COMPITI EDUCATIVI
COMPITI EDUCATIVI
Possono essere riferiti agli operatori in campo pedagogico – e per estensione alle istituzioni educative – ma anche ai destinatari coinvolti nei processi educativi, quando vengono designati in quanto soggetti protagonisti della loro educazione.
1. Nella prima accezione, l’espressione c.e. è sinonimo di «finalità», intendendo con questa formulazione l’assunzione, in termini pedagogici, dei «fini» assegnati alla pianificazione sociale dal progetto simbolico che una comunità si è data in una determinata congiuntura storico-politica. Solitamente le aspirazioni societarie, nella fase della loro ideazione, si traducono in intenzionalità educative che vengono assegnate – in quanto e, appunto – al sistema scolastico, globalmente o per qualcuno dei suoi gradi: in questo caso, possiamo avere la definizione di «programmi scolastici» – più o meno prescrittivi nei riguardi degli operatori – i quali, in caso di riorientamenti profondi delle «finalità», possono essere concepiti come vere e proprie «riforme». Queste, in senso proprio, investono ancora più intimamente l’istituzione, giungendo a modificare le regole costitutive sulle quali fondavano, mutando di segno, gli aspetti materiali – strutture spaziali, inquadramento spazio-temporale, profili professionali, caratteri delle utenze – e la cultura interna, ispirando secondo altri → valori il senso delle attività e il significato di norme e comportamenti quotidiani. Sempre in questa prima prospettiva, si tende a parlare diffusamente di c.e. nelle fasi di transizione dei modelli culturali, quando le istituzioni pedagogiche possono apparire in «crisi» e pertanto prolificano le proposte per i cambiamenti auspicati. Oggi, al passaggio alla società post-moderna, tra inflazione dei c.e. attesi, deflazione dell’immagine pubblica degli insegnanti, ricorso a risorse professionali esterne, in grado di colmare lo scarto rispetto alla manifestazione di bisogni educativi non saturati, sullo sfondo della «caduta del programma istituzionale» della scuola-istituzione, la crisi percepita investe il modo stesso col quale l’insegnante è tenuto a concepire le sue funzioni.
2. In senso più tecnico, circola da una decina d’anni una seconda accezione del termine, nel contesto di una revisione del → naturalismo pedagogico – indiziato di indulgere non-direttivamente ai → bisogni dei soggetti in formazione – e della «pedagogia per → obiettivi» – accusata di precostituire autoritariamente i desideri educativi degli adulti –. Si parla in questo caso di «pedagogia del contratto», all’atto del quale si tracciano le condizioni per un negoziato capace di ottenere la presa in carico, da parte degli studenti, dei c.e. che hanno contribuito a definire e che si sono impegnati a realizzare. Su questa base, l’emergere della soggettività dei «nuovi studenti» ha indotto forme di negoziazione diffusa, continua e latente dei tempi scolastici e dei carichi d’apprendimento.
Bibliografia
Burguière E. et al., Contrats et éducation, Paris, L’Harmattan-INRP, 1987; Rayou P., La cité des Lycéens, Paris, L’Harmattan, 1998; Derouet J. L., L’école dans plusieurs mondes, Paris, De Boeck, 2000; Dubet F., Le déclin de l’institution, Paris, Seuil, 2002; Drago R., Tempo di scuola. appunti e riflessioni sull’organizzazione del tempo scolastico, 2005, in http: / / ospitiweb.indire.it / adi / temposcuola / temposcuola_bibliografia.htm (contatto del 24.06.07).
E. Damiano