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DISEGNO DELLE RICERCHE

 

DISEGNO DELLE RICERCHE

Progetto che definisce i campioni inclusi nella ricerca, le modalità di controllo e di misurazione delle variabili studiate e degli effetti, l’assegnazione dei trattamenti. Il d.d.r. si può definire come la schematizzazione del ragionamento in cui si formalizza l’indagine scientifica su un problema. Ad es., un ragionamento quale: «il rapporto tra la variabile dipendente y e le due variabili indipendenti​​ x1​​ e​​ x2​​ è una funzione lineare della somma tra una costante​​ b0, l’effetto della variabile indipendente x1​​ con peso​​ b1​​ e l’effetto della variabile​​ x2​​ con peso​​ b2,​​ più un insieme di fluttuazioni​​ e​​ dovute a errori casuali», si può sintetizzare in:

y = b0​​ +b1x1​​ + b2x2​​ + e.

1.​​ Fasi della ricerca.​​ Il momento iniziale della ricerca empirica solitamente è una ricerca sulla letteratura scientifica pertinente, che induce a focalizzare gli obiettivi della ricerca, a formulare ipotesi in termini operativi che ne consentano la verifica o la falsificazione, a identificare gli strumenti di misura più validi per il progetto. Segue la descrizione accurata delle variabili oggetto di studio, sia in riferimento a teorie sia in riferimento agli indicatori empirici su cui si baseranno le misurazioni. A questo punto può essere delineato il d.d.r., in rapporto a cui viene definito anche il d. della campionatura e sono scelti gli strumenti di misura e i test statistici appropriati.

2.​​ Controllo della variabile sperimentale.​​ Il d.d.r. controlla la variabile sperimentale per: a) ridurre l’effetto della «varianza erronea», cioè dell’insieme degli effetti imputabili al caso; b) escludere l’effetto di variabili importanti che possano interferire con la variabile studiata, distorcendo il significato dei risultati. Le decisioni sul grado e le modalità del controllo sono fondamentali. Il massimo controllo si ha negli esperimenti di laboratorio, in cui si esplicitano tutti i possibili aspetti della relazione fra​​ x e y,​​ incluso l’influsso del ricercatore. In questo caso è massima la «validità interna» del d., ma viene meno la «validità esterna», cioè la possibilità di generalizzare i risultati estendendoli a situazioni della vita reale. Nelle «ricerche sul campo» il controllo sulla validità interna è minimo, perché il ricercatore non può modificare la maggior parte dei fattori che influiscono sulla variabile sperimentale. È però massima la possibilità di generalizzare i risultati a situazioni analoghe di vita reale, e quindi è maggiore la «validità esterna».

3.​​ Tipologia dei d.d.r.​​ Per le​​ ​​ scienze dell’educazione sono particolarmente rilevanti le contrapposizioni fra d. che mirano prevalentemente a: a) ridurre la variabilità erronea («rumore di disturbo») o, viceversa, ad aumentare il «volume» dell’informazione, incrementando il numero dei casi esaminati; b) controllare la validità interna garantendo il rigore della connessione ipotesi-risultati o, viceversa, controllare la validità esterna privilegiando la generalizzabilità; c) esaminare simultaneamente più campioni (d. «trasversali»), guadagnando tempo, o viceversa sottoporre lo stesso campione a misurazioni ripetute a distanza di tempo (d. «longitudinali»), guadagnando predittività; d) verificare o falsificare ipotesi rigorosamente formulate, o viceversa privilegiare funzioni prevalentemente esplorative (ricerche descrittive e​​ surveys);​​ in quest’ultima categoria si possono includere i modelli di «ricerca-azione», che mirano prevalentemente alla messa a punto di modelli operativi.

Bibliografia

Kerlinger F. N.,​​ Foundations of behavioral research,​​ New York, Holt,​​ 21973: Ercolani A. P. - L. Mannetti - A. Areni,​​ La ricerca in psicologia, Roma, NIS, 1990; Luccio R.,​​ Ricerca e analisi dei dati in psicologia, 2 voll.,​​ Bologna, Il Mulino, 1996; McBurney D. H.,​​ Metodologia della ricerca in psicologia,​​ Ibid.,​​ 32001; Nigro G.,​​ Metodi di ricerca in psicologia, Roma, Carocci, 2001; Di Nuovo S.,​​ Fare ricerca. Introduzione alla metodologia per le scienze sociali, Acireale / Roma, Bonanno, 2003.

L. Boncori




DISEGNO INFANTILE

 

DISEGNO INFANTILE

I primi studi sul d. libero dei bambini risalgono alla fine dell’Ottocento e inizio del Novecento. In questo periodo, si distinguono i contributi di C. Ricci (1887), di K. Lamprecht (1905), di​​ ​​ Claparède (1907), di G. Rouma (1912) e di G. H. Luquet(1913).

