1

CUOCO Vincenzo

 

CUOCO Vincenzo

n. a Civitacampomarano (CB) nel 1770 - m. a Napoli nel 1823, uomo politico, storico, filosofo, pedagogista italiano.

Inizialmente avviato all’avvocatura, partecipa alla rivoluzione partenopea del ’99. Costretto all’esilio, trascorre un periodo a Milano ove scrive il​​ Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799​​ e il​​ Platone in Italia.​​ Fonda il «Giornale Italiano». Torna a Napoli (1805) e ricopre importanti cariche pubbliche. Membro della Commissione appositamente nominata dal re, redige il​​ Rapporto al re Gioacchino Murat e progetto di decreto per l’organizzazione della P.I.​​ (1809). Punto fondamentale del suo pensiero è una chiara derivazione dal​​ ​​ Vico con la conseguente valorizzazione della storia e, in questa, dell’insopprimibile opera dell’uomo (onde la Costituzione politica deve trovare la sua linfa vivificatrice negli usi e nella tradizione del popolo). Valore insostituibile ha l’educazione «senza la quale le migliori leggi restano inutili: esse potranno essere scritte, ma la sola educazione può imprimerle nel cuore dei cittadini». L’educazione deve essere​​ universale​​ (cioè comprendere tutte le scienze e tutte le arti),​​ pubblica​​ (trovare cioè il pieno appoggio nei pubblici poteri) e​​ uniforme​​ (in modo tale, però, che non ne venga «distrutta l’energia dell’individuo»). Un’educazione che «educhi gli uomini alla morale, insegnandola dalla prima età, insegnandola in tutte le età, mostrandola in tutti i modi», sì da educare «la nazione intera, rendendola egualmente potente di senno, di cuore, di mano». Il C., relatore della citata Commissione, prevede una struttura scolastica articolata in direzione generale, educazione primaria, media, sublime (università) concludendo: «in tutto il nostro progetto abbiamo proposto sempre lo scopo di perfezionare non solo le scienze, ma gli uomini».

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Cortese N. - F. Nicolini,​​ Scritti vari di V.C.,​​ Parte prima (1801-1806), Parte seconda (1806-1815), Bari, Laterza, 1924. b)​​ Studi:​​ Gentile G.,​​ V.C. pedagogista,​​ in «Rivista Pedagogica» (1908) 2, 161-180; 3, 257-284; Flores d’Arcais G.,​​ La pedagogia di V.C.,​​ Padova, CEDAM, 1948; Nicolini G.,​​ V.C. pedagogista politico, Padova / Rovigo, 1951; L aporta R.,​​ La libertà nel pensiero di V. C., Firenze, La Nuova Italia, 1957; Borghi L. (Ed.),​​ Il Risorgimento, Firenze, Giuntine-Sansoni, 1958; Gambaro A., «La pedagogia italiana nell’età del Risorgimento», in​​ Nuove questioni di storia del Risorgimento, vol. II, Brescia, La Scuola, 1977, 535-792; Scirocco A.,​​ L’Italia del Risorgimento​​ (1800-1860), Bologna, Il Mulino, 1990; Scuderi G.,​​ Storicismo e pedagogia. Vico,​​ C.,​​ Croce,​​ Gramsci, Roma, Armando, 1995; Flores d’Arcais G., «C.», in​​ Enciclopedia Filosofica, vol. III, Milano, Bompiani, 2006, 2488-2490.

F. De Vivo




CURE MATERNE

 

CURE MATERNE

La c. di una madre per il figlio si identifica con l’interessamento affettuoso e sollecito che la spinge a provvedere ai suoi bisogni sia di tipo fisico che emotivo.

1. Questa c. deve incominciare già in gravidanza in quanto tutto ciò che la madre vive influirà sensibilmente sul figlio. Infatti è stato ipotizzato, sulla base di diverse ricerche effettuate da psicologi e neurobiologi, che il feto, specialmente nelle ultime settimane di gestazione, accoglie ed in certo modo elabora gli stimoli che la madre consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente gli fa giungere.

2. Dopo la nascita sarà più importante ancora il tipo di interazione che si stabilirà tra il bambino e la madre sulla base della modalità di c. adottata da questa. In tale compito la madre è aiutata nei primi tempi dalla «preoccupazione materna primaria» (Winnicott, 1981, 186), un’elevata identificazione con figlio, che l’aiuta a cogliere le sue prime necessità e bisogni. Molta ricerca ha evidenziato l’importanza della capacità materna sia di fornire c. per il sostentamento materiale che di avere scambi affettivi sintonizzati con il vissuto emotivo del figlio (Stern, 1998). C.m. almeno «sufficientemente buone» (Winnicott, 1981, 64) nel rispondere con prontezza ed in modo costante alle richieste del figlio, nel mostrargli con le parole ed il comportamento non verbale una piena accettazione di tutti i suoi vissuti, avranno un influsso positivo sullo sviluppo del bimbo. Tutto ciò, infatti, influisce sul tipo di attaccamento che questi svilupperà, attaccamento che da vari studi risulta essere un potente organizzatore del successivo sviluppo psico-sociale del bambino, con ripercussioni anche sul suo sviluppo cerebrale (Siegel - Hartzell, 2005). Per il bambino è pericolosa non tanto la perdita delle c. materiali della madre, che però all’occorrenza possono venir soddisfatte altrettanto bene anche da altre persone, quanto la privazione o la diminuzione del legame affettivo con la madre stessa. Questo può avvenire per vari motivi legati a problemi personali della madre, che possono essere presenti già da prima della nascita del figlio. Fra i tanti ci può essere il timore per la gravidanza, sia desiderata che non voluta, la delusione circa il sesso del bambino, l’inconscio rifiuto, attraverso il figlio, di qualcosa di sé, o anche difficoltà legate a modelli relazionali negativi sperimentati con i propri genitori e non elaborate. Il disagio materno che a volte giunge fino all’impossibilità psicologica di accudire serenamente il figlio, può favorire in lui difficoltà fisiche, cognitive, esperienziali che potranno evidenziarsi nell’arco della vita e che sarà necessario sanare.

3. È importante che il modo di provvedere ai bisogni del bambino cambi quando questi, crescendo, ha necessità di una guida che non sia iperprotettiva e che lo prepari, attraverso un’accurata frustrazione e una graduale responsabilizzazione, a saper vivere in un mondo che presenta rischi, difficoltà e nel quale esistono norme e valori da seguire. La c.m. deve dunque essere integrata con proibizioni ed eventuali rimproveri attraverso i quali il figlio possa venire a conoscenza di ciò che la società esigerà da lui ed a prevedere, per evitarli, gli eventuali pericoli. Il modo nuovo di manifestargli affetto e apprezzamento, come pure il rispetto verso la sua maggiore capacità cognitiva, permetterà al figlio di sentire che nei momenti di crisi può comunque contare sull’appoggio e l’interessamento della madre e che, sentendosi protetto grazie a questo, potrà raggiungere una valida consapevolezza di sé ed un buon grado di​​ ​​ socializzazione.

