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CASSIODORO

 

CASSIODORO

Vissuto tra il 490 ca. e il 580 ca., senatore romano; C. è, insieme a S. Boezio, fautore della rinascita culturale promossa dal re degli Ostrogoti Teodorico, di cui diviene ministro.

1. L’interesse culturale di Flavio Magno Aurelio C. si estende oltre la durata e i limiti del regno di Teodorico in favore della cultura, sia classica che propriamente cristiana, non contrapposte, ma integrate. Gli ambiti di questa sua opera sono diversi. Nell’ambito, che diremmo​​ politico,​​ si impegna per la promozione e la valorizzazione dell’opera dei maestri a tutti i livelli. È significativa, a tal proposito, una sua lettera al Senato, sotto il re Atalarico, successore di Teodorico, per propiziare un adeguato stipendio agli insegnanti dei vari gradi delle scuole romane. Nell’ambito ampiamente​​ ecclesiale,​​ il suo interesse si estende alla ricerca dell’integrazione del sapere classico con lo studio serio della Bibbia e dei Padri. Elabora, in accordo con papa Agapito, il progetto di un​​ Centro superiore di studi religiosi​​ e di una grande​​ Biblioteca​​ da realizzarsi in Roma. Le difficoltà della situazione sociale e politica non ne permettono l’attuazione.

2. C., però, non desiste dal suo impegno, ma ne cerca un altro ambito di realizzazione: fonda a Vivarium, in Calabria, una​​ forma di vita monastica,​​ i cui membri si dedichino contemporaneamente alle finalità spirituali-ascetiche proprie del monachesimo e a una finalità specificamente culturale nella ricerca dell’integrazione tra lo studio delle Sacre Scritture e dei Padri e quello della cultura classica. Di qui l’importanza di un programma di studi e di lavoro letterario; come pure dell’attività dello​​ scriptorium,​​ per la cura e la trascrizione dei codici. Il programma è contenuto nelle​​ Institutiones divinarum et saecularium litterarum.​​ Questa intenzionale​​ duplice finalità​​ applicata alla vita monastica stabilisce una diversificazione tra il Monachesimo di C. e quello di altri Ordini, come quello Benedettino, nei quali – pur non trascurando, anzi supponendo una base culturale, l’attività degli​​ scriptoria​​ e un meritorio apporto alla cultura – ciò non entra nella finalità della vita monastica, ma resta un mezzo al suo servizio. Tale specificità, mentre caratterizza l’opera di C. nella storia della cultura e della pedagogia, segna anche il limite della sua risonanza nella storia del Monachesimo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ C.,​​ Opera omnia,​​ P.L., 69-70; C.,​​ Le istituzioni, Roma, Città Nuova, 2001. b)​​ Studi:​​ Riché P.,​​ Éducation et culture dans l’Occident barbare,​​ Paris, Seuil,​​ 1967; Xodo C.,​​ Cultura e pedagogia nel monachesimo alto medioevale. «Divinae vacare lectioni»,​​ Brescia, La Scuola, 1980; Leclercq J.,​​ Umanesimo e cultura monastica, tr. it., Milano, Jaca Book, 1989; Cavallo G., «Tra “volumen” e “codex”. La lettura nel mondo romano», in G. Cavallo - R. Chartier (Edd.),​​ Storia della lettura nel mondo occidentale, Roma / Bari, Laterza, 1995, 37-69; Parkes M., «Leggere, scrivere, interpretare il testo: pratiche monastiche nell’alto medioevo», in Ibid., 1995, 71-90; Bettetini M., «C.», in​​ Enciclopedia Filosofica, vol. II, Milano, Bompiani, 2006, 1696-1697.

M. Simoncelli




CASTIGHI

 

CASTIGHI

Consistono, in senso ampio, nell’infliggere una pena o dolore (psicologico o fisico) o nel privare di un bene allo scopo di far espiare una mancanza e / o di ristabilire un ordine (morale, giuridico o sociale). In prospettiva pedagogica i c. appartengono alla sfera affettiva dell’educazione e si propongono nell’ambito dei mezzi di motivazione (​​ premi).

1. Il tema dei c. occupa un vasto capitolo della storia della pedagogia e della scuola. Basti qui fare alcuni cenni. Ha avuto un forte e duraturo influsso la concezione predominante nell’antichità: «L’orecchio del ragazzo è sopra la schiena, ed egli dà ascolto quando è battuto». Nella​​ ​​ Bibbia (Prv 29,15) si avverte che «il bastone e il rimprovero procurano sapienza». Nella Roma antica la «ferula» è il mezzo comune su cui il maestro basa la propria autorità. Alla fine del primo secolo della nostra era i metodi brutali cominciano ad essere messi in discussione; tuttavia la disciplina scolastica continua ad essere severa e i c. frequenti. Nel clima umanistico rinascimentale, educatori particolarmente sensibili, come M. Veggio (1406-1448), chiedono che «non si impauriscano troppo i bambini con minacce e percosse». Una considerazione sempre più oculata viene fatta poi all’interno delle congregazioni insegnanti (​​ Gesuiti,​​ ​​ Barnabiti,​​ ​​ Scolopi,​​ ​​ Fratelli delle Scuole cristiane) e dai maggiori pedagogisti dell’età moderna, convinti, come​​ ​​ Comenio, che ci sono «mezzi più efficaci della frusta». Tra gli educatori del sec. XIX va citato don​​ ​​ Bosco, assertore convinto del​​ ​​ sistema preventivo e della «pedagogia dell’amore», che cerca di liberare gli allievi «dai dispiaceri, dai c., dai disonori». Contro la prassi educativa troppo legata ancora a una disciplina severa, prende posizione, agli inizi del nostro sec., il movimento delle​​ ​​ Scuole Nuove. Riprendendo la tesi rousseauiana della «bontà naturale», alcuni dei loro fautori sono giunti però a posizioni di condanna radicale di quanto potrebbe minacciare la «spontaneità del bambino». La riflessione pedagogica sui c. è oggi più attenta e articolata.

