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BURNOUT

 

BURNOUT

Il rischio del b. è molto attuale tra quanti sono impegnati in professioni di aiuto agli altri (psicologi, operatori sociali, medici, infermieri, insegnanti, operatori pastorali), cioè tra quanti investono le proprie energie attraverso un eccessivo coinvolgimento con i bisogni delle persone a cui essi si dedicano, una malattia da «eccesso di impegno» (Cherniss, 1983) che comprende una condizione di esaurimento emotivo derivante dallo stress dovuto a fattori sia personali che ambientali. È una sindrome multidimensionale che si traduce nel rischio di esaurire le proprie energie psicofisiche e di reagire ad un ambiente lavorativo considerato come troppo esigente ed incapace di apprezzare la propria dedizione (Gabassi - Mazzon, 1995).

1. A livello psicologico, il b. si riferisce ad un insuccesso nel processo di adattamento emozionale dinanzi alle richieste ambientali, una sorta di strategia che la persona adotta per rispondere alle tensioni stressanti che si accumulano nel contesto della propria professione di aiuto, con conseguenti comportamenti di demotivazione e di distacco emozionale, ma anche di logoramento psicologico dovuto al contatto estenuante e prolungato con le esigenze e i bisogni degli altri (Edelwich - Brodsky, 1980). Inoltre, dal punto di vista del contesto lavorativo, il b.​​ è considerato come l’esito di una condizione ambientale stressante divenuta ormai intollerabile per i diversi fattori che subentrano, quali il pagamento inadeguato, le condizioni di lavoro precarie, le situazioni di urgenza con cui gli utenti spesso rivolgono le loro richieste (Maslach, 1992; Freudenberger, 1974).

2. I diversi fattori che intervengono nella concezione del b.​​ hanno degli effetti anche sulle strategie di prevenzione: devono coinvolgere non solo la persona attraverso adeguate strategie di​​ coping​​ che permettano di rafforzare la stima personale e la soddisfazione lavorativa, ma anche l’organizzazione e l’ambiente di lavoro per umanizzarlo e renderlo più adeguato non soltanto alle esigenze della struttura lavorativa ma anche ai bisogni dell’individuo (Baiocco et al., 2004).

Bibliografia

Freudenberger H. J.,​​ Staff b., in «Journal of Social Issues», 30 (1974) 159-165; Edelwich J. - A. Brodsky,​​ B. stages of disillusionment in the helping professions,​​ New York, Human Sciences Press, 1980; Maslach C.,​​ La sindrome del b. Il prezzo dell’aiuto agli altri, Assisi, Cittadella Editrice, 1992; Gabassi P. G. - M. Mazzon,​​ B.: 1974-1994.​​ Venti anni di ricerche sullo stress degli operatori socio-sanitari,​​ Milano, Angeli, 1995; Maslach C. - M. P. Leiter,​​ B. e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro,​​ Trento, Erickson, 2000; Baiocco R. et al.,​​ Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto, Ibid., 2004.

G. Crea




BURT Cyril

 

BURT Cyril

n. a Londra nel 1883 - m. ivi nel 1971, psicologo inglese.

1. Dopo esser stato allievo di McDougall a Oxford e aver portato a termine, come professore incaricato di psicologia a Liverpool (1907-1912), numerosi studi di tipo empirico e sperimentale sulla misurazione dell’intelligenza (nel 1909 aveva pubblicato sul «British Journal of Psychology» uno studio sui​​ ​​ test sperimentali di intelligenza generale e nel 1911 era stato il primo a costruire, sulla base dei lavori di​​ ​​ Spearman, una procedura per la somministrazione di gruppo dei test mentali) ottiene nel 1912, per interessamento di​​ ​​ Galton, il posto di psicologo scolastico retribuito presso la London County Council Education Authority, il consiglio di contea di Londra. Dirige successivamente una sezione di orientamento professionale dell’Istituto Nazionale di Psicologia Industriale ed è professore di psicologia all’Università di Londra.

2. I suoi studi su gruppi di bambini normali, ipo e iper dotati, e con caratteristiche antisociali, nonché quelli sui gemelli monozigoti educati separatamente, saranno considerati fondamentali per le successive indagini sull’infanzia e sull’educazione. In​​ Mental and scholastic tests​​ (1932), dopo aver proposto una revisione della scala di Binet-Simon, B. presenta una serie di test speciali relativi al livello di educazione raggiunto nella lettura, nella scrittura, nello svolgimento di temi, nell’aritmetica e in altre forme fondamentali di attività scolastica e, in disaccordo con Spearman, sostiene che i punteggi dei test rappresentano una misurazione non di una capacità generale ma di capacità operanti a differenti livelli, e cioè a livello senso-motorio, a livello percettivo, associativo, relazionale. Considera inoltre i fattori in cui la capacità fondamentale è scomponibile alla stregua di costrutti logici e non di agenti causali: servono cioè semplicemente a classificare in maniera coerente le correlazioni individuate fra i punteggi di test diversi. Nel 1938 avanza l’ipotesi di una correlazione fra classificazioni basate sulla contrapposizione tra introversione ed estroversione da un lato e differenze somatiche dall’altro. Propone inoltre uno schema di interpretazione del TAT in termini di livelli di organizzazione (coerenza), grado di osservazione dei particolari, fluidità verbale, estroversione-introversione. Infine, nel 1956 applica la teoria multifattoriale dell’eredità, basata sul metodo di analisi quantitativa di Fisher, all’analisi delle differenze individuali.