Bibliografia

Bowlby J.,​​ C.m. e igiene mentale del fanciullo,​​ Firenze, Giunti Barbera, 1971; Id.,​​ Attaccamento e perdita,​​ voll. I e II, Torino, Bollati Boringhieri, 1978; Winnicott D. W.,​​ Sviluppo affettivo e ambiente,​​ Roma, Armando,​​ 31981; Stern D. N.,​​ Il mondo interpersonale del bambino,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1992; Id.,​​ Le interazioni madre-bambino nello sviluppo e nella clinica,​​ Milano, Cortina, 1998; Siegel D. J. - M. Hartzell,​​ Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta ad essere genitori,​​ Ibid., 2005.

W. Visconti - C. Messana




CURRICOLO

 

CURRICOLO

L’insieme delle esperienze di apprendimento che una​​ ​​ comunità scolastica progetta, attua e valuta in vista di​​ ​​ obiettivi formativi esplicitamente espressi. Dal lat.​​ currere​​ (correre), tradizionalmente indicava il corso di studi frequentato o da frequentare per raggiungere un certo livello di qualificazione scolastica o accademica. Nell’antichità veniva usato anche per indicare ogni carriera politica, culturale, militare. Ancor oggi un​​ curriculum vitae​​ è l’insieme degli studi compiuti e delle esperienze e competenze professionali raggiunte nel corso della propria vita.

1.​​ La nascita dell’idea attuale di c.​​ L’autore, che ha avuto, e ha tuttora, una grande influenza sullo sviluppo degli studi curricolari è Ralph Tyler. In un volumetto del 1949 dal titolo​​ Principi fondamentali per il c. e l’insegnamento,​​ con buon senso e penetrante lucidità gettava le basi di un’impostazione razionale della programmazione della formazione scolastica. Non si trattava, come lui stesso ha sottolineato, di un manuale per costruire un programma educativo, ma solo di uno schema di come esso dovrebbe configurarsi per poter diventare un vero strumento di formazione. Tale schema partiva dall’enunciazione di quattro domande fondamentali, cui occorreva successivamente rispondere per sviluppare qualsiasi c. o piano educativo. Le domande erano: 1) Quali sono le finalità educative che la scuola dovrebbe cercare di raggiungere? 2) Quali esperienze educative, verosimilmente adatte a raggiungere queste finalità, sono disponibili? 3) Come possono in concreto essere organizzate queste esperienze? 4) In quale modo è possibile verificare che queste finalità sono state raggiunte? Queste quattro domande e le relative risposte costituiscono, secondo Tyler, il «quadro di riferimento razionale secondo il quale esaminare i problemi del c. e dell’educazione» (Tyler, 1949, 2).

2.​​ Primi sviluppi.​​ Un’analoga, anche se più sostanziosa impresa, fu compiuta da una allieva di Tyler, Hilda Taba (1962), che impostò un percorso razionale di sviluppo di un piano educativo secondo una serie di passi successivi: 1) diagnosi dei bisogni; 2) formulazione degli obiettivi; 3) selezione dei contenuti; 4) organizzazione dei contenuti; 5) selezione delle esperienze di apprendimento; 6) organizzazione delle esperienze di apprendimento; 7) determinazione di ciò che si deve valutare, di come e con quali strumenti è possibile farlo. Se l’intervento deve essere personalizzato è inevitabile giungere ad una conoscenza più approfondita di ciascuno degli allievi: questa è una condizione previa per poter ritagliare su misura un piano educativo. Da questa valutazione iniziale emerge la domanda educativa, cioè l’insieme di conoscenze, abilità e atteggiamenti di cui i giovani necessitano per poter procedere più sicuramente e validamente non solo nelle esperienze scolastiche, ma soprattutto in quelle della vita e della professione. Tra il 1969 e il 1983 Schwab in una serie di interventi, ha criticato la tendenza sviluppatasi dopo Tyler, diretta verso un’eccessiva teorizzazione degli studi curricolari. Il concetto base da cui Schwab parte è quello di «arte del pratico», in altre parole arte del deliberare. Schwab si colloca nel quadro di riferimento elaborato da Tyler, ma ne critica due punti. Il primo concerne l’eccessiva enfasi di Tyler nei riguardi della definizione degli obiettivi. Il problema sta nel fatto che questi si presentano spesso ambigui ed equivoci e quindi offrono poca «materia concreta» per prendere decisioni pratiche. Inoltre è facile giungere a falsi consensi. Il secondo riguarda la poca attenzione posta sulla difficoltà del processo deliberativo, difficoltà derivante dalla complessità del compito. Una mancata formazione alla capacità di prendere decisioni, soprattutto in gruppo, rende impossibile ogni elaborazione curricolare effettiva. Nel frattempo un gruppo di allievi e collaboratori di Tyler, poi giunti a livelli professionali elevati, sviluppava le sue idee soprattutto per quanto riguarda la definizione e la formulazione degli​​ ​​ obiettivi educativi e didattici. Tra questi si possono ricordare B. Bloom, R. Mager, L. Briggs.

3.​​ Alcuni sviluppi europei.​​ Il tedesco S. B. Robinsohn (1976), dopo aver soggiornato negli Stati Uniti al fianco di R. Tyler, propose in Germania nel 1967 un modello di lavoro per l’organizzazione dei c. scolastici, che in qualche modo tenesse conto di due campi principali di applicazione: quello prevalentemente orientato alla formazione culturale e personale degli allievi e quello principalmente diretto alla loro preparazione professionale. Il punto di partenza per la definizione degli obiettivi educativi e didattici non era tanto collegato da Robinsohn con le analisi dei bisogni individuali, quanto con la ricerca delle situazioni di vita, che con ogni probabilità i giovani si sarebbero trovati a dover affrontare in un più o meno prossimo futuro. La capacità di dominare tali situazioni di vita, secondo questo Autore, può essere scomposta in alcune competenze, qualificazioni e atteggiamenti, che le fanno da presupposto. Dalla individuazione di queste qualifiche deriva la possibilità di selezionare le parti componenti l’intero percorso educativo che si intende organizzare e, in particolare, gli obiettivi. È evidente lo sforzo di ricollegare i bisogni educativi degli allievi con l’insieme delle situazioni personali, sociali, politiche e professionali, che essi dovrebbero saper affrontare in maniera positiva al termine dell’esperienza scolastica. In Inghilterra sono stati particolarmente significativi i contributi di A. V. Kelly e L. Stenhouse. Kelly (1977) riprende e sviluppa alcune utili distinzioni a proposito dei c., anche se si muove nella tradizione inglese di un grande decentramento decisionale, tradizione ora modificata dalla riforma scolastica del 1988, che ha introdotto un «c. nazionale», cioè un programma di studi deciso centralmente da un Comitato nominato dal Ministero dell’ educazione. Egli infatti distingue tra il c. relativo al processo d’insegnamento di una specifica disciplina, quello di un corso di studi e quello di una scuola vista nel suo complesso. Infatti diverse sono le persone, le competenze, le responsabilità coinvolte ai vari livelli; diversi sono i risultati che ci si aspetta di ottenere, il loro grado di specificità e di operatività. D’altra parte è utile anche insistere sulla differenza tra c. ufficiale, c. effettivamente seguito e c. nascosto, quello che può riferirsi ai​​ ​​ valori che fanno da riferimento all’organizzazione e al sistema di relazioni presente nella scuola oppure alle credenze e prospettive del singolo docente. Spesso il c. nascosto è più influente degli altri sullo sviluppo della persona. Infine può essere fatta la distinzione tra c. formale, quello proprio dell’orario di lezione, e c. informale, quello che potremmo definire delle attività integrative o extracurricolari, tra le quali attività sportive, teatrali, ecc. Nel giungere a una definizione di c., Kelly preferisce muoversi in una prospettiva descrittiva più che prescrittiva e definisce il c. come «l’insieme di tutto l’apprendimento che è programmato e sviluppato dalla scuola, sia che si svolga individualmente sia in gruppo, sia dentro che fuori dalla scuola» (Kelly, 1977, 7). L. Stenhouse (1977) ha sviluppato un quadro che per molti versi si pone come alternativo, rispetto alle forme più rigide di organizzazione curricolare basate su obiettivi esplicitamente e chiaramente espressi. Per Stenhouse un c. è un tentativo di rendere comunicabili i principi essenziali e le configurazioni concrete di una proposta educativa, in modo da renderla disponibile all’analisi critica e passibile di una effettiva traduzione operativa. In altre parole un c. è uno strumento per mezzo del quale una proposta educativa è resa pubblicamente disponibile. Esso include tanto il contenuto che il metodo e, nella più larga accezione, rende conto anche del problema affrontato, del suo sviluppo e del suo ruolo entro il sistema educativo. Il c. è considerato da Stenhouse, più come un processo di risoluzione dei problemi inerenti alla vita della scuola e della classe, che come un lavoro segnato da una tecnologia specifica e da scelte di natura ideologica o psicologica specifiche. È un’attività svolta da coloro che nella scuola vivono e lavorano, seguendo la logica della partecipazione democratica alle decisioni e quella di render pubblico e oggetto di analisi e discussione da parte della più larga comunità quanto deciso.