Le tappe di sviluppo del d.i. appaiono essere sorprendentemente costanti e riscontrabili in tutte le varie culture. Verso i due anni il bambino inizia a comprendere che la matita può essere uno strumento di espressione di sé. Dopo i primi tracciati, che appaiono piuttosto automatici anche se già differenziati da bambino a bambino, emerge la capacità di scegliere un punto e, partendo da questo, seguire una direzione con un andamento a spirale. Successivamente vengono disegnate delle forme chiuse più o meno circolari, con un intento in qualche modo rappresentativo sia dei propri vissuti personali che degli oggetti. Verso i tre anni il bambino incomincia a fare d. più o meno riconoscibili come una persona (fase del cefalopode),​​ in cui lo schema umano è costituito da un cerchio, da cui emergono direttamente le gambe. Segue una fase nella quale allo schema precedente viene aggiunto un altro cerchio considerato come il tronco. Dopo i quattro anni il bambino giunge alla rappresentazione completa della persona in posizione frontale con aggiunta progressiva di particolari del corpo. Verso i sei anni, per indicare il movimento, la figura umana viene rappresentata anche di profilo.

2. I numerosi studi sul d.i. sono unanimemente giunti alla conclusione che il bambino attraverso di esso esprime il suo mondo interiore (sentimenti, desideri, ansie, conflitti, relazioni). In altri termini, proietta in qualche modo la sua storia di vita. Per questo motivo, è considerato come uno strumento privilegiato per la diagnosi. Ma il d., oltre che essere un mezzo diagnostico, si dimostra utile anche sul piano psicoterapeutico. Tenuto conto della difficoltà da parte del bambino di verbalizzare le proprie emozioni, è infatti molto proficuo nell’ambito del trattamento psicoterapeutico ricorrere, oltre che all’attività ludica, anche a quella grafica. Sono da segnalare in questo campo i contributi di​​ ​​ Klein, di A.​​ ​​ Freud e di​​ ​​ Winnicott.

Bibliografia

Winnicott D.W.,​​ Colloqui terapeutici con i bambini, Roma, Armando, 1974; Medioli Cavara F.,​​ Il d. nell’età evolutiva. Esercitazioni psicodiagnostiche,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1986; Balconi M. - G. Del Carlo Giannini,​​ Il​​ d. e la psicoanalisi infantile,​​ Milano, Cortina, 1987; Pizzo Russo L.,​​ Il​​ d.: Storia,​​ teoria,​​ pratiche,​​ Palermo, Aesthetica, 1988; Malchiodi C. A.,​​ Capire i d.i., Torino, Centro Scientifico, 2000;​​ Quaglia R. et al.,​​ Il d.i., Torino, UTET, 2001; Golomb C.,​​ L’arte dei bambini. Contesti culturali e teorie psicologiche, Milano, Cortina, 2004; Avalle V.,​​ Il d. del bimbo. Un linguaggio universale per seguire il suo sviluppo intellettivo, Ivrea, Hever, 2004;​​ Castellazzi V. L.,​​ Il test del d. della famiglia, Roma, LAS, 2006; Id.,​​ Il test del. d. della figura umana,​​ Ibid., 2007.

V. L. Castellazzi




DISEGNO SPERIMENTALE

 

DISEGNO SPERIMENTALE

Progetto che definisce i criteri di scelta dei soggetti, le modalità del trattamento sperimentale, i procedimenti di somministrazione del trattamento sperimentale e i metodi di misura e di analisi statistica usati nell’esperimento.

1. Il d.s. è un caso particolare di​​ ​​ d. della ricerca. Come quello, si può definire come la schematizzazione del ragionamento in cui si formalizza l’indagine scientifica su un problema. Gli esperimenti, nell’ambito delle «scienze umane», si propongono di descrivere l’effetto di «trattamenti» sperimentali (un metodo d’insegnamento, l’assunzione di un farmaco, la quantità di tempo d’esercizio, ecc.) su una qualche caratteristica di una determinata popolazione, oppure di verificare o falsificare ipotesi su tale effetto. Lo scopo principale del d.s. è evidenziare le relazioni tra variabili indipendenti e variabile dipendente, riducendo al minimo il «rumore» costituito dalla varianza erronea, ossia dall’effetto imputabile al caso. L’entità degli influssi casuali viene stimata in base alla varianza delle differenze tra individui: se questi non sono stati estratti a caso dalla popolazione che si vuole studiare (garanzia di «validità esterna» e quindi di generalizzabilità) e se non sono stati assegnati a caso ai vari trattamenti (garanzia di «validità interna» e quindi di non distorsione degli effetti), viene meno il termine di confronto su cui basa tutta la logica del d.s. I dati solitamente sono elaborati mediante analisi della varianza, più raramente con riferimento a modelli lineari, peraltro interpretabili anche in termini di analisi della varianza.

2. I d.s. fondamentali sono: a)​​ d. casualizzati semplici:​​ si estraggono più campioni casuali dalla stessa popolazione e a ciascun campione si somministra un trattamento diverso; b)​​ «trattamenti per livelli»:​​ dopo aver appaiato i soggetti con riferimento a una variabile di controllo (per es.: età) da ciascuno dei «livelli» vengono estratti tanti campioni quanti sono i trattamenti da somministrare; c)​​ «trattamenti per soggetti»:​​ tutti i trattamenti sono somministrati a tutti i soggetti successivamente, in ordine casuale; d)​​ d. fattoriali:​​ si confrontano gli effetti e le interazioni di due o più variabili sperimentali (nulla a che vedere con il metodo dell’analisi fattoriale); e)​​ d. basati su «blocchi»:​​ ogni trattamento è somministrato a un campione casuale di «blocchi» (per es. di classi scolastiche); ogni soggetto viene assegnato a un blocco secondo un preciso schema di casualizzazione, il più noto dei quali è il «quadrato latino», in cui ogni trattamento ricorre solo una volta per ogni blocco e solo una volta per ogni soggetto. Se i trattamenti confrontati sono più di due, l’analisi della varianza che include tutti gli elementi dell’esperimento può essere seguita da uno o più test «post hoc» in cui i trattamenti vengono confrontati due a due. I d.s., come in genere i d. di ricerca, possono essere attuati con un approccio trasversale (campioni diversi esaminati simultaneamente) o longitudinale («prove ripetute»).