3. Considerato uno dei principali psicologi del secolo per le sue ricerche sui test attitudinali nella scuola, sull’ereditarietà dell’intelligenza, sull’analisi fattoriale in psicologia e per la grande influenza esercitata sulla psicologia e la pedagogia inglese, B. è invece divenuto in anni più recenti (in conseguenza dello scandalo suscitato dallo psicologo statunitense L. Kamin che nell’articolo​​ The science and politics of IQ​​ [1974] ha denunciato la manipolazione compiuta da B. sui suoi dati per dimostrare la tesi dell’ereditarietà dell’intelligenza) il simbolo di un’indagine psicologica fortemente connotata a livello ideologico e volta a sostenere interventi sociali e pedagogici selettivi e classisti.

Bibliografia

Glassey W.,​​ Educational development of children: the teachers’ guide to the keeping of school records,​​ with a foreword by professor Sir C.B., London, University of London Press, 1950; Hernshaw L. S.,​​ C.B.,​​ psychologist,​​ London, Hodder & Stoughton, 1979; Fletcher R.,​​ Science,​​ ideology and the media: the C.B. scandal,​​ New Brunswick / London, Transaction Publ., 1991.

F. Ortu - N. Dazzi




BUYSE Raymond

 

BUYSE Raymond

n. a Tournai nel 1889 - m. ivi nel 1974, pedagogista belga.

1. Ha insegnato per 10 anni nelle scuole secondo le sollecitazioni dell’attivismo (​​ Scuole Nuove); come ispettore scolastico e docente ha insistito sull’uso delle tecniche d’indagine nella verifica dei risultati e sull’organizzazione scolastica secondo i principi del taylorismo; è stato collaboratore di​​ ​​ Decroly con il quale ha scritto, ma dal quale ha dissentito contrapponendo la scuola dell’esperienza vissuta a quella che utilizza la ricerca sperimentale. Nel 1928 ha iniziato l’insegnamento all’Università cattolica di Lovanio, ove ha fondato e diretto il Laboratorio di​​ ​​ pedagogia sperimentale. I suoi meriti quale «capofila» della pedagogia sperimentale in Europa (​​ Dottrens) lo hanno portato ad essere il primo presidente di Paedagogica (1950), società internazionale di studi e ricerche pedagogiche e poi presidente onorario dell’AIPSLF (Associazione internazionale di Pedagogia Sperimentale di Lingua Fr.). È stato formatore di insegnanti e di ricercatori, animatore della ricerca sperimentale specie tramite i suoi allievi.

2. Ha cercato di definire il contributo della sperimentazione all’interno della pedagogia. Nell’insegnamento e nella direzione delle ricerche s’è occupato della scuola, dell’apprendimento, ha insistito sulla necessità della verifica dei risultati e d’una organizzazione razionale. Gli interessi culturali di B. hanno riguardato anche l’​​ ​​ orientamento e la famiglia.

Bibliografia

B.R.,​​ L’expérimentation en pédagogie, Bruxelles, M. Lamertin,​​ 1935; Bonboir A. et al.,​​ L’oeuvre pédagogique de R.B.,​​ Louvain, Vander, 1969; Gille A.,​​ R.B.,​​ promoteur de la pédagogie expérimentale,​​ in «Revue de Psychologie et des Sciences de l’Éducation» 10 (1975) 15-24;​​ Montalbetti K.,​​ La pedagogia sperimentale di R.B., Milano, Vita e Pensiero, 2002.

L. Calonghi - C. Coggi




CALASANZ José de

 

CALASANZ José de

n. a Peralta de la Sal nel 1557 - m. a Roma nel 1648, educatore spagnolo, santo, fondatore degli​​ ​​ Scolopi.

1. La vita di C. (noto in Italia con il nome di Calasanzio) trascorre in Spagna (1557-1592) e a Roma (1592-1648). Consegue il dottorato in teologia, lavora con vari vescovi, è precettore dei loro domestici. Con questa esperienza si trasferisce a Roma aspirando ad un canonicato; però non riesce nell’intento e arriva a dire, nel 1600: «Ho trovato a Roma il miglior modo di servire Dio, aiutando questi poveri ragazzi; non lo lascerò per nulla al mondo». Dal 1595 si dedica alle opere di carità in diverse congregazioni, tra cui quella della Dottrina cristiana, dove si impartisce l’insegnamento del​​ ​​ catechismo a fanciulli e fanciulle la domenica e i giorni festivi e si insegna ad alcuni a leggere, scrivere e fare di conto; sembra che si sia iscritto alla Dottrina cristiana nella seconda metà del 1599. C. vuole che questa Congregazione gestisca le scuole quotidiane e gratuite da lui fondate nella chiesa di s. Dorotea, ma non vi riesce.