4.​​ Alcuni sviluppi italiani.​​ In Italia M. Pellerey negli anni settanta ha inquadrato il problema della progettazione, conduzione e valutazione dei c. scolastici nell’ambito di una rinnovata concezione della tecnologia dell’educazione che valorizza per analogia i passaggi propri di ogni tecnologia moderna: progettazione del prodotto e del processo produttivo, gestione della realizzazione del progetto, valutazione continua e finale del processo produttivo e del prodotto. Questa prospettiva va però oggi riconsiderata, tenendo conto della pratica educativa e didattica dei docenti, maggiormente legata alla cosiddetta saggezza pratica implicata nel saper prendere decisioni collettive in situazioni complesse e con forti caratterizzazioni contestuali. C. Scurati ha delineato in questo modo le caratteristiche di una programmazione curricolare: «Affrontare una programmazione vera e propria significa determinare precisi obiettivi formativi, operare delle scelte fra valori nell’universo della tradizione e della cultura esistente, articolare ed organizzare forme molteplici e compenetranti di intervento formativo e di comunicazione didattica. In una parola “gestire” con chiare finalizzazioni e complesse strumentazioni operative l’intero arco delle opportunità di sviluppo e di apprendimento di un gruppo di alunni, secondo cadenze ispirate ai nuclei costitutivi della realtà, della razionalità, della socialità e della pubblicità» (Scurati, 1977, 22-24). Recentemente la tematica del c. è stata ripresa da M. Baldacci (2006), che ha evidenziato i due piani secondo cui dovrebbe essere impostato un c.: uno più immediato riferito ai singoli contenuti delle discipline di insegnamento e uno più a lungo termine che tiene conto dello sviluppo delle competenze e delle disposizioni stabili.

5.​​ Tendenze successive negli Stati Uniti.​​ E. Eisner in una serie di interventi ha ripreso la definizione originaria di c. come includente: «tutte le esperienze che l’allievo ha sotto l’egida della scuola» (Eisner, 1985, 40). La parola «esperienze» si riferisce a quanto prova il singolo. In questo senso si può parlare di c. quando esso è stato sperimentato dagli alunni e non prima e, spesso, un alunno impara molto di più di quanto si svolge in classe o è inteso dall’insegnante: in esso giocano un ruolo importante anche gli aspetti informali. Quindi va sostenuta la distinzione spesso avanzata tra c. come esperienza vissuta e c. come documento scritto. D’altra parte la scuola ha una missione da compiere e dunque deve offrire un programma ai suoi utenti. Di qui un tentativo di definizione: «Il c. di una scuola o di un corso può essere concepito come una serie di eventi programmati che intende avere conseguenze educative per uno o più studenti» (Eisner, 1985, 45). Il concetto di c. è stato anche rivisitato dal punto di vista ideologico. M. Schiro (1978) ha indicato una griglia di analisi delle proposte curricolari che distingue due dimensioni. La prima ha come polarità estreme il privilegiare la fonte della conoscenza e l’uso della conoscenza; la seconda, la realtà soggettiva e quella oggettiva. La composizione delle due dimensioni dà origine a quattro quadranti entro i quali si possono collocare quattro differenti impostazioni che sottolineano rispettivamente l’alunno, le discipline di studio, la professionalità, la trasformazione sociale. Pinar e coll. (1995) e P. Slattery (22006) hanno riletto le proposte curricolari secondo molteplici prospettive, evidenziando non poche delle problematiche nascoste entro i vari testi sia ufficiali nazionali, sia elaborati dalle singole istituzioni scolastiche e formative, evidenziandone le assunzioni ideologiche spesso implicite.

Bibliografia

Tyler R. W.,​​ Basic principles of curriculum and instruction,​​ Chicago, University of Chicago Press, 1949; Taba H.,​​ Curriculum development: theory and practice,​​ New York, Harcourt, Brace and World, 1962; Schwab J. J. et al.,​​ La struttura della conoscenza e del c., Firenze, La Nuova Italia, 1971, 1-27; Robinsohn S. B.,​​ Curricula scolastici come fondamento di ogni riforma,​​ Roma, Armando, 1976; Frey K.,​​ Teorie del c.,​​ Milano, Feltrinelli, 1977; Kelly A. V.,​​ The curriculum.​​ Theory and practice,​​ London, Harper & Row, 1977; Meyer H. L.,​​ Introduzione alla metodologia del c.,​​ Roma, Armando, 1977; Scurati C.,​​ Un nuovo c. nella scuola elementare, Brescia, La Scuola, 1977; Stenhouse L.,​​ Dalla scuola del programma alla scuola del c.,​​ Roma, Armando, 1977; Schiro M.,​​ Curriculum for better schools,​​ Englewood Cliffs, Educational Technology Publications, 1978; Schwab J. J.,​​ Science,​​ curriculum and liberal education,​​ Chicago, The University of Chicago Press, 1978; Pontecorvo C. - L. Fuse,​​ Il​​ c.: prospettive teoriche e problemi operativi,​​ Torino, Loescher, 1981; Lawton D.,​​ Curriculum studies and educational planning,​​ London, Arnold, 1983; Eisner E. W.,​​ The educational imagination: On the design and evaluation of school programs,​​ New York, Macmillan,​​ 21985; Lewy A.,​​ The International encyclopedia of curriculum,​​ Oxford, Pergamon, 1991; Jackson P. W.,​​ Handbook of research on curriculum,​​ New York, Macmillan, 1992; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica,​​ Torino, SEI,​​ 21994; Pinar W. F. et al.,​​ Understanding curriculum, New York, P. Lang, 1995; Flinders T. (Ed.),​​ Curriculum studies reader, New York, Falmer, 2004; Baldacci M.,​​ Ripensare il c., Roma, Carocci, 2006; Slattery P.,​​ Curriculum development in the postmodern era, New York, Garland,​​ 22006.

