ERASMUS ROTERODAMUS Desiderius
ERASMUS ROTERODAMUS Desiderius
n. a Rotterdam nel 1466 / 1469? - m. a Basilea nel 1536, umanista, teologo, pedagogista, educatore olandese, noto con questo suo pseudonimo.
1. Vita e opere. Figlio di un sacerdote e cagionevole di salute, risente di questa sua condizione. Entrato in convento, dopo la morte del padre (forse, nel 1483), emette i voti nel 1488. Coltiva lo studio dei classici in contrasto con i suoi confratelli. Ordinato sacerdote nel 1492, polemico con l’ignoranza dei frati e dei tradizionalisti, lascia il convento nel 1493, come segretario del vescovo di Cambrai, e inizia i suoi viaggi per l’Europa. Studia teologia a Parigi, fa il precettore, va in Inghilterra e si convince della necessità di una riforma. Tornato, pubblica gli Adagia e si stabilisce a Lovanio (1502-4), dove stampa l’Enchiridion militis christiani (1503). Ritorna quindi a Parigi, poi in Inghilterra e, quale accompagnatore di due giovani, va in Italia e si laurea in teologia a Torino (1506). Durante il ritorno e soggiorno in Inghilterra, prepara il Moriae Encomium (1511). Ivi rimane fino al 1514 ed elabora alcuni dei suoi scritti più importanti di educazione: De ratione studii ac legendi interpretandique auctores liber (1511), Declamatio de pueris statim ac liberaliter instituendis e De duplici copia verborum ac rerum (1512). Aiutato da Carlo V, gli dedica l’Institutio principis christiani. Nel 1516 riparte per Bruxelles, per l’Inghilterra e poi per Lovanio, dove insegna teologia (1517). Scosso dallo scisma di Lutero, torna a Basilea (1521) con un atteggiamento pacifista ed estraneo alla politica, pur criticando duramente i cattolici. Ripubblica i Colloquia familiaria (1522) e, intervenendo nelle polemiche teologiche, il De libero arbitrio (1524), poi il Ciceronianus e il De recta latini graecique sermonis pronuntiatione (1528), che ne hanno consolidato la fama di umanista e filologo. Nel 1529 si trasferisce a Friburgo, a causa della «riforma» impostasi a Basilea, ma vi torna nel 1535.
2. Il pensiero. E. coltivò tre interessi principali: letterario-umanistico, filosofico-teologico e didattico-educativo. Per il loro continuo intrecciarsi, una debita comprensione può avvenire soltanto avendoli presenti tutti e seguendoli nel loro affermarsi e nel loro sviluppo. L’interesse umanistico, si concretò, dopo la lettura e studio di L. Valla e si espresse come doctrina e cioè come stile di vita tipico dell’uomo, connotato da libertà e da ricerca di piacere. Non basta quindi puntare sull’imitazione letteraria dei classici, come volevano taluni umanisti del tempo. Questa tesi di unità tra modo di esprimersi e vita, caratterizza il Ciceronianus. La stessa istanza unitaria e realistica differenzia la sua concezione filosofico-teologica, in polemica con i teologi del suo tempo, che si perdevano in dispute inutili e ben lontane dagli insegnamenti della Bibbia, fonte privilegiata della stessa scienza e autorità indiscussa. Tuttavia la sua lettura va sottoposta a una critica testuale, per poterne ricavare un’attendibile visione antropologica (Philosophia Christi), secondo la quale l’uomo, caduto, si salva con la sua condotta morale, guidata dalla ragione, che ne supporta anche l’educabilità. È dunque la «natura» stessa, che lo abilita allo scopo, ma quel concetto non è del tutto preciso, per gli influssi intrecciati dei classici (pagani e no) e della Scrittura. Più chiara la sua posizione nei confronti della → religione: allora scandalosa, oggi assai più condivisa. Critica una religiosità fondata sul culto e apparato esterno; rifiuta una Chiesa strumentalizzata dal clero; vuole una miglior formazione di tutti, specie rispetto al Nuovo Testamento. Esige una religione «interiore», in sintonia con le promesse battesimali e la rivelazione: di qui alcune sue perplessità su taluni dogmi e precetti («Presenza reale» nell’Eucaristia; frequenza dei sacramenti; culto dei