2. In queste scuole, che chiamò «Scuole Pie» (come l’Ordine religioso che le ha fatte sopravvivere), la dottrina cristiana fu la materia principale. C. si preoccupò, tra l’altro, di trovare una metodologia catechistica diversa da quella utilizzata per le altre discipline scolastiche, benché anche la catechesi seguisse la​​ Legge del dinamismo​​ psicologico​​ da lui enunciata per tutte le materie: «Nell’insegnamento della​​ ​​ grammatica e in qualunque altra materia, risulta di gran profitto per l’allievo che il​​ ​​ maestro segua un metodo semplice, efficace e, per quanto possibile, breve. Per questo si metterà tutto l’impegno nello scegliere il migliore fra quelli indicati dai più dotti ed esperti nella materia» (Constituciones,​​ n. 216). Si seguirà, inoltre, un metodo uniforme, tenuto conto della regionalizzazione e della creatività dei maestri. C. vuole catechisti preparati, un programma ben strutturato, libri, tecniche e tempi adeguati. Benché inserito nel campo della ragione e della cultura, vi è un momento nell’apprendimento catechistico nel quale il fanciullo deve realizzare gli atti richiesti dalla fede che apprende; e tutti gli alunni devono fare la preghiera personale nel​​ ​​ collegio. Questo insegnamento deve essere sistematico, universale e uniforme e, tenendo conto delle scansioni scolastiche, si deve attuare sin dai primi anni e giornalmente. C. si serve del catechismo per le lezioni di lettura (compitazione, sillabazione ad alta voce). Nelle sere della domenica e dei giorni festivi il catechismo viene insegnato nelle chiese parrocchiali a tutto il popolo con una speciale partecipazione degli alunni. Nel noviziato, lo scolopio deve apprendere già «il modo di insegnare la dottrina cristiana» ed i catechisti debbono avere «la cultura e l’autorità che caratterizza il sacerdozio».

3. C. pubblicò un suo catechismo, intitolato​​ Alcuni misteri della Vita e Passione di Cristo Signor Nostro da insegnarsi alli scolari dell’infime classi delle Scuole Pie​​ (la​​ ediz., Roma, 1599; ultima, 1691). Utilizzò e fece utilizzare i catechismi di Bellarmino, Romano, di s. Carlo​​ ​​ Borromeo e le opere di C. Franciotti. Instaurò e mantenne per 50 anni nelle sue scuole (fondò 37 collegi in Italia, Germania, Polonia, Ungheria, Boemia e Moravia) un organizzato e completo movimento catechistico. Davanti ad un tribunale difese il diritto del povero all’educazione primaria e media elementare. Viene considerato il creatore della scuola popolare moderna (1597).

Bibliografia

Santha G.,​​ De sancti Fundatoris nostri in Confraternitate Doctrinae christianae Urbis,​​ praesentia,​​ industria,​​ muneribus,​​ in «Ephemerides Calasanctianae» 6 (1958) 149-161; Cueva D.,​​ Catequesis calasanciana,​​ in «Analecta Calasanctiana» 65 (1991) 109-134; Spinelli M.,​​ J.d.C.,​​ pionero de la escuela popular, Madrid, Ciudad Nueva, 2002.

V. Faubell




calcolo delle PROBABILITÀ

 

PROBABILITÀ: calcolo delle

L’aggettivo​​ probabile​​ (dal lat.​​ probabilis,​​ meritevole di approvazione, ma anche verosimile, credibile) viene usato in riferimento a qualcosa che può essere vero, essere accaduto o accadere, ma su cui non si è in grado di pronunciarsi con sicurezza. Il sostantivo p. può essere quindi usato per indicare la «qualità» di ciò che è probabile e, in modo più rigoroso, il grado di attendibilità (espresso numericamente) di ciò che è considerato probabile.

1.​​ Origini del calcolo delle p.​​ L’interesse per i problemi posti dai risultati del gioco (dei dadi in particolare) si sviluppa nel sec. XVII e vede impegnati uomini famosi. Se ne occuparono occasionalmente G. Galilei e N. Tartaglia. Il punto di partenza per lo sviluppo di un’organica teoria della p. è però rappresentato da alcuni problemi, sempre relativi ai giochi d’azzardo, posti da un assiduo giocatore, il Cavaliere de Meré, a Pascal. Questi non solo risolse i problemi proposti ma ne fece oggetto di scambi epistolari con Fermat, ponendo le basi per la riflessione sul concetto di p. e per la sua sistemazione in quel grandioso edificio matematico che è l’attuale calcolo delle p. L’argomento fu sviluppato in modo organico da G. Bernoulli, la cui opera​​ Ars conjectandi​​ apparve postuma nel 1713. Le riflessioni sulla p. trovano una sistemazione teorica nelle opere di P.S. Laplace, in particolare nella​​ Théorie analytique des probabilités​​ del 1812.

