DEWEY John
DEWEY John
n. a Burlington (Vermont) nel 1859 - m. a New York nel 1952, filosofo e pedagogista statunitense.
1. Vita. D. nacque da una modesta famiglia di agricoltori. La Burlington in cui D. trascorse gli anni giovanili aveva una popolazione di circa quindicimila abitanti, molti dei quali oriundi dell’Irlanda e del Quebec. Vi erano rappresentati in buon numero gli old Americans, discendenti delle famiglie del ceto medio anglosassone stabilitesi nel Vermont o in altre parti del New England, e fu nella tradizione di questo gruppo sociale che D. fu allevato. Frequentò le scuole pubbliche di Burlington e poi si iscrisse all’Università del Vermont. Qui gli insegnamenti del quarto anno, in particolare quelli di economia, filosofia e teorie religiose, influirono decisivamente e permanentemente sul giovane D. che era a quel tempo, come egli stesso ebbe a definirsi, un «vorace lettore». Egli alternava agli studi attività fisiche e sportive, di nuoto e di pesca nel lago Champlain e di campeggio nelle Green Mountains. In questo periodo ebbe a soffrire di notevoli restrizioni educative ad opera della madre, che lo sottoponeva a veri e propri interrogatori al suo rientro a casa per sapere se avesse compiuto qualche azione riprovevole, il che gli provocava, com’egli stesso ebbe successivamente a ricordare, angosciosi e acuti sensi di colpa. Completati gli studi al College D. insegnò per tre anni in una high school e alla fine del 1882 si iscrisse alla Johns Hopkins University di Baltimora per intraprendere studi di filosofia superiore. Qui fu allievo di George Sylvester Morris, visiting professor proveniente dall’università del Michigan ed esponente autorevole del neohegelismo. Conseguito il titolo di Philosophy Doctor nel 1884 D. si trasferì all’università del Michigan, dove, per segnalazione di Morris, prestò servizio come instructor in philosophy and psychology. Col solo intervallo di un anno, che tra il 1888 e il 1889 lo vide professore di filosofia all’università del Minnesota, D. passò un intero decennio nel Michigan. Durante questo tempo i suoi interessi si volsero soprattutto alla filosofia hegeliana e ai neohegeliani inglesi, nonché alla nuova psicologia fisiologica e sperimentale introdotta e sviluppata allora negli Stati Uniti da G. Stanley Hall e da → James. In questi anni maturarono i suoi interessi pedagogici. Le letture e le personali osservazioni lo convincevano che l’organizzazione scolastica non corrispondeva alle indicazioni della psicologia scientifica e ai principi e alle esigenze della società democratica. Lo sforzo di elaborare una → filosofia dell’ educazione che ponesse rimedio a questi difetti divenne centrale nello sviluppo del pensiero deweyano, e lo arricchì di una nuova dimensione. Alla maturazione ulteriore degli interessi pedagogici deweyani contribuì il suo matrimonio, nel 1886, con Harriet Alice Chipman, assai impegnata sul terreno educativo e sociale. Entrambi amavano molto i bambini, e avendone perduto due in tenera età ne adottarono uno nel corso di un viaggio in Italia. D. lasciò l’università del Michigan nel 1894 per diventare professore di filosofia e presidente del dipartimento di filosofia, psicologia e pedagogia all’università di Chicago. Di là sarebbe passato nel 1904 alla cattedra di filosofia della Columbia University di New York, dove sarebbe restato per venticinque anni nell’insegnamento attivo, e per altri ventidue come professore emerito. In questo periodo la sua reputazione di filosofo, di pedagogista e di attento e autorevole osservatore e critico dei fatti sociali venne progressivamente crescendo, e la sua presenza pubblica si venne accentuando. Contribuì con S. O. Levinson al Kellog-Briand Pact del 1928, e fu uno dei fondatori e primo presidente dell’Associazione di professori universitari. Sul piano più strettamente politico si adoperò per organizzare un partito, ritenendo che i due partiti maggiori del Congresso non fossero all’altezza dei problemi generati dalla grande depressione degli anni trenta. Nel 1937, all’età di 78 anni, D. ebbe a presiedere una commissione che si recò a Città del Messico per ascoltare e valutare ciò che L. Trotsky aveva da dire in risposta alle imputazioni di cui era stato oggetto nei processi moscoviti del 1936 e del 1937. La reputazione internazionale di D. fece sì che fosse invitato in numerosi Paesi per conferenze e interventi di vario genere (Giappone, Cina, Turchia, Russia, Sud Africa, Messico). Negli anni dell’avanzata maturità, a circa vent’anni dalla morte della prima moglie, avvenuta nel 1927, passò a seconde nozze con Roberta Lowitz Grant, insieme alla quale adottò due bambini belgi, fratello e sorella, orfani di guerra.