M. Pellerey




DA SILVA Carlos Leôncio Alves

 

DA SILVA Carlos Leôncio Alves

n. a Recife nel 1887 - m. a Lorena nel 1969, educatore e pedagogista brasiliano.

1. Cresciuto in una famiglia «tradizionale e onesta» e in contatto con i primi missionari salesiani arrivati in Brasile, entra a far parte della congregazione religiosa fondata da don​​ ​​ Bosco per l’educazione dei giovani (​​ Salesiani). Compiuti gli studi umanistici e filosofici nel paese natale, continua gli studi ecclesiastici in Italia, ottenendo la laurea in teologia presso la Facoltà teologica di Torino (1916). Ordinato sacerdote, rientra in patria dedicandosi attivamente all’insegnamento e alla direzione di istituti educativi. Frutto delle sue lezioni, come professore di pedagogia nella scuola normale di Recife, è il saggio:​​ Pedagogía. Manual teórico-prático para uso dos educadores​​ (1938). Nel 1939 D.S. viene di nuovo in Europa, chiamato ora da don P. Ricaldone, Gran Cancelliere del Pontificio Ateneo Salesiano (PAS). Dopo aver visitato diversi centri universitari e dopo un periodo di studio a Friburgo, D.S. organizza presso il PAS di Torino l’Istituto Superiore di Pedagogia (oggi​​ ​​ Facoltà di Scienze dell’Educazione), diventandone primo decano (1941).

2. L’opera pratica di organizzatore è accompagnata da un serio impegno di «ripensamento attento e organico» della problematica pedagogica. La consapevolezza della complessità del fatto educativo porta D.S. ad affermare che esso non può essere affrontato solo in una prospettiva filosofica. La riflessione sull’educazione deve tener presenti tutti i dati riguardanti la realtà concreta dell’educando offerti dalle diverse scienze (fisiologia, biologia, psicologia, sociologia, storia, teologia). In questo campo D.S. diede un valido contributo.

Bibliografia

Sinistrero V.,​​ La «pedagogia» di C.L.D.S.,​​ in «Salesianum» 10 (1948) 242-256; Prellezo​​ J.​​ M.,​​ C.L.A.D.S., educador y pedagogo. En el centenario del nacimiento​​ (1887-1987),​​ in «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 97-120; Id.,​​ Salesiani scuola e educazione: repertorio bibliografico 1859-2002, Roma, FSE-UPS (p.m.),​​ 32002, 203-205.

J. M. Prellezo




DECISIONE

 

DECISIONE

Il termine d. indica la scelta di una linea di operazioni in un qualche campo. Non tutti i campi di d. entrano nell’ambito di questa opera: vi sono d. che riguardano la gestione di un’azienda, di un governo, e simili; i sistemi informatici contemplano d. al verificarsi di condizioni predefinite; nella voce presente si considerano unicamente le d. che vengono prese dalle singole persone e che contribuiscono a strutturare il loro futuro. La comprensione del processo di d. ha grande rilevanza educativa, poiché concerne l’iniziativa dell’educando nel costruire la sua persona; è pure chiara la rilevanza morale e giuridica di un processo che evidenzia la responsabilità del soggetto.

1.​​ Natura della d.​​ Occorre in primo luogo chiarire ciò che la d. non è. La d. di cui ci occupiamo non è solo la conclusione automatica di un calcolo di vantaggi e svantaggi delle varie alternative o di un semplice calcolo delle probabilità: in una simile d. la persona che decide non ha alcun ruolo; del resto d. di questa natura possono essere prese in modo anche più chiaro da un computer. A questo riduzionismo deterministico si oppone talora un «libero arbitrio» ugualmente riduttivo: la persona che decide non è solo un «io» o una pura «volontà», ma è una struttura complessa, di intenzioni e abitudini, di impulsi e pressioni sociali, di sentimenti ed esperienze, sospesa tra il passato e il futuro: quando si prendono delle vere d., non si esperimenta la gioia di celebrare la propria libertà, ma si sente il peso e la sofferenza di ciò che si lascia e di ciò che ci si promette di fare. La struttura personale è a diversi gradi di integrazione, così che le singole condotte, e molto più i progetti per un futuro piuttosto vasto e importante, dipendono da dinamismi centrali, da concezioni, stili, intenzioni e progetti generali. È chiaro che la natura della d. appare soprattutto dove sono in gioco cose importanti per il soggetto. La d. si potrebbe perciò descrivere come l’incontro di un progetto o stile generale della persona con situazioni importanti che rappresentano una sfida a tale progetto. L’esito di questo incontro sarà l’incarnazione di questo «io» profondo nelle circostanze concrete, e insieme una chiarificazione della situazione in cui la persona è coinvolta. La d. emerge spesso come risposta ad un conflitto, che nasce sia dalla difficoltà di continuare ad essere se stessi, sia dai nuovi compiti che lo sviluppo impone. A differenza però dei​​ ​​ meccanismi di difesa la d. rappresenta una risposta cosciente, tesa non a difendersi ma a conquistare il proprio futuro.

2.​​ Fenomenologia della d.​​ Le indagini hanno messo in luce come il soggetto passi attraverso vari momenti nel cammino verso la d. Vi è una situazione iniziale che impone alla persona di prendere una d.: essa, confrontata con il conflitto sopra descritto, prova un disorientamento esistenziale di fronte al proprio futuro. Questo stato induce una ricerca in due direzioni: la persona si sforza di chiarire a se stessa qual è il suo progetto e stile personale, cos’è veramente importante per lei nella vita, e, d’altra parte, esamina le possibilità proposte dall’ambiente, e come superare le difficoltà che esso presenta. Spesso a questa fase di ricerca segue un periodo di distanziamento dal problema stesso; tale distacco diminuisce la pressione emotiva che potrebbe oscurare la considerazione e permette di badare ad aspetti più generali della situazione che contribuiscono a chiarire il conflitto e a prendere una d. soddisfacente. Infine, come si è detto, l’aver preso una d. significa poter integrare il seguito della vita con il nucleo dell’identità personale, o progetto generale, nucleo che sovente nel processo della d. viene esso stesso ridefinito e chiarito. Si è anche notato come le d., oltre al fattore della progettualità, sono debitrici anche ad altri fattori, come la pressione delle norme (sia esteriori che interiorizzate), e il peso dell’abitudine. Una volta presa una d., che è costata un notevole impegno psichico, la persona tende a difenderla davanti a se stessa e agli altri, con ragioni autentiche o con razionalizzazioni. L’andamento del processo di d. suggerisce anche una sua classificazione: situazioni urgenti e temperamenti pronti faciliteranno d. veloci e con poca riflessione (d. ardite); se invece la situazione lo permette e il carattere della persona è indeciso, si avranno d. spesso rimandate. Un tipo di d. particolarmente importante per l’educazione è rappresentato dalle cosiddette «d. crescenti»: queste riguardano la realizzazione dei grandi indirizzi e progetti di vita; avviate inizialmente in modo germinale, a poco a poco si possono sviluppare e rafforzare, coinvolgendo settori sempre più vasti della vita, con il crescere dell’esperienza e della percezione dei rispettivi valori. Tali sono le d. professionali, matrimoniali, vocazionali, morali di fondo.

