico per cui l’organismo deve aumentare progressivamente la dose della d. per ottenere gli stessi effetti gratificanti, riuscendo a tollerare in tale maniera quantitativi sempre più elevati al di sopra di quelli tossici e anche letali. La tolleranza è chiamata​​ funzionale​​ quando esiste un’assuefazione progressiva delle cellule bersaglio agli effetti del farmaco. È invece definita​​ metabolica​​ allorché è causata dall’attivazione crescente dei processi biologici che portano alla sua distruzione per cui, pur aumentando la dose assunta, la quantità attiva è sempre la stessa. c)​​ Dipendenza​​ (​​ tossicodipendenza): si produce quando la assuefazione ha raggiunto un livello tale che la privazione della d. fa insorgere una particolare condizione chiamata sindrome di astinenza.

2.​​ Classificazione delle d.​​ Le d. vengono classificate in varie maniere, di cui le più importanti sono le seguenti: a) secondo la natura:​​ naturali​​ o vegetali, cioè non manipolate;​​ estratti:​​ cioè un estratto attivo delle precedenti fino a raggiungere il semplice​​ componente attivo​​ (per es. morfina dall’oppio, cocaina dalla coca, tetraidrocannabinolo dall’hashish e dalla marijuana, ecc.);​​ semisintetiche,​​ per manipolazione di un componente attivo, come la diacetilazione della morfina in eroina; di​​ sintesi​​ come il metadone, le amfetamine, l’ecstasy, ecc.; b) secondo la liceità:​​ lecite​​ come alcool e tabacco,​​ illecite​​ come eroina e cocaina; le illecite, se hanno effetti terapeutici non sostituibili, possono essere consumate purché prescritte da medici su particolari ricette, come morfina e barbiturici; c) secondo la pericolosità:​​ leggere​​ come i cannabici e le benzodiazepine,​​ pesanti​​ come gli oppioidi e la cocaina; d) secondo gli effetti farmacologici predominanti:​​ sedativo-euforizzanti​​ come gli oppioidi e i barbiturici,​​ psicostimolanti​​ come cocaina, amfetamine, caffeina,​​ psicoalteranti​​ o allucinogeno-deliranti come LSD, mescalina, hashish; e) secondo la possibilità di acquisto:​​ da strada​​ (che più di frequente vengono tagliate) come eroina e ecstasy,​​ di farmacia​​ come morfina e barbiturici, di cui è garantita la purezza; f) secondo il gruppo chimico farmacologico e di uso: oppioidi, derivati della canapa indiana, coca e cocaina, psicofarmaci, allucinogeni e deliranti, anestetici e solventi volatili, alcool, tabacco, metilxantinici (te, caffè, ecc.).

3.​​ La d. e l’educazione.​​ L’uso della d. si perde nella notte dei tempi: tuttavia esso era limitato alle classi più elevate e gestito rigidamente. Dopo la metà del 1850 l’abuso si diffuse nei Paesi occidentali dapprima tra uomini di cultura e medici, poi tra adulti instabili o curiosi, provocando una serie di leggi, partite dagli USA con l’Harrison Act​​ e accolte da quasi tutte le nazioni con gli attuali accordi di Vienna, ratificati nel 1980. Dopo la seconda guerra mondiale e in particolare dopo il 1960, si è assistito ad una vera e propria rivoluzione. L’abuso ha coinvolto pesantemente i​​ ​​ giovani, divenendo fenomeno di massa. Ne sono scaturite gravissime implicazioni sociali, che hanno richiesto e richiedono l’intervento massivo educativo-pedagogico che si è svolto e si svolge sulla base di diverse posizioni e tendenze, con differenti molteplici approcci e strategie. Quelle basate sulla​​ ​​ prevenzione sono indirizzate ai soggetti più giovani, che si presume non abbiano ancora assunto la d. (prevenzione primaria). L’educazione, che in questo ambito è l’unico mezzo di approccio e strategia, si basa da un lato sulla descrizione dei danni ineluttabili della d. e dall’altro su una formazione in grado di resistere a questa tentazione. Un primo problema riguarda quali d. si debbano considerare come oggetto dell’insegnamento ad evitarne l’uso. Secondo alcuni solo le d. di abuso, cioè quelle dichiarate illecite. Secondo altri anche le lecite, che possono essere responsabili di comportamenti criminosi. Per altri ancora – e più correttamente – tutte le d., in quanto rappresentano un rischio sociale e tossico assai elevato per l’individuo e / o la comunità. In ogni caso, l’approccio e la strategia educativi debbono essere indirizzati – indipendentemente dal tipo di d. su cui si voglia esercitare la prevenzione – a formare soggetti capaci di rigettare l’uso di queste sostanze contro tutte le attuali suggestioni: moda, spaccio, curiosità, sperimentazione, ricreazione, uso strumentale ed espressivo, ecc.