2. Produzione scientifica. D. ha profondamente segnato la cultura filosofica e pedagogica del nostro tempo, percorrendo itinerari che sono stati variamente definiti come passaggio dallo spiritualismo al naturalismo, dall’assolutismo allo sperimentalismo, dall’idealismo al pragmatismo «strumentalistico», e di qua al transazionalismo umanistico e «olistico» degli ultimi scritti. La produzione deweyana è talmente vasta che un intero e non esiguo volume è stato destinato, già da alcuni decenni, a raccogliere i titoli delle sue opere e di quelle che espongono, commentano o criticano il suo pensiero. Le opere complete (Collected works) di D. sono pubblicate nei 39 volumi dell’ediz. critica a cura di Jo Ann Boydston, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardville, 1969-1991 divise in The early works, 1882-1898; The middle works, 1899-1924; The later works, 1925-1953. Dai saggi giovanili pubblicati su riviste teologiche, filosofiche e psicologiche, da Scuola e società (1899) a Democrazia e educazione (1916), da Ricostruzione filosofica (1920), Natura e condotta dell’uomo (1922) ed Esperienza e natura (1925), a La ricerca della certezza (1929), e alla Logica, teoria dell’indagine (1938), fino ai saggi pubblicati nel 1946 col titolo Problems of men (Problemi di tutti nella traduzione italiana curata da Giulio Preti) e a Knowing and the known (Il conoscere e il conosciuto) del 1949, la sua produzione si è articolata in tutti gli ambiti della ricerca teorico-speculativa e scientifico-metodologica, portandovi contributi di fondamentale importanza di cui si riconoscono universalmente la grande originalità e l’eccezionale valore e che oggi, dopo un breve periodo di offuscamento, si ripropongono come punti di riferimento di un pensiero teorico metodologicamente agguerrito ma anche – e diciamo pure «deweyanamente» – affrancato dall’«ossessione» teoricistica e cognitivistica. Sia nella fase giovanile che in quella dell’avanzata e tarda maturità, D. ha svolto un ruolo di trait-d’union fra la cultura filosofica europea e quella d’oltre Atlantico. Non si tratta, ovviamente, di un filosofo «per molte stagioni», ma di un «macrobiòs» e di un maestro le cui prospettive travalicano il tempo di vita individuale e si accampano in un presente e in un futuro denso di incognite e di ombre, ma anche rischiarato da speranze che l’umanità approdante al terzo millennio non pare ancora rassegnata e disposta a cancellare e ad escludere dal proprio orizzonte.
3. Concezione filosofica e pensiero pedagogico. In pochi pensatori moderno-contemporanei la connessione di pensiero filosofico e di pensiero pedagogico è organica e strutturale come in D. Per un lungo periodo, tuttavia, essa restò come in una condizione di latenza. La connessione inizialmente più apprezzabile è quella tra filosofia e psicologia, secondo una curvatura che può ben definirsi di tipo idealistico o neoidealistico, e con una significativa mescolanza di interessi metafisico-speculativi, logici e teologici, testimoniati da saggi di varia ampiezza ed ispirazione. Fino al 1897 (D. aveva all’epoca quasi quarant’anni) gli scritti più vicini al pensiero pedagogico erano stati le poche pagine di The psychology of infant language (1894), il Plan of organization of the University Primary School (1895), rimasto praticamente inedito, la risposta ad un questionario pubblicata col titolo The results of child study applied to education (1895), il «paper» Influence of the High School upon educational methods (1896) e la breve nota Pedagogy as a University discipline (1896). Nel 1897 videro la luce altri brevi saggi, quali Ethical principles underlying education, My pedagogic creed e The aesthetic element in education, a cui vennero ad aggiungersi in quello stesso anno altre brevissime note quali The kindergarten and child-study, The psychological aspect of the school curriculum e The interpretation side of child-study, ed alcuni altri di non grande rilevanza, fino a The school and society del 1899, che fu una pietra miliare non solo nel pensiero deweyano, ma anche, più generalmente, in quello della pedagogia moderno-contemporanea. Da quel momento, e per molti decenni, la produzione pedagogica deweyana fu così intensa e influente che non è possibile riferirne in modo analitico, ma se ne può dare tutt’al più un elenco per grandi tappe e per momenti salienti. A opere minori, seppur significative, si alternano opere maiuscole e culminanti come Moral principles in education (1909), Interest and effort in education (1913), Schools of tomorrow (1915) (in collaborazione con Evelyn D.) e il «classico» Democracy and education (1916). Nel 1927 vide la luce il denso volumetto The sources of a science of education e, nel 1938, a ridosso della «grande logica» deweyana (Logica: teoria dell’indagine), fu pubblicato l’agile volume, anch’esso destinato a diventare un classico con diffusione mondiale, Experience and education.