Bibliografia

Lindquist E. F.,​​ Design and analysis of experiments in psychology and education,​​ Boston, Houghton Mifflin, 1953; Cochran W. G. - G. M. Cox,​​ Experimental designs,​​ New York, John Wiley & Sons,​​ 21957; Mendenhall W.,​​ Introduction to linear models and the design and analysis of experiments,​​ Belmont, Duxbury Press, 1968; Kerlinger F. N.,​​ Foundations of behavioral research,​​ New York, Holt,​​ 21973; Luccio R.,​​ Ricerca e analisi dei dati in psicologia, 2 voll.,​​ Bologna, Il Mulino, 1996.

L. Boncori




DISGRAFIA

 

DISGRAFIA

Disturbo dell’apprendimento nelle abilità di scrittura. Esso è spesso associato a forme di​​ ​​ dislessia. Più specificatamente si parla di d. quando si evidenziano difficoltà a riprodurre i segni alfabetici e numerici. In questo caso è coinvolto prevalentemente il grafismo dell’alunno, anche se si hanno conseguenze sulla difficoltà a seguire regole ortografiche e grammaticali. La diagnosi e la terapia conseguente prendono in considerazione le difficoltà di natura percettiva e di organizzazione spaziale e temporale, la lateralità e l’orientamento destra-sinistra, la rappresentazione dello​​ ​​ schema corporeo, la coordinazione motoria e la​​ ​​ memoria.

Bibliografia

Cornoldi C. (Ed.),​​ I disturbi dell’apprendimento,​​ Bologna, Il Mulino, 1991; Reid D. K. - W. P. Hresko - H. L. Swanson,​​ A cognitive approach to learning disabilities,​​ Austin, Pro-Ed,​​ 21991; Mc-Carthy R. A. - E. K. Warrington,​​ Neuropsicologia cognitiva,​​ Milano, Cortina, 1992; Pratelli M.,​​ D. e recupero delle difficoltà grafo-motorie,​​ Trento, Erickson, 1994; Brodini M.,​​ Le difficoltà di apprendimento, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 1998; Basagli C. (Ed.),​​ La d. senza dislessia. Dalla diagnosi alla riabilitazione, Ibid., 2007.

M. Pellerey




DISLESSIA

 

DISLESSIA

Disturbo o difficoltà permanente nell’apprendimento delle abilità di lettura. Esso può consistere: a) in una d. fonologica, nella difficoltà cioè di collegare fonemi a lettere, anche se si è in grado di leggere parole familiari (d. superficiale); b) in una d. di origine visiva, che si manifesta nella difficoltà a riconoscere correttamente le lettere di una parola; c) in una lettura senza significato, che si evidenzia in una capacità di lettura ad alta voce senza saper cogliere il significato di quello che si legge.

1. In ambito neuropsicologico si distingue tra d. acquisita e d. evolutiva e tra d. superficiale e d. profonda. La d. acquisita, come dice il nome, si riferisce a una difficoltà di lettura che interviene successivamente a uno sviluppo normale di tale capacità a causa di un trauma, di una emorragia o di un intervento chirurgico al cervello. La d. evolutiva, invece, emerge nel corso della crescita del soggetto, in genere quando egli apprende a scuola le tecniche di lettura. La d. superficiale si riferisce alla difficoltà di collegamento tra fonemi e grafemi, mentre quella profonda concerne la capacità stessa di riconoscere le parole e di collegarle al loro significato.

2. Le cause della d. sono state attribuite a vari fattori. Alcune correnti psicologiche la fanno risalire a disturbi emozionali legati alle relazioni interpersonali famigliari; altre, a disturbi nell’evoluzione biologica o a un minimo danno cerebrale; altre ancora, a mal funzionamento dei processi cognitivi. Da queste diverse interpretazioni della causa della d. derivano anche differenti indicazioni terapeutiche. Occorre però ricordare come gran parte dei soggetti che nel corso dei primi anni della scuola elementare manifestano forme di d. evolutiva superi tale disturbo negli anni scolastici seguenti. Gli studi sulle d. acquisite a seguito di lesioni cerebrali, dovute a incidenti, ictus o altro, forniscono indicazioni utili per interpretare i differenti fenomeni di d. registrati. Questo è un campo di indagine privilegiato degli studi di neuropsicologia cognitiva.