Bibliografia

Malizia E.,​​ D. 80,​​ Torino, Edizioni Medico-Scientifiche,​​ 41985; Jones H. - M. Jones,​​ Drugs and the mind,​​ Cambridge (Mass.), Cambridge University Press, 1987; Nizzoli U. - M. Pissacroia (Edd.),​​ Trattato completo degli abusi e delle dipendenze, Padova, Piccin, 2003; Malizia E. - S. Borgo,​​ Le d., Roma, Newton Compton, 2006.

E. Malizia




DUPANLOUP Félix Antoine Philippe

 

DUPANLOUP Félix Antoine Philippe

n. a Saint-Félix nel 1802 - m. a Lacombe nel 1878, vescovo e pedagogista francese.

1.​​ La vita.​​ Venuto dalla Savoia, fece gli studi ecclesiastici e venne ordinato sacerdote a Parigi nel 1825; si dedicò alla pastorale catechistica parrocchiale fino al 1834 e continuò il lavoro educativo come direttore del seminario minore della diocesi di Saint-Nicholas du Chardonnet (divenuto un prestigioso ginnasio), dal 1837 al 1845. Dal 1849 vescovo di Orléans, fu nominato accademico di Francia nel 1854, membro dell’Assemblea Nazionale nel 1871 e senatore della Repubblica nel 1876. Nel 1870 al Concilio Vaticano I prese parte attiva alla discussione sul progetto del piccolo catechismo universale.

2.​​ Gli scritti pedagogici.​​ L’opera più organica che presenta il suo pensiero pedagogico è​​ De l’éducation​​ (1851). Egli vi espone il suo concetto di educazione,​​ azione creatrice,​​ in cui si fondono autorità e disciplina, opera dell’educatore e collaborazione dell’educando. L’educazione inizia dalla famiglia, ma viene completata dall’educazione scolastica e collegiale, e poi da quella nazionale ed ecclesiale. L’educazione pubblica deve essere organizzata dalle famiglie, senza intervento diretto dello Stato, che deve invece garantire la​​ ​​ libertà di insegnamento. Importante è la formazione filosofica e letteraria, anche se le si affiancano quella dell’immaginazione, della sensibilità, del carattere e della coscienza: imparare a ben pensare e a ben esprimersi è fondamentale per l’uomo e per la sua formazione spirituale e religiosa. D. si interessò anche dell’educazione femminile. Difese, contro Gaume e Veuillot, lo studio dei classici pagani.

3.​​ Il​​ contributo all’educazione religiosa.​​ Per la formazione pastorale del clero scrisse i tre volumi​​ Méthode générale de catéchisme​​ (1862) e poi altri due intitolati​​ L’Oeuvre par excellence ou entretiens sur le catéchisme​​ (1869). In questa seconda opera D. descrive dal vivo i catechismi che si facevano alla Madeleine secondo il metodo di Saint Sulpice. Il catechismo è concepito come una funzione religiosa, che si svolge in una cappella apposita in un ambiente di pietà, con momenti che vanno dalla recita alla spiegazione delle verità, alla lettura del vangelo con breve omelia, ai canti e alle preghiere. Il catechismo è opera di educazione cristiana completa, porta all’amore e alla sequela di Gesù Cristo, si trasforma in un «catecumenato della Prima Comunione», a cui segue per gli adolescenti e i giovani adulti un Catechismo di perseveranza, che li conferma nella fede e nella vita cristiana.

