CURRICOLO
CURRICOLO
L’insieme delle esperienze di apprendimento che una → comunità scolastica progetta, attua e valuta in vista di → obiettivi formativi esplicitamente espressi. Dal lat. currere (correre), tradizionalmente indicava il corso di studi frequentato o da frequentare per raggiungere un certo livello di qualificazione scolastica o accademica. Nell’antichità veniva usato anche per indicare ogni carriera politica, culturale, militare. Ancor oggi un curriculum vitae è l’insieme degli studi compiuti e delle esperienze e competenze professionali raggiunte nel corso della propria vita.
1. La nascita dell’idea attuale di c. L’autore, che ha avuto, e ha tuttora, una grande influenza sullo sviluppo degli studi curricolari è Ralph Tyler. In un volumetto del 1949 dal titolo Principi fondamentali per il c. e l’insegnamento, con buon senso e penetrante lucidità gettava le basi di un’impostazione razionale della programmazione della formazione scolastica. Non si trattava, come lui stesso ha sottolineato, di un manuale per costruire un programma educativo, ma solo di uno schema di come esso dovrebbe configurarsi per poter diventare un vero strumento di formazione. Tale schema partiva dall’enunciazione di quattro domande fondamentali, cui occorreva successivamente rispondere per sviluppare qualsiasi c. o piano educativo. Le domande erano: 1) Quali sono le finalità educative che la scuola dovrebbe cercare di raggiungere? 2) Quali esperienze educative, verosimilmente adatte a raggiungere queste finalità, sono disponibili? 3) Come possono in concreto essere organizzate queste esperienze? 4) In quale modo è possibile verificare che queste finalità sono state raggiunte? Queste quattro domande e le relative risposte costituiscono, secondo Tyler, il «quadro di riferimento razionale secondo il quale esaminare i problemi del c. e dell’educazione» (Tyler, 1949, 2).
2. Primi sviluppi. Un’analoga, anche se più sostanziosa impresa, fu compiuta da una allieva di Tyler, Hilda Taba (1962), che impostò un percorso razionale di sviluppo di un piano educativo secondo una serie di passi successivi: 1) diagnosi dei bisogni; 2) formulazione degli obiettivi; 3) selezione dei contenuti; 4) organizzazione dei contenuti; 5) selezione delle esperienze di apprendimento; 6) organizzazione delle esperienze di apprendimento; 7) determinazione di ciò che si deve valutare, di come e con quali strumenti è possibile farlo. Se l’intervento deve essere personalizzato è inevitabile giungere ad una conoscenza più approfondita di ciascuno degli allievi: questa è una condizione previa per poter ritagliare su misura un piano educativo. Da questa valutazione iniziale emerge la domanda educativa, cioè l’insieme di conoscenze, abilità e atteggiamenti di cui i giovani necessitano per poter procedere più sicuramente e validamente non solo nelle esperienze scolastiche, ma soprattutto in quelle della vita e della professione. Tra il 1969 e il 1983 Schwab in una serie di interventi, ha criticato la tendenza sviluppatasi dopo Tyler, diretta verso un’eccessiva teorizzazione degli studi curricolari. Il concetto base da cui Schwab parte è quello di «arte del pratico», in altre parole arte del deliberare. Schwab si colloca nel quadro di riferimento elaborato da Tyler, ma ne critica due punti. Il primo concerne l’eccessiva enfasi di Tyler nei riguardi della definizione degli obiettivi. Il problema sta nel fatto che questi si presentano spesso ambigui ed equivoci e quindi offrono poca «materia concreta» per prendere decisioni pratiche. Inoltre è facile giungere a falsi consensi. Il secondo riguarda la poca attenzione posta sulla difficoltà del processo deliberativo, difficoltà derivante dalla complessità del compito. Una mancata formazione alla capacità di prendere decisioni, soprattutto in gruppo, rende impossibile ogni elaborazione curricolare effettiva. Nel frattempo un gruppo di allievi e collaboratori di Tyler, poi giunti a livelli professionali elevati, sviluppava le sue idee soprattutto per quanto riguarda la definizione e la formulazione degli → obiettivi educativi e didattici. Tra questi si possono ricordare B. Bloom, R. Mager, L. Briggs.