Bibliografia

Jadoulle A.,​​ Apprendimento della lettura e d.,​​ Roma, Armando, 1978;​​ Boltanski E.,​​ Dyslexie et dyslatéralité,​​ Paris, PUF, 1982;​​ Sartori G.,​​ La lettura: processi normali e d.,​​ Bologna, Il Mulino, 1984; Cornoldi C. (Ed.),​​ I disturbi dell’apprendimento,​​ Ibid., 1991; Reid D. K. - W. P. Hresko - H. L. Swanson,​​ A cognitive approach to learning disabilities,​​ Austin, Pro-Ed.,​​ 21991; Ellis A. W.,​​ Lettura,​​ scrittura e d.,​​ Torino, SEI, 1992; Leddomade B.,​​ La d.,​​ problema relazionale,​​ Roma, Armando, 1992; McCarthy R. A. - E. K. Warrington,​​ Neuropsicologia cognitiva,​​ Milano, Cortina, 1992; Stella G.,​​ D., Bologna, Il Mulino, 2004; Trisciuzzi L. - T . Zappaterra,​​ La d. Una didattica speciale per le difficoltà nella lettura, Milano, Guerini, 2005.

M. Pellerey




DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

 

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Limitando l’area di osservazione alle dimensioni europee della d.g., si rileva un primo elemento quantitativo diversificante: l’incidenza della d. di coloro che hanno meno di 25 anni e la portata dei suoi problemi variano notevolmente tra gli Stati membri della Unione Europea. «Il problema è particolarmente sentito in Italia, dove, nel maggio 1994, oltre la metà dei disoccupati era al di sotto dei 25 anni, anche se tale cifra risultava considerevolmente inferiore a quella registrata nel 1985, quando superava il 60%» (Commissione europea, 1994, 147).

1. Al di là di adeguate precisazioni sulle variazioni quantitative del fenomeno (decremento del tasso di natalità, permanenza prolungata o parcheggio nei sistemi formativi) e sulle indiscusse caratteristiche strutturali del medesimo, occorre rilevare come si sia attualmente più attenti a collegare le analisi economiche a quelle sociali e, per quanto attiene la d.g., alle situazioni problematiche della transizione dei​​ ​​ giovani alla vita attiva. Le categorie dei giovani dai 15 ai 29 anni, nella crisi strutturale dell’occupazione delle società industrializzate, vivono infatti esperienze personali diversificate per condizionamenti oggettivi e soggettivi, a cui si sommano spesso i ritardi e i limiti degli interventi istituzionali rivolti a discriminare positivamente le categorie svantaggiate culturalmente, socialmente, economicamente (giovani del Sud, ragazze, emigranti, disadattati,​​ drop-out...).

2. Nei Paesi del Nord Europa, come nel caso della Francia, le conclusioni di recenti indagini sulla situazione dei giovani disoccupati individuano due modelli estremi di precarietà giovanile. Il primo, riferito a giovani che si presentano sul mercato del lavoro con il solo titolo della scolarità dell’obbligo, si caratterizza per una situazione di «differimento subito» della tradizionale istantaneità e contemporaneità del reperimento di un’occupazione-matrimonio-autonomia dalla famiglia di origine. Un secondo modello, tipico dei giovani che dispongono di un titolo di livello secondario generico o con professionalità limitata, rivela situazioni di «istituzionalizzazione della precarietà», che potrebbero instaurare un processo di fissazione o di regresso rispetto al responsabile inserimento nella vita adulta.

3. Nei Paesi del Sud Europa le ricerche rilevano situazioni più diversificate, da cui non sono estranei i modelli culturali interiorizzati dai giovani durante il positivo o negativo percorso scolastico-formativo, la configurazione del mercato locale del lavoro, l’incidenza degli interventi normativi e legislativi rapportati a particolari situazioni di ragazze e ragazzi svantaggiati. Rispetto al ruolo del sistema scolastico, la sesta indagine Isfol sui «percorsi giovanili di studio e lavoro» conferma i risultati di varie ricerche rilevando come il sistema scolastico italiano, in tutte le sue articolazioni, tende a sovradimensionare le aspettative di inserimento-successo-soddisfazione professionale dei giovani, accanto ad un servizio insufficiente di orientamento, nonché ad un processo di selezione a più stadi di tipo non solo meritocratico, ma determinato dall’ambiente sociale e culturale di appartenenza, al quale si accompagna, però, una certa nuova tendenza dei giovani ad effettuare scelte formative in funzione (o in vista) di un dato progetto o obiettivo professionale, anche se realizzabile da una ristretta fascia giovanile (Isfol, 1989).

4. Quanto alla configurazione del mercato locale del lavoro, i risultati delle ricerche confermano empiricamente un ampliamento concettuale dell’occupazione / d.g., evidenziando un​​ continuum​​ di situazioni e di ruoli assunti da un medesimo soggetto, con conseguenti forme di lavori saltuari o precari assunte perlopiù da studenti che cercano poco attivamente lavoro e da quanti lo cercano ma ne accettano solo di un certo tipo, rifiutando ogni altra opportunità (Zucchetti, 1991).

5. Infine, nel raffronto tra le iniziative legislative e le politiche dell’Unione Europea – più orientate a sostenere e qualificare l’apprendistato (​​ formazione professionale), i contratti a tempo parziale, i contratti formazione / lavoro si constata in Italia il prevalere della tendenza ad affidare le soluzioni di tali problemi ad interventi settoriali o alle dinamiche del mercato del lavoro sia ufficiale, sia informale o sommerso (Censis, 1987). Le prospettive di contenimento, più che di soluzione, del problema della d.g., soprattutto in Italia, sembrano richiedere sia interventi complessivi ed articolati, che segnino un superamento della fase dell’emergenza, sia il potenziamento di strategie di progetto.