2.​​ Interpretazioni della p.​​ La nuova disciplina ha posto all’attenzione degli studiosi diversi problemi: il significato da attribuire al concetto di p.; il modo di esprimere numericamente (misurare) i valori di p.; la costruzione del calcolo delle p. Le principali soluzioni proposte si possono così riassumere. L’interpretazione classica​​ afferma che la p. di un evento è data dal rapporto tra il numero dei casi favorevoli (successi) all’evento stesso e il numero dei casi possibili, supposti ugualmente possibili. La definizione, presente in Bernoulli, è stata teorizzata da Laplace e largamente adottata fino ai primi decenni del Novecento. L’interpretazione frequentista​​ vede la p. come il «limite» della frequenza relativa di un evento casuale in una serie di prove ripetute nelle stesse condizioni, al crescere del numero delle prove. Si tratta di un punto di vista da tempo applicato in​​ ​​ statistica (previsione della mortalità, assicurazioni, ricerche in campo fisico, medico...). Supponendo la ripetizione delle prove, questa definizione non è applicabile ad eventi isolati (es.: previsione del successo di una squadra in una determinata partita). Inoltre non sempre è facile giustificare la costanza delle condizioni nella ripetizione di prove e anche il concetto di «limite» (che non coincide con quello matematico) suscita qualche perplessità. L’interpretazione logicistica:​​ la p. viene considerata come una relazione tra proposizioni, che permette di estendere il campo di applicazione della logica formale. La principale difficoltà al riguardo sembra quella dell’assegnazione di una «misura» (p.) dell’aspettativa di un evento. L’interpretazione soggettivistica:​​ la p. viene definita come grado di fiducia che una persona manifesta nei confronti dell’aspettativa di un evento. Essa rappresenta l’interpretazione più ampia di p. (ingloba le precedenti). L’impostazione assiomatica:​​ rappresenta il tentativo di costruire su basi solide l’edificio del calcolo delle p., assumendo come primitiva la nozione di p. ed enunciando alcuni assiomi che permettono di procedere in modo logico e coerente, come accade in altri campi della matematica (geometria, aritmetica). Suo iniziatore qualificato il russo A.N. Kolmogorov, che la propose in una pubblicazione del 1933. Essa è utilizzabile nel contesto delle diverse interpretazioni di p. sopra ricordate.

3.​​ Le distribuzioni di p.​​ Per la descrizione teorica e lo studio di fenomeni aleatori sono importanti le distribuzioni di p. Tra esse si indicano in particolare: 1)​​ La distribuzione binomiale:​​ è la più semplice da costruire, poiché basta utilizzare le «semplici» premesse ricordate sopra e ricorrere all’algebra e precisamente allo sviluppo delle potenze di un binomio (di qui il nome di distribuzione binomiale) per i calcoli. A questa distribuzione si perviene considerando prove che ammettono solo due risultati A o B (come nel lancio di una moneta: testa o croce). Eseguendo n prove nelle stesse​​ condizioni e con p. costante (e quindi q = 1 - p), la p. di ottenere x risultati (0 ≤ x ≤ n) favorevoli, per es. ad A (uscita di testa nel lancio di una moneta) è data da p(x) = (n) pxqn-x, termine generico dello sviluppo del binomio (p + q)n. Di questa distribuzione è possibile calcolare il valore medio (o atteso), che si dimostra essere μ​​ = np e la dispersione dei risultati attorno ad esso fornita da σ = √npq. 2)​​ La distribuzione normale:​​ a differenza delle precedenti, si applica alla descrizione di variabili casuali continue. Ad essa si può giungere sia considerandola come approssimazione della distribuzione binomiale (teorema di De Moivre-Laplace) o come modello matematico unificatore per presentare l’andamento degli errori di misura di fenomeni naturali (Laplace e Gauss – dal nome di quest’ultimo deriva anche l’appellativo di distribuzione gaussiana). Essa è caratterizzata dalla media μ e dalla varianza σ2.​​ Data la sua fondamentale importanza essa è stata tabulata [sono stati calcolati, per diversi valori di z (​​ statistica), le aree comprese fra la media (0) e i punti z stessi].

4. Modelli probabilistici.​​ Il ricorso a questi modelli, interessa ormai tutti i campi della ricerca e rappresenta l’insostituibile fonte a cui attinge abitualmente la statistica inferenziale per risolvere i suoi problemi. Anche un modello apparentemente semplice e relativamente facile da costruire come quello binomiale può prestarsi a molte applicazioni: nascite in famiglia (M o F); risposte a domande del tipo Giusto - Sbagliato; comportamento di un ratto in un labirinto (Destra - Sinistra). Di particolare importanza è la distribuzione normale. In primo luogo perché l’esame delle distribuzioni empiriche di alcuni fenomeni naturali (la distribuzione degli errori accidentali di misura in particolare) suggerisce spesso il ricorso al modello normale come il più adatto per lo studio della situazione. Ma l’importanza della distribuzione normale è sottolineata soprattutto dal fatto che essa si propone come buona approssimazione ad altre distribuzioni teoriche, laboriose e difficili da trattare.

5.​​ Significato educativo.​​ Nel ricorso ai modelli probabilistici occorre tuttavia considerare, oltre all’utilità pratica, il valore teorico. Le distribuzioni teoriche di p. descrivono l’andamento di fenomeni in situazioni di incertezza. Ciò permette di offrire un riferimento sicuro per la valutazione delle situazioni di vita (tra esse quelle educative), in vista di scelte (decisioni) tese a ridurre al minimo le possibilità di errore (non ad escluderlo, ovviamente). Di qui l’utilità di approfondire il significato del ricorso ai modelli probabilistici e di creare per tempo (anche e soprattutto a livello di scuola) interesse alla loro conoscenza e utilizzazione.