3.​​ Applicazioni educative.​​ Alcune osservazioni possono contribuire ad una migliore comprensione educativa della d. In primo luogo si è parlato di un progetto o stile generale della persona come punto di partenza e come prodotto della d. Ora è chiaro che una tale strutturazione psichica richiede una maturità della persona: non può avere un progetto generale per la sua vita chi non è in grado di percepirla, almeno confusamente, come un tutto unico, che abbraccia le varie funzioni dell’organismo umano e insieme il proprio passato e il proprio futuro, e allo stesso tempo intuisce e cerca un bene generale per la sua persona così concepita. Tale maturità non pare possibile prima dell’​​ ​​ adolescenza, e può essere oscurata da vari condizionamenti. Una valutazione educativa, morale o giuridica di una d. deve tener conto di questi limiti. Ciò non significa che quando non si verificano queste condizioni non si debba fare nulla che riguardi la d. personale, anzi è compito dell’ educazione preparare le disposizioni per una vera d., educando ad aver fiducia in se stessi, a rispettare le esigenze della realtà, ad affrontare le difficoltà con coraggio. Un’altra indicazione educativamente rilevante può venirci dalla complessità della d.: se essa non coinvolge solo un io o una volontà astratta, ma tutta la persona, si avrà d. realistica solo se la persona saprà modificare, indirizzare, attivare tutte le componenti interessate alla realizzazione di quanto è stato deciso, e cioè pensieri, sentimenti, esperienze, valutazioni. Tale realismo di fronte ai propri progetti dovrebbe essere molto formativo e aiutare ad evitare un idealismo velleitario.

Bibliografia

Thomae H.,​​ Dinamica della d. umana,​​ Roma, LAS, 1964; Id.,​​ Conflitto,​​ d.,​​ responsabilità. Contributo alla psicologia della d.,​​ Roma, Città Nuova, 1978; Baron J.,​​ Thinking and deciding,​​ Cambridge, Cambridge University Press, 1988; Corradini A.,​​ Semantica della preferenza e d. etica,​​ Milano, Angeli, 1989; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia.​​ I.​​ Psicologia dinamica,​​ Roma, LAS, 1991; Klein G. A. (Ed.),​​ Decision making in action. Models and methods,​​ Norwood, Ablex, 1993; Tesio L.,​​ Decidere, Milano, Cortina, 2004;​​ Peralta Astudillo Mª J. - Mª J. Giménez Abad - R. Redondo Palomo,​​ Curso de decisión: conceptos y métodos, Madrid, Universitas, 2006.

A. Ronco




DECONDIZIONAMENTO

 

DECONDIZIONAMENTO

Significa​​ rimuovere​​ le circostanze che permettono il verificarsi del fenomeno dell’​​ ​​ insuccesso scolastico, o meglio gli ostacoli che impediscono la realizzazione del​​ ​​ diritto all’educazione. In corrispondenza si possono distinguere le possibili strategie in tre aree, dell’eguaglianza, della diversità e della corresponsabilità.

1. In relazione alla prima sarà anzitutto necessario procedere a un cambiamento delle logiche che presiedono al governo della scuola, puntando all’eguaglianza delle opportunità​​ tra gruppi sociali diversi. In particolare, si tratta di assicurare la parità dei risultati medi tra gli studenti di categorie diverse, o almeno di fissare soglie minime che tutti devono raggiungere e di garantire un sostegno particolare agli svantaggiati.

2. Sul piano della​​ differenziazione,​​ l’orientamento principale consiste nell’attuare una pedagogia personalizzata.​​ Questa significa fondamentalmente la messa in opera di quattro strategie: diversificazione dei contenuti dell’insegnamento secondo le potenzialità e l’interesse di ciascuno, differenziazione degli obiettivi (eguali nelle conoscenze fondamentali e diversi negli altri settori in base alle capacità e agli interessi degli allievi), diversificazione dei metodi e differenziazione temporale che vuol dire il riconoscimento ad ogni alunno della possibilità di studiare secondo il ritmo più confacente.

3. Passando all’area della​​ corresponsabilità, in particolare l’​​ ​​ autonomia della singola scuola permette a quest’ultima di diventare il centro di attribuzione di tutti i poteri che garantiscono alla​​ ​​ comunità educativa il controllo sul complesso delle condizioni del suo funzionamento, in modo da poter fornire risposte efficaci ai​​ ​​ bisogni educativi. Questa strategia dovrebbe consentire alle scuole di valorizzare le relazioni sociali, anziché renderle indifferenti e neutrali, come sta facendo la modernità, e di realizzare la socializzazione educativa come bene relazionale (Donati, 2006).

Bibliografia

Pieroni V. - G. Malizia,​​ Linee guida per la realizzazione di percorsi / progetti «destrutturati» per l’inclusione di giovani svantaggiati. I risultati di un’indagine conoscitiva, in «Rassegna CNOS» 21 (2005) 1, 53-63; Benadusi L., «Dall’eguaglianza all’equità», in N. Bottani - L. Benadusi (Edd.),​​ Eguaglianza ed equità nella scuola, Trento, Erickson, 2006, 19-38; Donati P., «Come combattere disagio giovanile e dispersione scolastica», in S. Versari (Ed.),​​ Cercasi un senso disperatamente, Napoli, Tecnodid, 2006, 57-78.

G. Malizia




DECOSTRUZIONISMO E EDUCAZIONE

 

DECOSTRUZIONISMO​​ E EDUCAZIONE

Con D. / Decostruzione (ingl.​​ Deconstruction; fr.​​ Déconstruction; sp.​​ Deconstrucción; ted.​​ Destruktion,​​ Abbau) si intendono normalmente due nozioni unite da un legame di mera filiazione storica, ma assai eterogenee tra loro: gli sviluppi del progetto heideggeriano di una​​ Destruktion​​ o​​ Abbau​​ della metafisica attraverso la ripresa critica dello strutturalismo; l’applicazione specifica alla critica letteraria di alcuni aspetti di questo progetto, sviluppatasi soprattutto nel mondo anglo-americano.

1.​​ Aspetti generali del d. La prospettiva decostruzionistica intende superare il logocentrismo della tradizione occidentale per accedere a un pensiero della​​ differenza​​ radicale (alterità, disseminazione, de-centramento). Irrimediabilmente frammentato, ipotetico, situato costituzionalmente​​ in itinere, il sapere – rinunciando a definire – parla, narra, racconta delle cose-eventi o di sé in modo da interpretare e così produrre nuove o rinnovate comprensioni che «sfondano» le comprensioni precedenti, non potendo più «fondare» alcuna posizione. In Derrida l’ermeneutica si accentua fino a consacrare l’irriducibile molteplicità e la dissoluzione dell’unità culturale, sociale ed esistenziale.