4. La filosofia pedagogica. Appare materia di riflessione attualizzante, e motivo storico-teorico fondamentale di un ripensamento critico del pensiero deweyano, il problema se la pedagogicità del pensiero di questo filosofo-pedagogista debba esser fatta consistere nelle opere più specificamente dedicate ad approfondire le questioni educative ed a proporre metodologie di vario livello (epistemologiche e pratiche) sul terreno della formazione scolastica, o di quella più generalmente intesa, teorizzata e praticata; o se invece non debba ricercarsi nella chiave e con la chiave di quella filosoficità pedagogica, e quindi non rigidamente teorizzante e cognitivistica, della quale D., non da solo, ma con particolare incisività, ha dato testimonianza in questo e nello scorso secolo. Già se si pensa a opere culminanti e maiuscole come la Logica del 1938, la questione si prospetta con grande importanza e con grande interesse. La logica teorizza e serve all’indagine, e l’indagine risponde a sua volta ad un’esigenza di «accertamento» che non concerne in primo luogo il piano cognitivo, ma la formatività di un soggetto, come l’uomo, dipendente e precario, e che tuttavia aspira e tende ad autodeterminarsi attivamente e a farsi padrone della propria realtà e del proprio destino, pur in un contesto che lo trascende e lo supera. Anche altre opere fondamentali (già prima citate) come Ricostruzione filosofica, Natura e condotta dell’uomo, La ricerca della certezza, Esperienza e natura, Il conoscere e il conosciuto, hanno questo carattere. Più che una pedagogia filosofica o una filosofia dell’educazione quella di D. è una filosofia pedagogica, vale a dire una filosofia – qual è in generale quella pragmatistica e strumentalistica – il cui significato e il cui valore fondamentale è quello di un programma formativo, sia sul piano della costituzione dei soggetti individuali, che della costituzione e della cura dei soggetti collettivi. Di questo si ha un esempio eminente in quella che è forse l’opera più conosciuta e più generalmente apprezzata di D.: Democrazia e educazione. Qui la comprensività etico-sociale del programma democratico allontana da una pedagogia di corto raggio e di piccola curvatura, così come tiene distanti da una filosofia del pensiero «puro» o della speculazione fine a se stessa. Il programma democratico è un programma di formatività individuale e collettiva pensato nei termini di un pensiero concretamente astraente che s’innalza comprensivamente sui particolari, e al tempo stesso rifugge da ogni astrazione «platonicamente» elusiva di ciò che l’esperienza umana, come fatto e come valore, esige di sottoporre alla verifica e al giudizio del pensiero critico e intelligente. In questo D. corrisponde ad una tendenza permanentemente presente nella cultura occidentale fin dal tempo in cui la grecità venne imprimendovi i segni delle sue geniali intuizioni e raffigurazioni: quella di comporre l’alto esercizio spirituale della cura e della formatività praticata nella medicina, nella politica, nella paideia, con la pratica teorica del pensiero concettualizzante e riflessivo. Ed alla luce dei grandi percorsi del pensiero classico, ellenistico, cristiano e moderno contemporaneo l’opera di D. appare pienamente comprensibile ed assume il suo più peculiare ed alto significato, come anche testimoniano le interpretazioni e le utilizzazioni più strettamente contemporanee del suo pensiero.
Bibliografia
a) Fonti: un elenco completo delle opere di D. e delle trad., aggiornato al 1962 è contenuto nel vol. a cura di M. H. Thomas, J.D.: A centennial bibliography. Il volume include inoltre un elenco pressoché completo degli scritti su D. b) Studi: Corallo G., La pedagogia di J.D., Torino, SEI, 1950; Borghi L., J.D. e il pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti, Firenze, La Nuova Italia, 1951; Visalberghi A., J.D., Ibid., 1951; Bausola A., L’etica di J.D., Milano, Vita e Pensiero, 1960; Raggiunti R., Esperienza artistica ed esperienza scientifica in D., Torino, Edizioni di Filosofia, 1966; Granese A., Il giovane D., Firenze, La Nuova Italia, 1967; Boydston J. A. - K. Poulos, Checklist of writings of J.D., Carbondale, University Press, 1978; Verda I., Attualità di J .D., Roma, Armando, 1979; Granese A., Introduzione a D., Bari, Laterza, 2005.
A. Granese