Bibliografia

Dutoit H.,​​ Les meilleurs textes de D.,​​ Paris, Desclée de Brouwer,​​ 1933; Viotto P., «La pedagogia dello spiritualismo nei paesi di lingua francese», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. 3, Brescia, La Scuola, 1977, 637-696.

U. Gianetto




DURKHEIM Émile

 

DURKHEIM Émile

n. a Épinal nel 1858 - m. Parigi nel 1917, sociologo francese.

1.​​ Preparazione scientifica.​​ Si è formato all’École Normale di Parigi. Dopo aver ricevuto una preparazione sostanzialmente filosofica, si è spostato gradualmente verso interessi sociologici. Dal 1887 al 1902 ha insegnato sociologia e pedagogia a Bordeaux. In questo periodo pubblica​​ La division du travail social​​ (1893),​​ Les règles de la méthode sociologique​​ (1895),​​ Le suicide​​ (1897).​​ Nel frattempo (1896) fonda e dirige la rivista «L’Année Sociologique». Nel 1906 viene chiamato alla Sorbona di Parigi, per insegnare sociologia e scienze dell’educazione.

2.​​ Lo sviluppo del pensiero pedagogico.​​ Può essere scandito in quattro periodi: a)​​ La negazione della specificità del fenomeno educativo:​​ sulla base di un triplice riduzionismo, fisiologico-organicistico, evoluzionista-meccanicistico e deterministico, l’attività educativa era considerata una pura funzione del sistema sociale, letto positivisticamente in termini di «fisicalismo sociale». b)​​ Il​​ ricupero della possibilità del discorso pedagogico:​​ l’educazione viene percepita come l’imperativo che tende a modellare l’individuo sulla base delle esigenze sociali, in vista della creazione del consenso. La pedagogia viene percepita come strumento di superamento del meccanicismo deterministico. c)​​ L’educazione come rimedio all’anomia:​​ a partire dall’analisi del «suicidio» (prima verifica sperimentale di un fenomeno sociale), ipotizzato come sintomo delle gravi disfunzioni del sistema sociale, quali l’anomia e la caduta di consenso sui valori fondanti il vivere sociale, D. riconosce l’importanza dell’educazione come rimedio alla disgregazione e al miglior funzionamento della società. Non giunge ancora a percepirla come un’azione diretta alla promozione e all’​​ ​​ autorealizzazione dell’individuo. d)​​ Il​​ ricupero dell’autonomia della coscienza individuale​​ su quella collettiva: superando il meccanicismo determinista del primo periodo, D. riconosce all’educazione e successivamente all’etica (familiare, professionale, civica e universale) il compito di trasmettere atteggiamenti e norme a scopo esplicitamente integrativo, ma anche di stimolare nell’individuo le risorse di autonomia e di critica (in seguito enfatizzate dai fautori della sociologia critica) rispetto al determinismo sociale dei processi educativi.

3.​​ Valutazione.​​ Il cuore delle preoccupazioni di D. è quello di​​ conciliare​​ «coscienza collettiva» e «coscienza individuale», la prima derivante dalle esigenze della soggiacente impostazione «organicista», la seconda emergente dalle componenti «morali» del suo pensiero nella fase matura. D. quindi può essere considerato l’ideologo della «dipendenza educativa» e dell’​​ ​​ integrazione sociale, che orienta l’individuo al consenso sociale e alla solidarietà organica. Considera il conformismo come condizione di autorealizzazione fino al punto di mitizzare l’uomo ultrasocializzato, riducendo così il fatto educativo a funzione sociale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ D. E.,​​ Éducation et sociologie,​​ Paris, Alcan, 1922 (postumo); Id.,​​ L’educazione morale,​​ Torino, UTET, 1977. b)​​ Studi:​​ Lukes S.,​​ E. D. his life and work. A historical and critical study,​​ London, Penguin Books, 1973; Giddens A.,​​ D., Bologna, Il Mulino, 1998; Crespi F.,​​ Il pensiero sociologico, Ibid., 2002; Poggi G.,​​ E. D., Ibid., 2003.