6. Tra la fine degli anni 2000 e l’inizio del nuovo millennio si sono registrati in Italia un aumento costante dell’occupazione e una riduzione corrispondente della d. e questo per effetto della vitalità e maggiore flessibilità del sistema (Censis, 2006). A sua volta, la d.g. (gruppo di età 15-24 anni) cala dal 27, 1% del 2002 al 20, 6% del 2006; come si vede, anche se il progresso è notevole, tuttavia l’entità del fenomeno rimane sempre grave in quanto il tasso si colloca intorno a un quarto della popolazione. Il dato inoltre presenta una notevole variabilità e il problema riguarda maggiormente le femmine, il Sud e i laureati. Nel confronto con gli altri Paesi dell’Europa, se è vero che l’Italia presenta una bassissima propensione al lavoro che la svantaggia nella competizione con gli altri Stati, è anche vero che al 2005 il tasso di d. era inferiore alla media europea.

Bibliografia

Cavalli A.,​​ La gioventù: condizione o processo?,​​ in «Rassegna Italiana di Sociologia» 21 (1980) 519-542; Censis,​​ Rapporto sulla situazione sociale del Paese,​​ Milano, Angeli, 1987; Isfol,​​ Percorsi giovanili di studio e lavoro, Ibid., 1989; Zucchetti E.,​​ Approccio locale al mercato del lavoro,​​ in «Professionalità» 11 (1991) 2; Commissione Europea,​​ L’occupazione in Europa 1994,​​ Lussemburgo, Comunità Europee, 1994; Minardi E.,​​ Dove va il lavoro in Italia, Faenza, Homeless Book, 1999; Censis,​​ 40° rapporto sulla situazione sociale del Paese. 2006, Milano, Angeli, 2006.

P. Ransenigo




disturbi dell’APPRENDIMENTO

 

APPRENDIMENTO: disturbi dell’

Difficoltà o incapacità di raggiungere i livelli scolastici attesi dall’ambiente socioculturale.

1. Si possono distinguere due tipi di disturbi: a)​​ disturbi generali di a.​​ e cioè difficoltà presenti in tutte le aree dell’a., per cui si verifica un rendimento scolastico globale inferiore alla media. È possibile individuare l’origine di tali disturbi nei fattori:​​ fisici​​ (lesioni cerebrali, sordità, cecità, o altri handicap di carattere organico);​​ intellettuali​​ (inibizione intellettiva);​​ affettivi​​ (carenze affettive, presenza di un elevato livello di​​ ​​ ansia, disturbi nevrotici o psicotici, stati depressivi, iperattività);​​ familiari​​ (disturbi psichici di uno o di entrambi i genitori, conflitti coniugali, separazione o​​ ​​ divorzio, elevate richieste e attese da parte dei genitori circa il rendimento scolastico o all’opposto loro incapacità a motivare adeguatamente i figli allo studio, eccessiva rivalità fraterna alimentata da sistematici confronti da parte dei genitori);​​ socio-culturali​​ (condizioni economiche sfavorevoli, basso livello sociale dove non è presente come valore l’istruzione scolastica); b)​​ disturbi specifici dell’a.,​​ per cui compaiono difficoltà in un settore particolare dell’attività scolastica. I soggetti interessati a tali disturbi abitualmente hanno un QI normale.

2. I principali disturbi specifici dell’a. sono: la​​ ​​ dislessia e la​​ ​​ discalculia. Il termine dislessia (dal gr.​​ dis:​​ difficile e​​ lexis:​​ parola) sta ad indicare la presenza di una difficoltà di lettura, per cui soggetti scolarizzati e d’intelligenza normale denunciano una grave difficoltà a decodificare le parole stampate. Non si può parlare di dislessia se non dopo i 7 anni. Prima di questa età infatti gli errori di lettura sono banali e frequenti. Tale disturbo è abitualmente accompagnato anche dalla​​ disortografia​​ e cioè da una difficoltà a scrivere correttamente. Inoltre esso è più presente nei maschi che nelle femmine, in rapporto da 4 a 1, e nei soggetti di età scolare lo si riscontra in una percentuale che oscilla tra il 5 e il 15%. Non si è di fronte ad una vera e propria dislessia, se la difficoltà di lettura è connessa con disturbi presenti anche in altri settori di a. (aritmetica, storia, geografia). Le principali modalità di espressione della dislessia sono: confusione di lettere con grafia simile (e-a, l-h, m-n); confusione di suoni simili (p-d, v-f); inversione cinetica di alcune lettere nella parola (in-ni, al-la); confusione di lettere graficamente simmetriche (n-u); omissione o aggiunta di lettere, sillabe o parole; contrazione e deformazione di sillabe, lettere o parole; righe saltate; punteggiatura e tono inesistenti; non distinzione delle parole simili tra loro. Da segnalare che oltre alla dislessia esiste anche il disturbo dell’iperlessia.​​ Esso consiste nella capacità, superiore alla media, di decodificare le parole senza però capirne il significato.