Bibliografia

De Finetti B.,​​ Teoria della p.,​​ voll. 1-2, Torino, Einaudi, 1970; Costantini D.,​​ Introduzione alla p.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1977; D’Amore B.,​​ P. e Statistica, Milano, Angeli, 1986; Boffa M. - C. Caredda,​​ P. e insegnamento elementare,​​ Torino, SEI, 1990; Ottaviani M. G.,​​ Una bibliografia ragionata sulla didattica della P. e​​ della Statistica nella scuola, in «Induzioni», 1991, n. 2; Baldi P.,​​ Calcolo delle p. e statistica,​​ Milano, McGraw-Hill, 1992; Scozzafava R.,​​ Primi passi in p. e statistica, Bologna, Zanichelli, 1995; Orsi R.,​​ P. e inferenza statistica,​​ Bologna, Il Mulino, 1995; Dacunha-Castelle D.,​​ La scienza del caso:​​ Previsioni e p. nella società contemporanea, Bari, Dedalo, 2001; Bergamini M. - A. Trifone,​​ Elementi di​​ p. e statistica descrittiva, Bologna, Zanichelli, 2001; Prodi R. - M. T. Sainati,​​ Scoprire la matematica:​​ P.​​ e statistica, Milano, Corbi e Ghisetti, 2003; Negrini P. - M. Magagni,​​ La P., Roma, Carocci, 2005.

S. Sarti




CALONGHI Luigi

 

CALONGHI Luigi

n. a San Bassano (Cremona) nel 1921 - m. a Torino nel 2005, pedagogista sperimentale e docimologo, sacerdote salesiano.

1. Si è laureato in filosofia e teologia; specializzato in Psicopedagogia presso l’Università di Lovanio (Belgio) con R.​​ ​​ Buyse. È stato docente, direttore d’istituto, preside e Rettore della Pontificia Università Salesiana di Roma e professore ordinario all’Università Statale di Torino, Salerno e Roma.​​ è​​ stato Presidente dell’IRRSAE Piemonte. Ha collaborato attivamente al rinnovamento della scuola it. partecipando a convegni e commissioni tecniche del MPI. Particolare impegno ha dedicato dal 1977 al 1993 alla messa a punto della scheda di valutazione per la scuola media (D.M. 5.5.93).

2. Ha sviluppato ampie ricerche empiriche in ambito didattico e docimologico, validando strumenti di rilevazione e controllando ipotesi innovative con il supporto di affinate tecniche statistiche e di approfondimenti qualitativi (riflessione verbalizzata). Ha messo la ricerca a servizio dei problemi della scuola, predisponendo manuali, sussidi diagnostici, test e guide. Ha una vasta produzione scientifica che conta più di 50 voll.; oltre 60 contributi a voll. e quasi 200 articoli. È stato membro del comitato scientifico di numerose riviste; cofondatore di «Orientamenti Pedagogici» e della SIRD; consulente scientifico di sussidiari, testi di lettura, batterie di prove oggettive per la scuola elementare e media. Ha contribuito all’affinamento della metodologia della ricerca didattico-educativa, alla sua diffusione tra gli insegnanti e ha dato un contributo significativo all’introduzione delle teorie e delle pratiche della valutazione formativa nella scuola dell’obbligo italiana.

Bibliografia

C.L.,​​ Valutazione, Brescia, La Scuola, 1976; Id.,​​ Sperimentazione nella scuola, Roma, Armando, 1977; Nanni C. (Ed.),​​ La ricerca pedagogica didattica, Roma, LAS, 1997; La Marca A. (Ed.),​​ Ricerca,​​ educazione,​​ didattica. L’opera di L.C.: sviluppi attuali,​​ Palermo, Palumbo, 2006.

C. Coggi




CAMBIO SOCIALE

 

CAMBIO SOCIALE

Per c.s. si intendono tutte le trasformazioni che si producono in un dato periodo di tempo nella struttura di una determinata​​ ​​ società.

1. Il​​ concetto​​ non indica di per sé la direzione in cui il cambiamento avviene. L’interesse della sociologia per il c.s. va ricercato nel fatto che in una società, intesa come un insieme di sotto-sistemi interdipendenti, cambiamenti strutturati di un settore possono provocare tensioni e processi di adattamento negli altri. Il c.s. è uno dei problemi più affascinanti e nello stesso tempo più difficili in sociologia. Infatti la sociologia moderna ha iniziato con i tentativi di spiegare le cause del c.s. e in proposito ha cercato di elaborare una teoria che doveva rivelare le «leggi del mondo». La maggior parte delle interpretazioni aveva un carattere evoluzionistico: l’influsso maggiore è stato esercitato da Marx che sosteneva che il «modo di produzione» ed i rapporti di produzione da esso generati erano la «struttura» fondamentale della società, rispetto alla quale tutte le altre istituzioni, politiche, religiose e familiari, erano la «sovrastruttura». Con lo studio del c.s. si passa immediatamente dai problemi dell’organizzazione della società a quelli riguardanti le sue modificazioni, si passa cioè dalla statica alla dinamica sociale. Il c.s. riguarda il movimento delle persone o delle istituzioni da una posizione ad un’altra nell’ambito di una qualsiasi articolazione della società. Esso è sempre un cambiamento qualitativo, sia positivo sia negativo, e non si riferisce tanto alle vicende sociali di un singolo individuo, quanto piuttosto ai mutamenti collettivi di interi gruppi di persone, come per es. quando, in seguito allo sviluppo industriale, si verifica il passaggio da un’economia agricola ad una industriale. Nello studio del c.s., esattamente come in quello della stratificazione, possiamo distinguere due diversi aspetti: quello che i singoli compiono all’interno della stratificazione, e quello collettivo, dove invece l’attenzione si sposta sulle classi sociali, in quanto il tasso di mutamento di una società viene fatto dipendere dall’evoluzione storica dei rapporti sociali. Va subito detto che dal punto di vista sociologico non soltanto le due dimensioni citate sono singolarmente valide, ma esse sono anche compatibili con tre ordini di fattori, quelli individuali e quelli collettivi, quelli soggettivi e quelli oggettivi, quelli psicologici e quelli economici.

