INTELLIGENZA
INTELLIGENZA
L’amplissimo uso del termine i. rende il suo significato molto incerto e sfumato. Anche il campo di ricerca sull’i. è estremamente vasto e complesso con il sovrapporsi di livelli di studio, di punti di vista teorici e di cambiamenti storici. La diversità di opinioni fa pensare che difficilmente sia possibile fornire una definizione autonoma di i. Il concetto è connotato in maniera diversa al variare della fascia d’età (adulti / bambini), dei gruppi (insegnanti / scolari) e del periodo storico (inizio / fine sec.).
1. Le teorie biologiche sull’i. L’approccio biologico all’i. si è sviluppato in due grandi gruppi di teorie. All’interno del primo gruppo alcune teorie si sono impegnate nello studio della localizzazione cerebrale delle funzioni, cioè al problema del controllo dell’attività psichica da parte di zone diverse del cervello. Ad es. la teoria di Luria attribuisce la funzione ideativo-progettuale per programmare, regolare e verificare l’attività mentale al lobo frontale (parte anteriore del telencefalo), la funzione sensoriale per analizzare e recepire informazioni al lobo temporale, parietale e occipitale, la funzione attiva per la regolazione del tono e della veglia alle altre parti del cervello. Altre teorie, invece, si sono dedicate ad analizzare l’apporto specializzato di ciascuno dei due emisferi all’attività mentale in toto. Così si è scoperto che l’emisfero sinistro manifesta funzioni di tipo analitico e logico, mentre quello destro funzioni di tipo più olistico ed espressivo (teorie del doppio emisfero). Altre, applicando sofisticate metodologie di studio (misurazione elettroencefalografica dei potenziali evocati, risonanza magnetica, analisi del flusso ematico, rilevazione dell’emissione di positroni), hanno tentato di approfondire la comprensione della relazione tra attività mentale e cervello attraverso l’esame dei correlati elettrici delle funzioni cerebrali (teorie fondate sull’attività cerebrale).
2. Teorie psicologiche dell’i. Le teorie psicologiche dell’i. si caratterizzano per il fatto che invertono il rapporto di questa con il fondamento biologico. Esse hanno visto due sviluppi: le teorie psicometriche e le teorie cognitiviste. Le prime si sono mosse per alcuni decenni nel tentativo di fornire una mappa geografica delle → abilità e di misurare l’i. Vanno sotto il nome di teorie psicometriche le teorie differenziali che cercano di individuare le varie abilità dell’i, attraverso lo studio delle differenze individuali. Esse, utilizzando soprattutto l’analisi fattoriale, hanno proposto non solo diverse abilità fondamentali dell’i., ma anche diverse organizzazioni all’interno di queste. Tra gli autori si possono ricordare anzitutto → Galton e → Binet: questi, pur continuando nella linea della ricerca previsionale dei risultati scolastici, spostò l’osservazione del comportamento intelligente dai processi percettivi e sensoriali ai processi cognitivi complessi: attenzione, comprensione, immaginazione, ecc. Goddard tradusse negli Stati Uniti i test di Binet, provocandone una grande diffusione oltre le intenzioni. La ricerca sull’i. ebbe un nuovo e forte sviluppo con l’apporto dello psicologo inglese → Spearman. A lui va il merito di aver introdotto l’analisi fattoriale nella ricerca sull’i. → Guilford ha proposto un modello di i. (SOI) costituito da 120 fattori in una versione e da 150 in una successiva. Le abilità fattoriali possono essere raccolte in tre tipi di categorie (contenuti, prodotti e processi) e visualizzate su un cubo. Altri autori hanno proposto invece modelli di i. gerarchicamente strutturati. Essi appartengono a due distinte correnti: una inglese e una americana. Fanno parte della prima → Burt e Vernon, della seconda J. M. Caltell. A partire dalla fine degli anni ’60 si sono sviluppate teorie volte a spiegare le differenze individuali di i. come differenze procedurali (teorie cognitiviste). Questa linea della ricerca successivamente si è suddivisa in vari orientamenti che differiscono fra loro sul piano soprattutto metodologico e quindi teorico. Si parla di teorie della correlazione dei processi e di teorie delle componenti fondamentali. Nell’indagine sull’i. le prime hanno cercato di correlare compiti semplici che nella ricerca cognitivista erano stati oggetto di attenta analisi (richiamo, rotazione mentale di immagini) e test utilizzati per la misurazione dell’i. Le seconde si sono orientate verso l’approccio diretto tentando di isolare i processi mentali che avvengono in una prestazione richiesta da un test. Possono essere considerate cognitiviste anche tutte le teorie che ricorrono all’analogia con il computer per descrivere e simulare attività cognitive (teorie dell’i. artificiale come approccio all’i.).