santi...). In tale contesto trova spazio il suo interesse pedagogico. E. si è ritenuto più «istruttore» che educatore; tuttavia la sua produzione, diffusa tra gli educatori e nelle scuole, ne fa un pratico, oltreché teorico dell’educazione, per quanto non ne dia mai una definizione. La ritiene comunque indispensabile ed efficace e conseguentemente da iniziare al più presto, perché, a suo avviso, gli uomini «non nascuntur, sed finguntur». L’educazione, di conseguenza, è un dovere anche verso la società e verso Dio, in quanto comporta una formazione alla «pietas», alle discipline «liberali», ai doveri della vita e alla probità dei costumi. Si tratta quindi di un’educazione integrale e cristiana, poiché anche la sua pedagogia si rifà a una «philosophia Christi». E. tuttavia, nonostante numerose aperture, ritiene che non tutti abbiano diritto alla prosecuzione degli studi. L’educazione è un’«arte», che esige dall’educatore amore, competenza e comprensione, che suppone osservazione ed esperienza. Inoltre sono indispensabili la gradualità e l’adattamento, che tengano conto anche del peccato originale. Le donne possono educare solo nei primi anni, sebbene abbiano diritto a una formazione pari a quella del maschio. Metodologicamente vanno seguiti tre principi: «natura, ratio, exercitatio», attenzione cioè alle tendenze individuali, a norme comportamentali e alla pratica, con un relativo primato della ragione. Non si trascuri inoltre l’imitazione, che richiede l’esempio, e l’emulazione, ma soprattutto occorre un’impostazione ludica dell’insegnamento e una sua continuità. Segue in E. una precettistica anche minuta, in rapporto al curricolo di studi, che vede comunque una priorità delle lingue, da apprendersi con l’uso e, ove occorra, con la lettura dei classici. Lat. e gr. si apprendono meglio in parallelo. L’istruzione sistematica va iniziata attorno ai sette anni, badando più all’intelligenza che alla memoria, più a obiettivi etici, che puramente istruttivi, donde una relativa disattenzione per le scienze e per la politica. Importante invece la libertà nella scelta dello stato, con una sua preferenza per il matrimonio. A tal fine, da raccomandare i viaggi. Quanto alle scuole, di cui condanna la brutalità, sono da preferire quelle pubbliche e con un numero ridotto di alunni (5-6 per classe).
3. La fortuna di E. è stata alterna, ma ha costituito un’attrazione il suo impegno di coerenza (nonostante taluni suoi cedimenti) e di rigore, specie verso le istituzioni, così come la ricerca di verità, di armonia e di pace, contro ogni intolleranza e autoritarismo: posizioni per cui è particolarmente apprezzato oggi. Al suo successo, e non solo tra i contemporanei, contribuì lo stile limpido e penetrante, ma mordace e ironico. Dal punto di vista pedagogico sono da ricordare come sue fonti esplicite → Vives e → More, suoi amici, e, benché non sia stato sistematico, va riconosciuto un suo notevole influsso su molti pedagogisti posteriori, tra cui → Comenio e → Locke.
Bibliografia
a) Fonti: Opera omnia Desiderii Erasmi Roterodami..., Amsterdam, North-Holland Publishing Co., in corso di stampa dal 1969; Scritti pedagogici, a cura di A. Gambaro, Torino, «L’Erma», 1935. b) Studi: Meissinger K. A., E. von Rotterdam, Wien, Gallus Verlag, 1942; Gambaro A., La pedagogia di E. da Rotterdam, in «Il Saggiatore» 1 (1951) 30-48; 141-159; 221-243; Eckert W. P., E. von Rotterdam Werk und Wirkung, 2 voll., Köln, Wienand, 1967; Tracy J. D., E. The growth of a mind, Genève, Droz, 1972; Augustijn C., E. Der Humanist als Theologe und Kirchenreformer, Leiden / Köln, 1986; Halkin L.-E., E. von Rotterdam. Eine Biographie, Zürich, 1989; Zweig S., E. da Rotterdam, Milano, Rusconi, 1994 (orig. 1935); Margolin J. C., E. précepteur de l’Europe, Paris, Seuil, 1995; Rummel E., E., London, 2004; Abellán J. L., El erasmismo español, introducción, J. L. Gómez-Martínez, Madrid, Espasa-Calpe, 32005.
B. A. Bellerate