3. Alcuni sviluppi europei. Il tedesco S. B. Robinsohn (1976), dopo aver soggiornato negli Stati Uniti al fianco di R. Tyler, propose in Germania nel 1967 un modello di lavoro per l’organizzazione dei c. scolastici, che in qualche modo tenesse conto di due campi principali di applicazione: quello prevalentemente orientato alla formazione culturale e personale degli allievi e quello principalmente diretto alla loro preparazione professionale. Il punto di partenza per la definizione degli obiettivi educativi e didattici non era tanto collegato da Robinsohn con le analisi dei bisogni individuali, quanto con la ricerca delle situazioni di vita, che con ogni probabilità i giovani si sarebbero trovati a dover affrontare in un più o meno prossimo futuro. La capacità di dominare tali situazioni di vita, secondo questo Autore, può essere scomposta in alcune competenze, qualificazioni e atteggiamenti, che le fanno da presupposto. Dalla individuazione di queste qualifiche deriva la possibilità di selezionare le parti componenti l’intero percorso educativo che si intende organizzare e, in particolare, gli obiettivi. È evidente lo sforzo di ricollegare i bisogni educativi degli allievi con l’insieme delle situazioni personali, sociali, politiche e professionali, che essi dovrebbero saper affrontare in maniera positiva al termine dell’esperienza scolastica. In Inghilterra sono stati particolarmente significativi i contributi di A. V. Kelly e L. Stenhouse. Kelly (1977) riprende e sviluppa alcune utili distinzioni a proposito dei c., anche se si muove nella tradizione inglese di un grande decentramento decisionale, tradizione ora modificata dalla riforma scolastica del 1988, che ha introdotto un «c. nazionale», cioè un programma di studi deciso centralmente da un Comitato nominato dal Ministero dell’ educazione. Egli infatti distingue tra il c. relativo al processo d’insegnamento di una specifica disciplina, quello di un corso di studi e quello di una scuola vista nel suo complesso. Infatti diverse sono le persone, le competenze, le responsabilità coinvolte ai vari livelli; diversi sono i risultati che ci si aspetta di ottenere, il loro grado di specificità e di operatività. D’altra parte è utile anche insistere sulla differenza tra c. ufficiale, c. effettivamente seguito e c. nascosto, quello che può riferirsi ai → valori che fanno da riferimento all’organizzazione e al sistema di relazioni presente nella scuola oppure alle credenze e prospettive del singolo docente. Spesso il c. nascosto è più influente degli altri sullo sviluppo della persona. Infine può essere fatta la distinzione tra c. formale, quello proprio dell’orario di lezione, e c. informale, quello che potremmo definire delle attività integrative o extracurricolari, tra le quali attività sportive, teatrali, ecc. Nel giungere a una definizione di c., Kelly preferisce muoversi in una prospettiva descrittiva più che prescrittiva e definisce il c. come «l’insieme di tutto l’apprendimento che è programmato e sviluppato dalla scuola, sia che si svolga individualmente sia in gruppo, sia dentro che fuori dalla scuola» (Kelly, 1977, 7). L. Stenhouse (1977) ha sviluppato un quadro che per molti versi si pone come alternativo, rispetto alle forme più rigide di organizzazione curricolare basate su obiettivi esplicitamente e chiaramente espressi. Per Stenhouse un c. è un tentativo di rendere comunicabili i principi essenziali e le configurazioni concrete di una proposta educativa, in modo da renderla disponibile all’analisi critica e passibile di una effettiva traduzione operativa. In altre parole un c. è uno strumento per mezzo del quale una proposta educativa è resa pubblicamente disponibile. Esso include tanto il contenuto che il metodo e, nella più larga accezione, rende conto anche del problema affrontato, del suo sviluppo e del suo ruolo entro il sistema educativo. Il c. è considerato da Stenhouse, più come un processo di risoluzione dei problemi inerenti alla vita della scuola e della classe, che come un lavoro segnato da una tecnologia specifica e da scelte di natura ideologica o psicologica specifiche. È un’attività svolta da coloro che nella scuola vivono e lavorano, seguendo la logica della partecipazione democratica alle decisioni e quella di render pubblico e oggetto di analisi e discussione da parte della più larga comunità quanto deciso.
4. Alcuni sviluppi italiani. In Italia M. Pellerey negli anni settanta ha inquadrato il problema della progettazione, conduzione e valutazione dei c. scolastici nell’ambito di una rinnovata concezione della tecnologia dell’educazione che valorizza per analogia i passaggi propri di ogni tecnologia moderna: progettazione del prodotto e del processo produttivo, gestione della realizzazione del progetto, valutazione continua e finale del processo produttivo e del prodotto. Questa prospettiva va però oggi riconsiderata, tenendo conto della pratica educativa e didattica dei docenti, maggiormente legata alla cosiddetta saggezza pratica implicata nel saper prendere decisioni collettive in situazioni complesse e con forti caratterizzazioni contestuali. C. Scurati ha delineato in questo modo le caratteristiche di una programmazione curricolare: «Affrontare una programmazione vera e propria significa determinare precisi obiettivi formativi, operare delle scelte fra valori nell’universo della tradizione e della cultura esistente, articolare ed organizzare forme molteplici e compenetranti di intervento formativo e di comunicazione didattica. In una parola “gestire” con chiare finalizzazioni e complesse strumentazioni operative l’intero arco delle opportunità di sviluppo e di apprendimento di un gruppo di alunni, secondo cadenze ispirate ai nuclei costitutivi della realtà, della razionalità, della socialità e della pubblicità» (Scurati, 1977, 22-24). Recentemente la tematica del c. è stata ripresa da M. Baldacci (2006), che ha evidenziato i due piani secondo cui dovrebbe essere impostato un c.: uno più immediato riferito ai singoli contenuti delle discipline di insegnamento e uno più a lungo termine che tiene conto dello sviluppo delle competenze e delle disposizioni stabili.