2. Il c. educa solo se incluso nell’arco di un intervento che, difendendo dalle attrazioni fuorvianti, aiuta a cambiare in senso positivo la condotta. Questo spesso richiede un lungo cammino. Per sé il c. può essere usato solo in caso di insufficienza soggettiva o oggettiva dei mezzi positivi di sostegno motivante, per arrestare un comportamento sbagliato, connettendolo con un’immagine punitiva che faccia riflettere e scegliere meglio, resistere a false suggestioni e pulsioni. A livello psicologico, il c. induce una tensione distogliente di sofferenza fisica, affettiva, morale; produce conflitto, rifiuto e fuga da ciò che lo ha provocato o lo potrebbe provocare. È antieducativo destinarlo a punire, far espiare, ristabilire la parità offesa. Urta e danneggia il c. che è espressione di vendetta e di aggressività, che umilia e offende la personalità intima e sociale (lo fanno quasi sempre i c. fisici). Infantilizza il «bisogno di pagare» per sentirsi in pace.

3. Quando si ama e si è amati, tutto può servire da c.: lo stesso amore offeso, mostrato sofferente. Sono c. educativamente validi il giudizio critico espresso al momento opportuno, il tratto relazionale bene amministrato. Ma forse il c. educativamente più valido è la coscienza e l’esperienza, magari rinforzata, del bene non fatto, del valore non conseguito, del talento e della opportunità sprecati, dell’ordine offeso, della buona relazione interrotta. L’autopunizione soggettiva per la condotta errata corregge più di ogni danno materiale subìto o del c. esterno. L’educatore deve preparare e coltivare le condizioni perché tali esperienze abbiano luogo nei confronti del bene oggettivo.

4. È debole e perfino non educativo il c. imposto e subìto al di fuori dei rapporti interpersonali e dei progetti in corso. Il metodo preventivo che imposta l’educazione su valori e su forti relazioni positive, riduce i c. o li rende subito educativamente efficaci. Il ricorso ai c. penosi come «camere di riflessione», maltrattamenti, punizioni gravi, costrizioni, ha effetti incerti o ambivalenti, spesso controproducenti, colpendo la​​ ​​ stima di sé, non includendo la possibilità e l’offerta di contro esperienze, non dando indicazioni per la risalita immediata e continua. Vale il c. che include indicazioni per riparare, che fa reagire con forti motivazioni di ordine affettivo e morale, sociale. Anche il c. fisico, grave o leggero, educa solo in contesti abituali di amore e ragione.

Bibliografia

Auffray A.,​​ Come castigava un santo,​​ Torino, SEI, 1956; Vuri V., «Premi e c.», in L. Volpicelli (Ed.),​​ La pedagogia,​​ vol. X, Milano, Vallardi, 1972, 199-269; Prellezo J. M.,​​ Dei c. da infliggersi nelle case salesiane. Una lettera circolare attribuita a don Bosco,​​ in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986) 263-308; Scurati C.,​​ La disciplina nella scuola,​​ Brescia, La Scuola, 1988; Miller A.,​​ La fiducia tradita, Milano, Garzanti, 1995; Pietropolli Charmet G. (Ed.),​​ Ragazzi sregolati. Regole e c. in adolescenza, Milano, Angeli, 20052.

P. Gianola




CASTIGLIONE Baldassar

 

CASTIGLIONE Baldassar

n. a Casatico (Mantova) nel 1478 - m. a Toledo (Spagna) nel 1529, uomo di corte, diplomatico, umanista italiano.

1. Di illustre famiglia imparentata ai Gonzaga, riceve un’eccellente educazione umanistica. È alle corti di Milano, Mantova, Urbino, Roma; ambasciatore in Inghilterra e presso l’imperatore Carlo V; amico di letterati, musicisti, pittori. È una delle figure più rappresentative del Rinascimento italiano perché incarna l’ideale dell’uomo colto, armonico, padrone di sé, pronto all’azione come all’amabile e piacevole conversazione. Per questo Carlo V, alla notizia della sua morte, dice: «È morto uno dei migliori cavalieri del mondo».

2. La sua opera maggiore,​​ Il​​ Cortegiano,​​ è un dialogo ambientato nella corte di Urbino, dove uomini di cultura discutono per delineare la figura del perfetto uomo di corte e della «dama di palazzo». Consta di una dedica e di quattro libri. Il 1° tratta dei requisiti che deve possedere il perfetto cortegiano: nobiltà (non legata a discendenza dinastica), grazia, abilità nell’uso delle armi, nell’arte della parola, della musica, della pittura, della danza; il 2° discute in che modo e in quali circostanze il cortegiano deve usare le capacità di cui è fornito; il 3° tratteggia la figura ideale della «donna di palazzo»; il 4° affronta i rapporti del cortegiano con il principe, il problema politico e l’amore platonico. Ne​​ Il​​ Cortegiano,​​ C.​​ presenta l’uomo di corte ideale che, per le doti acquisite, ma soprattutto per le sue virtù morali, consiglia il principe a un’azione di governo illuminata e saggia, ispirata alla moderazione, alla giustizia, alla magnanimità, all’amore verso i sudditi. L’opera è subito tradotta nelle principali lingue e in latino ed esercita un influsso notevole su tutte le corti d’Europa.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Opere volgari e latine del conte B.C.,​​ raccolte, ricorrette ed illustrate da Giov. Ant. e Gaetano Volpi, Padova, 1733;​​ Il​​ libro del Cortegiano con una scelta delle opere minori di B.C.,​​ a​​ cura di B. Maier, Torino, UTET, 1973;​​ Il libro del Cortegiano, Introduzione di A. Quondam, Milano, Garzanti, 1981 (XI ed. 2003). b)​​ Studi: Barberi G.,​​ L’onore in Corte. Dal C. al Tasso, Milano, Angeli, 1986; Ossola C.,​​ Dal «Cortegiano» all’«Uomo di mondo». Storia di un libro e di un modello sociale, Torino, Einaudi, 1987; Scarpati C.,​​ Dire la verità al principe, Milano, Vita e Pensiero, 1988;​​ Gagliardi A.,​​ La misura e la grazia. Sul «Libro del Cortegiano», Torino, Tirrenia Stampatori, 1989.

R. Lanfranchi




CATECHESI

 

CATECHESI

La c. (dal gr.​​ katechéin:​​ far risuonare) è l’insegnamento fondamentale della fede cristiana per l’interiorizzazione e maturazione della stessa fede. Essa si trova così nel cuore del processo di​​ ​​ socializzazione religiosa e di trasmissione del patrimonio culturale e religioso del cristianesimo alle nuove generazioni e a quanti vogliono diventare cristiani. Oggi questa attività si rivolge ancora prevalentemente a soggetti in età di sviluppo (fanciulli, adolescenti, giovani), ma si sente l’esigenza di mettere al centro dell’attenzione il mondo degli​​ ​​ adulti.