2. Nella​​ divisione del lavoro sociale,​​ ​​ Durkheim (1962) traccia un quadro generale del c.s. come differenziazione. Le società erano un tempo organizzate meccanicamente, avevano leggi repressive ed erano dominate da una coscienza collettiva particolaristica e onnipresente con una​​ ​​ solidarietà meccanica. Gradualmente esse si sono mosse verso una solidarietà organica, dove le leggi sono restitutive e la moralità collettiva è generalizzata ed astratta. Durkheim si concentra qui primariamente sui cambiamenti economici e sulla separazione della religione dalle funzioni politiche e legali. Una delle teorie correnti del c.s. risale a W. Ogburn (1964) e sostiene che nelle società occidentali moderne sia la tecnica a determinare il cammino: ciò significa che la tecnica rappresenta la variabile indipendente e che il progresso in essa provoca negli altri settori della società processi di adattamento. Alcuni autori considerano il c.s. una categoria generale in cui rientrano tutti i fenomeni, i processi e i movimenti che implicano una qualunque trasformazione della società umana o di qualche sua parte. Se si accoglie questo significato, l’evoluzione, lo sviluppo e il progresso diventano casi speciali o interpretazioni particolari del c.s., fenomeno universale che abbraccia tutto l’ambito degli studi sociologici.

3. I​​ fattori​​ del c.s. possono essere interni o esterni, secondo che abbiano origine all’interno o all’esterno del sistema considerato. Tra i fattori interni sono da includere: il conflitto tra i gruppi, le associazioni, le organizzazioni e le classi sociali, che mobilita e orienta le forze necessarie per introdurre mutamenti più o meno radicali e più o meno rapidi; l’accumulazione del capitale e i nuovi investimenti nei diversi settori produttivi; i movimenti collettivi, soprattutto allo stato nascente. Tra i fattori esterni si annoverano: la guerra, l’occupazione militare, il conflitto internazionale, gli interventi di una potenza straniera politicamente o economicamente dominante, la caduta di un regime legale come quella di uno illegale; forti aumenti o diminuzioni della popolazione, anche per effetto di intensi flussi migratori, per cui un sistema socio-economico, non riuscendo ad assorbire l’incremento demografico, entra in crisi e tende ad essere mutato; lo sviluppo della tecnologia, della scienza, dell’industria o con una parola della cultura materiale; i contatti con altre culture, l’acculturazione, l’influenza dei mezzi di comunicazione di massa, il turismo.

4. Ultimamente non si nota in generale tanto interesse per il c.s. Gli sforzi oggi si concentrano maggiormente sullo studio dettagliato di particolari società, comunità e istituzioni usando mezzi di osservazione, di indagine e di misurazioni sempre più esatti. Il c.s. viene analizzato in sociologia come una condizione normale della società. Ogni società e cultura è sottoposta a un rapido e costante c.s. I mutamenti non sono isolati né temporalmente né spazialmente e le conseguenze tendono a ripercuotersi su intere regioni o in tutto il mondo attraverso la tecnologia moderna e le strategie sociali. Nella mentalità moderna il c.s. si è quasi istituzionalizzato: in questo senso, all’ordine dato della tradizione si sostituisce l’accettazione del c. continuo. In altre parole, non è positivo fare quello che tutti hanno sempre fatto, ripetere i modelli prestabiliti, ma innovare, come in economia, o scoprire e riformulare leggi, come nelle scienze. Pertanto si tratta di un passaggio da un insieme relativamente indifferenziato a una diversificazione crescente di ruoli, status, e istituzioni. La società moderna, postindustriale, accelera il processo di divisione del lavoro e aumenta il numero delle funzioni e delle specializzazioni.

Bibliografia

Durkheim E.,​​ La divisione del lavoro sociale,​​ Milano, Edizioni di Comunità, 1962; Ogburn W.,​​ On culture and social change.​​ Selected papers,​​ Chicago / London,​​ The University of Chicago Press, 1964; Jeffrey C. A.,​​ Teoria sociologica e mutamento sociale,​​ Milano, Angeli, 1990; Bourdieu P. - J. S. Coleman,​​ Social theory for a changing society,​​ Boulder / Colorado, New York, Westview Press, 1991; Crespi F.,​​ Evento e struttura. Per una teoria del mutamento sociale,​​ Bologna, Il Mulino, 1993; Toscano M. A. (Ed.),​​ Introduzione alla sociologia,​​ Milano, Angeli,​​ 71993; Nisbet R. A.,​​ History of the idea of progress,​​ Estover, Plymouth, Transaction Publishers, 1994; Sztompka P.,​​ The sociology of social change,​​ Oxford, Blackwell, 1994; Ortoleva P.,​​ Mediastoria.​​ Comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo, Parma, Pratiche, 1995; Belardinelli S. - L. Allodi (Edd.),​​ Sociologia della cultura, Angeli, 2006; Granieri P.,​​ La società digitale, Bari, Laterza, 2006.