2.​​ Aspetti pedagogici. Il contesto generale del d. ha dato vita anche all’elaborazione di una decostruzione pratico-teorica della pedagogia e ad un nuovo modo di affrontare le questioni educative, di interpretare l’istituzione scolastica e familiare, di mettere a punto riflessioni «alternative». Suo risultato è stata l’elaborazione di un modello di pedagogia critico-radicale che sviluppa la sua riflessione su tematiche quali quelle relative al potere e al dominio (come infrastruttura della cultura / civiltà occidentale), al dualismo tra ragione e affettività (mente e sentimenti), all’etnocentrismo, all’ideologia, alla corporeità, alla mistificazione e all’insegnamento. Derrida a proposito di quest’ultimo tema sostiene che non vi è un carattere neutro e neutrale dell’insegnamento, perché esso si svolge dentro un’istituzione pedagogica che ha proprie forme, norme, obblighi visibili o invisibili, quadri di riferimento, ecc., e che – come tale – può e deve essere sempre sottoposta a critica radicale. Decostruzione e interpretazione si presenterebbero così come due vie complementari per la realizzazione dell’opzione di senso​​ nel sapere pedagogico che da inconscia o condizionata dovrebbe farsi libera, consapevole, razionale.

Bibliografia

Cambi F.,​​ D. e pedagogia. Note ed appunti, in «Studi di Storia dell’Educazione» 12 (1992) 5-34; Mariani A.,​​ La crisi del soggetto e la pedagogia contemporanea: il contributo dell’ermeneutica e del d., in «La Rivista di Pedagogia e Didattica» (2005) 5-6, 107-111; Id.,​​ Un modello attuale di filosofia dell’educazione: il d. pedagogico. Il profilo e il contributo, in «Rassegna di Pedagogia» 63 (2005) 3-4, 213-224.

M. Mantovani




DECROLY Ovide

 

DECROLY Ovide

n. a Renaix nel 1871 - m. a Uccie nel 1932, psicopedagogista belga.

1. Animatore della Società belga di pedotecnia (1905); fondatore della Scuola dell’Ermitage (1907); professore nella Scuola Normale e del Seminario di Buls-Tempels (1914); professore di psicologia all’Università di Bruxelles (1919). Data la sua preparazione medica e i suoi interessi per l’infanzia anormale​​ (Le traitement et l’éducation des enfants irréguliers),​​ D. anima il movimento pedologico (​​ pedologia), insistendo sull’opportunità di una​​ pedotecnia,​​ alla quale offre un notevole contributo, specie per quanto riguarda i reattivi mentali. Inoltre, partendo dal principio di un’attività spontanea del fanciullo, D. ritiene che la scuola non debba spezzare il flusso vitale che salda il bambino all’ambiente circostante. I bisogni biologici del l’individuo trovano in quelli culturali il loro corrispettivo nei​​ centri d’interessi​​ e nella funzione di​​ ​​ globalizzazione​​ (La fonction de globalisation et l’enseignement,​​ Séméiologie psychologique de l’affectivité,​​ con Vermeylen).

2. Partendo, quindi, da presupposti biologici D. si apre a degli orizzonti etici fondati sul diritto alla verità, su un’opportuna educazione sessuale, sulla costruzione della propria libertà attraverso un’attività interiore basata sull’iniziativa, responsabilità, disciplina ed ordine, attraverso il superamento di ogni ideologia. Inoltre, dato l’incremento demografico e il progresso tecnologico, D. partecipa attivamente alla costruzione di una scuola che si fa carico delle istanze democratiche e rieducative, soffermandosi sugli aspetti organizzativi scolastici e su alcune istanze che preludono alla docimologia, rivolgendo il proprio interesse all’organizzazione del lavoro scolastico e al controllo degli apprendimenti; il tutto con un approccio di tipo esperienziale, piuttosto che sperimentale come sarà svolto dal​​ ​​ Buyse.

Bibliografia

Bonn G.,​​ Initiation générale aux idées decrolyennes,​​ Bruxelles, Lamertin, 1937; Hamaide A.,​​ La méthode D.,​​ Paris / Neuchâtel, Delachaux / Niestlé,​​ 31956; Ministère de l’Instruction Publique,​​ Notice biographique sur l’oeuvre du docteur O.D.,​​ Bruxelles, Ministère de l’Instruction Publique, [s.d.]; Dubreucq F., «O.D.», in «Perspectives: revue trimestrielle d’éducation comparée» 23 (1993) 1-2, 251-276.

C. Trombetta




DEMOGRAFIA

 

DEMOGRAFIA

La d. si occupa dello studio quantitativo delle popolazioni umane.

1.​​ Oggetto,​​ strumenti e natura.​​ L’aggettivo «umane» non è superfluo, in quanto nella​​ ​​ statistica il termine popolazione viene usato in senso molto più vasto, per indicare una pluralità di entità (collettivo) che sono uguali rispetto a uno o più caratteri (es.: alunni della scuola dell’obbligo; libri presenti nella biblioteca scolastica). Ma anche a proposito delle popolazioni umane (o popolazioni nell’accezione comune del termine) occorre aggiungere che la d. si occupa di quelle collettività che presentano una certa continuità nel tempo e sono caratterizzate da modalità (territoriali, giuridiche, etniche, religiose) atte a favorirne l’identificazione e a precisarne i contorni. Di queste popolazioni vengono prese in considerazione caratteristiche strutturali (composizione secondo le modalità di diversi caratteri: sesso, età, stato civile, professione, titolo di studio) e dinamiche (fenomeni di movimento: natalità, mortalità, migrazioni). Tale studio ha uno scopo sia descrittivo che investigativo, nel senso della individuazione di leggi o regolarità demografiche e delle complesse relazioni tra caratteri demografici ed altri di natura biologica, economica e sociale. Per raggiungere i suoi obiettivi la d. usa abitualmente, anche se non esclusivamente, il metodo statistico, poiché esso rappresenta lo strumento per eccellenza nello studio quantitativo dei fenomeni collettivi.