1.​​ La c.: termini e forme.​​ La c. ha ricevuto denominazioni diverse a seconda dei tempi e dei luoghi: educazione religiosa, insegnamento religioso, dottrina cristiana, catechismo, c., formazione religiosa, educazione della fede, trasmissione della fede, ecc. Il significato preciso di questi termini dipende dai diversi contesti e tradizioni culturali. Per es. nel mondo anglosassone si preferisce parlare di​​ Religious Education​​ o​​ Religious Instruction;​​ nell’area francofona di​​ enseignement religieux​​ o​​ formation religieuse.​​ Attualmente si tende a distinguere chiaramente, pur nella loro complementarità, tra c. e​​ insegnamento della​​ ​​ religione​​ nella scuola, con obiettivi e modalità diverse di attuazione. Le considerazioni che seguono si riferiscono esclusivamente alla c. Negli ultimi decenni vi è stato tutto un movimento di rinnovamento catechetico, soprattutto sotto la spinta del Concilio Vaticano II e di fronte alle nuove sfide della società. Oggi va considerata conclusa la concezione dell’«epoca del catechismo» o del «paradigma tridentino», secondo cui la c. – legata al compendio chiamato «catechismo» – appariva soprattutto come insegnamento dottrinale e trasmissione di conoscenze religiose. Oggi la c. si apre a una visione più personalistica, integrale e incarnata della fede e della sua crescita e quindi assume un’identità più ricca e pluridimensionale, in quanto opera di​​ ​​ iniziazione, di​​ ​​ insegnamento, di​​ ​​ educazione e socializzazione religiosa.

2.​​ La c. «educazione della fede».​​ La caratterizzazione della c. come «educazione della fede» è diventata proverbiale nella Chiesa, e come tale accolta nei documenti ufficiali. Anzi, si può dire che, nello sviluppo del rinnovamento catechistico, l’espressione «educazione della fede» riassume in qualche modo il passaggio dal «catechismo» alla «c.», dalla tradizionale educazione religiosa ad un’azione catechetica più attenta alla densità esistenziale del messaggio cristiano e della relativa risposta credente. Nell’epoca moderna, la riflessione sulla c. ha portato all’accentuazione della sua​​ dimensione pedagogica,​​ anche sotto l’influsso delle​​ ​​ scienze dell’educazione Di fatto, la «catechetica» come riflessione sistematica sulla c., è sempre stata fortemente collegata alla pedagogia e dominata in un certo senso da una duplice anima: quella «teologica», che ne determina soprattutto i contenuti e le finalità ultime, e quella «pedagogica», che presiede all’individuazione di obiettivi, processi e metodologie (Alberich, 2001). L’espressione «educazione della fede» va intesa correttamente, dal momento che non è possibile influire direttamente dall’esterno su una realtà così «indisponibile» e inafferrabile come la fede cristiana, che teologicamente rimanda alla gratuità del dono divino e alla imprevedibilità della libera risposta umana. Ha senso perciò parlare di «educazione della fede» soltanto in modo indiretto e strumentale, in riferimento alle mediazioni umane che possono facilitare, aiutare e rimuovere ostacoli nel processo di maturazione religiosa. Rimane esclusa qualsiasi forma di intervento diretto sulla fede stessa. Nell’attuazione del suo compito di educazione, la c. deve avere sempre davanti l’orizzonte della​​ ​​ maturità religiosa, evitando possibili forme di indottrinamento e di intervento infantilizzante, col pericolo di bloccare il processo di crescita religiosa. Bisogna riconoscere che non poche volte la c. ha favorito forme di immaturità, di religiosità funzionale e compensatoria, di espressioni inadeguate di fede, sotto la spinta di atteggiamenti clericali e paternalistici o di facili accomodamenti securizzanti da parte di persone che hanno paura della maturità.

3.​​ La c. fatto educativo.​​ Alla c. – nelle sue diverse forme – va riconosciuta una notevole​​ valenza educativa,​​ sia come elemento significativo dell’​​ ​​ educazione cristiana e religiosa, sia anche per la sua​​ dimensione educativa globale,​​ in quanto fattore di socializzazione, di​​ ​​ alfabetizzazione, di crescita culturale e morale, ecc. È un dato che emerge con chiarezza alla luce della storia e in sede di riflessione teoretica sulla natura della c.

3.1.​​ La c. nella storia: opera di educazione.​​ Uno sguardo alla storia permette di cogliere il peso certamente significativo dell’azione catechistica nei processi di educazione e di promozione, soprattutto a livello popolare e in particolare nell’epoca moderna, attraverso la diffusione dei​​ catechismi​​ e le svariate forme di​​ insegnamento​​ religioso e di​​ predicazione​​ al popolo cristiano (Braido, 1991). Anzi, in diversi Paesi, la c. è stata spesso uno strumento privilegiato, a volte unico, di alfabetizzazione e di promozione culturale. L’opera della c. appare legata tradizionalmente alle​​ ​​ istituzioni educative e ai luoghi e ambiti della prima socializzazione (famiglia, scuola, chiesa, comunità), assumendo le forme tipiche dell’​​ ​​ azione educativa: insegnamento, educazione, iniziazione, apprendistato, formazione, alfabetizzazione. Essa ha costituito di fatto, per molte generazioni, uno strumento efficace di socializzazione religiosa, e ha contribuito a plasmare l’identità umana e cristiana di molti credenti. Certo, è vero che non sempre la c. è stata all’altezza della sua vocazione educativa. Essa è apparsa a volte disincarnata, ghettizzata, intenta a una finalità che sembrava lasciar da parte i problemi fondamentali dell’uomo e della sua crescita. Non solo: la storia e l’esperienza ricordano tante forme inautentiche di c. che ne hanno compromesso la valenza educativa, come in certe forme di​​ ​​ indottrinamento e di strumentalizzazione ideologica (​​ ideologia) al servizio dell’autorità dominante o di interessi di parte; oppure sotto forma di chiusura confessionale e settaria che è stata di fatto una vera educazione al pregiudizio e all’intolleranza.