J. Bajzek




CAMPANELLA Tommaso

 

CAMPANELLA Tommaso

n. a Stilo, Calabria, nel 1568 - m. a Parigi nel 1639, filosofo italiano.

1. C., religioso domenicano, fu perseguitato e imprigionato per ragioni politiche. È il più tipico filosofo del Rinascimento italiano. Sulla scia di B. Telesio, ma con più profonda capacità metafisica, interpreta lo spirito di rinnovamento del naturalismo rinascimentale e ne formula l’incontro con il cristianesimo nella sua sintesi filosofica, nella gnoseologia e nella metafisica. La prima, accentuando il distacco dalla visione aristotelica, valorizza nel​​ sensus inditus​​ la coscienza (costitutiva) di sé come base di ogni ulteriore conoscenza, dovuta al​​ sensus additus,​​ che deriva dal contatto con gli altri esseri. La presenza della​​ mens​​ (spirito) garantisce l’oggettività del conoscere. Si ha così una sintonia con la nuova ricerca della conoscenza della natura; ma resta la difficoltà di un residuo sensismo. La seconda ha come fondamento la concezione delle​​ tre primalità​​ (potentia,​​ sapientia,​​ amor)​​ costitutive dei vari esseri: in Dio nelle tre divine Persone, e, in modo gradualmente partecipato, negli esseri creati. L’accentuazione dell’amor sui​​ come prima tendenza, che in quanto tendenza all’essere diventa anche​​ amor Dei,​​ porta alla concezione di una religiosità sostanzialmente radicata nella natura (religio indita),​​ che viene precisata e perfezionata dalle religioni positive (religio addita)​​ e nel modo più perfetto dal cristianesimo.

2. La profondità e l’impostazione della sua speculazione pongono il C. nel cuore della cultura rinascimentale. Lo specifico interesse e influsso pedagogico è legato a un aspetto della sua opera utopica: la​​ Città del sole.​​ In essa trovano fantasiosa applicazione i principi elaborati nella filosofia di C., in un tentativo di sintesi politico-filosofico-religiosa e di esaltazione della natura: libertà, spontaneità, superamento dell’egoismo e dedizione al bene comune caratterizzano la vita dei cittadini, governati (in clima di pieno comunismo, sul tipo della​​ Repubblica​​ di​​ ​​ Platone) da un principe-sacerdote (il​​ «Metafisico»)​​ assistito da tre magistrati (traduzione in dimensione politica delle​​ tre primalità).

3. L’educazione dei piccoli, maschi e femmine, è realizzata nel contatto con la natura, all’aria aperta; l’apprendimento è attuato attraverso pitture murali sui muri della città, la visita alle botteghe degli artigiani, le attività meccaniche e agricole. In questa visione utopica C. anticipa, in certo modo, l’evoluzione dei metodi pedagogici e didattici. Ciò spiega l’influsso esercitato presso i successivi pedagogisti della corrente realista, per es.​​ ​​ Comenio.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ C.,​​ La città del sole e altri scritti, a cura di F. Mollia, Milano, A. Mondadori, 1991. b)​​ Studi:​​ Di Napoli G., «L’utopia pedagogica in Moro, C. e Bacone», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia, vol. I, Brescia, La Scuola, 1977; Frauenfelder E.,​​ La Città del Sole di Fra’ T. C., Napoli, Ferraro, 1981; Genovesi G. - T. Tomasi,​​ L’educazione nel paese che non c’è. Storia delle idee e delle istituzioni educative in utopia, Napoli, Liguori, 1985; Negri L.,​​ Fede e ragione in T. C.,​​ Milano, Massimo, 1990; Garin E.,​​ Dal Rinascimento all’Illuminismo. Studi e ricerche, Firenze, Le Lettere, 1993; Vasoli C.,​​ Le filosofie del Rinascimento, a cura di P. C. Pissavarino, Milano, B. Mondadori, 2002; Amerio R. - M. Guglielminetti - P. Ponzio, «C.», in​​ Enciclopedia Filosofica, vol. II, Milano, Bompiani, 2006, 1588-1595.

M. Simoncelli




CAMPIONE STATISTICO

 

CAMPIONE STATISTICO

Parte di una popolazione ritenuta rappresentativa dell’intera popolazione in un particolare contesto di studio.