2.​​ L’interesse per uno studio scientifico dei fenomeni riguardanti la popolazione.​​ Esso ha inizio con l’esame dei registri di mortalità e natalità delle parrocchie londinesi. Il merito di aver intrapreso questo tipo di studio va all’inglese J. Graunt (1620-1674) che ebbe l’intuizione di «sostituire alle considerazioni dei fenomeni della vita umana, uno studio per classi o gruppi omogenei espressi quantitativamente» (Boldrini, 1968, 58). Egli rilevò e calcolò, tra l’altro, l’eccedenza delle nascite maschili su quelle femminili; un rapporto numerico pressoché costante tra i sessi; la tendenza all’urbanesimo; una stima dell’ammontare della popolazione di Londra; un tentativo di tavola di mortalità, ecc. I dati su cui poteva contare Graunt erano ridotti e i procedimenti adottati ancora grezzi, ma quello che importa (per i successivi sviluppi) è il metodo: si basa su dati di fatto; elabora quantitativamente le informazioni raccolte; cerca conferme dei risultati ottenuti; individua regolarità. Si assiste in seguito ad un vivace e rigoglioso sviluppo della statistica demografica, che la porta ad assumere una posizione autonoma e trova una prima sistemazione nell’opera di J. P. Süssmilch (1707-1767). L’ultimo nome da ricordare, in questo breve riferimento agli iniziatori degli studi demografici, è quello di T. R. Malthus. Più che per l’impostazione dei problemi e la raccolta di documenti economici e demografici, il suo nome è ricordato per un’opera (Saggio sul principio della popolazione,​​ edita per la prima volta nel 1798) in cui teorizza il legame tra sviluppo demografico e sussistenza: la popolazione tenderebbe a crescere più velocemente (progressione geometrica) dei mezzi di sostentamento (progressione aritmetica) se non vi fosse il freno dei limiti dei mezzi di sussistenza. Le vedute di Malthus furono criticate da opposti punti di vista, ma al suo nome si continua a far riferimento anche oggi. Gli esempi riportati sopra sono limitati agli albori della d., in quanto non è possibile riassumere, anche solo schematicamente, il vasto e rigoglioso sviluppo degli studi demografici da Süssmilch ai nostri giorni.

3.​​ Temi di studio.​​ Punto di partenza può essere considerata l’informazione relativa all’ammontare della popolazione e alla sua distribuzione ed evoluzione. Un primo approfondimento riguarda aspetti strutturali: composizione per sesso ed età; stato civile. Ma anche altri caratteri sociali (livello di istruzione, professione, luogo di dimora: città-campagna) vengono presi in considerazione perché in grado di fornire indicazioni per un esame più approfondito del comportamento demografico. Particolare attenzione viene dedicata all’esame dell’andamento della natalità e mortalità, per il loro determinante contributo all’evoluzione dell’ammontare e della struttura della popolazione. Il movimento migratorio viene seguito con crescente attenzione per le conseguenze che può esercitare sull’ammontare della popolazione, sulla sua struttura e soprattutto per le ripercussioni di ordine economico, culturale e sociale ad esso collegate. In questo contesto vanno collocate anche le previsioni demografiche, cioè i tentativi di descrivere l’andamento futuro della popolazione sia nella sua consistenza globale che nella distribuzione secondo il sesso, l’età, lo stato civile, ecc. Di esse si avverte l’utilità, e cresce la domanda al riguardo soprattutto in vista di decisioni da prendere per far fronte ai problemi che lo sviluppo della popolazione pone. Gli studiosi di problemi demografici si sono gradualmente convinti che l’oggetto dei loro interessi rappresenta un punto d’incontro tra scienze che studiano l’influsso dei fattori naturali (genetici, biologici, dell’ambiente naturale) e di quelli sociali (culturali, economici, legislativi) sugli sviluppi della popolazione. La constatazione dei complessi legami tra fattori naturali e sociali porta a riconoscere alla ricerca demografica un esplicito carattere interdisciplinare. Di qui il fiorire e l’ampliarsi di nuovi settori di ricerca che tentano di approfondire i diversi aspetti (esigenza imposta dalla complessità dei fattori in gioco) ma anche di organizzare i risultati delle ricerche in vista della proposta di modelli con finalità applicativa. Un promettente sviluppo hanno assunto anche le ricerche di d. storica, volte allo studio di testimonianze sull’evoluzione passata delle popolazioni e sulle loro caratteristiche. Più in particolare la d. permette di disporre di informazioni di grande interesse relative alla famiglia e ai suoi problemi (andamento della nuzialità, separazioni legali e divorzi...), alla natalità (evoluzione nel tempo, nati legittimi e naturali), alla mortalità (evoluzione nel tempo, durata media della vita, mortalità infantile...). Confronti internazionali aiutano a collocare i dati relativi ad un Paese nel più ampio contesto mondiale.

4. Dato l’impatto che l’andamento demografico ha su tutti i grandi settori della società (politico, economico, sociale, etico...), viene dedicata grande attenzione alla documentazione seria e sistematica in proposito. Ad essa provvedono a diversi livelli, appositi uffici statistici come quello delle Nazioni Unite, attraverso il​​ Demographic Yearbook, e le pubblicazioni di EUROSTAT (Ufficio Statistico della UE), il cui accesso è gratuito. Per l’Italia, in particolare, va ricordato il Sistema Statistico Nazionale, affidato all’ISTAT, di cui fanno parte gli uffici di statistica ai diversi livelli. Per quanto riguarda la d., l’ISTAT dispone di un sito ufficiale per la diffusione delle statistiche demografiche,​​ D. in​​ cifre​​ (http: / / demo.istat.it) a cui si può accedere liberamente, scaricando i dati che interessano, in formato direttamente utilizzabile. Data la valenza «educativa» dei contributi al Dizionario, va sottolineato anche qui (​​ Statistica) la preoccupazione di rendere familiari agli studenti i prodotti della statistica attraverso la collaborazione con la scuola e con l’Università (http: / / www.istat.it / servizi / studenti /​​ ). Nel contesto della d., in particolare, è importante sottolineare il loro compito di documentazione quantitativa che intende aiutare a meglio conoscere i consistenti cambiamenti che si stanno realizzando nei diversi aspetti delle popolazioni, valutandoli responsabilmente e traendone opportuni insegnamenti, senza la pretesa di trarre solo da essi indicazioni sul modo di porsi di fronte ai grandi problemi che riguardano il significato dell’esistenza e della convivenza umana.

Bibliografia

Boldrini M.,​​ D.,​​ Milano, Giuffrè, 1956; Pressat R.,​​ L’analyse démographique,​​ Paris, PUF, 1969 (trad. it.: 1970); Natale M. (Ed.),​​ Economia e popolazione.​​ Alcuni aspetti delle interrelazioni tra sviluppo demografico ed economico, Milano, Angeli, 2002; Golini A.,​​ La popolazione del pianeta, Ibid., 2003; Istituto Centrale di Statistica,​​ Annuario Statistico Italiano 2006,​​ Roma, ISTAT, 2006; Id.,​​ Rapporto annuale 2006,​​ Ibid.,​​ 2006: Società Ital. Statistica (Ed.),​​ Rapporto sulla popolazione​​ italiana, Bologna, Il Mulino, 2007; Dumont G. F.,​​ La population du monde, Paris, A. Colin, 2006; Caselli G. - J. Vallin - G. Winsch,​​ D.​​ La dinamica delle popolazioni, Roma, Carocci, 2006.

S. Sarti




DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

 

DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

In questa sede ci si occuperà in particolare della d. delle professioni educative. Intesa in senso largo, la d.p. s’identifica con 1’​​ ​​ etica in generale in quanto applicata all’esercizio delle professioni. Ordinariamente però essa indica l’insieme delle norme di etica professionale codificate, più o meno ufficialmente, dagli organi di autogoverno di una professione (i cosiddetti «codici di d.p.»). Questi codici hanno, rispetto all’etica professionale intesa in senso largo, contenuti minimali ma più precisi e coattivamente esigibili, più debole rimando ai valori e l’assenza di qualsiasi scelta riguardo ai fondamenti di senso. A causa dell’assenza di uno specifico codice di d.p. dell’educatore e del profondo coinvolgimento etico dell’educatore nell’esercizio della sua professione, in questa voce il lemma d.p. sarà inteso nel senso più largo, aperto a tutto lo spessore della problematica etica.