3.2.​​ La c. in chiave educativa.​​ Oggi la riflessione catechetica insiste sul fatto che la c. deve essere​​ in funzione della riuscita totale dell’uomo.​​ In quanto trasmissione della parola liberante di Dio, la c. non si deve mai restringere a un settore «religioso» dell’esistenza, ma deve investire la totalità del progetto umano di vita, configurandosi perciò come «aiuto per la vita attraverso l’aiuto della fede» e avendo come scopo di fondo aiutare l’uomo a riuscire nella propria vita. È importante perciò mobilitare e valorizzare le molteplici valenze educative e promozionali dell’azione catechistica, sottolinearne la portata pedagogica e concepirla come un vero​​ processo educativo permanente​​ che deve accompagnare lo sviluppo integrale delle persone e dei gruppi. Tra gli obiettivi catechistici vanno perciò inclusi i grandi traguardi di ogni educazione umana: sviluppo della​​ ​​ personalità, apertura alla socialità, maturità psicologica e affettiva, senso critico, capacità di partecipazione e corresponsabilità. In riferimento alla c. possono essere segnalati diversi​​ fattori e istanze di rilevanza educativa:​​ a) A livello di​​ conoscenze,​​ la c. trasmette informazioni, arricchisce il patrimonio culturale, fornisce punti di riferimento per la ricerca di senso. b) Appartiene anche al compito della c. permettere la maturazione di​​ esperienze umane basilari,​​ che sono presupposto di ogni autentica crescita cristiana. Per es., senza l’esperienza della fiducia e del perdono è molto difficile capire il significato della penitenza e della riconciliazione; e senza maturità affettiva è impossibile cogliere in profondità il senso dell’amore cristiano. c) La c. è chiamata a dare grande importanza all’educazione morale e all’interiorizzazione​​ dei​​ ​​ valori, indissolubilmente connessi col processo di maturazione nella fede. Vanno promossi perciò valori quali: la fraternità, la​​ ​​ solidarietà, la giustizia, la pace, il coraggio, la veracità, la fedeltà, la gratitudine, la responsabilità sociale, il rispetto del creato, l’apertura alla mondialità, ecc. La c. è anche impegnata nel dialogo e interazione​​ tra fede e cultura​​ e questo, nella situazione attuale, costituisce un problema quanto mai urgente e impegnativo, data la distanza oggi esistente tra fede cristiana e cultura moderna. La c. si trova qui di fronte a una vera​​ sfida culturale,​​ ma anche messa in condizione di svolgere un compito di notevole rilevanza educativa: interpretare la cultura alla luce delle esigenze evangeliche e ripensare il patrimonio della fede cristiana alla luce delle istanze e dei valori della cultura contemporanea.

4.​​ In conclusione: non è concepibile un processo di maturazione della fede, e dunque un esercizio adeguato dell’attività catechistica, senza un innesto mirato sul processo globale di​​ maturazione della personalità.​​ Nell’attuazione di una c. inserita nel processo educativo sarà dunque necessario curare l’integrazione unitaria​​ delle diverse componenti educative, in modo da salvaguardare e portare a maturazione l’unità interiore della persona. Va evitato il rischio di​​ strumentalizzare​​ l’opera educativa in nome degli obiettivi superiori dell’educazione della fede. Ridurre i momenti fondamentali della maturazione umana (crescita culturale, educazione fisica, intellettuale, sociale, ecc.) a semplice​​ mezzo​​ per puntare a obiettivi esplicitamente religiosi (vita di fede, sacramenti, impegno ecclesiale) rivela una concezione inadeguata della maturazione stessa della fede e mancanza di rispetto per la qualità umanizzante di ogni autentica educazione. È una considerazione che invita a superare ogni dualismo antropologico e pedagogico e ogni malinteso primato della missione spirituale nell’azione dei cristiani.

Bibliografia

Bissoli C.,​​ C. ed educazione,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 27 (1980) 55-62;​​ Germain E.,​​ 2000 ans d’éducation de la foi,​​ Paris, Desclée,​​ 1983; Exeler A.,​​ L’educazione religiosa. Un itinerario alla maturazione dell’uomo,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1990;​​ Fossion A.,​​ La catéchèse dans le champ de la communication. Ses enjeux pour l’inculturation de la foi,​​ Paris, Cerf,​​ 1990; Braido P.,​​ Lineamenti di storia della c. e dei catechismi,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1991; Groppo G.,​​ Teologia dell’educazione. Origine,​​ identità,​​ compiti,​​ Roma, LAS, 1991; Alberich E.,​​ La c. oggi.​​ Manuale di catechetica fondamentale,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 2001;​​ Giguère P.-A.,​​ Catéchèse et maturité de la foi, Montréal / Bruxelles,​​ Novalis / Lumen Vitae, 2002; Derroitte H.,​​ La c. liberata, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002; Gevaert J.,​​ Il dialogo difficile: problemi dell’uomo e c., Ibid., 2005.

E. Alberich




CATECHISMO

 

CATECHISMO

Nella prima accezione della parola, il c. è l’istruzione orale e familiare della religione cristiana fatta dopo il battesimo ai fanciulli e agli adulti. Di qui, a partire dal sec. XVI, il termine è passato a designare, ben presto quasi esclusivamente, il libro che contiene l’esposizione elementare delle verità fondamentali del cristianesimo. Il c. è allora un manuale popolare, un riassunto esatto e sicuro della dottrina cristiana, redatto a domande e risposte, approvato e proposto dal vescovo per la sua diocesi. È avvenuto spesso che fossero detti c. anche libri a domanda e risposta di altri rami del sapere.

1. Il c. come libro di studio per gli alunni si sviluppò dalle formule catechetiche trasmesse per tutto il​​ ​​ Medioevo, accresciute, verso la fine del periodo, sulla base dei «cataloghi dei peccati» usati nella prassi confessionale, come spiegazioni del​​ Credo​​ e del​​ Pater,​​ e poi anche del​​ Decalogo​​ e​​ dell’Ave Maria,​​ e dei cataloghi medievali delle virtù e dei vizi. I c. più diffusi del sec. XVI, quelli di Lutero (1529), Canisio (1555-59), Auger (1563, 1568), Astete (1576), Ripalda (1586) e Bellarmino (1597 / 98), sono manuali brevi, destinati ad essere appresi a memoria con un minimo di spiegazione. Si compilano anche c. con un discorso espositivo, dal C. Romano o del Concilio di Trento (1566) a numerosi altri dei secoli seguenti, per persone colte o come guida ai catechisti. Si tentano anche «c. storici», che seguono l’esposizione della storia della salvezza. Ma è solo verso la metà del sec. XX che (parallelamente al rinnovamento della​​ ​​ catechesi) si sperimentano nuove forme di c., meno dottrinali, che abbandonano il metodo mnemonico, si ispirano alla​​ ​​ Bibbia e alla​​ ​​ Liturgia e danno spazio all’esperienza di vita e a moderne concezioni del processo di insegnamento-apprendimento.