R. Mion




E-LEARNING

 

E-LEARNING

Processo di apprendimento complesso che, attraverso la mediazione di un supporto basato su ICT, favorisce lo sviluppo di conoscenze, abilità e competenze della persona che partecipa all’esperienza.

1. La lettera «e» è da intendersi per molti l’abbreviazione di​​ electronic learning​​ (scritta in modi diversi: elearning, e-l., eLearning, «e»learning, ecc.). È un termine che secondo M. de Leeuwe è continuamente in evoluzione.​​ Per l’American Society for Training and Development (ASTD) il termine e. ricopre applicazioni e processi quali:​​ open distance learning​​ (ODL),​​ computer based training​​ (CBT),​​ web based training​​ (WBT),​​ supported on-line learning,​​ informal on-line learning, e molti altri ancora.

2. Con questo termine è possibile quindi designare approcci che vanno dall’erogazione di contenuti attraverso Internet o supporti Cd / Dvd, all’interazione dialogica mediata dalle ICT, alla simulazione di sistemi del mondo reale attraverso laboratori virtuali, alla produzione collaborativa di contenuti in Rete, alla conduzione dell’insegnante di attività in classe supportate dalle tecnologie infotelematiche (si veda la riflessione dal gruppo DELG, Distributed and Electronic Learning Group, per l’LSC, Learning and Skills Council, 2002).

3. La progettazione di un buon sistema di e-l. non può evitare di affrontare molti aspetti che secondo B. H. Khan sono in sintesi riconducibili alle seguenti dimensioni: pedagogica, tecnologica, istituzionale, etica, gestionale, valutativa, relativa alle risorse e al progetto dell’interfaccia. Un punto di partenza fondamentale è costituito dalle scelte pedagogiche e didattiche, le quali devono essere guidate dall’analisi dei contesti e dei destinatari della formazione. La sola selezione di tecnologie di supporto all’apprendimento (piattaforme LMS o ambienti di apprendimento personalizzati PLE) non è sufficiente a garantire il successo nell’apprendimento.

Bibliografia

Rossett A.,​​ The ASTD E-L. Handbook, New York, McGraw-Hill, 2002; Clark R. C. - R. E. Mayer,​​ E-l. and the science of instruction. Proven guidelines for consumers and designers of multimedia learners, San Francisco, CA, Pfeiffer, 2003; Trentin G.,​​ Apprendimento in rete e condivisione delle conoscenze, Milano, Angeli, 2004; Khan B. H.,​​ E-l.: progettazione e gestione, Trento, Erickson, 2004; Aldrich C.,​​ Simulations and the future of learning. An innovative (and perhaps revolutionary) approach to e-l., San Francisco, CA, Pfeiffer, 2004; Bruschi B. - M. L. Ercole,​​ Strategie per l’e-l.​​ Progettare e valutare la formazione on-line, Roma, Carocci, 2005; Associazione Nazionale dell’Editoria Elettronica (Anee),​​ Osservatorio ANEE / ASSINFORM e-l.,​​ Milano, Editori per la Finanza, 2006 (http: / / www.anee.it); Trinchero R.,​​ Valutare l’apprendimento nell’e-l., Trento, Erickson, 2006; Calvani A. (Ed.),​​ Rete,​​ comunità e conoscenza. Costruire e gestire dinamiche collaborative, Ibid., 2006.

M. Bay - R. Trinchero




EBRAISMO

 

EBRAISMO

Per E. si intende il mondo di idee e di vita di quanti, specificamente dopo i tempi biblici, aderiscono alla religione ebraica, da cui tale mondo, anche per quanto riguarda l’educazione, è radicalmente segnato (​​ Bibbia). Si tenga presente che l’E. è un fenomeno storico-culturale di quasi due millenni, vissuto in aree diverse di tutti i continenti. Per cui occorre riconoscere differenze ed evoluzione nelle idee e nelle forme educative. Qui ci limitiamo a quelli che sono i principali aspetti condivisi.

