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ERMENEUTICA PEDAGOGICA

 

ERMENEUTICA PEDAGOGICA

Dalla classica arte e tecnica dell’interpretazione di testi (in gr.​​ hermeneutikè téchne),​​ nel corso della storia, specie dopo Schleiermacher e Dilthey, il termine e. è venuto a significare più ampiamente i vari tipi di teoria generale dell’interpretazione e un modo di fare filosofia.

1.​​ Forme di e.​​ Dagli anni ‘80 in poi, l’e. può essere vista come una sorta di​​ koiné​​ filosofica della cultura (vale a dire come un comune modo di pensare), allo stesso titolo in cui lo furono, sia pure in modi diversi, l’esistenzialismo nel primo decennio del secondo dopoguerra, il marxismo nei tardi anni sessanta e lo strutturalismo negli anni settanta. Questa enfasi contemporanea sull’e. ha imboccato due vie principali: una prima, sulla scia di Heidegger, Gadamer, Pareyson, Ricoeur (e a loro modo Habermas e Apel), va oltre l’ambito disciplinare e metodologico e considera piuttosto il fenomeno interpretativo come tratto costitutivo dell’esistenza umana; una seconda, permane invece a livello di metodo e di tecnica dell’interpretare. La prima è portata avanti da filosofi di professione; la seconda da studiosi di diritto (Betti), di letteratura (Hirsch, Szondi), di Bibbia (Bultmann e suoi prosecutori). La prima è più un’arte di «leggere» il «testo analogico» della vicenda e dell’esistenza umana storica; la seconda intende restare una metodologia scientifica operante su terreni regionali, all’interno di quelle che, con termine diltheyano, sono classificabili come scienze dello spirito. Nella prima la problematica è filosofica nel senso più largo, nella seconda ci si allarga dal metodologico anche e piuttosto ad un dibattito di tipo epistemologico. Nella prima è centrale il discorso degli esiti dell’e., se cioè si può, attraverso essa, arrivare, per dirla hegelianamente, a nuove «enciclopedie», seppure segnate dalla storicità e dalla situazionalità geo-culturale (come sembra prospettare Gadamer); o se per tale via si rende possibile la realizzazione dell’ideale di una società auto-trasparente e illimitatamente dialogica e comunicativa (come vogliono Habermas e Apel); o se invece essa, come espressione tipica della «post-modernità», non consacri l’irriducibile molteplicità e la dissoluzione dell’unità culturale, sociale, esistenziale (come vuole soprattutto il «decostruttivismo» di Derrida o il «pensiero debole» di Vattimo e Ferraris). Per quest’ultima modalità, il riferimento è a F. Nietzsche, a M. Heidegger e al cosiddetto secondo Wittgenstein (quello dei «giochi linguistici»). Nella seconda prospettiva il dibattito è invece attorno alla validità scientifica e all’oggettività del metodo ermeneutico. In tale contesto acquista tutta la sua importanza la critica di Betti a Bultmann (che non terrebbe distinti significato storico e significatività esistenziale) e l’indicazione dei quattro canoni dello stesso Betti per una corretta metodica ermeneutica (autonomia dell’oggetto; totalità e coerenza delle considerazioni; attualità dell’intendere; corrispondenza dell’intendere con il significato oggettivo delle forme rappresentative da interpretare).

2.​​ L’e.p.​​ L’e., come interpretazione e comprensione del vissuto e della tradizione educativa sociale (ed in particolare del​​ ​​ rapporto educativo inserito in determinati contesti storico-culturali), è stata alla base di quel modo di intendere la pedagogia come scienza dello spirito, sviluppatosi nella scia di Dilthey, nella Germania prehitleriana e del secondo dopoguerra. Ad essa appartennero pedagogisti come​​ ​​ E.​​ Spranger, T. Litt, H. Nohl, W. Flitner, E. Weniger (di cui è stato discepolo il massimo esponente vivente, W. Klafki). Criticata nel corso degli anni sessanta da parte della pedagogia scientifico-sperimentale (nel contesto di quello che è passato alla storia come il​​ Positivismus Streit,​​ vale a dire il dibattito sulla «positività» della scienza), nel corso degli anni ’80, e non solo in Germania, l’e.p. è ritornata a suscitare un notevole interesse nell’ambito della pedagogia. Questa infatti, oggi più che mai, è chiamata a cogliere il senso dell’educazione, a ripensare a fondo la cultura educativa, a contribuire ad attingere una qualità vitale migliore. A ciò è stimolata dal mutamento e dall’innovazione storico-culturale in atto, dal vasto pluralismo e dal «conflitto delle interpretazioni» scientifiche ed ideologiche, dalla caduta dei miti e dal tramonto delle «grandi narrazioni» pedagogiche del recente passato, dall’accrescersi delle dinamiche multiculturali e dall’esplosione dei​​ ​​ mass-media e dei nuovi-media informatizzati, dalla mondializzazione del mercato e dal complessificarsi della vicenda storica personale, nazionale ed internazionale. In questo faticoso lavoro di lettura e di intervento a favore della crescita e della buona qualificazione dell’esistenza individuale e comunitaria, l’e. si offre come uno strumento conoscitivo ed orientativo di prim’ordine: non da sola, ma congiuntamente alla semiotica, al fine di decodificare i segni e le parole della vita e del processo formativo; alla retorica, per intravedere la ragionevolezza dell’agire educativo; e magari all’estetica e alla saggezza religiosa, per cogliere stimoli e orizzonti valoriali di una qualche trascendenza e ulteriorità rispetto alla condizione esistenziale attuale.

Bibliografia

Bleicher J.,​​ L’e. contemporanea,​​ Bologna, Il Mulino, 1986; Betti E.,​​ L’e. come metodica generale delle scienze dello spirito,​​ Roma, Città Nuova, 1987; Mura G.,​​ E. e verità,​​ Ibid., 1990; Malavasi P.,​​ Tra e. e pedagogia,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1992; Vattimo G.,​​ Oltre l’interpretazione,​​ Roma / Bari, Laterza, 1994; Moscone M.,​​ Filosofia e. oggi,​​ Roma, Studium, 1995; Jung M.,​​ L’ e., Bologna, Il Mulino, 2002; Gennari M.,​​ Interpretare l’educazione: pedagogia,​​ semiotica,​​ e., Brescia, La Scuola,​​ 22003; Gadamer H.,​​ E. Uno sguardo retrospettivo, Milano, Bompiani, 2006.

C. Nanni