1.​​ Premessa.​​ Quando si pianifica una ricerca – in campo educativo, psicologico, sociale, ma anche in campo fisico, agrario o altro – si ha in mente qual è la​​ popolazione​​ (detta anche​​ universo)​​ che si vuole studiare. Ad es., se si decide di studiare i metodi usati dai docenti italiani per insegnare la storia ai ragazzi che frequentano la scuola media dell’obbligo, la popolazione è costituita da tutti i docenti italiani che in una qualsiasi scuola media insegnano quella disciplina. Una popolazione può essere quantificata in modo preciso. Nel nostro caso, sia pure con qualche difficoltà, sarebbe possibile fare un elenco nominativo di tutti gli insegnanti di storia delle scuole medie italiane. Nella maggior parte dei casi, raggiungere e studiare tutti gli individui che compongono una popolazione è troppo lungo e costoso. Se però si vuole che le conclusioni dello studio, anche se basate su una parte dei soggetti, possano ragionevolmente essere riferite all’intera popolazione, bisogna che la porzione scelta per lo studio – il c. – sia scelta secondo regole ben definite.

2.​​ Tipi di c.​​ Il​​ c.​​ casuale semplice​​ è il tipo di c. che con più rigore rispetta le esigenze di rappresentatività, in quanto garantisce che ogni membro della popolazione abbia le stesse probabilità di essere estratto e di entrare a far parte del c. Questo si ottiene assegnando ad ogni elemento della popolazione un numero ed estraendo i numeri con un procedimento rigorosamente casuale, simile a quello con cui si estraggono i numeri del lotto. Viene considerata una buona approssimazione al c. casuale il c.​​ sistematico,​​ in cui si parte da un numero scelto a caso e si procede a intervalli uguali. Non sono equiparati ai c. casuali i​​ c​​ .accidentali,​​ scelti «come capita» o, peggio, in base alla facilità di accesso. Sono c. accidentali gli alunni esaminati dai loro stessi insegnanti, gli elettori all’uscita del seggio più vicino alla casa degli intervistatori, i pazienti studiati dai loro terapeuti e così via. I c. – casuali o no – sono detti​​ stratificati​​ quando la popolazione, anziché essere costituita da un’unica lista indifferenziata di individui, è articolata in categorie descrittive quali età, sesso, studi compiuti ecc. Sono detti​​ a gruppi​​ quando la popolazione non è costituita da un elenco di individui, ma da un elenco di gruppi: per es., se ogni elemento della lista è una classe scolastica, una unità abitativa, ecc.

3.​​ Precisione delle misure ottenute nel c.​​ Posto che il c. sia estratto a caso, quanto più è numeroso tanto più rispecchia in modo adeguato le caratteristiche della popolazione da cui è estratto. Il principio di base tenuto presente per stimare la precisione delle statistiche calcolate su c. è definito da una formula nota come disuguaglianza o teorema di Tchebycheff. Se il c. non è casuale ma accidentale si ha motivo di ritenere che quanto più è ampio il c. tanto più sono forti le distorsioni che lo rendono diverso e peculiare rispetto alla popolazione.

Bibliografia

Kendall M. G.,​​ The advanced theory of statistics,​​ vol. 1, London, Griffin, 1952; Calonghi L.,​​ La scelta del c.,​​ Roma, Università Salesiana, 1973; Hays W. L.,​​ Statistics for the social sciences,​​ New York, Holt,​​ 21973; Som R. K.,​​ A Manual of sampling techniques, London, Heinemann, 1973; De Carlo N. A. - E. Robusto,​​ Teoria e tecniche di campionamento nelle scienze sociali, Milano, LED, 1996.

L. Boncori




capacità di SCELTA

 

SCELTA: capacità di

1. La capacità di s. consiste in una serie di operazioni mentali che il soggetto deve compiere per indicare una preferenza tra più opzioni. Essa presuppone la presenza di più alternative e l’assenza di vincoli tali da pregiudicare totalmente la facoltà di deliberare. È caratterizzata da una quota di rischio dovuta all’impossibilità di ponderare tutte le implicazioni. I termini s. e​​ ​​ decisione vengono spesso utilizzati in maniera intercambiabile. Alcuni autori invece distinguono la s., intesa come «elezione» di un’opzione tra più possibilità, dalla​​ decisione​​ come esclusione progressiva («tagliar via») delle alternative e come risoluzione finale che spinge all’azione (Khul).

2. I modelli teorici sulla s. si distinguono in normativi e descrittivi. I primi, elaborati principalmente in ambito matematico ed economico, intendono fornire strategie per giungere alla risoluzione più conveniente. I secondi, invece, si propongono di comprendere le «norme» di s. più frequenti. Tra questi ultimi citiamo il modello processuale «dell’immagine» (Beach, 1998), che descrive dettagliatamente due momenti della s. (generazione delle alternative e confronto tra le stesse). Esso considera un’ampia serie di fattori (cognitivi, emotivo-affettivi e contestuali). La capacità di s. prevede: processi induttivi e deduttivi; attenzione selettiva; memoria a breve termine; strategie elaborative e metacognitive; capacità critica; regolazione delle emozioni; tolleranza del rischio; stima di sé ed autoefficacia; motivazione; criteri etici di riferimento. Si tratta di fattori importanti da considerare nel momento in cui si intendano impostare interventi educativi di potenziamento.

Bibliografia

Beach L. R. (Ed.),​​ Image theory: theoretical and empirical foundations, Mahwah-London, Lawrence Erlbaum Associates Publishers, 1998; Howse R. B. - D. L. Best - E. R.​​ Stone,​​ Children’s decision making: the effects of training,​​ reinforcement,​​ and memory aids, in «Cognitive Development» 18 (2003) 247-268.

P. Ricchiardi​​