ADOLESCENZA
ADOLESCENZA
Classicamente, l’a. è considerata come il periodo della vita situato tra 1’infanzia e l’età adulta. In termini biologici, l’inizio viene segnalato dalla pubertà e la durata, in genere, viene attribuita ad un arco di tempo che va dai 12 ai 18 anni d’età (le differenze sessuali e delle condizioni ambientali, sociali e razziali fanno oscillare questi limiti temporali). In base ad un criterio di tipo cognitivo-sociale, l’a. va dal momento in cui il ragazzo comincia ad essere capace di utilizzare con una certa autonomia il pensiero logico, fino a quando giunge alla piena integrazione delle sue capacità logico-cognitive ed ha la possibilità di vivere una vita indipendente a livello affettivo, economico e relazionale.
1. Studi sull’a. Nell’ultimo sec. l’a. è stata studiata da diverse scienze; le scienze psicologiche (nell’ambito delle quali ci situiamo) hanno affrontato il tema da molti punti di vista. Ci sembra che le varie prospettive possano essere organizzate intorno a tre gruppi di studi. In un primo gruppo di lavori, che tiene presente una preoccupazione speculativa, è possibile scorgere un tentativo di far aderire la realtà alla teoria (e non viceversa); in altri termini, la preoccupazione è quella di applicare e «imporre» alla realtà adolescenziale le caratteristiche definite aprioristicamente. La concezione psicoanalitica, che in questo gruppo si situa, offre un’ipotesi interpretativa secondo la quale il periodo di crisi e di grande disagio proprio dell’a. va attribuito all’emergere degli istinti e delle forze pulsionali, che provoca uno squilibrio psichico che si manifesta con quei comportamenti disadattivi, a diversi livelli di «patologia», tipici degli adolescenti; si tratta, evidentemente, di una interpretazione di tipo biologico che presenta l’a. come una realtà con caratteristiche legate e condizionate dalla fisiologia dei soggetti. Un secondo gruppo di studi, con preoccupazione sociologica, prende in considerazione i dati reali che emergono da incontri psicologici di tipo clinico con soggetti «atipici» o «diversi» e da osservazioni di tipo sociologico su soggetti «emarginati» o «disadattati». Si tratta di interpretazioni di tipo socio-culturale secondo le quali l’a. sarebbe un «prodotto» della realtà sociale delle diverse strutture nazionali ed internazionali. A questa prospettiva interpretativa si richiama la teoria sociologica secondo la quale le difficoltà adolescenziali, ed i relativi comportamenti disadattivi, sono frutto dell’influsso della società e sono correlati al processo di socializzazione ed alla diversità di ruoli attribuiti all’adolescente. Interpretazioni sempre di tipo sociologico, ma più complete e meno rigide, propongono categorie che consentono una più ampia e realistica visione della condizione giovanile: «marginalità», «frammentarietà», «cambio culturale», «eccedenza delle opportunità» e «lotta per l’identità». Queste due note ipotesi interpretative della psicologia dell’a., biologica e sociale, pongono l’accento solo su uno dei due fattori di sviluppo (endogeno ed esogeno) e non tengono presente, in modo adeguato, il contributo di ciascuno e la possibilità che entrambi hanno di integrarsi. Inoltre, vogliamo evidenziare l’insufficienza di queste posizioni poiché non vi è alcuna corrispondenza tra le caratteristiche adolescenziali da esse indicate, i conseguenti tentativi interpretativi offerti, ed i numerosi dati empirici ormai acquisiti sugli adolescenti. Diversamente, la preoccupazione empirica è ciò che caratterizza il terzo gruppo di studi. La realtà adolescenziale, nell’orizzonte di una definita prospettiva teorica, viene avvicinata sperimentalmente. In altre parole, alla luce di una teoria di riferimento, una ipotesi interpretativa viene confrontata con i dati ottenuti tramite ricerche condotte su adolescenti «normali». Se queste tre categorie di studi prese isolatamente mostrano limiti e carenze, integrandosi possono diventare una chiave di lettura molto utile per approssimarsi nel modo più adeguato e completo alla ricca realtà adolescenziale.