1.​​ L’educazione come promozione umana.​​ L’elemento che, dal punto di vista etico, più specificamente caratterizza la professione educativa è il fatto di occuparsi in modo diretto e immediato dell’umanità dell’​​ ​​ uomo. In questo senso, essa differisce radicalmente dalle professioni orientate alla produzione di beni economici o di servizi sociali. La professione educativa promuove questa specificità umana nelle persone concrete degli educandi, favorendo il loro passaggio da quella potenzialità ricchissima ma germinale che essi sono, ad un’attuazione pienamente sviluppata, quale si dà nell’adulto riuscito. La maturazione promossa dall’educazione riguarda tutta la ricchezza umana dell’​​ ​​ educando: intelligenza, razionalità, abilità pratiche, sensibilità estetiche, sentimenti e affettività, coscienza morale, responsabilità sociale, protagonismo storico, esperienza morale e religiosa.

2.​​ Un dovere di giustizia.​​ Queste considerazioni gettano una luce particolare sulla responsabilità morale dell’​​ ​​ educatore. Se si pensa al suo influsso sulla riuscita o sul fallimento dell’uomo in quanto uomo, essa è difficilmente misurabile. Spesso però la sua responsabilità assume il carattere preciso e rigoroso di un dovere di giustizia: di fatto nella nostra società l’educatore svolge la sua professione, accettando questo incarico da parte delle famiglie o da parte della società civile, con una qualche forma di contratto o quasi-contratto implicito che carica l’esercizio della sua professione di doveri precisi di giustizia contrattuale nei confronti delle famiglie e della società. Nella misura in cui questi doveri sono contenuti, almeno implicitamente, in quella specie di patto con cui i genitori affidano i loro figli ad altri educatori, tali obblighi assumono anche una precisa rilevanza contrattuale. Gli educatori operano anche in quanto rappresentanti della società civile e dello Stato di cui fanno parte; a loro è perciò affidata anche la cura delle attese e degli interessi di tutta la società. Il rapporto tra la società, come contesto educativo o «educatore globale» da una parte, e il singolo educatore o agenzia educativa dall’altra è necessariamente complesso, e non raramente conflittuale. Tali conflitti toccano la responsabilità morale dell’educatore e creano spesso penosi «casi di coscienza». Uno degli obblighi più seri che incombono sull’educatore e sull’insegnante è quello di una adeguata formazione permanente. Necessaria già in forza degli inevitabili limiti di ogni formazione di base, essa lo è ancora di più in un mondo in cui il ritmo dei cambiamenti culturali supera sempre le capacità di adeguamento spontaneo delle singole persone.

3.​​ Educare nella scuola.​​ Una forma particolarmente seria e chiaramente determinata di obblighi di giustizia contrattuale verso la società e lo Stato è quella cui gli educatori sono vincolati quando operano all’interno della scuola. Nelle società industriali avanzate, l’istituzione scolastica ha assunto dimensioni e rilevanza mai raggiunte in passato, e svolge un insieme di funzioni diverse, decisive per la formazione umana e per lo sviluppo e il benessere della società. Il fatto di operare all’interno di un’istituzione pubblica, o comunque legata agli utenti da un vero e proprio rapporto contrattuale, esclude dalla professione dell’​​ ​​ insegnamento ogni aspetto di puro volontariato o di sola gratuità. Non nel senso che simili atteggiamenti le siano preclusi, ma nel senso che, prima ancora di ogni gratuità e prescindendo da ogni volontariato, l’​​ ​​ insegnante è tenuto all’esercizio competente e serio della sua professione in forza di un obbligo antecedente di giustizia. Questo debito stretto di giustizia nei confronti degli allievi, ma anche delle loro famiglie e dell’intera società, investe tutti gli ambiti della professione insegnante: la preparazione culturale e pedagogica, remota e prossima, l’aggiornamento e la​​ ​​ formazione permanente, lo svolgimento delle lezioni, la correzione dei compiti e le interrogazioni, i consigli di classe e i contatti con i genitori, la sperimentazione didattica e la guida intellettuale individuale, la valutazione imparziale ed equanime delle capacità, diligenza, profitto, attitudini degli allievi, che legge e tradizione affidano in misura considerevole ai docenti e agli organi collegiali scolastici. Anche se non espressamente contemplata in nessun contratto collettivo di lavoro, va considerata come dovere di giustizia contrattuale una certa «passione per l’insegnamento e l’educazione», che del resto è un tratto essenziale della personalità morale di ogni educatore.

4.​​ L’educazione come promozione morale.​​ Il carattere tendenzialmente unitario, anche se estremamente complesso, dell’esistenza umana fa sì che la promozione dello sviluppo dell’uomo, anche solo in un settore particolare della sua vita, coinvolga colui che se ne fa carico nella promozione di tutto l’uomo e quindi, dato il carattere etico di ogni pienezza umana, nell’​​ ​​ educazione morale. Tale finalità viene di fatto perseguita anche quando l’educatore non intende farlo in modo esplicito; anzi perfino quando egli non credesse nella sensatezza e praticabilità di una educazione morale, egli farebbe comunque educazione (o diseducazione) morale, attraverso quello che qualcuno chiama​​ hidden curriculum,​​ il curricolo occulto, ma non per questo meno efficace, costituito dalle sue implicite prese di posizione nei confronti dei valori in cui crede o che rifiuta, attraverso la testimonianza della sua vita personale e le modalità del suo stesso​​ ​​ rapporto educativo.

5.​​ L’educazione come fatto di comunicazione.​​ Ogni dinamismo educativo si risolve in una forma di​​ ​​ comunicazione: l’etica della professione educativa è quindi anche una forma di etica della comunicazione, l’etica appunto della comunicazione educativa. Un’importante qualità morale della comunicazione educativa è l’autenticità,​​ che è la modalità specifica della veracità in questo campo. La veracità riguarda anche i contenuti oggettivi del messaggio educativo, ma riguarda soprattutto la verità esistenziale dell’educatore stesso: egli deve comunicare se stesso per quello che veramente è, senza infingimenti e ipocrisie. Attraverso la testimonianza, ciò che egli comunica è la verità stessa del suo essere: egli educa con quello che è, prima ancora che con quello che dice, proprio perché nella globalità di quanto dice e di quanto fa egli esprime se stesso.

Bibliografia

Flitner W. - J. Derbolav,​​ Problemi di etica pedagogica,​​ Brescia, La Scuola, 1988;​​ Günzler C. et al.,​​ Ethik und Erziehung,​​ Stuttgart, Kohlhammer,​​ 1988;​​ Thévenot X. et al.,​​ Pour une éthique de la pratique éducative,​​ Tournai, Desclée, 1991;​​ Gatti G.,​​ Etica delle professioni formative, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1992; Bárcena F. - J.​​ C. Mélich,​​ La educación como acontecimiento ético, Barcelona, Paidós, 2000.

G. Gatti