3. Circa l’eziologia​​ della dislessia ci sono due grandi correnti: a)​​ teoria del singolo fattore​​ che individua la causa in una disfunzione del processo visivo-spaziale; b)​​ teoria multifattoriale​​ che vede la dislessia come il risultato dell’influsso più o meno accentuato di due o più fattori tra loro connessi. Possono essere: fattori genetici, disturbi cerebrali, mancinismo contrastato, turbe della comunicazione verbale, cattivo orientamento visivo-spaziale, debolezza uditiva; disturbi dello schema corporeo, identificazione inadeguata, fissazione o regressione affettiva, inibizione intellettiva, turbe della funzione simbolica, carenze culturali. Relativamente al peso che i fattori elencati rivestono, si possono distinguere diversi tipi di dislessia: a)​​ costituzionale.​​ È la più grave e la più difficile da curare. Essa è collegata ad una cattiva lateralizzazione, a disturbi del linguaggio, a perturbazioni gravi a livello dell’orientamento, con conseguenti disturbi a livello intellettivo e di personalità; b)​​ evolutiva.​​ È determinata dalla mancata individuazione del mancinismo fin dai primi esercizi scolastici o da un metodo difettoso di apprendimento; c)​​ affettiva.​​ È legata ad un blocco affettivo-relazionale.

4. Rispetto alla dislessia, la discalculia è più rara. Essa consiste in una difficoltà a comprendere ed utilizzare i numeri e quindi in una incapacità di effettuare operazioni aritmetiche elementari (addizione, sottrazione, ecc.) e conseguentemente, nelle scuole superiori, in un insuccesso nel campo della geometria, della fisica e della chimica, pur in assenza di una compromissione delle altre forme di ragionamento logico e di simbolizzazione. La discalculia è più presente nelle femmine che nei maschi. Nelle espressioni più correnti la discalculia è associata alla disgnosia digitale (difficoltà di riconoscere le dita) e all’aprassia costruttiva (difficoltà a riconoscere e a riprodurre i gesti e le figure nello spazio, come, ad es., un triangolo o una croce). La forma più completa di tale disturbo è la​​ sindrome di Gerstmann.​​ Essa comprende i seguenti sintomi: discalculia, disgnosia digitale, difficoltà di strutturazione spaziale e cioè indistinzione sinistra-destra, disgrafia, aprassia costruttiva, disprassia digitale. Circa l’eziologia​​ della discalculia vale quanto detto a riguardo della dislessia.

5. Si calcola che il 10-15% dei soggetti in età scolare denunci dei disturbi generali dell’a. e che il 5-10% sia coinvolto in un qualche disturbo specifico.

Bibliografia

Salzberger-Wittenberg I. - G. Henry-Polacco - E. Osborne,​​ L’esperienza emotiva nei processi d’insegnamento e di a.,​​ Napoli, Liguori, 1987; Jadoulle A.,​​ A. della lettura e dislessia,​​ Roma, Armando, 1988; Leddomade B.,​​ La dislessia. Problema relazionale,​​ Ibid., 1988; Cornoldi C.,​​ I disturbi dell’a., Bologna, Il Mulino, 1991; Tarnopol L. (Ed.),​​ I disturbi dell’a. nell’infanzia,​​ Roma, Armando, 1993; Van Hout A. - C. Meljac,​​ Troubles du calcul et dyscalculies chez l’enfant, Paris, Masson, 2004; Martini A.,​​ Le difficoltà di a. della lingua scritta. Criteri di diagnosi e indirizzi di trattamento, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 2004; Pratelli M.,​​ Le difficoltà di a. e dislessia. Diagnosi,​​ prevenzione,​​ terapia e consulenza alla famiglia, Bergamo, Junior, 2004; Catalano Sanchez R. - M. C. Ruffini Lasagna,​​ Disturbi dell’a. scolastico, Roma, Armando, 2004.

V. L. Castellazzi




DIVERTIMENTO

 

DIVERTIMENTO

Le moderne enciclopedie definiscono ancora oggi il d. in rapporto a ciò che serve a svagare, a distrarre, a rallegrare lo spirito, a sollevare l’animo dalle cure quotidiane, dalle fatiche del lavoro, dalle preoccupazioni.

1. Dal punto di vista storico-fenomenologico, in realtà ogni civiltà ha saputo creare da sempre i propri «spazi» per divertirsi: i greci con le olimpiadi, i romani con i​​ circenses,​​ i medioevali con i tornei. Ai giorni nostri le occasioni per divertirsi sono espresse in variegate forme, contesti e dimensioni: si va dai d. che si possono fare nella​​ privacy​​ della propria abitazione alle palestre e ai ben attrezzati campi da gioco, dalla stampa ai programmi televisivi fino all’utilizzo di sofisticati​​ software​​ informatici, dall’ascolto individualizzato della musica alle discoteche / balere e ai concerti in piazza, dalle scampagnate al turismo organizzato, dalla partecipazione ad un gruppo informale di amici ai d. di massa. A seconda dei casi, quindi, il d. può essere suddiviso in base a differenti settori e bacini d’utenza; prolificano le associazioni ed i clubs con l’unico scopo di far divertire; l’organizzazione di feste e di spettacoli di massa rientra sempre più nei piani e nei bilanci delle amministrazioni pubbliche e degli Enti patrocinanti. Da quando c’è più tempo per divertirsi l’«industria del d.» ha moltiplicato le opportunità a tal punto da diventare un settore trainante dell’economia, della cultura e dell’immagine stessa di una società o di un Paese.

