CICERONE Marco Tullio
CICERONE Marco Tullio
n. ad Arpino nel 106 a.C. - m. a Formia nel 43 a.C, filosofo e uomo politico romano.
1. L’uomo. C. occupa un posto significativo sia nella storia della filosofia, che nella storia della letteratura latina, come pure nella storia politica di Roma. Compie i suoi studi umanistici e giuridici a Roma e li completa in Grecia e nelle colonie greche dell’Asia Minore (Atene, Rodi) particolarmente nel campo filosofico. È fortemente impegnato nella vita politica, sia con la sua attività oratoria in processi di grande importanza, sia per aver ricoperto diverse cariche politiche. Eletto Console nel 63 salva lo Stato dalla congiura di Catilina. Muore per mano dei sicari di Antonio. In questa sede ci interessa particolarmente l’apporto che con il suo pensiero, con i suoi scritti e con la sua attività ha dato alla pedagogia romana: alla sua base culturale, alla sua metodologia e particolarmente alla definizione e alla formazione dell’ideale dell’oratore.
2. C. e la cultura romana. C. è tra i più efficaci creatori di quella sintesi culturale che, superando una stretta chiusura sulla tradizione del mos majorum, ma senza sacrificarla, la apre all’apporto della raffinata cultura greca, dando origine a quella nuova cultura latina che prese il nome di humanitas. Una sintesi che allo stesso tempo è guidata dalla mentalità romana e ad essa è ordinata: l’idealità greca è calata nella concretezza e saggezza pratica romana, di cui C. è tipico modello, portando alla reciproca integrazione in un nuovo equilibrio che definisce l’humanitas, cioè la cultura romana del periodo ellenistico. Una humanitas letteraria, etica e politica. Sottolineiamo in particolare l’apporto dato da C. nel campo filosofico, come realizzatore di un eclettismo che compone elementi prevalentemente stoici con elementi peripatetici e anche platonici, con una prevalenza data all’aspetto pratico su quello speculativo e quindi alla dimensione etica su quella contemplativa.
3. C. e la pedagogia romana. Le competenze di C. sopra accennate, di filosofo, di letterato e di politico, determinano anche gli elementi costitutivi del suo apporto pedagogico per una sintesi umanistica unitaria. Esso si concretizza nell’ideale dell’oratore, che C. elabora soprattutto nelle sue opere De oratore, Orator, Brutus, Hortensius (perduto). Nella figura e quindi nella formazione dell’oratore richiede l’integrazione armonica di due aspetti: quello culturale e quello virtuoso, tanto da formare quasi una endiadi di humanitas et virtus. Il primato va però alla virtù e alla sapienza, in continuità con la virtus romana ereditata dal mos majorum. Ha così un senso preciso la definizione dell’oratore ricevuta da Catone il Censore: vir bonus dicendi peritus. E si spiega anche che nella sua formazione il primo posto vada alla filosofia (intesa nel senso eclettico sopraddetto). La sapienza avrà dunque la precedenza sulla tecnica; l’eloquenza sulla retorica. In questo C. combatte l’opinione che riserva ai filosofi i temi relativi alla morale, al diritto, alla pietà; che debbono invece essere, in modo diverso e più vivo, trattati anche dall’oratore. Su questa base C. richiede nell’oratore la massima ampiezza di cultura e ricchezza di erudizione: letteratura latina e greca, storia, diritto, vasta esperienza; oltre alle discipline della comune → paideia ellenistica. Tale ampiezza di preparazione culturale era necessaria nell’oratore anche per la vastità e pluralità dei temi di cui si doveva interessare. Cultura contro verbosità. Per questo suggerisce che la sua formazione comprenda anche una permanenza integrativa nelle città della Grecia. Alla visione dell’ideale dell’oratore si aggiunge in C. una buona sensibilità pedagogica: l’attenzione alla natura del giovane; il primo posto dato al talento, il secondo all’arte e all’esercizio; l’adeguamento anche delle mete da raggiungere, senza provocare scoraggiamento in alcuni o presunzione in altri.
C. «tipo» dell’orator. L’esperienza politica, il profondo senso della romanità (del mos majorum e della virtus romana, dello Stato romano), la sincera ricerca filosofica, la formazione giuridica, l’ampia erudizione e l’eminente capacità oratoria qualificano la personalità di C. e da essa si proiettano nell’ideale che egli elabora dell’orator. In questo senso → Quintiliano ha potuto asserire che il nome di C. è il nome stesso dell’eloquenza (cfr. Inst. orat. 10,1). È anche questo un elemento importante in prospettiva pedagogica, poter offrire un modello concreto dell’ideale prospettato.
5. Influsso e risonanze. L’influsso esercitato da C. in campo culturale e pedagogico si può costatare a vari livelli. Uno immediato, come si è detto, nell’ambito della cultura ellenistico-romana; con una incidenza determinante sulla formazione dell’oratore, anche quando, con la crisi della Repubblica e l’avvento dell’Impero, il suo impatto sulla vita dello Stato sfumò. A lui sarà debitore anche Quintiliano nella sua Institutio oratoria. Nel ritorno alla classicità degli umanisti rinascimentali (→ Umanesimo rinascimentale) C. non solo è uno dei punti di riferimento più significativi, ma la sua imitazione porta anche a quel fenomeno di decadenza formalistica che si chiamò ciceronianismo. C. resta uno dei maestri validi nella storia della pedagogia.
Bibliografia
a) Fonti: C, Opere politiche e filosofiche, a cura di L. Ferrero e N. Zorzetti, Torino, UTET, 1953; Dell’Oratore, a cura di A. Pacitti, Bologna, Zanichelli, 1974-77, 3 voll.; b) Studi: Narducci E., Introduzione a C., Roma / Bari, Laterza, 1992; Galino M. A., Historia de la educación. I. Edades antigua y media, Madrid, Gredos, 1960; Bonner S. F., L’educazione nell’antica Roma: da Catone il Censore a Plinio il Giovane, Roma, Armando, 1986; Montanari F. (Ed.), Rimuovere i classici? Cultura classica e società contemporanea, Milano, Einaudi, 2003.
M. Simoncelli