2. Il c. ha costituito, negli ultimi secoli, un fattore importante nello sviluppo della cultura popolare, ed è sempre più riconosciuto come un documento di importanza considerevole per conoscere la storia di un paese e di un popolo; e non solo la storia religiosa, ma quella totale, sociale e culturale. Non ha influenzato solo la formazione del cristiano, ma anche quella dell’uomo in generale. Il c. offre un elemento importante per comprendere come si trasmettono i valori e la rappresentazione del mondo da una generazione all’altra. Non è un fatto isolato, poiché si radica in una fede collettiva, in una pratica sociale, in una cultura. Nella sua forma elementare e volutamente sintetica è in un certo modo l’espressione di un tempo e di una società. Il testo di c. veniva letto ad alta voce, ripetuto, memorizzato: così ha avuto un ruolo incisivo nella formazione di coloro che lo hanno utilizzato, ha contribuito a formare il loro linguaggio religioso, la loro maniera di pensare e di esprimere la propria fede, influenzando la loro visione della vita e tutta la loro cultura. In alcuni Paesi, il c. redatto nella lingua nazionale, ha contribuito a superare il provincialismo dialettale.

3. L’apprendimento «catechistico» si presta a severe critiche dal punto di vista didattico e pedagogico. Il metodo domanda-risposta usato dal c. aveva perduto ogni traccia del dialogo socratico, volto alla ricerca della verità, o di quello della disputa medievale, mirante alla intelligenza di un testo, per diventare uno strumento destinato ai semplici, al fine di inculcare loro una dottrina di cui è garanzia l’autorità del maestro. È un limite che nelle comunità protestanti veniva superato dalla lettura della Bibbia, e in quelle cattoliche dall’educazione familiare e dalla partecipazione alla liturgia parrocchiale, che ne completavano e compensavano l’austerità. Nel mondo cattolico troppo sovente il c. è diventato un sostituto della Bibbia. Mentre questa presenta un insegnamento più aperto e non sistematico, il c. tende a offrire una enciclopedia elementare della dottrina cristiana. L’idea di c. è correlativa a quella di totalità. L’uso del c. ha spesso comportato una mutazione nell’atteggiamento: non si è più nel clima di ascolto e di accoglienza proprio della​​ lectio divina,​​ ma in quello della comprensione e dell’argomentazione. Siamo nell’universo della razionalità, che caratterizza l’età moderna. Inoltre, il carattere «dottrinale» del c. non rendeva ragione della dimensione storica e personale del fatto cristiano. Per motivi teologici e pedagogici, il c. è oggi considerato come uno strumento da concepire in forma nuova, se si vuole assicurare un’educazione religiosa più adeguata sia alla natura del cristianesimo sia al genio dell’epoca contemporanea.

Bibliografia

Mangenot E., «Catéchisme», in​​ Dictionnaire de Théologie Catholique,​​ P. II, T. II, Paris, Letouzey et Ané, 1905, coll.​​ 1895-1968; Gianetto U., «L’idea di c. nella storia della Chiesa», in Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale (Ed.),​​ Il​​ rinnovamento della catechesi in Italia,​​ Brescia, La Scuola, 1977, 41-58;​​ Paul E. - G. Stachel - W. Langer,​​ Katechismus - Ja? Nein? Wie?,​​ Einsiedeln, Benziger,​​ 1982; Alberich E. - U. Gianetto (Edd.),​​ Il c. ieri e oggi,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1987; Audinet J.,​​ «Le modèle “catéchisme”: fonction et fonctionnement», in P. Colin et al.,​​ Aux origines du catéchisme en France,​​ Tournai, Desclée, 1989, 261-271;​​ Resines L.,​​ Astete frente a Ripalda: dos autores para una obra,​​ in «Teología y Catequesis» 58 (1996) 89-138.

U. Gianetto




CATECUMENATO

 

CATECUMENATO

Il c. richiama storicamente l’istituzione dei primi secoli della​​ ​​ Chiesa per l’accoglienza e accompagnamento dei candidati al battesimo. È un processo di apprendistato della fede e della vita cristiana con diverse tappe e riti, in vista della piena incorporazione nella Chiesa per mezzo dei sacramenti d’iniziazione (​​ sacramenti).

1. Il c. ebbe il suo momento migliore nel sec. III e attesta la serietà con cui era seguito il cammino di conversione e maturazione dei candidati cristiani. Scomparve poi praticamente nel sec. V con la generalizzazione del battesimo dei bambini. Nell’evo moderno si sono avute forme di ripristino del c. in Asia e Africa e, dopo gli anni ’50, anche in Europa e altrove, come esigenza di una società secolarizzata e pluralistica. Il c. prevede ordinariamente 4 tappe: il​​ precatecumenato,​​ tempo di accoglienza e primo approccio alla fede; il c. propriamente detto, tirocinio di catechesi, riti ed esperienze di vita; il tempo della​​ purificazione e illuminazione,​​ che porta ai sacramenti pasquali di iniziazione; la​​ mistagogia​​ o rafforzamento della vita sacramentale e comunitaria.

2. È grande la rilevanza pedagogica del c. in quanto agenzia di​​ ​​ socializzazione religiosa, luogo di​​ apprendimento della fede​​ e esperienza forte di​​ ​​ iniziazione cristiana. Da parte del catecumeno, il c. offre diversi fattori e contenuti (persone significative, processi di apprendimento, momenti celebrativi, riti di passaggio ed esperienze di comportamento) per la maturazione di atteggiamenti e condotte. Il c. impegna anche diverse figure di educatori (accompagnatori, catechisti, padrini, pastori) che svolgono un importante ruolo educativo di discernimento, accoglienza e accompagnamento.

Bibliografia

Laurentin A.,​​ Breve storia del c.,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1984; Floristán C.,​​ Il​​ c.,​​ Roma, Borla, 1993; Bourgeois H.,​​ Teologia catecumenale, Brescia, Queriniana, 1993; Cavallotto G.,​​ C. antico. Diventare cristiani secondo i Padri,​​ Bologna, Dehoniane, 1996.

E. Alberich




CENTRO GIOVANILE

 

CENTRO GIOVANILE

Vi è anzitutto una questione terminologica che va chiarita. Da una parte la dizione c.g. suppone di assumere il termine come sinonimo (o quasi) di​​ ​​ oratorio (nel qual caso il più delle volte si unificano i due con la terminologia di oratorio-c.g.); dall’altra si suppone una certa differenziazione che esamineremo.