2. Dal canto suo, la sociologia ha predetto da anni l’avanzare di una «civiltà del d.», i cui macrofenomeni emergenti sono dati dalla diffusione del​​ ​​ consumismo, dalla universalizzazione dei prodotti attraverso la produzione di massa, dalla commercializzazione delle informazioni su base mass-mediale. Ma la gente si diverte davvero, ed inoltre si può considerare il d. un fattore fine a se stesso? Nell’inquadrare il fenomeno dal punto di vista psico-pedagogico, la concezione edonistico-evasiva del d. appare del tutto riduttiva, soprattutto se considerata in funzione delle potenziali opportunità formative che può offrire il d. Autori come J. Dumazedier tendono infatti a superare tale visione per inquadrarlo nell’insieme delle occupazioni circoscritte al tempo libero alle quali l’individuo si dedica sia per riposarsi e per svagarsi, ma anche per cogliere l’opportunità di formarsi, di partecipare alla vita sociale, di sviluppare le proprie capacità di libera espressione. Che differenza c’è allora tra il d. ed il​​ ​​ tempo libero? Effettivamente risulta difficile operare una distinzione tra i due concetti dal momento che il tempo libero ingloba anche il d., ed entrambi risultano strettamente correlati al fattore «tempo»: con l’aumentare del tempo libero e con il suo espandersi a livello di massa si sono moltiplicate parallelamente anche le occasioni (e / o le ragioni) per consumarlo divertendosi.

3. Tutto ciò richiama all’urgenza di intervenire in questo settore anche con delle proposte «formative». È questo il motivo per cui oggi il d. non può più essere considerato un semplice «momento accessorio» della società attuale, ma ne rappresenta piuttosto una funzione di vitale importanza in quanto è in grado di incidere e di contribuire alla trasformazione della stessa giocando al suo interno un proprio ruolo protagonista, facendosi cioè «spazio» e «momento» educativo. A questo punto il tentativo di inquadrare il d. in una «dimensione formativa» si fa tanto più urgente quanto maggiori sono le occasioni della sua espansione a livello di massa. Spetta adesso agli educatori riuscire ad occupare un tale spazio affinché diventi anch’esso un’«occasione-per-educare» (e non solo per divertire), riscoprendone i valori autentici di raccordo con la «qualità della vita», ed evitando al tempo stesso di relegarlo alla semplice funzione catartica di sfogo / evasione dai problemi del quotidiano.

Bibliografia

Huizinga H.,​​ Homo ludens,​​ Torino, Einaudi, 1968; Johannis T. B. Jr. - C. Neil Bull (Edd.),​​ Sociology of leisure,​​ Beverly Hills / London, Sage, 1971; Friedman M. et al.,​​ Gli ideali educativi.​​ Saggi di storia del pensiero pedagogico,​​ Brescia, La Scuola, 1972; Dumazedier J.,​​ Sociologia del tempo libero,​​ Milano, Angeli, 1985; Piccinelli R.,​​ Guida al piacere e al d., Ancona, EXA Media, 2005.

V. Pieroni




DIVORZIO

 

DIVORZIO

Il d. è, sotto il profilo giuridico, l’atto emesso da un’autorità riconosciuta con cui si pone termine al vincolo matrimoniale durante la vita dei coniugi, accordando ad essi il diritto di contrarre un nuovo matrimonio. Non vanno confusi con il d. né l’atto di​​ annullamento del matrimonio,​​ con il quale si dichiara che tra i coniugi non è mai esistito un legame coniugale, né la​​ separazione legale,​​ che consente o impone ai coniugi di condurre un’esistenza separata, ma non scioglie il vincolo matrimoniale.

1. In​​ Italia​​ il d. è stato introdotto per la prima volta con la legge 898 / 70 e confermato dal consenso popolare nel referendum del 12 / V / 1974. Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio veniva regolato da precise condizioni, modificate poi a seguito dell’entrata in vigore della legge 151 / 75 di Riforma del Nuovo Diritto di Famiglia e soprattutto con la legge 74 / 87 che riducendo a tre anni (dai cinque già fissati) dalla separazione il termine minimo per presentare la domanda di d., ne ha semplificato il processo ed abbreviato i tempi. In tutti i​​ paesi occidentali​​ per il forte aumento della fragilità della famiglia e dell’instabilità coniugale il numero dei d. e delle separazioni legali è andato fortemente aumentando dal 1965 ad oggi. In​​ Italia​​ siamo passati dalle 5.600​​ separazioni​​ del 1965, alle 42.000 nel 1989, alle 45.754 nel 1992 (oltre 80 ogni 100.000 ab.), alle 48.198 del 1993, alle 60.281 del 1997, alle 71.969 del 2000, alle 79.642 del 2002. Per quanto riguarda i d.​​ l’andamento ha le stesse proporzioni, ridotte però di metà, e cioè dai 33.342 del 1997, ai 37.573 del 2000, ai 41.835 del 2002.

2.​​ Fattori concausali​​ nel processo di d. si ritrovano generalmente nei mutamenti storici dell’organizzazione economico-sociale, nell’individualismo affettivo, nella riduzione dell’interdipendenza economica tra marito e moglie, nell’ingresso sistematico della donna nel mercato del lavoro, nella maggior attenzione accordata alla ricerca della propria felicità individuale attribuita al matrimonio e a percorsi alternativi, nella riduzione del controllo e della riprovazione sociale, nella più ampia possibilità di contatti con l’ambiente esterno alla famiglia e di rapporti paritari all’interno della coppia, nello stesso rito civile di celebrazione delle nozze. Il d. giuridico però è sempre preceduto dal d. affettivo e psicologico che lascia sempre effetti negativi sia sui coniugi che sui figli.