5. Tendenze successive negli Stati Uniti. E. Eisner in una serie di interventi ha ripreso la definizione originaria di c. come includente: «tutte le esperienze che l’allievo ha sotto l’egida della scuola» (Eisner, 1985, 40). La parola «esperienze» si riferisce a quanto prova il singolo. In questo senso si può parlare di c. quando esso è stato sperimentato dagli alunni e non prima e, spesso, un alunno impara molto di più di quanto si svolge in classe o è inteso dall’insegnante: in esso giocano un ruolo importante anche gli aspetti informali. Quindi va sostenuta la distinzione spesso avanzata tra c. come esperienza vissuta e c. come documento scritto. D’altra parte la scuola ha una missione da compiere e dunque deve offrire un programma ai suoi utenti. Di qui un tentativo di definizione: «Il c. di una scuola o di un corso può essere concepito come una serie di eventi programmati che intende avere conseguenze educative per uno o più studenti» (Eisner, 1985, 45). Il concetto di c. è stato anche rivisitato dal punto di vista ideologico. M. Schiro (1978) ha indicato una griglia di analisi delle proposte curricolari che distingue due dimensioni. La prima ha come polarità estreme il privilegiare la fonte della conoscenza e l’uso della conoscenza; la seconda, la realtà soggettiva e quella oggettiva. La composizione delle due dimensioni dà origine a quattro quadranti entro i quali si possono collocare quattro differenti impostazioni che sottolineano rispettivamente l’alunno, le discipline di studio, la professionalità, la trasformazione sociale. Pinar e coll. (1995) e P. Slattery (22006) hanno riletto le proposte curricolari secondo molteplici prospettive, evidenziando non poche delle problematiche nascoste entro i vari testi sia ufficiali nazionali, sia elaborati dalle singole istituzioni scolastiche e formative, evidenziandone le assunzioni ideologiche spesso implicite.
Bibliografia
Tyler R. W., Basic principles of curriculum and instruction, Chicago, University of Chicago Press, 1949; Taba H., Curriculum development: theory and practice, New York, Harcourt, Brace and World, 1962; Schwab J. J. et al., La struttura della conoscenza e del c., Firenze, La Nuova Italia, 1971, 1-27; Robinsohn S. B., Curricula scolastici come fondamento di ogni riforma, Roma, Armando, 1976; Frey K., Teorie del c., Milano, Feltrinelli, 1977; Kelly A. V., The curriculum. Theory and practice, London, Harper & Row, 1977; Meyer H. L., Introduzione alla metodologia del c., Roma, Armando, 1977; Scurati C., Un nuovo c. nella scuola elementare, Brescia, La Scuola, 1977; Stenhouse L., Dalla scuola del programma alla scuola del c., Roma, Armando, 1977; Schiro M., Curriculum for better schools, Englewood Cliffs, Educational Technology Publications, 1978; Schwab J. J., Science, curriculum and liberal education, Chicago, The University of Chicago Press, 1978; Pontecorvo C. - L. Fuse, Il c.: prospettive teoriche e problemi operativi, Torino, Loescher, 1981; Lawton D., Curriculum studies and educational planning, London, Arnold, 1983; Eisner E. W., The educational imagination: On the design and evaluation of school programs, New York, Macmillan, 21985; Lewy A., The International encyclopedia of curriculum, Oxford, Pergamon, 1991; Jackson P. W., Handbook of research on curriculum, New York, Macmillan, 1992; Pellerey M., Progettazione didattica, Torino, SEI, 21994; Pinar W. F. et al., Understanding curriculum, New York, P. Lang, 1995; Flinders T. (Ed.), Curriculum studies reader, New York, Falmer, 2004; Baldacci M., Ripensare il c., Roma, Carocci, 2006; Slattery P., Curriculum development in the postmodern era, New York, Garland, 22006.
M. Pellerey