1.​​ Presupposto e avvio​​ dell’educazione nell’E.​​ è la conoscenza e la pratica del volere divino​​ espresso dalla Bibbia, segnatamente dalla Torah (o Pentateuco) e dalla tradizione dei padri o antenati. Tutto ciò è raccolto anzitutto nel Talmud, ma viene sempre vivificato da una rilettura attuale, in particolare tramite le feste e i riti. La continuità di credo, i connotati di una intensa spiritualità (nell’E. liberale), l’affermata identità etnica e la fedeltà alla memoria donano all’educazione ebraica i tratti di una vincolante unità.

2. Il legame alla tradizione, orale e scritta, ha determinato, specie nel passato, una forte attenzione all’educazione come istruzione,​​ dunque al momento didattico, all’insegnamento dettagliato e minuzioso, quasi formale, per cui l’educazione riceve un’impronta scolastica, bilanciando così la soggettività personale e l’inevitabile influsso delle culture nelle varie epoche e mantenendo una adesione e comprensione amorosa di un’eredità ricevuta. La scuola nel mondo ebraico gode di una giusta fama da ormai due millenni, dalle elementari alle accademie rabbiniche (Jeshivot).

3. In profonda sintonia con la rivelazione biblica, anche in quelle correnti moderne dell’E. che si distaccano dalla forma ortodossa,​​ l’attenzione all’uomo,​​ alla sua persona, alla sua dignità, al suo mistero sta al centro dell’educazione ebraica.​​ ​​ M. Buber, A. Heschel, E. Lévinas, F. Rosenzweig ne sono noti testimoni. In tale prospettiva, nell’educazione giocano un peculiare ruolo – insieme alla scuola – diversi altri fattori: la famiglia, vero luogo vitale di ogni educazione; l’impegno etico per cui l’educazione viene intesa come lotta tra inclinazione cattiva e inclinazione buona, determinando così una concezione dello sviluppo umano in termini fortemente morali, con particolare riferimento alla tappa dell’adolescenza, quando l’ebreo diventa​​ bar mitzwah, «figlio della legge», capace di ubbidienza alla norma e dunque di responsabilità; la cura del perfezionamento di sé, grazie in particolare ad una permanente istruzione degli adulti.

4. Dal punto di vista della​​ storia dell’educazione,​​ si distinguono il periodo del Talmud (I-VII sec. d.C.), medievale o Gaonico (dal nome del rettore delle accademie ebraiche), moderno, comprensivo delle correnti ortodosse come i​​ chassidim​​ dell’Europa orientale (sec. XVIII) e liberali o riformato nell’area nord-atlantica.

5. Nell’educazione in generale, in quella cristiana in specie, l’E. diventa passaggio obbligato anzitutto per il suo originale umanesimo, oggi tanto ignorato, ma anche per contrastare ogni forma di​​ antisemitismo, ancora ben radicato. Con esso si intende un atteggiamento negativo di fronte agli ebrei pensati come razza inferiore e dannosa. La Shoah od Olocausto ne è testimonianza terribile. A questo scopo è importante liberare previamente dall’antigiudaismo, ossia da un’interpretazione antiebraica dei testi del NT. Il Vaticano II (Nostra Aetate, 4) e il successivo Magistero segnano nella Chiesa una svolta decisiva.

Bibliografia

Toaff E. e A.,​​ L’educazione presso gli ebrei, Milano, Vallardi, 1971; Cavalletti S., «L’educazione ebraica», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. I, Brescia, La Scuola, 1977, 11-62; Meghnagi S., «Ebraica, educazione», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. III, Brescia, La Scuola, 1989, 4153-4158; Pontificia Commissione Biblica,​​ Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, Roma, LEV, 2001.

C. Bissoli