1. Il primo caso è frequente soprattutto fuori Italia, in particolar modo nei Paesi di lingua spagnola. In questi il termine «oratorio» rimanda non alle esperienze ricche che si legano alla tradizione italiana, come ambiente che nel suo insieme risponde al programma di educazione cristiana integrale della gioventù, soprattutto nel tempo lasciato libero da altre istituzioni e passando attraverso le domande più diversificate dei giovani; al contrario esso sta a indicare un luogo di accoglienza di ragazzi e giovani per le sole attività del​​ ​​ tempo libero, e soprattutto per il gioco (come appare a prima vista entrando in un «normale» oratorio: il ricreatorio), oppure come appendice della parrocchia soprattutto per la catechesi dei ragazzi (oratorio), e dunque con connotazioni che potrebbero sapere di passato e di un certo clericalismo. Il termine c.g. allora renderebbe meglio, con la sottolineatura dei destinatari specifici, l’insieme del «progetto». I referenti dei termini diversi sono comunque la stessa realtà che si vuole indicare. Nella realtà italiana in effetti quando si utilizza la dizione ampia oratorio-c.g. è per indicare tutto quell’insieme di progettualità educativa a favore dei giovani stessi, diversificando al suo interno, per le diverse fasce di età, itinerari formativi, attività, metodologie, e sollecitando i giovani a diventare gruppo-circolo e ad aprirsi maggiormente all’impegno nel volontariato socio-politico e nell’animazione educativa.

2. Nel secondo caso (quando si vuole distinguere tra oratorio e c.g.), si intende esprimere, rispetto all’oratorio, una specifica differenziazione. E allora l’oratorio viene inteso come un ambiente indirizzato ai ragazzi (fino alla preadolescenza), con prevalente apertura alla massa, con livelli di appartenenza vari e spontanei, con speciale sottolineatura dell’aspetto ludico ed espressivo, dove l’educazione viene continuata nella forma della socializzazione assieme alle altre agenzie educative, soprattutto la famiglia, e dove l’educazione religiosa avviene soprattutto attraverso la catechesi sacramentale. Il c.g. viene invece pensato come ambiente destinato ai giovani, con un prevalente rapporto di gruppo (gruppi giovanili), con un’organizzazione e aggregazione più determinate e con un peso decisivo dell’impegno umano-cristiano.

3. Nei due casi sono naturalmente i destinatari che determinano la diversità della realizzazione. Si può dire che nel c.g. i giovani sono non solo destinatari, ma promotori, soggetti attivi, assieme agli adulti-educatori, della loro personale formazione ed elaborazione di un progetto di vita, chiamati in causa e sollecitati a liberare le loro risorse e potenzialità, in attivo scambio con le proposte culturali e religiose, con una decisa spinta alla scelta vocazionale. Le proposte dunque diventano più esigenti, le iniziative più diversificate, il grado di coinvolgimento più stretto. Volendo indicare alcuni settori specifici di questo impegno giovanile, si possono citare i seguenti: il settore educativo animativo, quello socioculturale, quello socio-politico, di impegno per lo sviluppo e di educazione al servizio (servizio civile, volontariato, anche missionario), di ricerca anche vocazionale.

4. Negli ultimi anni, in Italia, si è notevolmente ridotto l’utilizzo del termine «c.g.» riferito all’oratorio in cui operano da protagonisti anche i giovani, oltre ai ragazzi e agli adolescenti, anche perché la società civile e le istituzioni del territorio (associazioni, partiti politici, assessorati…) hanno dato vita a numerosi centri di aggregazione, ambienti di incontro per adolescenti e giovani (ma anche per ragazzi più piccoli), aconfessionali e destinati a occupare il tempo libero extrascolastico ed evitare che i ragazzi lo trascorrano in strada o a casa perlopiù da soli. La comunità territoriale infatti si è resa sempre maggiormente conto della necessità di occuparsi dell’educazione dei propri ragazzi e ragazze e di organizzarsi e organizzare luoghi adeguati di aggregazione, di offerte soprattutto in campo espressivo e ludico. Il C. promuove così l’incontro tra soggetti diversi e abilita a una capacità e qualità specifica: la «socialità». Esso si propone dunque come palestra e come setting in cui sviluppare abilità e competenze sociali, e insieme come luogo di espressione del riconoscimento del valore e del funzionamento dello spazio sociale.

Bibliografia

Orlando V.,​​ Il​​ c.g. nella Chiesa e nel territorio,​​ in «I Quaderni dell’Animatore» 18, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1985; CSPG,​​ Frontiere per gruppi giovanili,​​ Ibid., 1988; Id.,​​ Gruppi giovanili a servizio nella società,​​ Ibid., 1989; Vecchi J. E., «L’Oratorio salesiano: luogo di nuova responsabilità e missionarietà giovanile», in​​ L’Oratorio dei giovani: insieme per essere fedeli alla vocazione giovanile e popolare,​​ Roma, CISI, 1993, 55-72;​​ Atti del primo Meeting dei c. di aggregazione giovanile, Rovigo, 2006.

G. Denicolò




CERRUTI Francesco

 

CERRUTI Francesco

n. a Saluggia (Vercelli) nel 1844 - m. a Torino nel 1917, educatore e pedagogista italiano.

1. Di famiglia contadina, C. rimase orfano di padre a due anni; nel 1856 entrò come allievo nella prima istituzione educativa fondata da don​​ ​​ Bosco a Torino-Valdocco; si fece salesiano (1862) e fu ordinato sacerdote (1866). Ottenne il dottorato in lettere (1866) presso l’Università di Torino, dove ebbe come professore di antropologia e pedagogia​​ ​​ Rayneri. Nel 1885, chiamato al Consiglio generale dei​​ ​​ Salesiani, fu responsabile degli studi e della stampa. Rimase in carica fino alla morte, realizzando una significativa opera di organizzazione e promozione delle scuole salesiane e delle​​ ​​ Figlie di Maria Ausiliatrice.

