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ASIA sistemi formativi

 

ASIA: sistemi formativi

Secondo un’antica tradizione A. deriva dal termine semitico​​ Asu​​ che significa​​ Oriente.​​ È il continente più vasto della Terra e culla delle principali religioni:​​ ​​ Ebraismo,​​ ​​ Induismo (o Brahmanesimo),​​ ​​ Buddhismo,​​ ​​ Cristianesimo,​​ ​​ Islamismo; senza dimenticare il Confucianesimo (​​ Confucio) della Cina, lo​​ ​​ Shintoismo del Giappone e fenomeni religiosi già presenti nella preistoria come lo Sciamanismo di Siberia e Mongolia. Se si accetta la tesi secondo la quale ad ogni religione corrisponde una educazione, ne segue che in A. troviamo, sin dall’antichità, specifici ideali educativi che possono essere spiegati partendo dalla base etica presente nella spiritualità di riferimento. Per secoli l’A. ha insegnato all’Europa l’arte del vivere, di coniugare poli opposti, mantenendone l’individualità, e pur nelle sue attuali ristrettezze economiche continua a rivendicare le proprie tradizioni culturali di pensiero ed azione.

1.​​ Storia recente.​​ Dalla seconda guerra mondiale, il progressivo ritiro della colonizzazione europea, soprattutto inglese e francese, ha posto ai governi problemi etnici, linguistici, religiosi, politici già preesistenti, ma spesso non manifestati apertamente. La mentalità imperialista e quella umanitaria si sono scontrate ed amalgamate, provocando confusioni ancora non pienamente svelate. La questione della nascita dei nuovi Stati, dopo le varie dominazioni straniere, non si può considerare risolta. Le guerre civili nel Sud-est asiatico, il destino dei tanti rifugiati che passano da un Paese all’altro, al limite della speranza umana, gli accordi internazionali non sempre rispettati, le divisioni geografiche e ideologiche (es. Corea del Nord / Corea del Sud) indeboliscono la tenacia dei popoli e la credibilità dei Governi. Economicamente ci sono Paesi (es. Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, Cambogia o Kampuchea, Laos, Nepal) che vivono in condizioni di estrema povertà e dove la crescita demografica è preoccupante. La dipendenza dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale non risolve i problemi di crescita e di sviluppo, né questi aiuti possono essere considerati risolutivi. La questione si sposta sull’educazione che gioca il ruolo prioritario in termini di crescita individuale e collettiva.

2.​​ Vecchio e nuovo analfabetismo.​​ Le statistiche Unesco 1993 registrano percentuali di analfabetismo adulto in A. particolarmente elevate in alcuni Paesi come il Pakistan (74,3%: 1981), mentre le stime del 1990 collocano in sequenza percentuale decrescente l’analfabetismo adulto in Nepal (74,4%), Afghanistan (70,6%), Pakistan (65,2% ). In paragone risultano basse le percentuali di analfabetismo adulto in Stati come: l’Armenia (1,2%: 1989), l’Azerbaijan (2,7%: 1989), la Georgia (1,0%: 1989), il Kazakistan (2,5%: 1989), il Tajikistan (2,3%: 1989). Per le donne e per chi abita nelle aree rurali l’accesso all’istruzione è più difficile. I bambini si recano a scuola quando e dove possono. Negli Stati di Bahrein e Bhutan manca l’istruzione dell’obbligo, in Israele questa dura 11 anni e i bambini entrano nella prescuola a 2 anni di età. Accanto a Taiwan che discute sull’elevamento dell’obbligo ai 18 anni di età, comparatisti in educazione parlano di isolamento dove l’innovazione disciplinare non segue il ritmo dei Paesi economicamente più sviluppati. Di rilievo è l’opera svolta dalla​​ Southeast Asian Ministers of Education Organization​​ (SEAMEO) (fondata nel 1970 con sede a Quezon City nelle Filippine) che agisce a livello regionale e si occupa dell’innovazione educativa, soprattutto tecnologica. In tale contesto, 1’​​ ​​ educazione degli adulti assume per lo più la forma dell’alfabetizzazione tradizionale, e solo in qualche caso, quando questa è per lo più superata, si possono intravedere offerte culturali più ampie. L’​​ ​​ insegnamento a distanza che funziona nelle università del Pakistan e dello Sri Lanka riprende il modello ingl. della​​ Open University.​​ La dipendenza culturale dai maggiori sistemi educativi dell’​​ ​​ Europa e in particolare di quella orientale precedentemente a governo comunista, si nota non solo nella riproposizione dei curricoli scolastici, ma anche nell’emigrazione degli studenti asiatici che frequentano le università soprattutto di Paesi come Regno Unito e Russia. In Italia, secondo i dati ISTAT, gli studenti universitari asiatici (4.296 unità nel 1991-92), rispetto al totale degli studenti universitari stranieri (20.478 unità nel 1991-92), sono in diminuzione: dal 28,8% del 1989-90 sono scesi al 22,8% nel 1990-91 e al 21% nel 1991-92. La facoltà di Medicina e Chirurgia raccoglie il maggior numero di iscrizioni. Persiste il rischio della sopravvalutazione dei servizi offerti dai Paesi in questo senso più progrediti e della parallela sottovalutazione della​​ ​​ cultura di origine. Quest’ultima viene invece ripresa dall’Occidente in considerazione delle lezioni di spiritualità indiana (​​ Ramakrishna e​​ ​​ Vivekananda), della produzione letteraria di​​ ​​ Tagore, dell’insegnamento di​​ ​​ Gandhi improntato alla non violenza, delle moderne versioni di educazione attraverso gli esercizi​​ ​​ yoga e la meditazione.

3.​​ Educazione interculturale.​​ In termini simili si pone la​​ ​​ formazione degli insegnanti per la quale esiste un certo scambio tra Brunei, Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, vale a dire tra i Paesi membri dell’ASEAN, o​​ Association of South East Asian Nations​​ (fondata a Bangkok nel 1967) che ha lo scopo di accelerare il progresso economico e di aumentare la stabilità della Regione del Sud-est asiatico. Le tensioni etniche rimandano a progetti sociali e realizzazioni scolastiche di​​ ​​ educazione interculturale ancora in via di definizione anche in Stati come il Giappone che rappresenta la postmodernizzazione avanzata in A. Dal punto di vista della politica dell’educazione, mancano in diversi contesti: la visione complessiva dello stato interno dell’istruzione; gli interventi programmati; la precisazione degli obiettivi e la verifica del grado di attuazione dei medesimi. Ciò può essere attribuito a vari fattori: alla necessità di soddisfare i bisogni primari come l’alimentazione; al divario tra città e campagna; alla mentalità ancorata a principi di vita secolari.

Bibliografia

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S. Chistolini