2. Pista di lettura dell’a. Senza pretendere di essere completi e senza voler schematizzare la ricchezza della persona, proponiamo la nostra lettura della realtà adolescenziale. Nella riflessione sull’adolescente, per avere una visione il più completa possibile, è necessario tener presente gli aspetti comportamentali, cognitivi e tendenziali della persona in sviluppo e avvicinarli alla luce di una pluralità di teorie psicologiche. a) Capacità dell’adolescente. L’adolescente è in grado di vedersi dall’esterno, di percepirsi oggettivamente, distaccandosi dalle prime impressioni soggettive; nello stesso tempo, si trova a dover fare i conti con l’ambiente sociale e con la sensibilità che ancora lo rende vulnerabile al giudizio altrui e che, spesso in misura notevole, condiziona e ridimensiona la sua oggettiva capacità di autorealizzazione. Sempre in riferimento allo sviluppo cognitivo, una seconda osservazione vuole evidenziare tanto la capacità dell’adolescente di creare realtà ipotetiche e di immaginare, quanto le sue esigenze di giustizia, uguaglianza e amore universali, che appaiono come una ricerca del senso della vita, di rifiuto della realtà concreta e, alle volte, di sublimazione dei suoi desideri, pensieri e sentimenti. La ricerca della trascendenza attraverso la modalità intellettuale è uno degli aspetti che più caratterizza l’adolescente (riconoscere questo bisogno profondo è un modo stupendo per avvicinarsi a lui). L’adolescente ha difficoltà ad accettare i propri sentimenti; per convivere con tali sentimenti non integrati nella personalità, li «iperdifferenzia». L’iperdifferenziazione dell’esperienza profonda lo rende «unico», lo caratterizza con una diversità tale da fargli pensare che la sua sia una realtà incomunicabile e che nessuno sia in grado di capirlo. Il rapporto interpersonale diventa, quindi, difficile e, alle volte, impossibile; ma, poiché è doloroso vivere incompreso, può nascere in lui la ricerca di un essere così grande, così distante, e persino così diverso, da avere la capacità di capirlo e di comprenderlo. Proprio perché emergente da questo bisogno, da questa ricerca di comprensione, definiamo il rapporto dell’adolescente con la realtà trascendente di falso ascetismo (in quanto derivante, appunto, dalla sublimazione di alcuni bisogni ai quali non si trova una risposta corrispondente). L’adolescente si caratterizza anche per una grande apertura agli altri. Il desiderio della socialità, generalmente, trova soddisfazione nell’incontro con il gruppo dei pari. In esso, il giovane ha la possibilità di confrontarsi, di realizzare attività, progetti o, semplicemente, di «stare con» gli altri; inoltre, visto che il gruppo si propone come referente normativo e affettivo, progressivamente va ad affiancare e sostituire i ruoli parentali consentendo un distacco sempre maggiore dalla famiglia; infine, l’esperienza della relazione con i coetanei, costituisce un valido aiuto alla formazione del senso di identità, poiché permette all’adolescente di conoscersi e di stimarsi di più in quanto, nel gruppo, viene accettato per ciò che è e per ciò che realizza. La capacità cognitiva di cui l’adolescente è dotato e l’importanza dell’ambiente sociale vengono ad interagire con il suo mondo profondo che comprende il passato (a volte pesante da sopportare), i sentimenti autentici, la difficoltà dell’integrazione armonica delle diverse componenti della personalità, le ambivalenze, i bisogni ed altro ancora. In sintesi, possiamo dire che l’adolescente viene visto come una persona capace di mettersi in rapporto proattivo con il mondo circostante e di rispondere ai compiti di sviluppo che gli si presentano e che, progressivamente e armonicamente, lo portano verso la maturità. b) Difficoltà dell’adolescente. Anziché parlare di «problemi», parola che fa pensare a qualcosa da sopportare od a disturbi propri dell’età per cui non si può far altro che aspettare il superamento della fase, useremo le espressioni «aspetti problematici» e «punti focali» che, ci sembra, consentono di cogliere le peculiarità dell’a. e i possibili conflitti intra ed interpersonali senza stigmatizzarli, ma leggendoli in termini processuali di impegno verso una maturità più grande. Un primo, e generale, aspetto problematico consiste, allora, nella difficoltà che l’adolescente incontra nel compiere un’integrazione transazionale delle tre componenti (cognitiva, affettiva, relazionale) della sua personalità; soprattutto, l’adolescente trova difficoltà ad integrare l’aspetto cognitivo e quello tendenziale: malgrado abbia la capacità di auto-vedersi oggettivamente, non riesce a cogliere la positività delle sue esperienze