2. La produzione letteraria di C. è ampia su svariati temi (letteratura, storia, religione, educazione e didattica); un centinaio di scritti riguardano argomenti pedagogici; fra di essi testi per gli istituti magistrali:​​ L’insegnamento secondario classico in Italia​​ (1882),​​ Storia della pedagogia in Italia​​ (1883),​​ Elementi di pedagogia​​ (1895),​​ Norme per l’insegnamento della aritmetica​​ (1897). C. collaborò in diversi giornali («L’Unità Cattolica», «La Stampa», «L’Italia Reale», «Il Momento») con scritti sulla politica scolastica del tempo e a difesa dei valori umanistici e cristiani della scuola. I suoi interventi furono apprezzati dal ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli. Infine un nucleo significativo di scritti va individuato attorno al sistema preventivo:​​ Idee di don Bosco sull’educazione e sull’insegnamento​​ (1886),​​ Don Bosco educatore​​ (1898),​​ Una trilogia pedagogica: ossia Quintiliano,​​ Vittorino da Feltre e don Bosco​​ (1908),​​ Il problema morale nell’educazione​​ (1916).

3. L’autore è ritenuto il «sistematore delle scuole e degli studi» salesiani (Luchelli, 1917, 22) e «uno dei più fedeli interpreti del pensiero e del sistema pedagogico di D. Bosco» (Atti,​​ 1903, 151). Va ricordata anche la sua opera nell’ambito degli istituti educativi delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Atti del III congresso dei Cooperatori salesiani,​​ Torino, Tip. Salesiana, 1903; F.C.,​​ Lettere circolari e programmi di insegnamento (1885-1917). Introduzione, testi critici e note a cura di J. M. Prellezo, Roma, LAS, 2006. b)​​ Studi: Luchelli A.,​​ Don F.C. consigliere scolastico generale della Pia Società Salesiana,​​ Torino, S.A.I.D., 1917; Prellezo J. M.,​​ F.C. direttore generale delle scuole e della stampa salesiana,​​ in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986) 127-164; Id.,​​ Paolo Boselli e F.C. Carteggio inedito (1888-1912), in «Ricerche Storiche Salesiane» 19 (2000) 87-123.

J. M. Prellezo




CERTIFICAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI

 

CERTIFICAZIONE​​ DEGLI APPRENDIMENTI

1.​​ Introduzione.​​ La c.d.a. rappresenta un’azione tesa a descrivere in modo sistematico le acquisizioni della persona ed a registrarle in modo condiviso tra i diversi attori del sistema educativo e del mondo del lavoro, con l’indicazione delle esperienze (formali, non formali ed informali) su cui tali acquisizioni sono state formate. La c. si riferisce a due categorie di fenomeni: a) le​​ competenze​​ intese come fattori che qualificano il grado di autonomia e di responsabilità della persona a fronte di specifiche categorie di compiti / problema dal rilevante valore personale, sociale e professionale; b) nel contempo, essa specifica le​​ conoscenze​​ e le​​ abilità, ovvero le risorse di cui la persona si è impadronita e che ha saputo certamente mobilitare nel lavoro di soluzione dei compiti / problema indicati. Nella c.d.a. debbono essere evidenziati i livelli di padronanza delle competenze, che possono essere indicati per gradi progressivi: basilare, adeguato, eccellente.

2.​​ Spiegazione. La spinta finalizzata alla elaborazione di strumenti atti a certificare gli apprendimenti delle persone deriva da tre cause differenti: a) la necessità di garantire la leggibilità e la confrontabilità degli esiti dei percorsi di apprendimento da parte delle imprese che necessitano di personale da impegnare nella propria struttura, tenuto conto della perdita di valore delle tradizionali declaratorie professionali; b) la necessità di consentire – entro grandi sistemi economici e sociali qual è l’ambito dell’Unione europea – la riconoscibilità degli apprendimenti così da consentire la mobilità delle persone ed il loro accesso ai vari sistemi sociali ed economici propri dei diversi stati nazionali; c) la necessità di finalizzare i percorsi formativi a vere e proprie competenze, ovvero non solo al sapere, ma alla sua attivazione effettiva da parte del soggetto nei contesti reali di impegno e dei compiti-problema che questi evidenziano.

2.1. In campo​​ scolastico​​ la c. mira a sollecitare un approccio per competenze e quindi a superare una metodologia eccessivamente centrata sulla didattica disciplinare per trasferimento di nozioni ed abilità, aprendo la strada ad una formazione più autentica in cui la persona è chiamata a confrontarsi con situazioni reali – più o meno problematiche – che sollecitano la sua attenzione, responsabilità e attivazione al fine di giungere ad una soluzione idonea e soddisfacente. Tali competenze della persona sono dimostrate dalla natura dei problemi fronteggiati, dalla metodologia di intervento, dalla capacità di superare crisi e difficoltà, dalla riflessione discorsiva sulle esperienze attraverso un linguaggio pertinente ed in grado di evidenziare tutti gli aspetti in gioco e quindi di «dimostrare» concretamente l’effettivo possesso del sapere.

2.2. In campo​​ professionale, la c. richiede innanzitutto un’intesa preliminare tra organismi formativi e strutture dell’economia intorno ad un metodo di descrizione delle competenze e ad un repertorio di profili professionali di riferimento per l’azione formativa; inoltre esige una convergenza di sforzi e di strumenti al fine di qualificare il percorso formativo con esperienze virtuali o reali entro le quali la persona sia sollecitata alla mobilitazione delle proprie capacità e risorse; infine richiede un’intesa circa la valutazione ed in particolare la validazione delle competenze acquisite, che rivestono in tal modo un significato non solo legale, ma sostanziale e condiviso. In tal modo la valutazione-c. non si realizza in rapporto a standard «scritti sulla carta», ma in riferimento alla concreta realtà di esercizio delle competenze indicate con il coinvolgimento diretto dei partner sociali. L’azione di c. non può pertanto essere concepita come una mera compilazione amministrativa di schede, ma rappresenta un’azione complessa di natura autenticamente sociale, tesa a soddisfare i seguenti criteri: a) la​​ comprensibilità​​ del linguaggio, che deve riferirsi – in forma narrativa e non quindi in modo stereotipato – a locuzioni e sintagmi che consentano ai diversi attori di visualizzare le competenze descritte; b) l’attribuibilità​​ delle competenze al soggetto tramite l’indicazione delle evidenze che consentano di contestualizzarle entro processi reali in cui egli è coinvolto insieme ad altri attori; c) la​​ validità​​ dei metodi adottati nella valutazione e validazione delle competenze stesse, con specificazione del loro livello di padronanza.