3. In una prospettiva​​ psicologica ed educativa​​ il d. è percepito come un fallimento personale per non avere potuto realizzare quella felicità attesa e progettata nei primi tempi. Ammettere tale insuccesso, a sé, agli amici e ai parenti contribuisce a indebolire la propria immagine di sé. Sui figli la separazione dei genitori sconvolge la struttura delle identificazioni e delle relazioni oggettuali, provoca reazioni di aggressività, sensi di colpa e operazioni difensive e insieme protettive. Tutto ciò avviene anche se il d. è vissuto in forme differenziate secondo l’età, il sesso, la qualità del legame familiare, l’educazione ricevuta e la capacità di tollerare relazioni parentali non più lineari, ma traversate da forti interferenze. Forte però è il rischio che i figli riproducano nella propria coppia le stesse interazioni patologiche occorse ai genitori.

Bibliografia

Maggioni G.,​​ Il​​ d. in Italia,​​ Milano, Angeli, 1991; Barbagli M. - C. Saraceno,​​ Separarsi in Italia, Bologna, Il Mulino, 1998; Van Cutsem Ch.,​​ Le famiglie ricomposte, Milano, Cortina, 1999; Istat,​​ L’instabilità coniugale in Italia: evoluzione e aspetti strutturali, Roma, Istat, 2001; Bauman Z.,​​ Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma / Bari, Laterza, 2004; Iori V.,​​ Separazioni e nuove famiglie, Milano, Cortina, 2006; Istat,​​ Matrimoni,​​ separazioni e d.-2003, Roma, Istat, 2007.

R. Mion




DOCIMOLOGIA

 

DOCIMOLOGIA

H. Piéron ha proposto di chiamare d. (dal gr.​​ dokimázo,​​ valuto, stimo, e​​ lógos​​ discorso sistematico, scientifico) lo studio dei problemi posti dalla​​ ​​ valutazione. Il termine è rimasto prevalentemente nei Paesi francofoni. In genere si preferisce parlare di «studio della valutazione scolastica» o si ricorre a denominazioni più settoriali (studio dei​​ ​​ voti, degli​​ ​​ esami, del​​ ​​ profitto),​​ per trattare le funzioni e le carenze del valutare.

1. Gli studi docimologici inizialmente (dopo la metà dell’Ottocento) hanno evidenziato la mancanza di validità e di affidabilità delle abituali valutazioni scolastiche. Sono state documentate così le discordanze emergenti tra più correttori posti davanti allo stesso prodotto e dello stesso correttore chiamato a valutare la medesima prestazione in tempi o in situazioni diverse. È stata segnalata inoltre la scarsa predittività degli esami d’ammissione. J.M. Rice, uno dei pionieri della​​ ​​ pedagogia sperimentale, ha dato inizio alle grandi inchieste sul profitto degli alunni, utilizzando strumenti tipificati per poter così fondare conclusioni utili per migliorare il sistema scolastico e fornire ai docenti termini di confronto al di là della loro esperienza (​​ standard). Nel 1931 la Carnegie Corporation ha finanziato una ricerca internazionale sugli esami finali nella scuola secondaria affidandola al Teacher’s College della Columbia University. Sono stati così pubblicati vari studi nazionali di notevole impegno. In questo modo l’importanza della d. è stata ufficializzata e si è avviato lo scambio tra studiosi di diversi Paesi. Ben presto dalla disamina dei voti si è passati alle loro correzioni statistiche e alla revisione di tutto il processo di valutazione, attraverso la messa a punto di strumenti di rilevazione del profitto di tipo oggettivo. Si è transitati così dalla prima fase critica della d. a quella propositiva, detta del​​ Measurement.​​ A questa si sono affiancati successivamente studi centrati sugli aspetti formativi della valutazione che ne hanno esteso gli strumenti e arricchito le strategie (Evaluation). Si è cercato quindi d’individuare i fattori che producono i dissensi e le anomalie docimologiche con vari paradigmi (cfr. ricerche di​​ ​​ Calonghi, Noizet e Caverni per es.). Attualmente il focus si è spostato sulla necessità di valutare in forma integrata i saperi scolastici e le acquisizioni dell’esperienza secondo le istanze del mondo reale (valutazione autentica,​​ valutazione di competenze).

2. Di fatto la d. si è ispirata per alcune soluzioni ai principi della​​ ​​ psicometria, ma lo stimolo efficace per il suo pieno sviluppo deriva dalla​​ ​​ didattica. Quest’ultima, al momento della verifica, ha bisogno di fatti certi a proposito delle innovazioni adottate e lo studio critico delle valutazioni è il momento base, che aiuta a fornirgliene.

Bibliografia

Piéron H.,​​ Examens et docimologie,​​ Paris, PUF, 1963; Bonboir A.,​​ La docimologie,​​ Paris, PUF, 1972; Calonghi L.,​​ Valutare,​​ Novara, De Agostini, 1983; Coggi C. - A. M. Notti (Edd.),​​ D., Lecce, Pensa Multimedia, 2002;​​ Dubus A.,​​ La notation des élèves: comment utiliser la docimologie pour une évaluation raisonnée, Paris, Armand Colin, 2006.

L. Calonghi - C. Coggi