3. Teorie contestuali. Un altro approccio, che affonda le sue radici nella teoria evoluzionista e nell’antropologia culturale del sec. scorso, ha provato a comprendere l’i. a partire da un’indagine che cercasse di scindere la componente genetica dalla componente ambientale. L’argomento, così genericamente definito, si è precisato in due ambiti di ricerca. Da una parte si è cercato di scoprire le limitazioni imposte dall’ereditarietà sul potenziale intellettivo dell’individuo e i mutamenti prodotti dalle condizioni ambientali (teorie sull’ereditarietà dell’i.). Dall’altra si è voluto capire se l’i. sia culturalmente segnata fino al punto da doversi parlare di i. diverse a seconda delle diversità culturali oppure se vi siano elementi universali ed altri culturali (teorie sulle differenze culturali d’i.). Le due posizioni oggi sono meno distanti di un tempo. Si riconosce infatti l’importanza e la pervasività di tutte e due le dimensioni sulle differenze individuali di i.
4. Le teorie interattive dei sistemi. Alle teorie dell’i. che accentuano il ruolo dei processi cognitivi e contestuale, si oppongono le teorie che rimarcano la caratteristica dell’interazione tra le due dimensioni (teorie interazioniste). All’interno di queste possono essere collocate la teoria dell’i. multipla di H. Gardner e quella tripolare di R. J. Sternberg. Secondo il primo, l’i. non è un costrutto o un’entità unitaria, bensì un insieme di sette costrutti intellettivi (da cui i. multiple). Si parla di i. linguistica, i. logica matematica, i. spaziale, i. musicale, i. fisico-motoria, i. interpersonale, i. intrapersonale. R. J. Sternberg, in particolare, descrive l’i. come una struttura in interazione con il contesto secondo tre diverse modalità: adattamento all’ambiente, adattamento dell’ambiente a se stesso, selezione di un nuovo contesto quando questo non si adatta alla mente. I livelli di novità o di automaticità sono elementi caratteristici di un’i. che, nel suo interagire con l’ambiente, utilizza tre componenti di elaborazione cognitiva: processi metacomponenziali, processi di acquisizione e processi di prestazione.
5. Le teorie dello sviluppo. Da ultimo si segnalano le teorie dello sviluppo dell’i. In questa prospettiva che attraversa tutte le teorie precedenti, si rilevano due orientamenti diversi: sociali e psicologico-cognitivisti. Le teorie sociali sottolineano l’incidenza dell’apporto esterno allo sviluppo dell’i. (cfr. → Vygotskij e Feuerstein). Nelle teorie psicologico-cognitiviste si distinguono due / tre approcci: cognitivista computazionale, neo-piagetiano e post-formalista. Il primo, applicando la metafora computazionale allo sviluppo, vede l’i. come uno sviluppo di processi, conoscenze dichiarative e processi di autocontrollo metacognitivo. Il secondo riprende aspetti piagetiani integrandoli con prospettive della scienza cognitiva. Il terzo studia lo sviluppo dell’i. oltre i limiti del pensiero logico formale a cui si era fermato → Piaget. Le teorie della i. hanno avuto grande incidenza sulle pratiche educative. In particolare l’approccio post-formalista risulta molto interessante per l’educazione degli → adulti e per iniziative di → educazione permanente.
Bibliografia
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M. Comoglio