2.3. Circa il​​ modello di c., si prevedono normalmente due fattispecie: a) La c. è​​ legale​​ quando si riferisce al titolo di studio posseduto e indica il rapporto tra il possesso di tale titolo e l’effettiva padronanza delle acquisizioni che vi sono implicate. In tal modo l’atto certificativo risulta un’aggiunta – una sorta di appendice – rispetto alle prassi valutative ed amministrative proprie dei titoli di studio. b) La c. è​​ sociale​​ quando il certificato cui ci si riferisce rappresenta una documentazione composita che consente di rendere trasparente – quindi leggibile entro categorie comprensibili – la dotazione della persona di capacità, saperi, abilità e competenze, in riferimento alle esperienze entro cui queste si sono formate.

2.4. Nel caso italiano, la funzione certificativa risulta variamente citata nelle leggi relative al sistema educativo ed al mercato del lavoro, anche se il sistema difetta di una vera e propria​​ istituzione​​ di tale funzione, con l’indicazione degli organismi e delle figure professionali cui è fatta carico e delle metodologie e con la precisazione del valore di tali certificati per la persona che li possiede come pure degli impegni per i vari organismi una volta che questa esibisca documenti attestanti la sua preparazione. Infatti, l’oggetto della c. non va visto solo in chiave dichiarativa, ma anche valutativa. In questo secondo significato, esso rappresenta un​​ credito formativo, ovvero l’attribuzione alla specifica acquisizione certificata di un​​ valore esigibile​​ presso un organismo formativo, in vista del raggiungimento di uno specifico titolo. Essa quindi presenta un valore di accessibilità oltre che di risparmio del tempo previsto per coloro che non possiedono le acquisizioni dimostrate nel certificato.

2.5. Il​​ peso reale​​ (in termini di accesso alle azioni formative e di risparmio di tempo) di tale valore viene attribuito da parte dell’organismo ricevente, se questo riconosce la c. emessa da quello inviante ed attribuisce a questa c. un valore in ordine ad un quadro metodologico e descrittivo dei fenomeni oggetto dell’atto certificativo. Di conseguenza, il semplice rilascio di un documento certificativo da parte di un qualsiasi organismo non rappresenta di per sé un credito; perché un credito sia tale bisogna che ci sia un «potere» che lo riconosce o che impone alle organizzazioni coinvolte di riconoscerlo. Tale potere risulta da un’intesa condivisa dai diversi attori, in forza della quale si definiscono i criteri di individuazione delle acquisizioni ed il percorso formativo e relativo livello entro cui la persona può indirizzarsi.

2.6. I crediti formativi sono pertanto da intendere in senso sostanziale, ovvero non solo in riferimento allo sforzo necessario in termini di tempo per soddisfarli (è questa la concezione universitaria del credito), ma precisamente agli apprendimenti effettivamente posseduti e validamente accertati. Il credito inteso in senso sostanziale non può essere gestito tramite processi automatici. Esso richiede un approccio discreto, in grado di attribuire alla documentazione attestante gli apprendimenti il giusto valore in termini di personalizzazione del percorso formativo. Ciò richiede comunque un dialogo ed una negoziazione tra i soggetti coinvolti (organismo inviante, organismo ricevente, persona interessata). Ciò definisce un metodo di lavoro necessariamente relazionale e dialogico-narrativo.

Bibliografia

Schön D. A.,​​ Il professionista riflessivo, Milano, Dedalo, 1983;​​ Aubret J. - F. Aubret - C. Damiani,​​ Les bilans personnels et professionnels, Paris, Éditions Eap-Inetop, 1990;​​ Cepollaro G. (Ed.),​​ Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati, 2001; Comoglio M.,​​ La valutazione autentica e il portfolio, paper, Roma, 2001;​​ Ajello A. M. (Ed.),​​ La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002;​​ CIOFS / FP,​​ Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa, Roma, 2003.

D. Nicoli




CHAMPAGNAT Marcellin-Joseph-Benoît

 

CHAMPAGNAT Marcellin-Joseph-Benoît

n. a Marlhes nel 1789 - m. a L’Hermitage (Loira) nel 1840, sacerdote francese, fondatore dei​​ ​​ Maristi.

1. Viene ordinato sacerdote nel 1816. Fin dal primo contatto con la realtà rurale a Lavalla (Loira), Ch. è colpito dall’abbandono e ignoranza dei ragazzi. Nel 1817, disegna il primo progetto di una congregazione insegnante. Alla morte di Ch. essa contava 280 membri e 40 scuole. La sua prassi educativa si ispira a quella dei​​ ​​ Fratelli delle Scuole cristiane. Nella redazione della​​ Guide des écoles​​ (1817), i primi collaboratori di Ch. usano la​​ Conduite des écoles chrétiennes​​ (1811).

2. La «pedagogia marista», aperta ad altre fonti d’ispirazione (Pascal,​​ ​​ Fénelon,​​ ​​ Rollin,​​ ​​ Dupanloup), mette l’accento su alcuni aspetti che diventano caratterizzanti:​​ ​​ prevenzione e presenza del maestro tra gli allievi; centralità dell’insegnamento religioso e della devozione mariana; canto, non soltanto come fattore educativo, ma anche come mezzo di partecipazione alla vita liturgica parrocchiale; metodo fonico nell’insegnamento della lettura; introduzione di nuove materie come la contabilità e l’educazione fisica.

3. È stato sottolineato giustamente «il metodo dell’amore» anche nella​​ ​​ disciplina, il cui scopo «non è di frenare gli alunni con la forza e col timore dei​​ ​​ castighi, ma di preservarli dal male, di correggerli dei loro difetti, di formare la loro volontà». Di conseguenza, i maestri devono comportarsi da padri e non da padroni, animati da sentimenti di benevolenza, «pur attenuati da una qualche accentuazione dell’autorità e del rispetto, inevitabili in un clima post-rivoluzionario di diffidenza nei riguardi del troppo conclamato e smentito trinomio libertà-uguaglianza-fraternità» (Braido, 1981, II, 285); v. anche​​ ​​ Congregazioni insegnanti.

Bibliografia

Furet J. B.,​​ Avis,​​ leçons & instructions du vénérable père Ch.,​​ Lyon / Paris, Emmanuel Vitte,​​ 1914; Braido P.,​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, vol.​​ II, Roma, LAS, 1981;​​ Zind P.,​​ B.M.Ch.,​​ son oeuvre scolaire dans son contexte historique,​​ Rome, Maison Généralice, 1991; Lanfray A.,​​ M. Ch. et les Frères maristes: instituteurs congreganistes au XIX siècle, Paris, Éditions Don Bosco,​​ 1999; González Lucini F.,​​ Marcelino Ch., Madrid, Edelvives, 2004.

J. M. Prellezo