e non riesce a dare una spiegazione soddisfacente delle proprie tendenze, dei sentimenti o di ciò che prova nelle diverse situazioni. Un secondo, e più «banale», aspetto problematico è legato all’immagine corporea. Non è facile per l’adolescente integrare i mutamenti corporei che, spesso, sfuggono al controllo razionale e che non sempre è possibile armonizzare in modo da sentirsi a proprio agio sia con se stessi che nel gruppo dei pari. La conoscenza, l’accettazione e la rielaborazione dell’immagine corporea e la formazione di una adeguata identità psicosessuale, sono compiti molto impegnativi che richiedono la presenza e la mediazione di un educatore. Un terzo punto focale è costituito dalla conquistata capacità di pensare in termini ipotetici, che porta l’adolescente a vivere in un mondo fantastico, nel quale è possibile costruire sia eventi che persone ideali. Due conseguenze di questa conquista possono creare difficoltà all’adolescente. In primo luogo, il cambio della relazione «reale-possibile», che conduce l’adolescente a relazionarsi con il «possibile» come se fosse «realtà», ostacola la capacità di ragionare e di comportarsi in base ai fatti concreti ed all’esperienza vissuta e riflessa. D’altra parte, e arriviamo alla seconda conseguenza, la capacità di vedere come possibili tante risposte e tanti modi di combinare gli eventi e le risorse in suo possesso, porta l’adolescente all’incertezza, all’indecisione e, quindi, blocca la sua azione; non potendo accettare tale immobilità, nel suo disorientamento, chiede aiuto. I problemi emergono allorché l’adolescente confronta la scelta che gli è stata consigliata, e che lui ha messo in pratica, con tutte le altre che la sua capacità di pensiero gli presenta (realizzabili o ipoteticamente possibili che siano) e constata che l’alternativa attuata è più povera di quelle che avrebbe potuto attuare. Questa scoperta può portare l’adolescente ad un sentimento ambivalente: colpevolizza le persone da cui ha ricevuto l’orientamento (ribellione) e, successivamente, nel momento in cui riesce a vedere sia gli aspetti positivi del consiglio ricevuto sia l’interessamento delle persone adulte a cui si è rivolto in cerca di consiglio, si sente colpevole. Un quarto aspetto problematico riguarda la vita relazionale dell’adolescente; la tendenza ad aprirsi agli altri può trasformarsi in tendenza all’isolamento per due ordini di difficoltà. In primo luogo, la non accettazione del proprio mondo personale può portare l’adolescente a costruirsi delle «maschere sociali» che hanno lo scopo di difenderlo dai pregiudizi e dalle etichette sociali e, soprattutto, dal pericolo di venir scoperto negli aspetti negativi che crede di avere o negli aspetti che realmente ha e non gli piacciono. In secondo luogo, la tendenza all’isolamento dell’adolescente è favorita dall’impossibilità di manifestare chiaramente e apertamente nel mondo sociale la sua ricchezza intrapsichica.
3. Suggerimenti educativi. Da un punto di vista educativo è necessario partire da una concezione dell’uomo che permetta di coglierne tutta la ricchezza e che, di conseguenza, offra una visione dell’adolescente come persona che realizza in modo proprio, non solo in funzione dell’adulto che diventerà o del fanciullo che non è più, il compito di essere uomo. Da un punto di vista psicologico in generale e della psicologia dell’a. in particolare, è bene tener presente che un processo educativo si realizza seguendo alcuni passi. Per prima cosa, è necessario «stare con» il soggetto in modo da conoscere la sua struttura cognitiva, il suo modo di ragionare, le sue risorse. L’adolescente si sviluppa continuamente; le sue risposte non sono mai definitive. È necessario saper decodificare e proporre le risposte considerandole parte di un processo, di un dinamismo in continuo sviluppo e mai come entità chiuse e definite. Indichiamo alcune mete che, se comunicate in modo chiaro, possono essere raggiunte favorendo così la crescita dell’adolescente: accettare le opinioni per il loro valore, differire la soddisfazione dei bisogni, operare un equilibrio tra dipendenza e indipendenza, richiedere secondo le esigenze e non solo secondo le apparenze. L’educatore deve essere in grado di capire e di accettare le risposte e le sollecitazioni che gli vengono dal mondo adolescenziale in qualsiasi modo gli arrivino; nello stesso tempo, deve essere capace di dar ragione esplicita delle sue proposte in modo tale che l’adolescente le possa accettare per il loro valore intrinseco (senza dimenticare l’importanza che la persona dell’educatore ha per l’adolescente).
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A. Arto